173-IL SUICIDIO DEL RE ELOST
Alla morte del re Liosor, gli successe il secondogenito Fedio, essendo più grande dell'altro fratello, che era Gisio. Sebbene la sorella Lezia potesse vantare la primogenitura, non le era stato permesso di diventare regina di Salunna, poiché tra i Salunnesi vigeva la legge salica. La quale riservava il trono solamente agli eredi maschi ed escludeva le femmine dalla successione. Comunque, anche il nuovo re, come tutti gli altri sovrani che gli sarebbero succeduti nei secoli avvenire fino ad oggi, fu costretto a farsi carico del divino fardello, senza avere la possibilità di sottrarsi ad esso. Da quel tempo, i monarchi di Salunna hanno dovuto regnare, tenendosi quella spina nel fianco, che causava ai loro sudditi un acuto tormento e una inaudita sofferenza sia psicologica che morale. Naturalmente, ne ha risentito ogni volta pure il governo di Salunna, visto che essi avevano iniziato a disinteressarsene. Infatti, quando i re amministravano la città, lo facevano solo formalmente; per la precisione, alla meno peggio e senza pretese di alcun genere. Ciò era causato dal fatto che mai nessun sovrano si è adoperato con l'intento di far progredire i suoi sudditi in qualche ambito socio–culturale. Per la verità, ogni volta pure nel popolo è venuta a mancare qualsiasi ambizione di civiltà e di progresso, siccome il sacrificio mensile dei tre neonati, quello che il dio Broxun ha continuato ad imporgli senza alternativa, gli ha sempre represso ogni desiderio di perseguirli. Così lo splendore vissuto un tempo dalla nostra Salunna, anno dopo anno, si è andato affievolendo, fino a spegnersi totalmente. Di pari passo, si sono andati smorzando nei Salunnesi anche l'orgoglio e l'amore per la loro patria, oltre a quello per sé stessi.
In seguito, giunse anche il tempo che toccò a me prendere le redini del comando, ossia quando la vita abbandonò mio padre Almun, all'età di sessant'anni. Egli, però, prima di spirare in pace, mi mandò a chiamare presso il suo capezzale per parlarmi a quattr'occhi. Quando fui in sua presenza, il poveretto, intercalando forti rantoli e frasi mozze, si era messo a parlarmi nel modo seguente:
«Figlio mio, la mia fine è imminente. Una volta che sarò obbligato ad abbandonare questo mondo, sarai tu a succedermi per diritto dinastico. Ma non credere che essere re della nostra città sia una fortuna! Con una divinità perversa che vessa il nostro popolo, il sovrano non sa cosa fare per alleviargli il grande tormento che lo distrugge fisicamente e psicologicamente. Per la quale ragione, il regno gli diventa un vero inferno; mentre la sua esistenza si trasforma in una tortura inumana. Essa non gli lascia altra scelta che quella di subire e penare, stando aggrappato più al desiderio della morte che a quello della vita. Se avessi avuto il coraggio di imitare il mio illustre progenitore, l'avrei fatta finita da molto tempo, a dispetto di quella malvagia divinità che non smette mai di angariarci con compiaciuto sadismo.»
«Questo lo sapevo, padre mio, già da quando nacqui, come lo sa ogni Salunnese.» gli feci subito presente «Vuoi dirmi adesso perché mi hai mandato a chiamare con urgenza? Sto qui ad ascoltarti tutt'orecchi.»
«Hai ragione, figlio mio. Ebbene, ti ho fatto venire presso il mio capezzale perché mi preme informarti di cose, le quali hanno anch'esse una loro valenza per tutti i Salunnesi. Devi sapere che, con l'avvento del tuo regno, esse potrebbero mutare nella nostra città, fino al riscatto del nostro popolo dalla servitù della potente divinità malefica. Secondo quanto mi è stato palesato dall'indovino Handrus, tu dovresti esserne l'artefice. Sull'argomento non so riferirti altro. Il come e il quando potrai liberare il nostro popolo restano ancora un mistero. Perciò, dopo che sarai incoronato re di Salunna, tieniti in contatto con l'indovino di cui ti ho parlato, se vuoi saperne di più sulla vicenda che ti vedrebbe l'autore principale dello straordinario cambiamento previsto in Salunna!»
Un attimo dopo, mio padre diede il suo addio alla vita, tenendo stretta la mia mano nella sua. Allora me ne liberai e corsi ad annunciare agli altri miei familiari e a tutti i cortigiani che mio padre era deceduto. Per cui poche ore dopo si mise in moto la macchina dei suoi modesti funerali. La cerimonia funebre non fu sontuosa, perché da secoli si era rinunciato ad un rituale del genere, per il motivo che già conosci, divino Iveon. Per questo si seguirono i canoni della semplicità e della moderazione. Soltanto il pianto dei familiari e dei sudditi fu identico alle altre volte, poiché le lacrime erano rimaste le stesse, se non proprio meno sentite. Del resto, anche la mia incoronazione non avvenne in pompa magna, essendo mancato quel fasto maestoso che un tempo soleva renderla grandiosa. Il popolo, oramai, si ritrovava con un animo, il quale non si adattava più ad alcun festeggiamento. Al contrario, esso desiderava soltanto essere lasciato in pace per poter vivere nel silenzio assoluto l'immensa mestizia che continuava a fargli guerra nell'intimo.
Divenuto re di Salunna, ben presto iniziarono anche per me le esperienze traumatiche, alle quali ogni mese erano stati sottoposti i miei predecessori. Mi riferisco al mio obbligo di presenziare nel tempio i tre sacrifici umani; ma di loro avrei fatto volentieri a meno, se mi fosse stato consentito. A parte lo strazio, che mi proveniva immane dai sacrifici che conosci, i miei rimanenti compiti, i quali erano propri di un sovrano, non mi apparvero mai di un peso eccessivo. Per questo andai avanti a regnare con scarse preoccupazioni. Riguardo poi al consiglio ricevuto da mio padre, esso era seguitato a restare nella mia mente.
Quando già trascorreva l'undicesimo giorno del mio regno, siccome avevo intenzione di parlare con l'indovino, non persi tempo a mandarlo a chiamare con le mie guardie. Egli, però, in quel momento, non fu trovato nella sua abitazione. Secondo i suoi vicini di casa, Handrus aveva intrapreso un lungo viaggio e non si sapeva quando ne sarebbe ritornato. Allora le guardie li pregarono di avvisare l'indovino, non appena egli fosse rientrato, poiché il sovrano aveva bisogno di parlargli con urgenza. Perciò, al suo ritorno, egli si sarebbe dovuto fare vivo a corte a ogni costo. Invece passò un triennio, prima che l'indovino si presentasse finalmente alla reggia e mi chiedesse udienza. Per la verità, egli era venuto direttamente da me per conto proprio e non perché i suoi vicini lo avevano messo al corrente che da tempo stavo aspettando la sua visita. Infatti, quando ritornò dal suo viaggio e mise piede in Salunna, Handrus, per prima cosa, si precipitò a corte, senza passare per la sua abitazione. Egli, secondo gli accordi presi con lui, aveva promesso al mio genitore che sarebbe ritornato a trovarlo, subito dopo aver portato a termine la sua missione, il cui obiettivo era noto solo a loro due.
Al suo ritorno, risultò ininfluente il fatto che mio padre fosse morto, per un motivo molto semplice. Infatti, com'ebbi ad apprendere durante la sua visita, essa riguardava ed interessava esclusivamente me, siccome ero il nuovo sovrano di Salunna. Così, una volta che egli venne condotto in mia presenza dal dignitario di corte incaricato, fui io ad aprire bocca per primo, anche perché lo imponeva l'etichetta cortigiana. Dopo averlo scrutato da capo a piedi, mi rivolsi a lui con una punta di acrimonia, come se volessi rinfacciargli il suo lungo silenzio e la sua visita giunta eccessivamente in ritardo. La quale, volendo essere sincero, mi aveva assai indignato.
«Finalmente ti fai vedere a corte, Handrus!» mi diedi a rimproverarlo «Non sapevo che un indovino fosse così impegnato, da fare attendere il proprio sovrano per un intero triennio, da quando egli lo mandò a chiamare! Se proprio ti faceva comodo, perché non te ne sei rimasto in giro ancora qualche anno, prima di presentarti a corte e darmi tue notizie? A tuo parere, tanto io potevo attenderti ancora per molto tempo! Dimmi che ho ragione, mio pigro interlocutore!»
Alla mia tagliente ironia, l'indovino evitò di scomporsi e di reagire in qualche modo, poiché comprese in parte il rincrescimento da me provato, a causa della sua lunga assenza da Salunna, la quale era durata addirittura tre anni. Poco tempo dopo, però, senza neppure tentare di giustificarsi, Handrus pacatamente cominciò ad asseverarmi:
«Se mi presento oggi presso di te, mio sovrano, è perché prima non ho potuto farlo. Ero impegnato in cose che non riguardavano me personalmente, ma solo la tua maestà. Esse mi erano state richieste dal re tuo padre e predecessore, quando era ancora vivo! Forse avevi già appreso qualcosa da lui sul nostro colloquio, per avermi fatto cercare?»
«Invece allora mio padre già era morto, Handrus. Comunque, prima egli mi aveva riferito qualcosa a tale riguardo. Ecco perché, dopo la celebrazione dei suoi funerali, mandai immediatamente delle guardie a casa tua a chiamarti; però tu eri sparito dalla circolazione, senza svelare a nessuno né dove eri diretto né perché ci andavi. Puoi immaginare la stizza che mi ha preso durante questo lungo tempo, che non ho potuto contattarti in nessun posto e in alcun modo, allo scopo di farmi chiarire da te ogni cosa sul tuo colloquio avuto con il mio genitore!»
«Invece, re Elost, non avendo alcun rapporto con te, non potevo figurarmi che, al mio ritorno, avrei trovato morto tuo padre e non avrei più potuto riferirgli quanto appreso sulla questione che ci interessava! Per fortuna, prima di morire, egli ti accennò qualcosa sulla mia predizione. Essa, però, andava ancora approfondita in certi suoi aspetti. Così non esitasti a farmi cercare, dopo la sua morte. Se non ti dispiace, mio sovrano, adesso avrei bisogno di sapere da te cosa tuo padre ti ebbe a riferire esattamente sul nostro rapporto. In questo modo, saprò se potrò parlarti con la massima franchezza senza indisporti!»
«In verità, Handrus, mio padre mi accennò soltanto vagamente al vaticinio a cui mi hai fatto riferimento poco fa, secondo il quale sarei stato l'artefice della liberazione del nostro popolo dal dio Broxun. Oltre a ciò, non conosco nient'altro in merito. Perciò vuoi essere tu a farmi presente come dovrei riscattare i Salunnesi da una divinità così potente, che è stata in grado di neutralizzare la poveretta nostra dea Laxen?»
Alla mia domanda, l'indovino si diede a narrarmi ciò che c'era stato fra mio padre e lui, prima che intraprendesse il suo lunghissimo viaggio. Mi raccontò perfino come quest'ultimo si fosse svolto, andando incontro a molti problemi. Nella narrazione, egli non volle omettermi alcun particolare, essendo sua intenzione non celarmi nulla, a causa della delicatezza dell'argomento, il quale mi riguardava in prima persona. Ma ti riporterò integralmente il suo racconto più avanti, divino Iveon. Con la fine della sua narrazione, credetti che si fosse pure esaurito ogni mio rapporto con l'indovino. Perciò, dopo averlo ringraziato vivamente, per essersi prestato anima e corpo alla missione che gli aveva affidato mio padre, lo congedai con molta gentilezza. Solo che, poiché io avevo appena trentacinque anni, ne mancavano ancora quindici, prima che potessi sacrificarmi per il bene del mio popolo. In verità, non ero affatto terrorizzato dal pensiero di dover affrontare la morte a viso aperto, invocandola come liberatrice dei miei sudditi da tutti i mali che li affliggevano per colpa del perfido dio Broxun. Al contrario, nei tanti anni che seguirono, non attesi altro!
Quando giunse il fatidico giorno, radunai la mia famiglia intorno a me, per comunicare ai suoi membri ciò che stavo per compiere, spinto dalla necessità e dal mio dovere di sovrano. Essa era composta da mia moglie Gradian e dai miei due figli, il venticinquenne Kuton e la ventenne Celes. Rivolgendomi a loro tre, gli parlai con molta franchezza:
«Miei carissimi, per anni vi ho nascosto che un giorno, ossia nell'odierna giornata, per volontà degli astri, mi sarei dovuto sacrificare per il mio popolo, al fine di non vederlo più soffrire, a causa delle tre immolazioni neonatali. Infatti, è stato predetto che, se muoio oggi, in seguito avverrà qualcosa che libererà la nostra gente dal divino Broxun. Ma siccome la mia morte non potrà avvenire in maniera naturale, a causa del mio ottimo stato di salute, dovrò essere io a procurarmela con il suicidio. Così farò il mio dovere di re fino in fondo. Quindi, seguendo l'esempio dell'illustre capostipite della nostra dinastia, mi getterò dalla stessa rupe che servì al re Liosor per suicidarsi. Dopo la mia dipartita, siete pregati di non dolervi; dovete unicamente essere orgogliosi di me, per non aver esitato un attimo ad offrirmi in olocausto, pur di liberare il mio popolo dalle terribili sofferenze che esso da secoli è costretto a subire. Piuttosto sperate che esso questa volta ne varrà la pena!»
Per mia fortuna, dopo il discorso che avevo fatto ai miei tre familiari, anziché scorgervi lacrime e dolore, lessi sul volto di ciascuno di loro solo un'ammirevole rassegnazione. La qual cosa mi fece affrontare il volontario martirio senza alcuna pena nell'animo. Anche perché avevo l'assoluta certezza che il mio popolo avrebbe fatto altrettanto, da parte sua.
Una volta divenuto anima, prima volli assistere ai miei funerali e poi mi allontanai dalla mia Salunna, bramoso di darmi a quella peregrinazione cosmica, alla quale erano chiamate tutte le anime, dopo aver abbandonato il proprio corpo estinto. A un certo punto, però, mi resi conto che il mio impulso a procedere verso una meta sconosciuta non era un mio atto volontario. Al contrario, esso si rivelava come una imposizione da parte di una forza arcana, la quale tirannicamente non mi lasciava altra scelta. Così, dopo un tempo che non ebbi modo di determinare, il quale di sicuro era stato di una quantità eccessiva, alla fine raggiunsi quella parte di Kosmos dove si aggiravano altre anime in attesa del grande momento. Divino Iveon, si trattava del misterioso fenomeno cosmico che ha trascinato anche te in Animur, sebbene tu non fossi un'anima come me. Anzi, esso ti ha addirittura trasformato in un essere umano dotato di un corpo e di un'anima! Ma prima ancora di venire tentato di darmi ad altre digressioni del genere, sarà meglio che mi affretti a riprendere il mio racconto. Se lo vuoi sapere, ne manca ormai poco, per essere portato a termine.
Risucchiato dalle estroflessioni spaziali e temporali di Animur, alla fine mi ritrovai nel Regno delle Anime. In un primo momento, esse si erano soltanto impossessate di una parte di Kosmos. Dopo invece, ritraendosi, avevano immesso in una valanga di sensazioni sconvolgenti le anime presenti, compresa la mia. Giunte in questo luogo, io e loro avvertimmo il bisogno di condurci alle loro dimore, come se già sapessimo ogni cosa sulla nostra nuova esistenza. La mia anima, diversamente dalle altre, si ritrovò sola nella valle che conosci, poiché non avvertiva alcuna necessità di unirsi a loro e di seguirle nel cammino che avevano intrapreso. Vivendo poi la mia solitudine e il mio stupore in quel luogo deserto, poiché non avvistavo più nessuno intorno a me, all'improvviso mi apparve un personaggio dall'aspetto maestoso, il quale incuteva molto rispetto. Allora egli, senza perdere altro tempo, affabilmente incominciò a parlarmi, esprimendosi con queste parole:
«Benvenuto in Animur, re Elost! Stavo aspettando la tua venuta nel Regno delle Anime. Poiché il tuo nobile suicidio non mi era sfuggito nel passato, non vedevo l'ora che tu ti trovassi davanti a me, volendo appunto elogiare la tua lodevole azione!»
«Chiunque tu sia, personaggio a me sconosciuto, ti ringrazio per la spiccata preferenza che hai voluto riservarmi. Posso sapere adesso chi sei e che cosa ci faccio io in questo posto? Valutandoti dall'aspetto, oltre che generoso e rispettabile, senz'altro devi rappresentare qualcuno di una certa importanza in questo posto! Mi sbaglio forse?»
«È proprio come hai detto, mio caro Elost. Infatti, io sono Ullioz, colui che gestisce l'innumerevole comunità delle anime. Ne sono il capo supremo, per cui sono il solo a decidere il premio e il castigo da assegnare a ciascuna di loro, dopo essere giunte nel mio regno. Ovviamente, quando passo a premiare o a punirne qualcuna, mi lascio prendere esclusivamente dal senso della giustizia. Riguardo a questo sito, il quale è il Regno delle Anime, denominato anche Animur, esso esiste unicamente perché tutti gli esseri umani, all'atto della loro nascita, prendono anche un'anima. Si tratta di una piccola parte spirituale immortale, che accompagna il corpo umano fino alla sua morte fisica. Dopo essa lo abbandona per sempre, avendo l'obbligo di intraprende il suo viaggio verso Animur, senza potere opporsi ad esso in nessuna maniera.»
«Illustre Ullioz, non riesco a comprendere come fai a distinguere le persone cattive da quelle buone, se non sei vissuto insieme con loro nella vita cosmica e non conosci niente delle medesime. Lo sai anche tu che in Kosmos vivono una quantità enorme di esseri umani, tenendo conto che in esso ci sono una infinità di pianeti abitati!»
«Ah, ah, Elost! Come ti è venuta l'ingenua idea che io potessi restarmene a controllarli tutti, dalla loro nascita fino alla loro morte? Se un controllo c'è da parte mia, esso riguarda soltanto le loro anime, dopo che sono pervenute nel regno che, post mortem, è l'unico compatibile con esse. Comunque, hai diritto ad una spiegazione in merito, che non ti ho ancora data. Ebbene, alla fine del tunnel che da Kosmos conduce ad Animur, ho creato un dispositivo, il quale è stato da me chiamato rilevatore di bontà. Esso, che occupa l'intera area del suo sbocco, al passaggio dell'anima, la irradia totalmente e la studia. Così ne rileva le azioni buone e quelle cattive fatte durante la sua permanenza nel corpo materiale. La sua qualità positiva o negativa è indicata dal colore che l'anima assume al suo ingresso nel regno delle Anime. Non sono affatto previste le mezze misure, ossia il mezzo sporco o il mezzo pulito!»
«Allora cosa avviene, egregio Ullioz, per l'anima che si presenta nel tuo regno con una fedina penale non interamente pulita, cioè solo con qualche peccatuccio? Desidero che me lo spieghi meglio, avendo io un fortissimo desiderio di saperlo!»
«Mio caro Elost, se in essa sono assenti le azioni di qualsiasi tipo di cattiveria o se queste non superano il livello di guardia, oltre il quale viene riportata la negatività, il colore dell'anima si presenta sempre limpido e celestino; in caso contrario, avremo un'anima completamente nera. Allora il premio o il castigo diventano consequenziari per essa. Le anime buone fruiscono del loro godimento nella zona che è stata loro assegnata, ossia Beniland, dove possono incontrarsi e conversare in un luogo, chiamato Parleor. Invece le anime cattive espiano le loro colpe in Maliland, dove è vietato condurre vita comunitaria. A tale proposito, tengo a precisarti che anche il suicidio qui è ritenuto una grave colpa. Esso dimostra che chi vi ricorre ha voluto sottrarsi alle proprie responsabilità, che invece vanno affrontate con mente serena e forte. Nel caso tuo, però, si è fatta una eccezione. Suicidandoti, lungi dal rifuggire dai tuoi doveri, al contrario hai cercato di renderti utile al tuo popolo.»
«Ora mi dici, esimio Ullioz, perché stavi aspettando la mia venuta in questo luogo, che non avrei mai creduto che esistesse? Ci sarà stato indubbiamente un motivo, se lo hai fatto di proposito! Spero almeno che esso ci sia stato a mio vantaggio e non per risultarmi svantaggioso! Altrimenti per me saranno guai seri, stando alla tua severa giustizia!»
«Non preoccuparti, Elost! La mia presenza in questo posto deve rassicurarti e farti pensare alle cose belle e non a quelle brutte. Se avessi voluto punirti, non ci sarebbe stato bisogno che ti venissi incontro, come ho fatto, diversamente dalle altre! Al contrario, sono qui perché ho stabilito di nominarti mio portavoce presso le anime buone di Beniland. Soltanto tu potrai incontrarmi personalmente. Ciò avverrà, ogni volta che dovrò affidarti l'incarico di far giungere a tutte le altre anime le mie disposizioni in materia di comportamento. Ti sono stato chiaro?»
«Grazie, generoso Ullioz, per l'alto compito di cui mi stai investendo, avendomi preferito a tutte le altre anime di Beniland! Ma se non consideri indiscreta la mia nuova domanda, vorrei sapere da te che fine ha fatto il tuo precedente portavoce. Sono sicuro che ne avrai avuto un altro, prima che tu mi assumessi per una carica così prestigiosa!»
«La tua è una giusta osservazione, Elost, alla quale mi appresto a dare l'esatta risposta. Il tuo predecessore, che si chiamava Sternuz, ha sgarrato gravemente nei miei confronti, meritandosi così la destituzione dall'incarico di mio portavoce e l'immediato trasferimento in Maliland. La sua mancanza c'è stata, poco prima che tu arrivassi qui.»
Avvenuto quel nostro colloquio formale, Ullioz mi condusse nella sua dimora, nella quale mi istruì nei miei compiti futuri. Secondo lui, da quel momento in poi, avrei dovuto assolverli in Animur con una condotta ineccepibile, se volevo godere la sua fiducia e la sua stima.
A questo punto, dio Iveon, mi resta ancora da parlarti del viaggio intrapreso dall'indovino Handrus, al fine di approfondire il vaticinio degli astri, come aveva fatto presente al suo re, che era mio padre.