170-L'IGNOTO DIO CONTRO I SALUNNESI E LA LORO DEA LAXEN

Durante il mese che seguì, sia nel tempio che nella città di Salunna, non si ebbero altri fenomeni conturbanti come il precedente. Ogni giorno che passava, però, preoccupava il re Liosor in modo da tenerlo praticamente sempre sulle spine. Egli non smetteva di aver paura che, da un giorno all'altro, sarebbe accaduto qualcos'altro di più spaventoso. A suo parere, l'episodio del tempio non andava considerato un fatto a sé stante e circoscritto solo al luogo sacro. Esso, invece, avrebbe avuto un sèguito dai contorni altrettanto sconcertanti per quelle menti che ne avrebbero poi preso coscienza con la massima amarezza. Perciò il sovrano, non cessando di manifestare una immensa inquietudine, continuò ad attenderne altri, senza sbagliarsi in merito. All'inizio del mese successivo, infatti, si avverò quanto egli aveva temuto fino allora.

Si era al settimo giorno e l'alba era appena spuntata, per cui il re Liosor si tratteneva ancora a letto con la consorte Esilda, quando gli comunicarono che Inkio era di nuovo a corte ed aveva chiesto di lui con insistenza. A quella notizia, egli comprese all'istante che al tempio era successo qualche altro fenomeno di cattivo gusto da parte dell'ignota divinità. Perciò, senza indugio, si alzò dal letto e, una volta in piedi, si diede prima a rassettarsi alla meglio, vestendosi e pettinandosi come poté; subito dopo corse a ricevere l'autorevole religioso. Quando poi lo ebbe raggiunto e si fu anche salutato con lui, il sovrano non ricevette alcuna notizia dal sommo dei sacerdoti su ciò che lo aveva spinto alla reggia, a quell'ora del mattino. Infatti, il religioso poveretto, mostrandosi terribilmente sgomento, non si azzardò a raccontargli quanto era successo nel tempio a quell'ora del giorno. Ma si limitò ad invitarlo nel luogo sacro, dove si recarono insieme, senza perdere altro tempo.

Pervenuti infine nella stupenda costruzione consacrata alla loro divinità Laxen, il re Liosor si stupì nel prendere atto che il rimosso basamento della statua era riapparso allo stesso posto di prima. Adesso, però, sulla sua superficie non vi si scorgeva più la perfetta scultura di Elpisio, bensì vi era una voluminosa sfera trasparente. La quale, a causa della sua superficie vibratile ed evanescente, sembrava che fosse costituita di pura energia. In verità, la sgradita sorpresa stava nel suo spazio interno, poiché in esso poteva essere scorta la loro divina Laxen nell'atto di partorire. Ma questa volta, com'egli poteva osservare, la dea partoriente, nella medesima parte anatomica di prima, ossia nell'orifizio vaginale, non faceva intravedere la testa di un putto che ne fuoriusciva, come nella distrutta statua scolpita da Elpisio. Invece adesso c'era quella del provetto scultore nell'atto di venirne espulso.

Nella nuova circostanza, il quadro della situazione era ben differente, rispetto al precedente episodio, visto che non ci si trovava più di fronte ad una scultura statica. Al contrario, si assisteva a qualcosa che rispecchiava una realtà amara in una maniera concreta molto più disgustosa e raccapricciante. Ora, se lo sguardo dell'artista riproduceva la smorfia di una persona che stava vivendo il suo strozzamento in atto, come se una corda gli si stringesse inesorabilmente intorno al collo, l'atteggiamento della dea non si palesava meno agghiacciante. Il fenomeno la ritraeva nella sua fase iniziale del parto. Il quale, dopo averle fatto espellere la testa dello scultore dal canale vaginale, non le aveva permesso di condurre a termine l'espulsione della restante parte del suo corpo. Per cui l'impossibilità di portare a termine il parto creava nella divinità dei seri problemi, proprio come se al suo posto ci fosse a partorire una donna in carne ed ossa. La dea spingeva come lei, si sforzava come lei, aveva spasimi atroci come lei, le si trasfigurava il volto come a lei, veniva colpita da forti sudorazioni come lei. Soprattutto attendeva invano quella contrazione uterina finale, la quale l'avrebbe finalmente liberata dal suo penoso travaglio. Per sua sfortuna, invece, essa non ci sarebbe mai stata per lei. Al contrario, qualcuno, che poteva essere soltanto un dio, sadicamente la lasciava nella sua penosa sofferenza.

Tale secondo episodio, che pure mostrava il suo feroce accanimento contro la loro dea, venne a gettare il popolo di Salunna nella disperazione e nello scoramento più impossibili, siccome gli rendeva l'esistenza ulteriormente intollerabile. Ma il suo sovrano non poteva risollevarlo in nessun modo, essendo impotente a contrastare l'opera maligna della perfida divinità. A dire il vero, egli avrebbe voluto adoperarsi in merito alla spinosa questione, però si sentiva disarmato contro di essa. Allora, non potendo porvi riparo, non gli restava altro da fare che subire la nuova realtà, la quale si dimostrava un'autentica sfida al suo popolo!

Di fronte alla propria impotenza a reagire alla malvagia divinità, il re Liosor continuò a perdersi d'animo. Ciò che lo affliggeva maggiormente era il proprio convincimento che essa, senza rinunciare al suo feroce sadismo, avrebbe seguitato a torturare psicologicamente l'intero popolo di Salunna con prodigi sempre più orrendi. Inoltre, si andava domandando perché mai l'ignota divinità si stava comportando in quella maniera contro gli abitanti di Salunna. Un fatto del genere poteva avere solamente il sapore di una vendetta verace. Essendo poi convinto che i suoi sudditi non potevano essere colpevoli di alcun affronto arrecato a qualche divinità, sospettò che la verità fosse un'altra. Secondo lui, l'ignota entità divina stava soltanto mostrando i muscoli, prima di decidersi a rivelarsi, con la chiara intenzione di soppiantare la loro venerata dea. Ma a quale prezzo sarebbe avvenuta la surrogazione? Nel frattempo, però, bisognava prepararsi a sopportare una sua nuova sconfortante esibizione. Di certo essa non sarebbe stata da meno, se paragonata alle due precedenti nel fare mostra della sua potenza nefanda e demoralizzante nei confronti degli innocenti Salunnesi.

Divino Iveon, alla fine trascorse un altro mese, prima che la ignota divinità a noi avversa desse al nostro popolo una ulteriore dimostrazione della sua opera perversa. Questa volta essa smise di prendersela con la dea Laxen e di esibirsi ancora nel tempio. Infatti, scelse la nostra città, quale teatro delle sue restanti scorrerie psicologiche contro di noi. Com'era solita fare e come gli riusciva sempre ottimamente, chi rappresentava per noi un'autentica forza oscura continuò a mostrarsi all'altezza della situazione. Per questo, senza affatto smentirsi, non ebbe difficoltà a conseguì lo scopo che si era prefissato.

Un giorno, poco prima dell'alba, tutti i cittadini di Salunna vennero destati da strani versacci, i quali sembravano essere originati dalla fusione di bramiti e di ruggiti. Poiché essi insistevano a farsi sentire ovunque con schiamazzi e rabbia, i Salunnesi, alcuni prima e altri più tardi, si buttarono dal letto ed uscirono di casa, dilagando per le strade. Ma una volta all'esterno delle loro abitazioni, ad ognuno di loro bastò dare una occhiata in alto, perché si rendesse conto di ciò che stava accadendo nello spazio aereo sovrastante alle loro abitazioni. Degli enormi uccelli, sputando fuoco, nonché emettendo i loro versi orribili e sgradevoli, volteggiavano nel cielo ad un'altezza di poco superiore ai tetti delle case. Ma, dopo averli osservati per bene, la popolazione si avvide che i loro corpi non erano ricoperti da piume, mentre le loro ali erano formate da una struttura membranacea, la quale riusciva a sopperire magnificamente all'assenza del vistoso piumaggio. Quindi, si trattava di mostri alati che nel loro contesto, oltre a mostrarsi degli eccellenti volatori, riuscivano a dare di sé l'espressione di bruttezza più indovinata. Alcune volte li si scorgevano scendere in picchiata ed impattare su qualche tetto, procurando un dissesto statico al fabbricato. C'erano pure di quelli che si gettavano vorticosamente contro le persone e le abbrancavano con i loro potenti artigli, portandosele via a gran carriera. In questo caso, il loro obiettivo non era quello di sbranarle e divorarsele; ma era quello di lasciarle cadere da una considerevole altezza, allo scopo di inseguirle e bruciarle durante la loro caduta libera sul suolo sottostante.

Facendosi poi più frequenti tali episodi di inumana crudeltà, la popolazione decise di sottrarsi ai pericolosi volatili. Essa ci riuscì, rifugiandosi nelle case e restandovi rintanata, fino a quando la loro minaccia non venne meno. Per fortuna la città rimase infestata da tali mostruose creature alate per le sole ore diurne di quello stesso giorno, poiché, al calare delle tenebre, esse scomparvero, senza riapparire il mattino dopo. Comunque, la loro diurna presenza nelle varie contrade cittadine era stata causa di morte straziante ad un centinaio di Salunnesi. Essi, infatti, erano andati incontro all'orribile fine che già ti ho fatto presente poco fa, senza potere opporre a quei mostri la minima resistenza.

La terza esibizione dell'ignota divinità, la quale non poteva essere che malefica per i miei lontani concittadini, a giudicarla dalle sue disumane esternazioni, arrecò al re Liosor molto malessere. Le cento morti, che si erano registrate tra gli incolpevoli Salunnesi, non erano state messe in conto da lui, nel preventivare altre intrusioni malvagie da parte della stessa. Perciò adesso si ritrovò ad irritarsi come una bestia, dovendo seguitare a tollerare le piaghe del suo animo, le quali, a causa della nuova cruenta circostanza, gli si erano esacerbate di più. Dopo egli invano continuava a meditare, a riflettere e a farsi venire le idee più strane, pur di riuscire a trovare una soluzione ai tanti problemi che, assillando il suo popolo, iniziavano a colmare la misura. I cortigiani, che lo circondavano, si rendevano conto che il loro re non sapeva più dove sbattere la testa e provavano una gran pena specialmente per lui.

Così, tra le sofferenze di tutti e i tormenti del solo sovrano, un altro mese volò via, senza che accadessero in Salunna altri tragici episodi del tipo che si erano avuti in precedenza. Per la qual cosa, ci fu in città una calma apparente, intanto che sotto sotto qualcuno non smetteva di macchinare contro il popolo salunnese. Infatti, lo sconosciuto dio malefico già si preparava ad appioppargli una ulteriore e più tremenda traversia, con l'obiettivo di provocargli un'ansietà più trafiggente, oltre a rovinargli l'esistenza in modo peggiore.

Una notte, che nella serata precedente aveva promesso di arrecare a ogni cittadino una serenità eccezionale, elargendo a ciascuno un sonno profondo, all'inverso si trasformò in una sarabanda di inusitati fenomeni. La cui scena truculenta sarebbe dovuta restare indelebile nella memoria di quanti dovettero prima sorbirsela con dispiacere e poi venirne perseguitati per un tempo lunghissimo. Se all'inizio la nottata si presentò placida e proseguì indisturbata per alcune sue ore, col sopraggiungere della mezzanotte, la si vide manifestarsi totalmente diversa, arrecandoci parecchio male. Innanzitutto nel cielo esplose un tuono, il quale a tutti i Salunnesi si rivelò possente, come non lo era mai stato in nessun'altra occasione. Esso, che era parso quasi squarciare la volta celeste e ridurla in tante aree sfrangiate e lacere, qualche attimo dopo fu seguito da molti altri rombi, che non accennavano ad aver termine. Questi ultimi, dandosi ai clangori più intronanti, martellavano ogni quartiere cittadino con una rumorosità inquietante. Anzi, li mettevano sottosopra con i loro incessanti strepiti infernali, poiché gli stessi miravano a dare una svolta negativa al tranquillo sonno di coloro che vi abitavano.

Alla fine i reboanti frastuoni conseguirono il loro scopo e costrinsero gli assonnati abitanti a svegliarsi atterriti, ad uscire di nuovo dalle loro abitazioni e ad invadere disorientati le strade. Essi erano soprattutto intenzionati a rendersi conto di quanto stava succedendo fuori, non essendo riusciti ad averne una idea, mentre restavano all'interno delle loro case. Ma non appena si furono riversati nelle strade e si furono ritrovati anche col naso all'insù, i cittadini di Salunna non poterono fare a meno di adocchiare la visione spettrale, della quale la volta celeste stava dando spettacolo, e di tormentarsene terribilmente. Da una parte, si assisteva a conflagrazioni frastornanti che avvenivano nel cielo: esse riducevano l'aria in squarci che espellevano di continuo sfolgorii accecanti. Dall'altra, invece, si apprendeva che in esso si aggiravano delle figure mostruose dai colori fantasmagorici, che emettevano dalle loro fauci masse rotondeggianti di fuoco. Ad esse si aggiunsero in seguito dei draghi maculati con chiazze gialle ed arancioni, i quali rincorrevano le masse infuocate in caduta libera e le ingurgitavano famelicamente. Non di rado qualcuna di quelle palle brucianti sfuggiva ai draghi divoratori e rovinava su qualche abitazione. Allora, dopo averla incendiata, la trasformava in un falò colmo di fiammate crepitanti.

Simili scene di fuoco sconsigliavano i Salunnesi dal trovare rifugio all'interno delle loro costruzioni lignee, poiché avevano un grande timore di bruciare vivi insieme con esse. Ma essendo pericoloso anche sostare nelle strade, essi cercavano dappertutto la salvezza, ricorrendo ad un affannoso affaccendarsi di qua e di là. Quel loro precipitoso accorrere in ogni dove e senza una meta precisa spesso finiva per diventare esso stesso la loro prima causa di morte. Ecco perché, quando al mattino il quarto orrifico fenomeno ebbe fine, sulla pavimentazione in basalto di alcune strade giacevano morte alcune persone. Esse erano rimaste vittime, a causa del pestaggio involontario ricevuto da parte dei loro concittadini. Costoro, infatti, dopo averle atterrate senza volerlo, distrattamente in seguito le avevano calpestate a ripetizione, facendole diventare una poltiglia sanguinolenta. In riferimento al numero delle uccisioni che si erano avute nella nottata, esse erano risultate ottanta ed appartenevano tutte alla fascia di età compresa tra i sette e i sedici anni.

Anche a causa delle nuove morti causate dall'ultimo nefasto evento, il re Liosor non seppe trattenersi dal manifestare nei confronti della sconosciuta divinità la sua indignazione e la sua riprovazione. Entrambe gli venivano dettate dal suo animo angustiato e risentito. Egli, a dire il vero, non poteva fare nient'altro, oltre che rammaricarsene ed esprimere la propria solidarietà ai parenti delle vittime, mentre si scioglievano in lacrime. Al massimo, poteva augurarsi che l'autore delle loro sciagure ponesse presto fine ad esse. A suo giudizio, era giunto il momento che l'infame dio si decidesse a qualificarsi e a parlare chiaro e tondo ai Salunnesi, dichiarando le sue vere intenzioni una volta per sempre. In pari tempo, il sovrano si andava domandando a quale altra prova di forza egli sarebbe ricorso, pur di dimostrare la sua straordinaria potenza. Alla fine, risultandogli impossibile ricevere una risposta al suo quesito, egli si stringeva nelle spalle. Inoltre, si lasciava blandire l'angoscia interiore dalla speranza che l'ennesima dimostrazione dell'ostile divinità maligna si rivelasse meno cruenta delle altre che l'avevano preceduta.

Il quinto episodio raccapricciante, al quale non ne sarebbero seguiti altri, si verificò ancora ad un mese di distanza dal precedente. Allo stesso modo di quelli che c'erano stati in precedenza, esso mise altrettanto a dura prova la popolazione della nostra città, la quale ne soffrì ancora oltre ogni misura. Esso si ebbe in un giorno, il quale si era prospettato fin dal mattino sereno a tutto campo; invece all'improvviso si tramutò nella più tempestosa delle giornate. Infatti, dei foschi ammassi nuvolosi a un tratto vennero a rimpiazzare l'azzurro del cielo, abbuiandolo come a notte. Ma quel repentino cangiamento celeste vollero essere soltanto i prodromi del nuovo fenomeno in arrivo. Difatti esso si accingeva a dimostrarsi uguale al più catastrofico degli uragani, come non se n'erano mai visti nella nostra zona, prima di quel giorno stramaledetto.

A un certo momento, la volta del cielo, che si ritrovava senza più il suo radioso sole ed era immersa nella più assoluta oscurità, incominciò ad essere illuminata da saette abbaglianti che, dopo esservi dilagate, vi lasciavano solchi di livida luce. A breve distanza, quasi a formare una sinistra coalizione con esse, si scatenò nella tetra massa una gragnola di tuoni fragorosi, i quali seguitavano senza sosta a farsi udire sconvolgenti e sgradevoli. Inoltre, non si rifiutò di unirsi alla loro ridda sfrenata l'urlio del vento, che non cessava di mugghiare e di soffiare a raffiche. Comportandosi in quella maniera, esso investiva ogni cosa con una disastrosità inverosimile. Dopo un paio di ore di quel frastornante trambusto infernale, iniziò a esserci una pioggia torrenziale. Essa si riversava nella parte sottostante fortemente scrosciante, intanto che si dava ad allagare la città, facendola trovare nella morsa dell'acqua. La quale non conosceva ostacoli e si insinuava in ogni luogo, senza risparmiare le case e costringendo i loro abitatori a trovare riparo sui loro tetti. Mentre il livello dell'acqua saliva gradatamente, gli infelici Salunnesi vivevano i loro momenti più disperati. Incuranti della pioggia, che seguitava ad inzupparli da capo a piedi, essi temevano che l'alluvione potesse protrarsi ancora a lungo, permettendo all'acqua di gonfiarsi a tal punto, da alzarsi più delle loro abitazioni, travolgendoli e portandoseli via forzatamente. Per fortuna, un fatto del genere non avvenne; ma solo perché la divinità nemica, per un proprio tornaconto, aveva deciso altrimenti.

A quel punto, la situazione meteorologica andò mutando rapidamente, fino a quando il cielo non si rasserenò di nuovo dappertutto e le acque non si ritirarono nei loro bacini naturali. La qual cosa liberò il popolo salunnese dalla sua ansia tremenda, che si era data ad ingigantirsi in tutti gli abitanti, quando si erano trovati davanti all'imminente pericolo. Anche il sovrano di Salunna, nella stessa misura dei loro sudditi, riuscì a tranquillizzarsi. Nello stesso tempo, egli si convinse che la perfida divinità, se quella volta aveva evitato di mietere altre vittime tra il suo popolo, aveva stabilito di manifestarsi. Egli lo sperò fervidamente per i suoi sudditi, non volendo vederli più soffrire in quel modo crudele, ossia come decideva l'estro del malvagio dio. La cui unica occupazione appariva quella di studiare come affliggere gli animi e le coscienze dei poveri Salunnesi. Infatti, non desiderava vederli sereni e senza problemi, intanto che conducevano il loro quotidiano trantran.