17-IL PASSATO DEL MOSTRO STRIAKON

Il territorio del Regno del Nord confinava ad ovest con il Mare delle Tempeste e si estendeva oltre la Palude dell'Arcano, la quale era la zona paludosa in cui sarebbe vissuto in seguito Striakon. Per la verità, soltanto un suo piccolo lembo si affacciava sulle tempestose acque oceaniche. In quel luogo, esso si presentava con coste alte e assai frastagliate, le quali impedivano l'accesso al mare e, da questo, alla terraferma. Il confine orientale, invece, era bagnato da acque ancora più pericolose, siccome la sua riva era lambita dall'Oceano dei Draghi. Probabilmente il nome dato a questo mare era da ricollegarsi alla storia che stiamo per apprendere sul Mostro della Palude; però ce ne accerteremo senza errori in seguito. Quanto alle terre poste al di là del suo confine settentrionale, in esse esistevano soltanto il buio cieco e il nulla. Perciò era opinione comune della gente di tale regno che esse rappresentassero la parte terminale del mondo conosciuto e che non vi potesse proliferare alcuna specie vivente, fosse essa vegetale oppure animale. Per il qual motivo, le aveva soprannominate Terre del Niente e di Nessuno.

Ritornando adesso al Regno del Nord, evitiamo di perderci in chiacchiere inutili. Allora, senza perdere tempo, diciamo che esso duecento anni prima era abitato dal popolo dei Rozidi, il cui sovrano era Norcis. Costui aveva sposato Istenia, l'affascinante figlia del sacerdote Ustrol. Ma chi erano i Rozidi e qual era la loro civiltà? Riguardo a loro, va fatto presente che essi erano ignorati da tutti gli altri popoli stanziati al di là della Palude dell'Arcano. Infatti, perfino i Berieski, che rappresentavano il popolo più vicino a loro, non ne avevano mai sentito parlare, per questo erano all'oscuro nella maniera più assoluta della loro esistenza.

La divinità adorata dai Rozidi era Zort, il dio delle stelle. Il suo sacerdote decano era Ustrol, il quale, nelle varie cerimonie religiose, veniva coadiuvato da altri dieci sacerdoti con funzioni subalterne. Ma prima di andare avanti nella storia di Striakon, è opportuno acclarare quale valore il popolo rozidino attribuiva alla religione e quale funzione svolgevano i sacerdoti all'interno della medesima. Allora mettiamo subito in chiaro che non ci troviamo di fronte ad un governo teocratico, poiché l'autorità veniva esercitata dal monarca e non dal clero. Nonostante ciò, i sacerdoti avevano il loro grande peso nella città di Xer, il cui popolo dava parecchia importanza al loro dio Zort. Perciò si sarebbe anche ribellato al proprio sovrano, se egli avesse osato sfidare qualcuna delle ordinanze emanate in passato dall'autorità religiosa, comunque sempre nell'ambito della religione. Così pure i precetti di quest'ultima dovevano essere osservati da ogni Rozide, compreso il sovrano di Xer, il quale, anche se malvolentieri, non si era mai permesso di trasgredirli unicamente per quieto vivere.

Una delle normative religiose vigenti in Xer obbligava i regnanti a sacrificare il loro primogenito al dio Zort, se egli fosse nato durante una eclissi di sole totale. La quale norma, però, andava rispettata, solo se l'eclisse oscurava l'intera città, anziché un'altra parte del Regno del Nord. In quel caso, bisognava bruciare il neonato sopra una pira approntata sul sagrato del tempio, alla presenza del popolo. Esso, intanto che le fiamme si divoravano il neonato principino con voracità crescente, doveva darsi ad osannare e a magnificare la divinità. In riferimento agli altri obblighi imposti alla totalità degli abitanti di Xer, non essendo essi di alcuna rilevanza, ci conviene rinunciare a conoscerli. In tal modo, potremo affrettarci a dare inizio ai fatti che avevano sconvolto i due regnanti della città. I quali erano in attesa della nascita del loro primo rampollo, siccome la regina era incinta di quasi nove mesi.

I sovrani di Xer erano alquanto giovani, poiché il re aveva trent'anni, mentre la regina aveva compiuto da poco ventotto anni. Il sovrano Norcis era succeduto sul trono della città al padre, che era morto un paio di anni prima per una grave malattia inguaribile. Una volta diventato re, era trascorso appena un anno dalla sua incoronazione, quando egli aveva stabilito di sposare la sua amata Istenia, facendola sua regina e rendendola gravida dopo soli tre mesi di matrimonio. Allora, fin dal momento che erano venuti a conoscenza della sua gravidanza, entrambi avevano cominciato a contare i giorni e i mesi. Il motivo? Essi non vedevano l'ora di vederlo nascere e di dedicarsi a lui con grande amore e con gioia. Il futuro padre aveva anche deciso il nome da dare al principino che stava per nascere. L'erede al trono sarebbe stato chiamato Irdus, poiché quel nome era già stato dato ad un suo glorioso antenato. Comunque, in passato gli astrologi di corte non avevano predetto nulla di buono sulla nascita del rampollo reale, siccome avevano previsto che il sole non sarebbe stato benevolo nei suoi confronti. La qual cosa aveva allarmato i regnanti di Xer. Anzi, dietro consiglio del sacerdote decano, che era il padre della regina e il suocero del re, avevano cominciato a pregare il dio Zort perché tenesse lungi dal loro primogenito la preconizzata sventura. Nel frattempo, i mesi erano trascorsi veloci ed era giunto anche il nono di loro in un battibaleno; essi, però, erano stati vissuti dai genitori in preda all'ambascia più opprimente.

Quando poi era stata prossima l'ora del travaglio, era cominciato ad esserci a corte un gran fermento, anche perché il pensiero di tutti era rivolto sia alla nascita del principino sia al nefasto evento che lo avrebbe riguardato, come annunciato dagli astrologi. Tale circostanza avrebbe dovuto trasformare la venuta alla luce del piccolo in una tragica disgrazia, anziché risultare per il piccolo una esaltazione gioiosa. Anche i sacerdoti si erano mobilitati e si erano riuniti nel tempio per intercedere presso la loro divinità in favore della regina. Infatti, avevano chiesto al dio Zort perché il suo parto fosse eutocico e privo di calamità naturali, che avrebbero potuto compromettere per legge la sopravvivenza del neonato. Invece, nel momento stesso che erano giunte le doglie nella giovane regina, nel cielo era iniziato ad aversi il noto fenomeno ottico, che doveva dar luogo all'oscuramento dell'intero disco solare. Difatti il Sole, la Luna e la Terra avevano fatto prevedere che presto ci sarebbe stato fra di loro un perfetto allineamento, con il satellite della Terra nel mezzo. In seguito al quale, una fascia della superficie terrestre sarebbe stata oscurata come a notte, assistendosi così ad un'eclissi solare. Ma questa volta l'oscurità sarebbe calata anche sulla città di Xer, per cui, da parte dei regnanti e dei sacerdoti, ci si augurava che il fenomeno non si verificasse proprio al momento della nascita del principino. Essa, a ogni modo, pareva procedere di pari passo con l'eclissi del Sole in arrivo. Né le ostetriche potevano anticiparla o ritardarla di propria iniziativa, ricorrendo ad un parto pilotato, appunto per salvare il piccolo principe.

Dopo che si era avuta la certezza che il rampollo reale sarebbe nato proprio mentre la città veniva oscurata dall'eclisse, Omnas, la quale era l'ostetrica più anziana, quando ne aveva avuto l'occasione, aveva tratto in disparte il sovrano e gli aveva fatto la seguente domanda:

«Re Norcis, posso sapere se per te è più importante la tua consorte oppure il nascituro tuo figlio? Dalla risposta che mi darai, mi renderò conto se posso farti una proposta.»

«Mi dici di cosa si tratta, Omnas? Comunque, pur trovando la tua domanda assai insolita, ugualmente mi affretto a risponderti: entrambe le vite mi sono particolarmente care! Adesso mi palesi quale risposta ti aspettavi da me, provetta ostetrica di corte?»

«Invece, sire, a tale tua risposta, non mi è permesso farti alcuna proposta. Essa ci sarebbe stata da parte mia, solo nel caso che tu mi avessi risposto che la vita di tuo figlio veniva prima di quella di tua moglie. Perciò lasciamo perdere, dal momento che la tua risposta alla mia domanda è stata diversa da quella che mi attendevo!»

«Invece, Omnas, dovrai rivelarmi cosa mi avresti proposto, nel caso che ti avessi risposto che mi stava più a cuore la vita del mio primogenito, il quale è sul punto di nascere.»

«In quel caso, mio sovrano, ti avrei fatto il seguente ragionamento. Considerato che il principino quasi di sicuro nascerà, quando la nostra città sarà interamente avvolta dal buio prodotto dall'imminente eclisse solare, per lui non ci sarà alcuna speranza che lo si possa salvare in qualche maniera. Infatti, la sua esistenza sarà condannata a bruciare e ad estinguersi sopra una catasta di legna, come una delle leggi religiose ti ordina. Se pensi che io abbia torto, sei pregato di contraddirmi!»

«Certo che sarà così, ostetrica! Vuoi forse darmi ad intendere che ci sarebbe un modo per salvare mio figlio dall'ingiusta pena che gli è stata comminata, già prima di nascere e senza averne alcuna colpa? Se è vero, affréttati a comunicarmi come ciò sarebbe possibile! Comunque, ti avverto che non accetterò la tua proposta, se essa tenderà a creare un vuoto nella mia vita, pur permettendo a mio figlio di salvarsi!»

«Sire, a parte il fatto che un vuoto si può sempre riempire con lo stesso prodotto che ci stava in precedenza, ebbene, tuo figlio potrà essere salvato, a condizione che la madre muoia. Ma bisogna fare presto, ossia prima che il Sole venga nascosto dalla Luna. Altrimenti si correrà il rischio di farti perdere entrambi i tuoi familiari più cari!»

«Non ho capito esattamente, Omnas, come mio figlio dovrebbe essere salvato e come dovrebbe morire sua madre. Me lo vuoi spiegare meglio, per favore?»

«Bisognerà prima praticare uno squarcio nell'addome della regina, poi eseguire un taglio sul suo utero, infine tirare fuori da esso il piccolo e recidere il cordone ombelicale, staccandolo definitivamente dal grembo materno. Naturalmente, durante tale intervento oppure dopo, la madre dovrà risultare morta da poco tempo, per evitarle un dolore atroce. Cioè, occorrerà soffocarla, inserendo la sua testa in un sacco, il quale poi dovrà essere legato strettamente intorno al suo collo per vietarle di respirare. Così, una volta privata dell'aria, la regina morirà soffocata.»

Avendo appreso anche i vari dettagli su come poteva essere salvato il figlio dall'imminente disgrazia, il re Norcis, dopo alcuni attimi di esitazione, aveva dato mandato all'ostetrica di adoperarsi al più presto per la morte della consorte e la salvezza del figlio. Ella allora si era affrettata a ritornare nella camera della sovrana, dove aveva ordinato alle ancelle presenti e alle altre due ostetriche di uscirne, essendo quella la volontà del re. Dopo si era avvicinata alla regina e l'aveva pregata di chinarsi quanto più possibile in avanti, tenendo appoggiato il capo sul letto. Proprio in quell'istante, Omnas l'aveva colpita fortemente alla testa con un putto d'oro trovato per caso all'interno della stanza. Ma il colpo, essendo stato esageratamente forte e per niente calibrato, anziché stordirla, le era risultato fatale. A quel punto, non era stato più necessario che l'ostetrica soffocasse la regina come si era prefissa, la qual cosa le aveva agevolato il compito. Di lì a poco, avendo appurato il reale decesso della sovrana, aveva richiamato presso di sé le ancelle e le sue due aiutanti, dichiarandogli che la loro regina era morta; perciò bisognava subito tirar fuori dall'utero materno il figlio, se lo si voleva salvare in tempo.

Pochi minuti più tardi, le varie operazioni tendenti a far nascere il principino erano state già ultimate. Lo rivelavano i numerosi pianti del neonato, che si era dato a riempire la camera dei suoi incessanti vagiti, senza aver voglia di smetterla. Essi, com'era da aspettarselo, avevano rallegrato moltissimo il padre, che era corso subito a vederlo. Il corpo della moglie estinta, però, siccome si presentava praticamente squartato, gli aveva dimezzato la gioia. Egli, davanti a quello spettacolo che suscitava solo orrore, si sentiva anche pervadere l'animo di tristezza. Alla fine, preso l'infante figliolo tra le braccia, lo aveva baciato teneramente. Prima di uscire, il sovrano aveva ordinato alle ancelle di lavare per bene la consorte e di vestirla con i suoi abiti regali, poiché il giorno dopo si sarebbe dovuto celebrare il suo funerale nel tempio.

Era stato mentre usciva dalla camera che l'eclissi di sole, con la sua oscurità, aveva iniziato ad abbuiare la città. Esso era durato sette minuti, alla fine dei quali nelle strade di Xer era ritornato a risplendere il disco dorato. Allora la totalità dei Rozidi lo aveva accolto tra grida festose ed esultanti, come se si fosse assistito ad un prodigio operato dal loro dio, non essendo essi degli astronomi. Più tardi, la notizia dei due eventi, che ispiravano l'uno esaltazione e l'altro disperazione, si era diffusa in tutta Xer. I suoi abitanti avevano evitato di esprimersi in qualche modo, poiché le due circostanze di sapore contrario li metteva in condizione né di rallegrarsi né di mortificarsi. Non la stessa cosa era stata per Ustrol perché per lui c'era stato solo il dolore per la figlia morta. Il sacerdote decano, sospettando qualcosa di marcio nel decesso della regina Istenia, aveva deciso di indagare su di essa dopo la funzione funebre.


Al termine delle esequie, egli aveva convocato nel tempio l'ostetrica Omnas. In quel luogo, previo giuramento davanti alla statua del dio Zort, l'aveva costretta a farsi dire quanto era avvenuto a corte, poco prima dell'eclisse solare. Così aveva appreso che ella, con il consenso del sovrano, aveva dovuto uccidere la figlia per permettere al principino di nascere, quando il fenomeno astronomico non era ancora iniziato. A tali rivelazioni, Ustrol, montato in furia, era corso a corte e si era presentato al sovrano suo genero e si era dato a parlargli in questo modo:

«Re Norcis, non mi aspettavo da te una vigliaccata simile a scapito di tua moglie, la quale era anche mia figlia. Se credi di aver salvato tuo figlio Irdus, facendo uccidere la tua consorte e permettendogli di nascere prima dell'eclisse, ti sbagli di grosso. Sappi che il piccolo, trascorsi tre giorni da oggi, sebbene sia anche mio nipote, sarà sacrificato al dio Zort, non essendoci stato un parto naturale a metterlo alla luce. Infatti, esso è stato vilmente pilotato, ricorrendo ad un assassinio, ossia quello della mia Istenia. Se hai creduto di ingannare così il nostro dio, invece non hai fatto altro che perdere entrambi: la tua consorte e tuo figlio!»

«Ti dico che la tua è solo una illazione, Ustrol, siccome i fatti sono andati diversamente, poiché la regina Istenia è stata colpita da morte naturale. Allora ho dato disposizione all'ostetrica di intervenire sul suo corpo per salvare mio figlio, quando l'eclisse di sole non aveva iniziato ad oscurare la nostra città. Per tale motivo, egli ha tutto il diritto di vivere e di non essere sacrificato al nostro dio Zort. Egli, tutto sommato, è pure tuo nipote, sangue del tuo sangue. Ecco come la penso io!»

«Le tue sono pure menzogne, Re Norcis, poiché le cose sono andate altrimenti. Dopo che l'ho fatta giurare davanti alla statua del nostro dio, Omnas ha confessato ogni cosa. Perciò non puoi negarlo e non potrai salvare tuo figlio. Egli dovrà morire, come ti ho fatto presente poco fa, sebbene il suo sacrificio addolori grandemente pure me!»

«A mio avviso, Ustrol, in qualunque modo sia morta la madre, il suo decesso non può assolutamente influenzare la nascita del figlio. Per la vostra legge, essendo egli nato quando l'eclisse non era in atto, il mio erede non può essere sacrificato. Se tu affermi il contrario soltanto per vendicarti, considero arbitraria la tua interpretazione della legge. Dunque, voglio che la nostra discussione termini qui!»

«Se ti opporrai al sacrificio del piccolo Irdus, sovrano di Xer, vorrà dire che noi sacerdoti metteremo il popolo a conoscenza del delitto da te perpetrato a danno della regina con l'intento di evitare di far nascere il principino durante l'eclissi solare. Perciò scegli tu cosa vuoi fare: acconsentire al sacrificio di tuo figlio oppure mettere a conoscenza del popolo il tuo misfatto per salvarlo. Io ti consiglio di pensarci bene, prima di prendere una decisione avventata e farti nemici i tuoi sudditi!»

Dopo aver ponderato le due opzioni a sua disposizione, cioè quelle che il suocero gli aveva proposto, il re Norcis optò per la prima. Tale sua scelta significava che egli non si opponeva al sacrificio del suo primogenito, il quale sarebbe dovuto anche essere presentato al popolo come nato durante l'oscurità dell'eclisse. Perciò, quattro giorni dopo l'incontro che c'era stato tra il re Norcis e suo suocero Ustrol, nella tarda mattinata già si scorgeva davanti al tempio la pira che doveva servire per il sacrificio del piccolo Irdus alla loro divinità. Essa era stata preparata, quando i primi albori avevano iniziato a dissolvere il buio della notte. Na nella tarda mattinata, se sul sagrato c'era la sola catasta di legna, ad una decina di metri e tutt'intorno ad essa, si era accalcata una ingente quantità di pubblico, il quale attendeva sadicamente di vedere bruciare l'infante principino. Intanto che ciò tardava a succedere, la si scorgeva agitarsi, rimescolarsi, stizzirsi e spazientirsi. C'era anche chi chiedeva alla persona che gli stava accanto quando la funzione sacrificale sarebbe incominciata, ma senza riceverne una risposta sicura. Allora egli era costretto a rinunciare ad avere quella più appropriata in tale circostanza, sicuro che il diporto avrebbe avuto inizio al più presto.

Più tardi, quando mancava un'ora a mezzogiorno, era arrivato un drappello di soldati a cavallo, uno dei quali reggeva la culla con dentro il bambino che era da immolarsi. Egli aveva ricevuto l'ordine di consegnarla al decano dei sacerdoti, non appena egli fosse uscito dal tempio con gli altri sacerdoti. La qual cosa era avvenuta puntualmente, subito dopo che il gruppo dei religiosi si era presentato sul sagrato con i loro ricchi paramenti sacri. Una volta che si era impadronito della piccola culla con il bambino che piangeva, il sacerdote Ustrol, tenendola sollevata con entrambe le mani, aveva cominciato ad esclamare: "Divino Zort, oggi ti sacrifichiamo il primogenito di casa reale, essendo nato quando le tenebre oscuravano la città di Xer. La sua nascita è stata un segno inequivocabile che egli non era destinato a regnare sul nostro popolo; invece, se lo avesse fatto, gli avrebbe causato solamente sventure. Questa è la tua volontà e noi la rispettiamo, senza esserci da parte nostra insofferenza e contrizione; ma considerando questo sacrificio un atto dovuto alla tua divina onnipotenza."

Terminata quella specie di offertorio rivolto al loro dio, il sacerdote decano aveva restituito il bambino allo stesso gendarme, che in precedenza glielo aveva consegnato, dicendogli: "A questo punto, puoi compiere il tuo dovere; perciò fai quello che devi!"

Allora egli, reggendo la culla, si era avvicinato alla pira e vi era salito sopra, servendosi di una scala a pioli. Sistemato poi il principino sulla legna, ne era ridisceso, gridando a quattro dei suoi uomini, già muniti di fiaccole accese: "Ora potete dare fuoco al rogo, poiché le sue fiamme hanno il compito di divorare colui che un giorno sarebbe stato la rovina del nostro popolo, se non avessimo provveduto a vietarglielo!"

Quando le fiamme, partendo dalla base di esso, avevano incominciato ad alzarsi volubili e minacciose ovunque, dalla folla dei presenti era iniziato a farsi udire il seguente grido: "Divino Zort, nostro protettore, incenerisci il corpo del principino ed assicura alla nostra città benessere, prosperità e felicità!" Invece, contro le loro aspettative, la morte e l'incenerimento del bambino non ci sarebbero stati, poiché tutti i presenti a un tratto avevano visto un'aquila sbucare dall'alto. Essa si era lanciata sul neonato, lo aveva adunghiato e se lo era portato via, facendo montare ad ognuno la mosca al naso. Avvenuto quell'evento inatteso, il popolo, essendo ormai venuto meno il loro sadico spasso, aveva preferito sfrattare la piazza in gran fretta, imitati dagli increduli e turbati sacerdoti. Essi erano rientrati nel tempio, chiedendosi quale significato dare all'accaduto. Dal canto nostro, ci daremo a seguire il grosso accipitride, il quale si era portato via il principino, dopo averlo sottratto ad una morte certa. Anche se per lui sarebbe potuta esserci in agguato una morte differente, ossia quella che gli aveva destinato l'uccello, al fine di nutrire i suoi aquilotti. Invece, per sua fortuna, il destino non aveva deciso di porre termine alla sua esistenza nel miserevole modo che per un attimo ci è balenato nella mente. Il volatile, infatti, non agiva per conto suo, al fine di dare sfogo alla sua voracità; al contrario, seguiva le istruzioni ricevute da una maga, che presto conosceremo.

L'aquila reale, reggendo con i suoi potenti artigli l'infante, si era data ad un volo non proprio spedito, dirigendosi verso i monti che formavano il confine naturale posto tra il Regno del Nord e le Terre del Niente e di Nessuno. Ma al volatile interessava una sola di quelle montagne alte ed impervie, cioè il Monte Incantato. Sul cocuzzolo del quale, avvolto in un cappuccio brumoso, si trovava il castello della megera Zinas, che era una maga dai poteri straordinari. Quando vi era pervenuto, esso si era affrettato a raggiungere la sua padrona e ad adagiare ai suoi piedi il piccolo che aveva rapito alla stizza delle fiamme, mentre stavano per avvolgerlo e dargli fuoco. Allora, preso in consegna il principino Irdus, ella subito aveva fatto apparire in quel luogo una capretta con la poppa pregna di latte e i capezzoli gonfi. La bestia, al suo comando, si era condotta sopra il piccolo ed aveva permesso alla sua bocca di sfiorare uno dei suoi quattro capezzoli. Al suo tocco, il neonato ingordamente lo aveva afferrato con le labbra e si era messo a succhiare, fino a quando non si era sentito sazio. Dopo la poppata, egli si era addormentato.

Da quel momento, la maga si era presa cura del principino e lo aveva allevato in modo eccellente, facendolo crescere in ottima salute. Ella alla fine lo aveva visto diventare un giovane forte, intelligente e saggio, almeno sotto l'aspetto che interessava a lei.


Rincontriamo il principe Irdus, quando oramai era già un uomo fatto e riconosceva la maga Zinas come la sua vera madre. A ogni modo, egli non trascorreva l'intera giornata insieme con lei, poiché aveva preso l'abitudine di andarsene in giro per i pianori montani, i quali, sugli alti rilievi, a volte prendevano forma di vere convalli. Era stato esattamente in una delle sue escursioni che un giorno il principe si era imbattuto in una avvincente fanciulla, di nome Ulen, ed era rimasto all'istante colpito dalla sua soave bellezza. Così, essendosi perdutamente innamorato di lei, egli aveva voluto anche conoscere i suoi genitori, che erano dei pastori, e gli altri suoi familiari, che erano un fratellino e due sorelline. La ragazza era la primogenita ed aveva diciotto anni.

Dopo un paio di mesi di amoreggiamento con lei, Irdus aveva voluto condurla al suo castello e presentarla alla madre. La quale, anziché accoglierla con affetto e con gioia, le aveva riservato molta freddezza. La quale, ovviamente, non era sfuggita al figlio; anzi, aveva messo in grande difficoltà anche la ragazza. Allora il giovane, una volta che aveva riaccompagnato Ulen alla sua dimora ed aveva fatto ritorno al castello, volendo farsi spiegare quel suo atteggiamento incomprensibile, aveva domandato alla genitrice:

«Mi spieghi, madre, perché non ti sei comportata bene con la mia Ulen? Se vuoi saperlo, mi sarei aspettato da te un comportamento diverso, più caldo ed affettuoso, quale si conveniva alla tua futura nuora. Perciò mi hai arrecato molto dispiacere!»

«Figlio mio, sappi che non potevo agire altrimenti, poiché tu non la sposerai ed io non sarò mai sua suocera, come hai pensato. Anzi, domani stesso andrai a casa sua ed ucciderai lei e tutta la sua famiglia. Sappi che non ti permetterò di disubbidirmi per nessun motivo!»

«Ma sei forse impazzita, madre, per darmi un ordine del genere? Dove è finita l'amorevolezza che ho sempre scorta in te, mentre ti prendevi cura di me? Adesso mi sembri una strega, se lo vuoi sapere!»

«Non sono tenuta, Irdus, a darti spiegazioni di quanto dico e faccio; mentre tu sei obbligato a portarmi rispetto e ad essermi ubbidiente, tutte le volte che ti giunge un mio comando. Se tu dovessi rifiutarti, potrebbe andarti male come neppure immagini!»

«Adesso, madre, passi pure alle minacce? Ma sei o non sei la mia madre naturale, per parlarmi nella maniera che stai facendo? In verità, incomincio proprio a dubitarne!»

«Fai bene, Irdus, a pensarla così, poiché tu sei mio figlio adottivo. Perciò, se vuoi essermi riconoscente per tutto ciò che ho fatto per te, devi andare ad ammazzare la tua Ulen e l'intera sua famiglia, senza pretendere da me alcuna giustificazione!»

«Invece mi rifiuto di ubbidirti, donna senza cuore. La mia ragazza e i suoi familiari vivranno sereni e felici, poiché nessuno li toccherà. Chiunque oserà fare loro del male dovrà vedersela con me, poiché sarei disposto a vendicarli, anche se ad ucciderli dovessi essere tu!»

«Questo lo vedremo, ingrato Irdus! Come constato, ignori quanto io sia potente, se ti permetti di farmi un parlare di questo tipo; ma presto ti accorgerai che ti sbagli e non avrai tempo di pentirtene!»

Subito dopo, la maga aveva tirato fuori un lungo capello di donna. Mostrandolo poi al giovane, con molto sadismo aveva seguitato a dirgli:

«Lo vedi, Irdus? Esso era di Ulen, avendolo ella perso, quando me l'hai condotta al castello. Ebbene, tra poco vedrai che fine farò fare alla tua ragazza. Che tu lo voglia oppure no!»

Ciò detto, ella aveva preso una fiaccola da una parete ed aveva bruciato il capello. Riposta poi la teda al suo posto, si era rivolta nuovamente al giovane, dicendo:

«Devi sapere, Irdus, che, nel momento stesso che bruciava il suo capello, anche la tua ragazza si è trasformata in una torcia accesa ed è stata divorata dalle fiamme. Se non ne sei convinto, puoi andare ad accertartene di persona. Ma ricòrdati che, quando ritornerai da me, sarà il tuo stato d'animo a decidere la tua sorte: se non mi serberai rancore, ritornerai ad essere l'amato mio figlio di prima. In caso contrario, mi costringerai a prendere dei severi provvedimenti nei tuoi confronti.»

Il principe, ipso facto, aveva abbandonato il castello e si era lanciato alla volta della casa di Ulen. Egli, che da bambino era scampato al rogo, senza saperlo si stava mettendo in un guaio peggiore, se è vero che la morte non lascia dietro di sé alcuno strascico di sofferenza e di rimpianto. Al contrario, l'una e l'altro continuano a tormentarci, fino a quando la vita non ci abbandona. Raggiunta poi la dimora dei pastori, Irdus vi aveva trovato la disperazione più folle, poiché i familiari della ragazza a un tratto l'avevano vista prendere fuoco, senza riuscire a spegnere le fiamme. Esse non si erano lasciate estinguere neppure dall'acqua. Allora il giovane, senza perdere tempo, aveva deciso di rientrare nel castello e di punire la madre adottiva, essendo intenzionato a fargliela pagare.

Sulla via del ritorno, mentre galoppava di gran carriera, egli era stato rapito da un turbine ciclonico, il quale aveva iniziato a trascinarselo via attraverso un cielo che si presentava assai tempestoso. Quando infine si era ritrovato libero presso una palude, il poveretto si era anche accorto che il suo corpo non era più quello di un uomo, bensì era diventato quello di un mostro enorme, lungo più di venti metri e con un peso che superava i mille chilogrammi. Siccome la sua pesantezza gli rendeva lo spostamento sul terreno molto faticoso, egli si era reso conto che solo buttandosi nell'acqua della palude poteva muoversi più agevolmente.

In riferimento al suo nome, esso era stato dato al mostro dal primo contadino che lo aveva avvistato sul proprio campo, mentre andava a fare razzia in un ovile vicino, essendogli apparso con la pelle striata, proprio come quella di una gazzella. Ma con il tempo, a causa di alcuni vegetali che crescevano nella massa paludosa, la pelle del suo corpo era diventata invisibile.