174°-KRONEL SU POVEL, IL PIANETA DEI CUTRENZI

Salpata dal pianeta Kloust, la diva Kronel aveva ripreso il suo viaggio cosmico, soddisfatta di aver dato una mano alle vittime di una tirannica divinità malefica. La quale per anni aveva costretto il popolo kloustiano a versargli ogni semestre un alto tributo di sangue, facendosi immolare da esso sette giovani vergini. Ella percorreva lo spazio, senza più soffermarsi sui fatti che l'avevano interessata prima del suo ingresso in Kosmos, essendosi riproposta di dare un taglio netto al suo passato. Per questo il suo ruolo era quello di dedicarsi al futuro, il quale le si dispiegava davanti ignoto e sorprendente allo stesso tempo.

Intanto che la divina figlia del dio Kron attraversava Kosmos, le remote stelle sfilavano a sciami davanti ai suoi occhi e passavano rapide e luccicanti, come se si stessero conducendo ad un appuntamento, a cui non intendevano mancare. Al momento attuale, ella si trovava a volare in prossimità di Deltik, che era una stella situata nella galassia di Stufar, la quale emanava una strana luce azzurrognola. Come l'attenta diva notava, orbitavano intorno alla nuova massa stellare due pianeti. Ad una sua prima considerazione, quello più lontano, mostrandosi con una superficie sabbiosa e priva di vegetazione, la faceva essere certa che sopra di esso non poteva crescere nessun genere di vita. Riguardo al secondo pianeta, cioè quello che orbitava più vicino alla stella, esso aveva il diametro doppio dell'altro; inoltre, si ammantava di una flora rigogliosa. La quale non le faceva avere dubbi che pure la fauna doveva crescervi in abbondanza nella sua parte interna, non potendo essere altrimenti. Difatti vi vivevano molte specie animali, che si differenziavano parecchio fra loro. Tenendo conto della loro grandezza e della loro forma, esse si presentavano con caratteristiche fisiche che si discostavano non poco l'una dall'altra, A lei, però, interessava apprendere se vi fosse almeno un tipo qualsiasi di Materiadi, specialmente quelli che appartenevano al ceppo androide oppure a quello umano. Perciò la diva aveva voluto accertarsi se sopra la sua superficie l’uno o l’altro vi avesse già avuto origine e da quanto tempo ciò fosse avvenuto. Allora, per soddisfare le due curiosità, aveva deciso di dargli una rapida occhiata.

Di lì a poco, planando dolcemente, Kronel, dopo esservi atterrata, aveva fatto scalo sullo sconosciuto pianeta, sperando che sulla sua superficie ogni cosa procedesse all'insegna della prosperità e della serenità. In quel modo, non ci sarebbe stato bisogno di alcun suo intervento correttivo, allo scopo di far trionfare il bene e di ricacciare il male nel baratro da cui esso fosse provenuto. Invece, contrariamente ad ogni sua speranza, che alla fine era finita per risultare utopica, la diva vi aveva rinvenuto ben altro, del tutto conforme alla più truce malvagità. Infatti, non appena aveva posto piede sul pianeta, per la precisione adesso si ritrovava in un'ampia radura prativa, ella vi aveva scorto una giovane donna in fuga. Ma non riusciva a rendersi conto da chi la poveretta stesse scappando. Poiché la ragazza non poteva vederla, la figlia del dio Kron aveva stabilito di seguirla con il suo abito invisibile, almeno fino a quando quella circostanza non le fosse stata chiara in maniera netta. Comunque, prima di adoperarsi per prendere le difese della sventurata, la quale si mostrava palesemente molto spaventata, Kronel intendeva comprendere cosa o chi le stava procurando quel terrore folle. Esso, come si rendeva conto, le si leggeva sul volto senza nessun equivoco.

Seguendola così da vicino, a un certo punto ella era rimasta sbalordita per qualcosa di agghiacciante, che era venuto a coinvolgere la ragazza, accrescendole ulteriormente la paura ed inducendola a tremare come una foglia. In effetti, cosa era accaduta alla nativa del pianeta, in quel momento che la poveretta già appariva con i nervi fatti a pezzi? Per l'esattezza, le era capitato quanto viene riportato qui appresso.

Mentre correva a perdifiato e in preda ad un'ansia terribile, al fine di sfuggire a coloro che erano sulle sue tracce, la ragazza si era ritrovata circondata dai suoi inseguitori, poiché essi avevano effettuato un'apparizione subitanea. La sventurata non aveva compreso come avessero fatto i suoi inseguitori a raggiungerla e ad accerchiarla da tutte le parti, senza che prima fossero stati scorti in qualche modo. Al posto suo, però, c'era stata chi non aveva avuto alcuna difficoltà ad avvistarli ipso facto, intanto che essi comparivano in quel luogo ed eseguivano il loro accerchiamento. Ovviamente, ci stiamo riferendo alla divina Kronel, la quale, con occhio vigile, era intenta a tenere sotto controllo l'intera vicenda. A dire il vero, ella, pur restando ad una distanza remotissima, con il suo superocchio ereditato dal potente genitore sarebbe stata capace di captarne i rapidi sviluppi senza riscontrare alcun tipo di problema. Alla solerte diva, quindi, non erano sfuggiti i terrorizzatori della ragazza, nello stesso istante che sbucavano dal sottosuolo, quasi fossero stati dei fili d’erba. Difatti essi erano provenuti da sottoterra, allo stesso modo dei vegetali quando spuntano dal terreno e fanno la loro prima apparizione. Ella, inoltre, aveva constatato che tali esseri non avevano neppure lasciato dietro di loro delle buche, a testimonianza della loro uscita dalle medesime. Ciò, perché il suolo, dal quale erano venuti fuori, quando essi ne erano usciti, era rimasto intatto e per niente smosso. Nei loro movimenti sotterranei, gli inseguitori della ragazza si erano comportati proprio come se fossero stati delle autentiche talpe.

Ma si può sapere di quali esseri abominevoli e crudeli si trattava, considerato che non si facevano scrupolo di mettere sottosopra la psiche della fuggitiva? La quale adesso, esclusivamente per colpa loro, si era data a vivere gli attimi più drammatici della sua esistenza. Tale fatto, a dire il vero, ce lo potrebbe spiegare solo lei, visto che prima cercava di evitarli, dandosi ad una fuga precipitosa! Ma siccome per il momento non ci è possibile documentarci su tale vicenda, facendocela chiarire direttamente dalle sue labbra, badiamo a renderci conto delle loro caratteristiche fisiche e della loro malvagia natura. D'altronde, definirli dei mostri significherebbe mostrarsi ancora generosi nei loro confronti. Essi, se venivano considerati nella loro costituzione fisica, non potevano essere ricondotti a nessuna delle specie viventi, sia animali che vegetali. Anche se queste ultime fossero state immaginate nella loro forma più mostruosa ed inconcepibile! La ragione era abbastanza manifesta. A chi veniva costretto a guardarli, la loro sagoma e il loro aspetto davano l'impressione di stare davanti a degli umanoidi interamente fatti di pietra; invece i loro occhi, che erano da considerarsi per lo più normali, erano dotati di fluorescenza. Avanzando con un incedere lievemente dondolante su entrambi i fianchi, i loro passi cadenzati si facevano sentire parecchio possenti sul suolo. Inoltre, vi provocavano dei sordi rumori e varie vibrazioni, come se il terreno si desse a tremolare, al loro passaggio lento e minaccioso.

Vedendo che il cerchio dei venti orribili esseri pietrosi si andava restringendo intorno a sé, riducendole sempre di più il margine di movimento, la ragazza aveva iniziato a provare sensazioni di ogni tipo di spavento, fino a perdere completamente la ragione. Ciò stava a significare che ella sapeva a cosa sarebbe andata incontro, se essi l'avessero acciuffata. Comunque, al di là del genere di castigo che sarebbe potuto derivarle da quegli orridi mostri, chiunque, di fronte ad uno spettacolo così raggelante, non se ne sarebbe rimasto tranquillo e senza sentirsi l'intimo in trambusto. Anzi, sarebbe sprofondato in un pessimo stato d'animo, nel quale la tempesta di disastrose sensazioni non lo avrebbe abbandonato neppure per un attimo, conducendolo infine al collasso totale di ogni intraprendenza. A maggior ragione, lo sgomento della ragazza non poteva essere da meno. Esso, dopo essere sorto in lei già in dose massima all'inizio, era andato ulteriormente aumentando con una crescita esponenziale, sfociando infine in una incontrollabile fobia.

Probabilmente, la sventurata sarebbe rimasta vittima di un colpo apoplettico, causata da una complicanza cardiaca, se non ci fosse stato l'opportuno intervento di Kronel. La diva, da parte sua, preoccupata per il fatto che tale pericolo sarebbe potuto esserci da un momento all'altro, si era affrettata a soccorrerla. Dopo essersi trasformata in un cavaliere, aveva fatto la sua apparizione nello stesso luogo in cui la ragazza era sul punto di essere aggredita dai suoi persecutori. Così, senza perdere tempo, si era scagliata con la spada in pugno contro gli ignobili esseri di pietra. A mano a mano che li aveva raggiunti, ella li aveva colpiti con la sua arma. Allora, nel ricevere il colpo di lei, ogni avversario, dopo essersi frantumato, era diventato semplicemente un mucchio di terra. Alla fine, dopo avere eliminato tutti gli aggressori della ragazza senza difficoltà alcuna, Kronel era corsa subito a tranquillizzarla, non volendo più scorgerla prostrata in quella maniera terribilmente deprimente. Poco dopo, mentre cercava di prenderle la mano e consolarla, la diva, sotto le mentite spoglie di un attraente cavaliere, le aveva fatto presente:

«Adesso non hai più nulla da temere, graziosa fanciulla, perché quelli che ti volevano fare del male, non esistono più, siccome ho provveduto in tempo a farli sparire dalla circolazione. Perciò, se per te non costituisce un problema, vorrei che tu mi dicessi il tuo nome e mi mettessi al corrente dei motivi per cui quelle mostruose creature di pietra ce l'avevano con te. Ma anche desidero conoscere il nome del tuo pianeta, siccome sono arrivato proprio in questo momento dallo spazio, dove mi dedico a lunghi viaggi. Intanto ti faccio sapere che io mi chiamo Uldor; per cui, se ti fa piacere, puoi chiamarmi con questo nome.»

«Innanzitutto, Uldor, voglio ringraziarti per l'aiuto che hai voluto recarmi, liberandomi dai Morventi, i quali da oltre una generazione si sono messi ad infestare queste nostre terre. A proposito del loro nome, il cui significato è "morti viventi", esso è stato coniato mettendo insieme "mor" di morti e "venti" di viventi. Quanto al mio nome, esso è Luzia; invece quello del nostro pianeta è Povel. Per mia immensa fortuna, sei capitato da queste parti, proprio quando ne avevo un bisogno indispensabile, per cui il tuo arrivo si è dimostrato molto provvidenziale per me. Ma davvero provieni dallo spazio e non appartieni a qualche altro popolo del nostro pianeta? Se vuoi sapere come la penso io, tu ti sei voluto prendere gioco di me, quando mi hai fatto un'affermazione del genere, alla quale non credo affatto. Inoltre, non hai nemmeno le ali per volare, come fanno tutti gli uccelli del nostro pianeta!»

«È forse così importante per te, Luzia, conoscere la verità sulla mia provenienza? Non ti pare che qui abbiate già un sacco di problemi da risolvere, per volerti mettere ad approfondire anche da dove io provengo? Non sei d'accordo con me che faresti meglio a parlarmi di te e del tuo popolo? La tua gente, se non sono in errore, al momento attuale non sta affatto vivendo dei giorni particolarmente sereni e felici!»

«Hai proprio ragione, Uldor, a muovermi un simile appunto; inoltre, sono giuste anche le tue impressioni sul mio popolo. Perciò cerco di rimediare come posso e mi metto subito a parlarti tanto di esso quanto di me, anticipandoti qualcosa in merito. Io faccio parte del popolo dei Cutrenzi, a capo dei quali c'è mio zio Luoz. Dopo la morte dei miei genitori, che rimasero vittime di un fulmine quando avevo solo cinque anni, il mio parente stretto e la moglie Tienna decisero di prendersi cura di me, essendo diventata l'unica orfana della mia famiglia. Perciò, da allora, sono vissuta sempre nella loro casa, con i miei cugini Astiros, che è il primogenito, e Riscia, che è la secondogenita. A tale riguardo, posso asserire che i miei zii mi hanno sempre trattata come un'altra loro figlia. Così pure ho avuto con i miei cugini dei rapporti fraterni, senza mai impelagarci in futili litigi. I quali avrebbero potuto arrecare dispiacere sia al capofamiglia, che è mio zio, sia alla sua soave consorte.»

«Come vedo, almeno in questo sei stata fortunata, Luzia. Con la perdita dei tuoi genitori in tenera età, c'era davvero il reale pericolo che avresti potuto avere un brutto avvenire davanti a te. Invece, grazie alla generosità di tuo zio Luoz e della sua brava e caritatevole moglie, il tuo futuro non è stato fosco e tribolato per niente.»

«Se ti sei voluto riferire al mio nuovo ambiente familiare, Uldor, non hai torto. Ma se prendiamo in considerazione gli altri motivi, non si può affermare che la mia vita si sia protratta nel tempo con serenità e con gioia! Del resto, anche l'esistenza di tutti i Cutrenzi viene tormentata da anni da una vicenda spinosa, alla stessa mia maniera. Essa continua a rendere la vita di ciascun abitante del nostro villaggio un vero inferno, il quale ci mette a dura prova, senza la minima pietà.»

«Se non sono in errore, Luzia, immagino che siano i Morventi a trasformarvi la vita in un autentico tartaro. Ma non ho ancora compreso in che maniera essi riescano ad arrecarvi il tormento infernale, al quale hai fatto riferimento. Poco fa non ho dato ai tuoi aggressori il tempo di agguantarti; ma vorrei sapere adesso da te che cosa essi ti avrebbero fatto, nel caso che non fossi intervenuto io a fermarli.»

«Proprio come hai supposto, Uldor, nel nostro villaggio, il quale conta all'incirca trentamila abitanti, sono i terrificanti Morventi a farci tribolare e a renderci l'esistenza travagliata. Dopo averci preso con la forza sotto il loro dominio, essi non smettono di infonderci il massimo terrore e ci minacciano di morte, se osiamo ribellarci a loro o ci rifiutiamo di eseguire quelle cose impossibili che pretendono da noi. Così veniamo costretti ad esaudire le loro richieste e a subire la loro tracotanza, pur di non indurli ad ucciderci tutti. Mi dici come si fa a colpire con lance e frecce, oppure con altre armi di metallo, gli orribili esseri che hai avuto modo di conoscere un attimo fa? Quando tali armi li colpiscono, essendo essi fatti di duro materiale roccioso, non vi si conficcano; ma cadono a terra con la punta smussata. Invece ho visto ciò che ha saputo fare la tua spada contro i loro corpi e ne sono rimasta strabiliata. In considerazione di tale fatto, mi sono convinta che la tua arma può essere solo fatata e non credo di sbagliarmi!»

«Certo che lo è, Luzia! Altrimenti, non avrei potuto affrontare quelli che si accingevano a metterti le mani addosso; però non mi hai ancora detto in che modo essi procurano del male a voi esseri umani. Per favore, ti decidi a riferirmelo, una buona volta per sempre? Soltanto così, dopo potrò rendermi conto di ciò che posso fare per voi, allo scopo di liberarvi da loro e di rendervi liberi, come lo eravate tanti anni fa, prima del loro arrivo sul vostro pianeta.»

«Uldor, i Morventi possono agire contro di noi in due modi. Con il primo, essi pietrificano il nostro corpo, facendoci diventare identici a loro. Allora, da quel momento in poi, iniziamo a perseguire i loro stessi fini, mettendoci a cercare altri esseri umani da rendere uguali a noi. Essi ottengono questo risultato, unicamente toccandoci con le loro mani di pietra. Invece tali mostri ricorrono al secondo modo, quando un soggetto umano si dimostra refrattario alla pietrificazione. In questo caso, i nostri oppressori, colpendoci con una coppia di raggi provenienti dai loro occhi, ci fanno diventare degli autentici topi, mediante una metamorfosi immediata. Puoi immaginare, mio generoso Uldor, come si debbano sentire coloro che vengono a subire una punizione del genere! Siccome nel nostro villaggio i gatti abbondano, non ci si sente affatto a proprio agio nella loro vita da ratti! Per questo, oltre all'umiliazione dovuta alla mutazione genetica del proprio corpo in tali esseri animali, i disgraziati devono stare in continuazione sul chi va là. Difatti le nuove dimensioni del loro corpo li mettono in una condizione di massimo disagio, il quale non è facile immaginarsi in qualità di esseri umani!»

«Lo credo anch'io, Luzia. Ma sai riferirmi se i Morventi, dopo aver trasformato alcuni vostri conterranei in topi, continuano poi a seguirli e a controllarli? Oppure li abbandonano al loro nuovo destino, senza essere più in grado di riconoscerli in mezzo agli altri roditori della stessa specie? Se sai qualcosa anche in merito a questa mia nuova domanda, vorrei pregarti di comunicarmi tutto quanto fa parte della tua conoscenza che li riguarda!»

«Uldor, ti faccio presente che i Topandri (come appunto ci chiamano i Morventi dopo averci trasformati in topi) restano sotto il loro potere, anche dopo essere stati tramutati in bestioline simili. Essi non fanno fatica a riconoscerli e a perseguitarli, per il semplice fatto che il loro colore è di un bel vermiglio carico, anziché grigiastro, come lo sono gli altri topi del villaggio. Inoltre, non possono sfuggire al loro controllo, neppure quando si nascondono in un buco profondo o in qualche minuscola crepa del suolo, dove potrebbero restarsene sicuri e tranquilli.»

«Ma i Morventi, Luzia, come fanno a controllarli in tali ambienti nascosti, dove essi non possono né vederli né seguirli? Se per farlo essi ricorrono ad un loro sistema efficiente, vorrei venirne a conoscenza!»

«Quando vogliono costringerli a manifestarsi ai loro occhi, i Morventi emanano delle onde elettromagnetiche, le quali vengono captate solamente dai Topandri. Esse, Uldor, mettono in subbuglio il loro encefalo e li fanno stare molto male, fino a quando non si decidono ad uscire allo scoperto e a mostrarsi ai loro torturatori. Comunque, gli altri topi ben se ne guardano dall'avvicinarli per un qualunque motivo. Se lo vuoi sapere, essi non si sognano neppure di accoppiarsi con loro, anche quando vanno in fregola e si ritrovano a stare senza un compagno vicino per soddisfare il loro istinto sessuale.»

«Adesso, Luzia, vorrei essere messo al corrente da te se i condannati ad una simile punizione, dopo essere stati tramutati in mammiferi così minuscoli, mantengono ancora la loro coscienza. Così pure vorrei apprendere come si svolge la loro esistenza, intanto che vivono come autentici roditori. Se conosci anche una minima cosa su tale argomento, preferirei che tu me ne parlassi. Essa potrebbe risultarmi molto utile.»

«Ebbene, Uldor, riguardo a ciò che mi hai appena chiesto, posso riferirti almeno qualcosa, essendo stata la diretta ascoltatrice di un Topandro che miracolosamente è ritornato ad essere uomo. Si tratta di mio cugino Astiros, il quale, dopo tre anni di prigionia nel corpo di un topo, si è visto ritrasformare nell'essere umano che era prima. La trasformazione è avvenuta, non perché lo hanno voluto liberare i suoi carcerieri; invece abbiamo valide ragioni di credere che essi non ne sappiano ancora nulla. Per cui siamo giunti alla conclusione che, dopo un certo periodo di tempo, che stimiamo sia di tre anni, i Topandri riacquistano il corpo e l'esistenza di prima. Inoltre, una volta che hanno recuperato l'uno e l'altra, essi sfuggono completamente al controllo dei Morventi, almeno fino a quando non si imbattono in loro per puro caso.»

«Può anche darsi che abbiate ragione, Luzia, ad ipotizzare entrambe le cose, visto che esse non si possono giustificare in modo diverso. Adesso, però, vorrei essere ragguagliato sull'esperienza vissuta da tuo cugino nella sua imbarazzante vita da topo. Per il momento, è ciò che mi interessa apprendere di più da te, se ti fa piacere!»

«Mio cugino Astiros, il quale per primo aveva subito in passato quel tipo di punizione e lo credevamo definitivamente perduto, un mese fa è andato incontro ad un simile prodigio. Infatti, era notte inoltrata, quando ce lo siamo visto apparire in casa di corsa, facendoci trasecolare tutti. Forse è meglio che io mi metta a raccontarti l'intero episodio del suo ritorno in famiglia. In questa maniera, sarò sicura di non riferirtelo in forma corriva ed imprecisa, con il pericolo di tralasciare qualcosa che magari sarebbe potuto risultarti importante.»

Così la ragazza, allo scopo di saldare il suo debito di riconoscenza con il proprio salvatore, comunque ella era anche felice di accontentarlo, aveva incominciato a fare il resoconto dell'inatteso avvenimento, che c'era stato in casa loro durante una notte illune.

[I miei zii, mia cugina Riscia ed io ci eravamo appena coricati, quando all'improvviso qualcuno irruppe nella nostra abitazione. Mio zio allora, senza perdere tempo, si buttò subito giù dal letto. Poi, armatosi della sua lancia, andò a controllare chi fosse mai l'intruso che nottetempo aveva violato il nostro domicilio. Mentre si introduceva nell'altro vano senza fare il minimo rumore, qualcuno si affrettò a tranquillizzarci:

«Non abbiate paura, voi di casa, perché non sono un ladro, ma sono Astiros! Perciò badate ad accendere qualche torcia e ad illuminare l'ambiente di casa. Così potremo guardarci meglio in faccia! Spero di trovarvi in ottima salute, miei cari familiari, dopo la mia lunga assenza da casa! Allora vi sbrigate a farlo, poiché fremo dalla voglia di abbracciarvi?»

All'udire la voce del figlio, mio zio Luoz, nonostante fosse molto buio in casa, subito si lanciò verso di lui ed iniziò a stringerselo forte a sé. Anche noi donne non perdemmo tempo ad alzarci dal letto; però solo io e mia cugina cercammo di raggiungere il nostro congiunto alla svelta. La zia, invece, prima di correre dal figlio redivivo, volle occuparsi della illuminazione di casa, accendendo le varie torce. Secondo me, ella intendeva godersi il figlio alla luce delle fiamme, poiché così avrebbe assaporato dentro di sé una gioia maggiore.

Quando infine si pose termine agli intensi abbracci e ai caldi baci da parte nostra verso mio cugino creduto morto, i quali, a dire la verità, non erano stati pochi, mio zio si affrettò a domandargli:

«Mi dici come hai fatto, Astiros, a liberarti dal corpo di topo, nel quale tre anni fa ti rinchiusero i Morventi? Non credo che siano stati loro a farti questo meraviglioso dono!»

«Infatti, padre, la mia liberazione non è stata opera loro. Anzi, sono convinto che essi neppure ne sono a conoscenza! Nel pomeriggio, mentre me ne stavo rintanato in un buco, ad un tratto, ho avvertito degli strani disturbi che mi attraversavano da capo a piedi. Allora, ritenendo che essi mi provenissero dai Morventi per spingermi ad uscire allo scoperto, mi sono sbrigato ad eseguire il loro ordine. Invece, dopo che mi sono ritrovato all'aperto, all'istante sono ridiventato l'essere umano di prima, pur non essendoci fuori nessuno dei mostruosi esseri che fanno tribolare il nostro popolo. La qual cosa mi ha fatto pensare che essi non c'entrassero per niente con la mia ritrasformazione in un uomo e che perciò, se volevo evitare di venire tramutato di nuovo in topo da loro, avrei fatto meglio a non incontrarli nel villaggio. Allora mi sono nascosto e ho aspettato che si facesse notte fonda, prima di decidermi a ritornare a casa nostra per abbracciarvi tutti.»

Quanto alla zia Tienna, pur essendo in preda ad una immensa commozione, la quale di continuo le faceva versare lacrime di gioia, non si astenne dal chiedere al figlio:

«Mi dici, Astiros, come hai trascorso questi tre anni nel corpo di un topo? Suppongo che per te la nuova esistenza non sia stata una esperienza positiva. Del resto, non lo sarebbe stata per nessuno! Perciò, se ti va, mettici un po' al corrente di essa!»

«Certo che non è stata una esperienza positiva, madre mia! Al contrario, l'ho vissuta in modo traumatico in tutti i sensi: come organismo, come psiche e come spirito. Tutte e tre le componenti del corpo umano, infatti, ne hanno risentito in modo immane, non essendo esse abituate a vivere in un corpo così minuscolo. Il quale, fin dall'inizio, è apparso loro costrittivo ed opprimente, facendole sentire tutte come schiacciate e costringendole a vivere l'angustia più profonda e mortificante. Non auguro a nessuno una esperienza simile, siccome essa trascina chi la vive in un abisso di scombussolamenti psicologici e di trambusti spirituali, i quali possono condurlo dritto alla follia. Forse sarebbe meglio se, insieme con la perdita del proprio corpo, ci fosse anche quella della propria coscienza, diventando topo in tutti i sensi. Almeno così gli si eviterebbe la costante e tremenda paura di imbattersi, da un momento all'altro, in un mammifero oppure in un rettile più grande, tipo gatto o serpente, e di venirne divorato all'istante in un solo boccone!»

Alla domanda di mia zia non ne seguirono altre, da parte dei suoi familiari. Allora in casa si decise di riprendere l'interrotto sonno; però la felicità, la quale ci proveniva dal ritorno di mio cugino, non ci fece più chiudere occhio, tenendoci svegli per la restante parte della nottata. L'unico, che riuscì a dormirsela come un ghiro, fu proprio colui che aveva provocato l'insonnia a tutti gli altri familiari e parenti della casa.]

Dopo avere ascoltato attentamente il breve racconto della ragazza, il quale aveva riguardato il suo sventurato cugino paterno, la diva Kronel, mostrandosi dispiaciuta per la triste sorte che era toccata ai disgraziati Cutrenzi, si era data ad affermarle:

«Luzia, è fuori dubbio che il tuo popolo stia passando un difficile periodo della sua esistenza, per cui mi dichiaro disponibile ad aiutarlo. Ma prima desidero che tu mi parli dei Morventi fin dall'inizio, ossia da quando essi fecero la loro prima irruzione nel tuo villaggio. A tale riguardo, ti chiedo di non tralasciare nessun dettaglio, anche quello più piccolo.»

«Non sai quanto mi rallegri, Uldor, il fatto che tu abbia preso a cuore la nostra causa. Perciò inizio a narrarti ogni cosa sui nostri persecutori, sperando in una tua sicura vittoria su di loro. Devi sapere che per i Cutrenzi essa significherebbe la fine di ogni sopruso e di ogni tribolazione da parte loro! Non potrebbe essere altrimenti!»

Subito dopo, la felice Luzia, in preda ad una grande euforia, si era messa a narrare le dolorose vicende che avevano riguardato l'arrivo dei Morventi nel suo villaggio. Nel farlo, la ragazza aveva impegnato al massimo il proprio cuore e la propria anima, con l'intento di dare alla sua narrazione un incisivo e coinvolgente tocco di drammaticità. Inoltre, ella si era preoccupata di non tralasciare perfino il particolare più insignificante, ad evitare di correre il rischio di dare una narrazione infedele dei fatti.