179-LA MONOTRIAD RAPISCE LA DEA ANNURA

Adesso che ci siamo ricongiunti al nostro divino eroe, lo troviamo che volava nello spazio cosmico alla massima velocità che gli era consentita. Egli era bramoso di raggiungere prima possibile la disperata moglie e i preoccupati amici per rasserenarli e per non vederli più soffrire. Intanto che si dava alla sua interminabile volata, a un certo momento, si ricordò che l'eccelso Locus, il dio dello spazio, più di una volta lo aveva chiamato con il nome di Iveonte. Allora il gemello Kron, era sempre intervenuto a correggerlo. Così, dopo che era venuto a sapere chi in realtà sarebbe stato l'umano Iveonte in un futuro molto remoto, che ripetutamente il dio dello spazio confondeva con lui, aveva smesso di meravigliarsene. Due erano i motivi, per cui il nome del famoso umano non suscitava più in lui alcuna meraviglia. Stando al primo di essi, in avvenire il corpo di Iveonte avrebbe ospitato l'anima che gli era appartenuta nella sua vita da uomo, la qual cosa era avvenuta per tutto il tempo che era stato in Animur. Il secondo, invece, lo metteva al corrente che fra tutti gli eroi umani di Kosmos, egli sarebbe stato il più celebrato in ogni tempo.

Riflettendo di più sull'eroico uomo, il dio Iveon si rendeva conto che egli sarebbe stato un essere umano davvero eccezionale. Adesso rammentava che ne aveva avuto la conferma anche durante un incontro avuto con le due eccelse divinità, ossia quando era ritornato da loro, dopo aver sconfitto la Deivora. In quella circostanza, Locus, restando ancora una volta vittima di una passeggera amnesia, con l'intenzione di elogiarlo, non si era astenuto dall'esclamargli:

««Sei stato stupendamente magnifico, mio egregio Iveonte! Quale altra divinità, più di te, poteva riuscire in una impresa simile, la quale richiedeva eroismo e temerarietà allo stesso tempo? Ti posso rispondere io senza alcun dubbio: nessun'altra!»

«Chi sarebbe questo Iveonte, eccelso Locus?» incuriosito, egli gli aveva chiesto «Sono convinto che si sarà trattato di un lapsus linguae!»

«Scusami, Iveon, se mi sbaglio ogni volta a pronunciare il tuo nome! Ciò mi capita sempre ed esclusivamente con te, se lo vuoi sapere! Ti prego di non farci caso!»

«Ma esiste poi qualche divinità positiva con questo nome somigliante al mio, eccelso Locus?» egli aveva voluto domandargli «Di regola, quando continuiamo a cadere nello stesso errore, sono certo che c'è un motivo a farcelo commettere! Ne convieni anche tu, sublime dio dello spazio, oppure è solo una mia convinzione?»

«Non hai tutti i torti, valoroso Iveon!» gli aveva spiegato il divino Kron «In effetti, a portare questo nome sarà un umano. Il quale, come lo sei tu adesso, sarà un grande eroe. Se lo vuoi sapere, Iveon, in un futuro molto remoto, tu e lui vi incontrerete in Kosmos. In tale circostanza, per quanto strano possa sembrarti, sarà lui a darti una mano provvidenziale. Lo so che oggi non puoi comprenderlo; ma in seguito te ne convincerai, alla luce di fatti concreti!»

«è mai possibile, eccelso Kron, che in avvenire accadrà un fatto del genere?» egli lo aveva invitato a rendersene conto «Mi appare del tutto inconcepibile che sarò costretto a ricorrere ad un umano per chiedergli soccorso, pur essendo un dio. E ciò, nonostante io sia considerato un eroe eccezionale da tutte le altre divinità positive!»

«Alla tua domanda non sono in grado di rispondere, dio dell'eroismo; ma so soltanto che questo fatto accadrà.» aveva concluso il dio del tempo «Per questo puoi accettarlo come certo, dal momento che così ha decretato l'ineluttabile Destino!»

Allora come allora, il dio Iveon aveva ritenuto che la risposta ricevuta dall'eccelso Kron potesse essere stata semplicemente evasiva. Se invece in essa vi fosse stata scolpita nient'altro che la verità? In quel caso, ugualmente non serviva a nulla mettersi a scavare in un futuro incerto noto soltanto al Destino, poiché non avrebbe cavato un ragno dal buco. Per il momento, quindi, la sola cosa saggia da fare era quella di soprassedere alle anticipazioni che gli aveva fatto l'eccelsa divinità e di attendere che in seguito gli eventi avessero il loro corso regolare. Invece era importante per lui l'avere appreso in anticipo che, anche se grazie ad un essere umano, una sua futura posizione di svantaggio si sarebbe risolta alla fine in modo positivo! Nel frattempo, però, i sentieri del destino erano già riusciti ad intrappolarlo, allo scopo di favorire il futuro essere umano, quello che stranamente gli sarebbe risultato molto utile, ricambiandogli la buona azione! Da parte sua, il divino eroe non si mostrava convinto che l'essere stato usato per recare qualche utilità all'eroe umano del futuro, aveva avuto come fine ultimo il solo scambio di favore che gli era stato annunciato. Sotto sotto egli era sicuro che doveva esserci qualcos'altro di grosso, che non avrebbe riguardato la sua divinità; bensì avrebbe coinvolto tutte le divinità positive di Kosmos.

Le riflessioni del dio Iveon avevano avuto termine, solo quando egli aveva messo piede sul pianeta Zupes, dopo un ininterrotto volo che non aveva avuto scali intermedi. Una volta atterrato, egli si era trasferito subito a casa sua perché, con la propria apparizione, era intenzionato a rendere la divina moglie Annura la più felice di tutte le dee, dato che sarebbe stato senz'altro così nel vederlo rincasare. A tale riguardo, non si era sbagliato. Infatti, scorgendolo davanti a sé tutto all'improvviso, la dea della temperanza aveva creduto di sognare; ma lo stesso gli si era lanciata tra le braccia con tutta la foga della sua passione. Mentre lo abbracciava, non le veniva più la voglia di lasciarlo e di smettere di baciarselo a più non posso. Al contrario, cercava soltanto di colmarlo di ogni tipo di moine, poiché esse tendevano a procurargli il massimo piacere. Infatti, nessuno più di loro aveva diritto alla fruizione di una gioia intensa ed incommensurabile.

Dopo l'eccezionale piena di abbracci, di baci e di carezze, la quale era stata reciproca e straordinariamente sentita, i due consorti divini erano corsi all'abitazione dei loro amici, i quali erano il dio Ukton e la dea Elesia. Anch'essi, quando il dio Iveon gli era apparso davanti nella loro casa, non credevano ai propri occhi. Perciò si erano commossi e avevano esultato di gaudio. Inoltre, essi avevano preteso dall'eroico amico il racconto di quanto gli era successo in tutto quel tempo che era rimasto assente da Zupes; né egli si era rifiutato di accontentarli. Poco prima egli aveva evitato di raccontare alla moglie tutto quanto gli era capitato durante la sua assenza da casa, appunto perché dopo avrebbe dovuto farlo presso i loro stimatissimi amici. Per questo aveva voluto evitare di ripetersi. Ma alcuni giorni più tardi, si era proceduto anche all'iniziazione del divo Olin, poiché non era stata possibile effettuarla in precedenza. La cerimonia, durante la quale il dio Iveon era stato nominato suo tutor, si era svolta tra sontuosi festeggiamenti. Allora egli aveva dovuto assumersi l'incarico di aiutarlo a crescere, secondo i sacri precetti di Splendor.

L'indomani, prima di riprendere la sua serena vita sul proprio pianeta, il dio dell'eroismo aveva ritenuto suo dovere recarsi in Luxan e presentarsi agli eccelsi gemelli. Egli intendeva metterli al corrente di quanto gli era capitato nella sua precedente disavventura, la quale lo aveva visto esistere come essere umano nella realtà di Animur. A tale proposito, il dio aveva intrapreso il viaggio, senza farsi accompagnare dalla consorte per non sottoporla alla faticosa volata. Comunque, egli non l'aveva lasciata sola su Zupes, essendoci i propri genitori e quelli di lei a farle ottima compagnia. Secondo il suo parere, il viaggio, sia di andata che di ritorno, sarebbe dovuto risultare una rapida volata. Perciò lo avrebbe riportato tra le braccia della consorte, senza far trascorrere molto tempo. Nella sua visita lampo, egli avrebbe incontrato i due divini gemelli, i suoi parenti e i suoi amici di Luxan, i quali stavano tutti in pena per lui. Il destino, però, avendo decretato diversamente, gli aveva fatto raddoppiare il tempo che egli doveva impiegare per condurre a termine il suo nuovo compito. Il quale era considerato da lui un atto doveroso, specialmente nei confronti delle due eccelse divinità, che erano il dio Kron e il dio Locus, i quali ne sarebbero stati felicissimi.

Possiamo sapere in che modo il fato avrebbe costretto il divino Iveon ad impiegare un tempo doppio nel viaggio che lo stava conducendo alla volta del Regno della Luce, per un motivo che ci è sconosciuto? Avremo la risposta a tale domanda, semplicemente mettendoci a seguirlo nella traversata diretta alla sua meta. La quale, perché avesse termine, avrebbe richiesto un numero di lucet doppio di quello previsto.

Ebbene, il divino eroe si trovava a metà del suo percorso, volando nello spazio cosmico ad una velocità incredibile, allorquando gli era capitato di vedersi passare davanti un pianeta errante, il quale era abitato da esseri umani e da animali. L'evento gli era sembrato alquanto strano, poiché i pianeti si trovavano sempre ad orbitare intorno ad una stella e non era pensabile che se ne andassero in giro per conto loro, dopo essersi svincolati dalla sua attrazione. Anche il fatto che esso si presentasse abitato da esseri umani ed animali, nonché fosse fornito di una vegetazione lussureggiante, gli faceva credere di trovarsi di fronte ad un caso anomalo di dinamica celeste, il quale andava corretto al più presto. Allora propendette per l'idea che il pianeta fosse uscito da poco tempo dalla sua traiettoria, quella che prima l'obbligava ad orbitare intorno alla propria stella dispensatrice di luce e di calore. Invece, da quel momento in poi, esso sarebbe stato circondato unicamente dal buio senza fine, non essendoci più la propria splendente stella ad illuminargli le giornate.

Volendo poi approfondire lo strano fenomeno cosmico, il dio Iveon aveva preso la decisione di arrestare la sua corsa e di planare sulla sua superficie. Dopo aveva assunto le sembianze umane, appunto per essere considerato uno dei suoi abitatori e poter scambiare con loro qualche opinione in merito alla deriva del loro pianeta errabondo. Allora lo spettacolo, a cui il dio positivo si era ritrovato ad assistere, non era stato uno dei più allegri, dal momento che esso gli si era palesato incredibilmente impressionante e pietoso. Da parte nostra, baderemo ad entrare nei suoi dettagli, solo dopo che ci saremo resi conto di quale sfortunato astro spento si trattava. Il pianeta in questione era Alpust. Esso, fino a qualche mese prima, orbitava insieme con altri due pianeti intorno alla stella Pustas, che era situata nella galassia di Vanger. La terna planetaria era abitata da Materiadi della specie umana e nessuno dei tre popoli, a causa della loro civiltà sottosviluppata, era potuto venire a contatto con gli altri. Comunque, come apprenderemo dai fatti che stiamo per conoscere, gli Alpustiani erano al corrente dell'esistenza degli altri due pianeti del loro sistema stellare, poiché durante la notte potevano scorgerli nel cielo ad occhio nudo.


Cominciamo col far presente che i due pianeti che abbiamo citato con Alpust, senza però indicarne il nome, erano Dosur, il più vicino alla stella, e Govep, il più lontano da essa. Inoltre, i rispettivi popoli prendevano il nome di Dosurini e Govepini. Gli abitanti dei tre corpi celesti spenti, i quali avevano raggiunto una civiltà non superiore a quella del nostro Medioevo, trascorrevano la loro esistenza senza problemi di alcun tipo. Per cui si poteva affermare con convinzione che essi vivevano sotto il manto della serenità e della spensieratezza, essendo le guerre completamente ignorate presso di loro. In seguito, però, qualcosa era andato storto per la terna di tali popoli. Allora essi avevano dovuto fare i conti con una realtà ben differente, quella che, tutto all'improvviso, aveva cancellato sui loro pianeti ogni forma di benessere e di felicità.

Chi era stato l'antipatico autore che, sovvertendo l'ordine naturale e sociale delle cose sui tre pianeti, aveva messo i rispettivi popoli in guai molto seri? Ovviamente, poteva trattarsi soltanto di una divinità malefica, la quale, trovandosi di passaggio da quelle parti di Kosmos, aveva stabilito di fermarsi stabilmente su tali pianeti con l'intenzione di rendere travagliata la vita dei popoli che li abitavano. Ci si sta riferendo a Suzun, il dio dei dispetti, il quale era pure una divinità maggiore negativa. Egli, dopo essere giunto in Kosmos, si era messo alla ricerca di un pianeta che già stesse permettendo la vita a qualche specie di Materiadi. Così sulla sua superficie avrebbe trovato in abbondanza pure animali e vegetali. Secondo quanto aveva sentito dire, solo su pianeti del genere l'esistenza di una divinità negativa avrebbe avuto maggiori soddisfazioni, specialmente se si fosse data a maltrattare i loro abitatori.

Il dio Suzun, quindi, era lanciato nello spazio cosmico ad una velocità supersonica con propositi di quel tipo, allorché si era ritrovato a volare nelle vicinanze della stella Pustas. La quale, tra quelle della galassia Vanger, poteva considerarsi la più piccola. Visto poi che tutti e tre i pianeti che orbitavano intorno ad essa erano di quelli che stava cercando, egli non aveva esitato a fare scalo sull'astro spento più distante dalla stella. Ovviamente le sue intenzioni, nei confronti del popolo che lo abitava, erano tutt'altro che buone, considerato che avrebbero mirato esclusivamente a farlo soffrire.

Una volta sulla superficie del pianeta, il dio malefico aveva iniziato a dar luogo su di essa ai peggiori cataclismi, allo scopo di rendere l'esistenza dei Govepini davvero insostenibile. Alla fine egli, dopo averlo scombussolato nella maniera più barbara, si era presentato a tale popolo. Così gli aveva fatto presente che, se non voleva subire ulteriori tribolazioni, avrebbe dovuto adorarlo, edificare un tempio da dedicare a lui e sacrificargli ogni mese le tre vergini fanciulle più giovani. Allora gli abitanti di Govep, temendo altre calamità terribili da parte sua, non avevano osato rifiutarsi. Una volta sottomessi senza difficoltà gli sventurati Govepini ai suoi voleri, il dio Suzun aveva stabilito di condursi anche sul secondo pianeta in ordine di vicinanza alla stella, che era Alpust. In quel momento, siccome il pianeta Dosur era allineato a Govep, risultando perciò più vicino dell'altro, egli aveva preferito fare a quest'ultimo la sua seconda visita. La quale si era svolta identicamente alla prima, ottenendo infine sul pianeta dosurino gli stessi ignominiosi risultati, che aveva conseguito su Govep. A quel punto, aveva deciso di visitare pure il terzo pianeta e costringere i suoi abitanti a piegarsi alla sua volontà. Invece gli Alpustiani, essendo un popolo indocile e per niente amante di compromessi, si erano ricusati di accogliere le sue tre richieste. In special modo, li aveva impermaliti quella riguardante l'immolazione di tre loro giovani vergini. Essi, infatti, non reputavano giusto che una divinità pretendesse da loro il sacrificio di vite umane. Anzi, a causa di tale richiesta, gli avevano rifiutato pure le restanti due, che erano l'adorazione di sé e la costruzione di un tempio, dove avrebbero dovuto adorarlo con devozione.

Il dio, non essendo bastati i molti cataclismi di vario genere inflitti all'irriducibile popolo alpustiano, che non li aveva presi neppure in considerazione, si era proposto di fargli un ultimo avvertimento. Egli intendeva evitare di procurargli un guaio così grosso, da non riuscire più a toglierselo di dosso. Lo faceva non per mostrarsi benevolo verso tale popolo, del cui bene se ne infischiava altamente. Invece intendeva solo riuscire ad averlo dalla sua parte ed ottenere da esso quanto agognava. Perciò, dopo avergli inferto tre giorni di incessanti supplizi, logicamente senza alcun successo, il divino Suzun si era presentato il mattino successivo al popolo alpustiano. Con la sua voce stentorea, gli si era espresso con queste parole: "Alpustiani, dopo questa di oggi, per voi non ci sarà nessun'altra occasione per ripensarci e per non farvi scaraventare nel buio dello spazio, che circonda il vostro pianeta. Perciò vi avverto per l'ultima volta che, se non mi ubbidirete allo stesso modo dei Govepini e dei Dosurini, i quali vivono sui loro pianeti fedelmente osservanti dei miei dettami, per voi si metterà proprio male, profilandosi per il vostro popolo un avvenire senza speranze!"

Alla sua grave intimidazione, gli Alpustiani, ignorando apposta le sue parole, lo stesso avevano risposto picche, facendolo stizzire orribilmente. Secondo loro, vivere nel modo preteso dalla malefica divinità non era proprio da considerarsi; piuttosto era preferibile rinunciare all'esistenza. Allora, dopo averne preso atto, il divino Suzun aveva deliberato di agire di conseguenza nei loro confronti, condannandoli cioè alla notte senza fine nel gelido spazio di Kosmos. Era stato nella successiva nottata che egli si era messo all'opera, anche per dimostrare agli Alpustiani di essere un dio di parola. Investendo il loro pianeta con una carica energetica possente, lo aveva fatto deviare dalla sua traiettoria ellittica. Così lo aveva sottratto all'attrazione della sua stella, facendolo diventare erratico, senza una meta e con un futuro incerto. Difatti, c'era il rischio di andare incontro ad un impatto con qualche altro corpo celeste, il quale avrebbe provocato la sua distruzione. Sulla sua superficie, in seguito, ci sarebbe stata la fine di tutti gli esseri viventi, vegetali ed animali, a causa della sua rigida temperatura. La quale, in brevissimo tempo, sarebbe stata costretta dal buio spazio a scendere molti gradi sotto zero.

Tali due eventi, che si lasciavano prevedere l'uno probabile e l'altro sicuro, al pianeta non interessavano un bel niente, essendo esso un corpo inanimato. Non la stessa cosa invece avrebbe significato il loro verificarsi per gli esseri viventi forniti di intelligenza che abitavano sulla sua superficie. Specialmente il secondo, ossia il suo progressivo raffreddamento dovuto al buio totale, li avrebbe allarmati non poco. Quindi, pronosticandosi per tutti loro una fine a breve scadenza, molto presto l'ineludibile calamità in atto avrebbe gettato le loro psichi nella disperazione più folle e più traumatica. Infatti, non appena era trascorsa la notte e il luminoso mattino non aveva fatto la sua consueta apparizione lì dove era atteso, una profonda ed angosciosa inquietudine si era impadronita della gente del luogo. Essa, anche se non si era stupita del negativo evento, siccome ne conosceva già l'autore, ugualmente si era preoccupata parecchio. Per cui non aveva smesso di mostrarsi riottosa verso la divinità malefica. La quale, dopo aver portato a termine la sua vendetta, si mostrava paga del suo provvedimento ed attendeva che gli Alpustiani, l'uno dopo l'altro, restassero vittime del gelo in arrivo.

A quell'evento sinistro, che stava facendo prolungare la notte sul pianeta Alpust per vari giorni, se le persone adulte sembravano mostrarsi indifferenti, pur di non dare soddisfazione al divino Suzun, non allo stesso modo si comportavano i bambini e gli animali domestici. I primi si erano dati a lamentarsi e a piangere senza sosta; mentre i secondi non avevano smesso di emettere i loro versi disperati e rabbiosi. Perciò dappertutto si udivano i cani che latravano, i gatti che miagolavano, i cavalli che nitrivano, i buoi che muggivano, gli asini che ragliavano, le oche che starnazzavano, le pecore e le capre che belavano, i tacchini che goglottavano, gli uccelli che si lagnavano con i loro molteplici versi. Questi ultimi, però, com'era da aspettarselo, si mostravano differenti da una specie all'altra. Insomma, il loro coro incessante e lamentevole aveva reso spettrale l'atmosfera che si respirava sulla superficie del pianeta. Adesso essa intossicava l'intera esistenza dei numerosi esseri umani, anche se più marcatamente quella dei loro piccoli. Costoro, infatti, con i loro strilli di disperazione, i quali si mostravano acuti e senza fine, la rendevano ancora più mesta.

Stando insieme con la gente del pianeta, il dio Iveon non aveva tardato a prendere atto della reale situazione dell'astro, che si avviava verso lo sterminio di massa, poiché la rigida temperatura quanto prima l'avrebbe condotta ad esso. Allora egli si era impegnato con sé stesso che al più presto avrebbe tratto gli sventurati Alpustiani dalla loro miserevole disgrazia, il cui responsabile era stato il perverso dio Suzun. Nello stesso tempo, avrebbe dato battaglia al dio negativo, costringendolo a non vessare più i popoli dei tre pianeti che orbitavano intorno alla stella Pustas e a lasciarli in pace. Alla fine il divino eroe, attuando ciò che si era ripromesso di portare a termine, era riuscito ad ottenere quanto aveva stabilito di fare a favore degli Alpustiani, dei Govepini e dei Dosurini. Ma per conseguire il suo filantropico obiettivo, prima aveva dovuto obbligare forzatamente il dio negativo ad allontanarsi dal sistema stellare in questione, comunque non senza qualche difficoltà. Infatti, il confronto diretto, che aveva avuto con l'avversario, contro le previsioni, si era dimostrato parecchio ostico.

Dopo aver obbligato il dio negativo a battere in ritirata e a liberare le tre popolazioni astrali dai suoi soprusi, il divino Iveon aveva ripreso il suo viaggio verso il Regno della Luce, dove era stato accolto dagli eccelsi gemelli con grande stima e con il massimo rispetto. Al dio del tempo e al dio dello spazio egli aveva raccontato ciò che gli era accaduto nell'arcano Animur, facendoli stupire a non dirsi, a causa della loro ignoranza sulle cose da lui narrate. Alla fine egli, dopo essersi congedato da loro ed aver abbandonato Luxan, era ripartito alla volta del pianeta Zupes. Sul quale veniva desiderato con ansia dalla moglie, dai suoi genitori, dai suoceri e dalla coppia di amici Ukton ed Elesia, che lo attendevano insieme con il loro figliolo Olin.


Un giorno il dio Ukton e la dea Elesia si erano recati all'abitazione dei loro amici, per una visita di cortesia. Poco dopo, le due divinità maschie, lasciando da sole in casa le rispettive mogli, se n'erano usciti per compiere una trasvolata intorno al loro pianeta. Per la verità, essa non si era protratta a lungo e neppure era stata troppo breve. Perciò chi aveva intenzione di distruggere una famiglia spensierata aveva avuto a disposizione il tempo necessario per farlo. Difatti, quando l'uno e l'altro dio erano rientrati in casa non molto tempo dopo, erano stati accolti da una sgradita sorpresa. Vi avevano trovato soltanto la giovane consorte del dio Ukton. Ella, in quella circostanza di disagio, appariva così sconcertata ed atterrita, che non riusciva neppure ad esprimersi nel modo desiderato. Allora il divino Iveon, essendosene preoccupato, le aveva domandato:

«Elesia, cosa è successo nella mia casa? Dove è finita Annura? Riferiscimi ogni cosa, per favore, senza tralasciare nulla! Ho bisogno che il tuo rapporto sia chiaro al massimo!»

«è stata rapita, Iveon, senza che io abbia potuto aiutarla! Sono disperata a causa di quanto le è successo! I suoi rapitori avrebbero fatto meglio a prendersela con me! Il guaio è che non ho potuto neppure muovere un dito per venirle in aiuto! Mi sono ritrovata ad essere in loro balia anch'io, senza poter far niente per aiutarla! Se lo vuoi sapere, mi riesce difficile perfino definire i suoi rapitori delle divinità uguali a noi!»

«Elesia, adesso càlmati e dimmi invece quali divinità negative, poiché di loro si è trattato senza meno, hanno portato via la mia consorte. Ho bisogno di saperlo senza perdere un attimo di tempo, se non voglio mettermi ad inseguire troppo tardi quelli che l'hanno rapita! Più il tempo passa, più sarà difficile raggiungere i suoi sequestratori!»

«Non so come spiegarmi, Iveon. Sono sicura che non sono state delle divinità malefiche ad operare il rapimento di tua moglie, non avendo esse il marchio del male sulla fronte. Mi è parsa una unica entità arcana, la quale, nel medesimo tempo, si faceva intravedere una e trina. A volte la scorgevo come un unico essere; altre volte essa si tripartiva, ossia diveniva tre esseri separati, ma uguali e con la stessa voce. La misteriosa entità ha avuto facilmente la meglio sulla povera Annura e l'ha ridotta all'impotenza in breve tempo. Io ho cercato di fermarla, di contrastarle la cattura della mia cara amica. Ma non è servito a niente, poiché la rapitrice è riuscita ad immobilizzarmi all'istante e a rendermi quasi incosciente! Non so dirti di più, dio dell'eroismo!»

«Come mai, Elesia, non sei stata tu l'obiettivo dell'arcana entità catturatrice? è strano che essa abbia preferito inveire contro mia moglie e non su di te, pur essendo meno giovane di lei? Sai darmi una spiegazione plausibile in merito, sempreché tu possa farlo?»

«Mentre cercavo di difendere Annura, essa mi ha scaraventata per terra, dicendomi: "Sappi che sono la Monotriad, originata dalla disintegrazione della Deivora, la cui energia è cominciata a raccogliersi tutta dentro di me. Sono qui per vendicare la sconfitta subita dalla mia genitrice, ad opera del dio Iveon. Siccome non posso ancora nulla contro di lui, per adesso mi porto via la sua consorte, che gli è molto cara, per fargliela dimenticare in eterno. Fagli presente che ogni suo tentativo di rintracciarla gli riuscirà vano e la sua pena non avrà mai termine!" Dopo queste sue parole, la Monotriad se n'è andata via, trascinandosi appresso con la forza la tua consorte Annura.»

Alle parole della dea Elesia, in un primo momento, il dio Iveon si era avvilito. Quando si era riavuto un poco, era volato subito via infuriato, iniziando a dare una caccia spietata all'entità rapitrice della moglie. Ma sebbene avesse effettuato delle accurate ricerche, egli non aveva rinvenuta traccia alcuna di essa. Alla fine, costretto a desistere, egli l'aveva abbandonata. Anche il dio Ukton lo aveva aiutato nella sua intensa ricerca della moglie, la quale aveva seguitato a svolgersi con esito negativo. Allora, accusata la sua impotenza in quel difficile compito, il dio Iveon aveva considerato utile ricorrere all'eccelso dio Kron, allo scopo di farsi aiutare da lui a ritrovare la consorte Annura. La cui sparizione, intanto che il tempo trascorreva, gli stava arrecando una stizza immensa e una profonda ambascia. Naturalmente, il dio del tempo si era messo subito a sua disposizione, mettendocela tutta nel suo tentativo di ritrovargli la moglie in Kosmos. Purtroppo ogni ricerca era risultata vana pure a lui. Alla fine, manifestando molto rincrescimento, il dio del tempo gli aveva parlato in questo modo:

«Valoroso Iveon, mi è dispiaciuto di non essere riuscito a darti nessun aiuto in ciò che mi hai chiesto, essendo risultate anche le mie ricerche del tutto infruttuose. Questa nuova entità, che ha rapito tua moglie, non si lascia controllare neanche da me, similmente ad una nostra dea allo stato latente. Quindi, toccherà a te ricercarla lì dove essa ha eletto la propria dimora. Sono sicuro che, prima o poi, ti capiterà di incontrarla. Allora dovrai ricorrere a tutte le tue risorse per sconfiggerla! Comunque, penso che ti sarà molto difficile batterla da solo, visto che la sua natura, la quale si presenta una e trina, ti creerà una caterva di problemi. Perciò, avendo tu bisogno di due validi fiancheggiatori nella lotta contro di essa, ti raccomando di non rifiutare il loro prezioso aiuto, quando essi ti si presenteranno per pura casualità e te l'offriranno con generosità! A tale riguardo, non chiedermi alcuna cosa, siccome non avresti da me alcuna risposta. Ti consiglio, invece, di metterti immediatamente in cammino alla ricerca di Annura attraverso Kosmos, il quale ti si potrà rivelare un luogo niente affatto privo di insidie e di inganni.»

In quel momento, il dio Iveon si ritrovava ad essere mezzo frastornato da ciò che gli era successo, la qual cosa non gli aveva fatto rendere conto di quanto l'eccelso dio Kron gli aveva suggerito. Gli pareva impossibile che la sua amata consorte gli fosse stata carpita nella sua stessa casa, durante una sua breve assenza. Ma egli non sapeva ancora che, per ritrovarla, ci sarebbero voluti un migliaio di anni. In quei terribili istanti di tristezza e di collera, il dio dell'eroismo non riusciva a ragionare, a considerare il rapimento della moglie con calma e ponderatezza, a convincersi che una simile disgrazia fosse accaduta proprio a lui. Dentro di sé, si era sentito come una divinità distrutta, demoralizzata, nauseata dell'esistenza stessa, senza più un valido scopo ed amareggiata a tal punto, da non voler più sentire altro. Per aver servito le altre divinità, perfino quelle negative, liberandole tutte dalla terribile Deivora, alla fine ecco cosa gli era successo e quale premio aveva riscosso! Come adesso si rendeva conto, egli, per aver guadagnato la benemerenza delle altre divinità positive, aveva arrecato al proprio stato psichico il massimo dolore. Perciò il poveretto si andava chiedendo se era stato giusto aver debellato la Deivora per avvantaggiare tutti gli esseri divini di Kosmos, se poi la sua impresa alla fine aveva messo nei guai solamente lui! Trovandolo senz'altro iniquo, in un certo senso, l'eroe delle divinità positive, si pentiva di aver distrutto la mostruosa creatura aliena!

Allora il dio Kron, avendo letto i suoi pensieri foschi e abbattuti, aveva cercato di risollevarlo, come meglio poteva. Perciò si era dato a dirgli:

«Iveon, non angosciairti in questa maniera, poiché un atteggiamento del genere non si addice ad un grande eroe, quale tu sei! La tua reazione deve essere ben diversa, deve spingerti unicamente a vendicarti del catturatore della tua consorte. Al posto tuo, io sentirei la sola voglia di corrergli dietro, di fargliela pagare a quell'essere abominevole, salvando così la mia amabile compagna e sottraendola al suo disperato tormento! Dunque, fiero Iveon, affréttati a partire, senza indugiare oltre, dal momento che la tua Annura sta aspettando il tuo soccorso e desidera che esso ci sia il più rapidamente possibile!»

Era stato così che l'eroico dio Iveon si era messo sulle tracce della sua cara ed indimenticabile dea, la cui ricerca sarebbe durata più di un millennio o qualcosa di meno. Comunque, l'universo sarebbe stato da lui battuto per l'intera sua espansione profonda, percorrendone le sterminate galassie e scandagliando gli ingenti sistemi stellari in esse contenuti. Egli avrebbe appuntato gli occhi sopra ogni pianeta che avrebbe incontrato sul suo cammino, esplorandone la superficie ed eseguendo la stratigrafia della sua parte interna. Naturalmente, il suo non sarebbe stato un viaggio di distrazione e di diporto, poiché esso lo avrebbe fatto trovare di fronte a numerose vicende ostili, le quali gli sarebbero provenute quasi sempre dalla sua avversaria Monotriad. Nell'inseguirla, il dio Iveon avrebbe perduto la cognizione del tempo, anche se bisogna precisare che per le divinità esso aveva ben scarso valore. Considerando invece la loro componente psichica in rapporto alla realtà cosmica, di sicuro la qualità temporale la influenzava in qualche modo.

Ma al di là delle impressioni soggettive che gli sarebbero derivate dal binomio spazio–tempo, l'eroe divino sarebbe stato investito da una folta schiera di sentimenti, che non gli avrebbero rallegrato l'esistenza. Essi avrebbero invece suscitato nel suo animo amarezza, rabbia, tristezza, una maledetta voglia di vendicarsi ed innumerevoli gesti minacciosi. Inoltre, non sarebbero mancati neppure lo sconforto, l'abbattimento psichico, la pena e, solo rarissime volte, alcuni pensieri opprimenti di rinuncia e di lasciarsi andare. Anche la speranza non lo avrebbe mai abbandonato durante il suo viaggio, memore di quanto gli aveva preannunciato l'eccelso dio Kron. Secondo il quale, egli avrebbe incontrato un umano e una divinità, che si sarebbero offerti di aiutarlo a rintracciare e a sconfiggere la rapitrice della sua consorte. Grazie a quell'annuncio confortevole del dio del tempo, egli avrebbe affrontato l'interminabile viaggio, mostrandosi più fiducioso e speranzoso sul buon esito della propria difficile missione, la quale avrebbe avuto una durata millenaria.