165°-LERINDA APPRENDE DA IVEONTE LA VERITÀ SUI PROPRI SOGNI

Solo quando vide il corpo di Korup ridotto in poca cenere appena tiepida, il viceré Raco si tranquillizzò e cessò in lui anche ogni tremarella. La quale, fino a pochi attimi prima, lo aveva tenuto inchiodato in un’attesa colma di spasimo, a causa dello scontro che c'era stato tra i due giganti del combattimento. Il cui esito era apparso incerto fino all’ultimo istante. Secondo lui, se avesse perso il fidanzato della sorella, gli sarebbe toccata la medesima sorte di Croscione, la quale lo avrebbe condannato alla cecità perpetua. Anche se non sapeva in che modo dopo l'Ammazzacampioni gliel'avrebbe inflitta, non potendo egli continuare a servirsi del suo falcone. Comunque, ciò non era accaduto, grazie al suo futuro cognato, per cui poteva stare tranquillo. Fatte tali sue constatazioni, egli si rivolse al giovane e gli chiese:

«Iveonte, come mai la tua spada, dopo essersi arroventata, prima ha bruciato e poi ha disintegrato il corpo di Korup, incenerendolo rapidamente, come se ci fossero state poche foglie secche al posto suo? Giurerei che essa sia un'arma prodigiosa! Altrimenti non ci sarebbe altra spiegazione, in merito al suo inconsueto intervento!»

«Certo che la mia spada è un vero portento, nobile Raco! Ma essa compie prodigi, unicamente quando ho contro un avversario che non può essere sconfitto da nessuna forza umana. In qualunque altro caso, invece, essa si comporta proprio come se fosse un’arma comune. Allora, sbrigandomela da solo, passo ad eliminare eventuali pericoli che potrebbero nuocere all'integrità fisica di persone. Mi riferisco a quelle che si trovano in uno stato di debolezza oppure di impotenza a difendersi.»

«Quindi, non mi sono sbagliato, Iveonte. Ma prima di andare avanti con le altre mie domande, voglio invitarti a chiamarmi semplicemente Raco, per due motivi: primo, perché sei il fidanzato della mia cara sorella Lerinda e mio futuro cognato; secondo, perché la vera nobiltà alberga soltanto nel tuo generoso animo. Ciò premesso, vorrei sapere ancora da te se la tua portentosa spada si comporterebbe allo stesso modo, qualora venisse impugnata da una mano che non fosse la tua.»

«Niente affatto, Raco! La spada, avendomi preferito fra tutti gli esseri umani, permette a me soltanto di impugnarla; perciò non si lascia afferrare dagli altri. Infatti, se qualcuno tentasse di impossessarsene senza avere il suo beneplacito, essa sarebbe capace di ucciderlo alla sua maniera, magari facendolo bruciare vivo o in un modo diverso!»

«Un'ultima cosa, Iveonte, vorrei sapere da te. Come hai fatto a diventare uno schermitore così eccezionale ed inimitabile, oltre che un arciere infallibile? Avrai avuto senz'altro il maestro d'armi più in gamba dell'Edelcadia! Dopo aver assistito al tuo combattimento con l'Ammazzacampioni, ne sono convintissimo! La tua tecnica, sia nell’uso delle armi che nelle arti marziali, supera perfino le possibilità umane. A mio avviso, quando si afferma che la tua perizia nelle armi e nelle arti marziali è stupenda, sono sicuro che si attribuisce ad essa un pregio ancora molto inferiore a quello reale. Infatti, essa ha un valore così immenso, da non potersi facilmente quantificare!»

«Hai detto giusto, Raco! Il mio amico Francide ed io siamo stati allievi del famosissimo Tio, il quale ci ha anche allevati da piccoli, quasi fossimo i suoi figli naturali. Egli ci erudì in maniera impeccabile nelle varie branche dello scibile, oltre che farci diventare i migliori combattenti esistenti al mondo, fino a renderci insuperabili in tutti i vari tipi di armi. Adesso comprenderai meglio la nostra insuperabile bravura nelle armi!»

«Hai detto Tio, Iveonte?! Di lui ho già sentito parlare dal mio defunto genitore. Secondo il quale, egli era invincibile sia nelle armi che nelle arti marziali. Inoltre, se non fosse stato per la sua straordinaria perizia d'armi, oggi ci troveremmo a vivere tutti sotto il calcagno beriesko! Per favore, cognato mio, vuoi dirmi se parliamo della stessa persona oppure si tratta di due maestri d’armi differenti, che neppure si conoscevano?»

«Invece parliamo dello stesso uomo, Raco! Tio, come già hai appreso, ebbe un ruolo di primissimo piano negli scontri tra gli Edelcadi e i Berieski. Egli fu ammirato tanto dagli uni quanto dagli altri. Non bisogna dimenticare, però, che in quella circostanza il prestigio maggiore lo ebbe il re Kodrun. Fu solo per opera sua, se non si consumò il massacro più grande della storia. Infatti, al posto del conflitto, ebbero luogo scontri individuali, nei quali rifulse di gloria imperitura lo straordinario Tio!»

«Naturalmente, Iveonte! Anche di lui nostro padre in famiglia ci parlava spesso, additandolo come il più grande stratega dell'Edelcadia di tutti i tempi. Ma adesso lasciamo da parte il tempo che fu e veniamo al nostro presente, siccome mi preme parlarti di mia sorella Lerinda. Ella, in questi giorni, ha vissuto dei momenti assai terribili. Se non fossi capitato io a Dorinda e non l'avessi fermata in tempo nella tarda mattinata, adesso sarebbe morta e noi staremmo qui a piangercela senza fine! Ti immagini, se ciò fosse accaduto davvero nella reggia di mio fratello?»

«Ma se la sua nutrice mi aveva riferito che Lerinda si trovava a Casunna, perché vi era andata con il fratello re, a causa della tua malattia! Allora qual è la verità di questa storia, che non riesco a comprendere?»

«Invece non era vero, Iveonte, che ella era partita. Fu quanto Telda volle farti credere quel giorno, per ordine della sua principessa. Mia sorella, in tutti questi giorni, è rimasta sempre a Dorinda a disperarsi, soggiogata da profondi patemi d'animo. Si è trascurata a tal punto nel mangiare, da diventare emaciata in modo impressionante per motivi di denutrizione! Ecco quanto oggi devi sapere, prima di incontrarla!»

«Mi chiedo, Raco, perché mai ella improvvisamente ha assunto questo insolito comportamento nei miei confronti? Se qualcosa la preoccupava sul serio, perché Lerinda non si è confidata con me, che rappresentavo l'intera sua vita e la fonte della sua gioia? Mi meraviglio che non lo abbia fatto, proprio quando ella ne necessitava in modo particolare!»

«La scabrosità dell'argomento, Iveonte, l'ha spaventata in modo terribile. Lerinda ha temuto perfino che tu, dopo aver udito i fatti che le stavano accadendo, non le avresti creduto e ti saresti ricusato di comprenderla. Al contrario, l’avresti disprezzata e avresti perfino smesso di amarla come prima. Ecco perché ella aveva preferito tenersi tutto dentro di sé e portarsi nella tomba il suo vergognoso segreto! In un certo senso, possiamo anche capire il suo tentato suicidio, scorgendo in esso il solo rimedio alle sue gravi preoccupazioni e la fine della sua disperazione!»

«Allora saranno stati di sicuro i nostri sogni ad atterrirla e a prostrarla nel fisico e nello spirito, Raco! Lerinda avrà avuto paura che non fossi io ad amoreggiare con lei durante le nostre esperienze oniriche. Non è stato forse questo il motivo che le ha creato tali problemi? Non può essere altrimenti: ne sono sicuro!»

«Dunque, Iveonte, sei al corrente anche tu dei vostri sogni! Questo comprova che anche tu li fai insieme con lei e li vivete pure realmente, senza che l'iniziativa parta da voi due! Non sai quanto mi rende felice questa tua rivelazione! Almeno così smetterò di pensare al peggio e non mi preoccuperò più per la mia carissima Lerinda!»

«Certo che li faccio anch'io, Raco! Io risulto il suo reale partner, mentre facciamo l'amore insieme, anche se non so dirti come possa accadere un fatto del genere, ossia che dei sogni si dimostrino realmente accaduti, al nostro risveglio! Già con il primo di essi, ho avuto la sensazione che Lerinda ed io lo avessimo vissuto davvero, pur non riuscendo a spiegarmelo in qualche maniera. Perciò mi sono precipitato da lei la mattina stessa per averne la conferma. Ma soprattutto ci andai per rassicurarla che ero stato io il suo partner nella sua paradossale esperienza onirica! Invece il suo intempestivo espediente ha mandato a monte ogni nostro chiarimento, il quale si presentava quanto mai indispensabile e prezioso fra noi due, in quella circostanza incredibilmente assurda!»

«Non sai, Iveonte, quanto mi risollevano queste tue precisazioni! Ero molto in pena per mia sorella, la quale non ha mai avuto timore del sogno in sé. Ella era solo ossessionata dal pensiero che non potessi essere tu a tenerle compagnia nei suoi sogni, ma qualche essere demoniaco, dopo aver assunto le tue sembianze. Adesso, senza nessun altro indugio, corri subito da lei e chiariscile ogni cosa, come hai fatto con me. In questo modo, il suo stato di salute ne beneficerà per primo e ne trarrà il massimo giovamento! Ella ne ha un gran bisogno, considerato il suo grande disagio odierno!»

Il viceré Raco ebbe appena finito di parlare, quando fu visto Iveonte svanire sotto i suoi occhi, poiché, con una corsa precipitosa, volò subito a far visita alla sua Lerinda. Egli non vedeva l'ora di riabbracciarsela, di baciarsela ardentemente, di rasserenarla; ma soprattutto di liberarla da tutti i suoi incubi diurni. Essi la stavano ossessionando e torturando tremendamente da parecchi giorni, i quali non terminavano mai.


L'incontro tra i due innamorati si manifestò davvero patetico, poiché gli abbracci e i baci che lo condirono non conobbero né parsimonia né sosta. Lerinda, tenendosi avvinta al suo eroe, non voleva più staccarsene. Implorava perfino il tempo di fermarsi per sempre, in quell'istante che se ne restava avvinta al giovane e lo ricopriva di baci e di carezze. Dopo esserci state le prime effusioni calorose, beatamente assaporate da entrambi gli innamorati, Iveonte si diede a spiegare alla ragazza:

«Lerinda, amore mio, non c'è niente, di cui tu debba preoccuparti. I sogni, che stai vivendo, li vivo anch'io, proprio allo stesso modo tuo. Perciò in essi siamo proprio noi due ad amoreggiare insieme. Nessuno assume le nostre sembianze e ci costringe a fare l'amore con chi non vogliamo, anche se mi è arduo comprendere come i nostri sogni si verifichino e risultino sostanzialmente reali! Sì, sono stato proprio io, nel primo di essi, a privarti della verginità. In quella stessa mattinata, sono corso subito da te per parlartene e per avere la conferma che eri stata tu l'altra protagonista del nostro primo sogno. Infatti, ero convinto che l'amplesso fra noi due c'era stato sul serio. Invece tu mi hai fatto dire una bugia dalla tua nutrice e hai sciupato la nostra occasione di chiarimento, sia di quanto ci era accaduto sia di ciò che sarebbe continuato ad accaderci nei giorni successivi! Sei contenta di avere appreso dalle mie labbra l'intera verità, che non ti renderà più l'esistenza un inferno?»

«Come non potrei esserlo, amore mio? Ad ogni modo, mio Iveonte caro, per te era tutto molto semplice; ma avrei voluto farti trovare nei miei panni! Come avrei potuto convincerti che ero stata disonorata in un sogno? Addirittura, proprio da te? Non immagini neanche in preda a quanta angoscia mi sono ritrovata a vivere! Così è stato pure per i restanti giorni, nei quali ho continuato ad avere altri sogni del medesimo tipo! Mi sono sentita quasi uno straccio, mi è sembrato che il mondo intero mi stesse crollando addosso e mi schiacciasse sotto il suo insostenibile peso! Per me la stessa vita aveva cessato di avere un senso e mi era diventata ripugnante! Ad un certo punto, essa mi si era mostrata così inaccettabile, che ho perfino pensato di soffocarla in me. Se sono ancora viva, lo devo a mio fratello Raco! A proposito di lui, Iveonte, lo sai che egli si trova qui a Dorinda ed è venuto a trovarmi? Più tardi te lo presenterò e te lo farò conoscere! Sarai contento, amore mio, di fare la sua conoscenza? Non potrebbe essere diversamente!»

«Non ci sarà più bisogno di presentarmelo, Lerinda. Ho già avuto il piacere di conoscerlo di persona. A prima vista, mi è sembrato alquanto diverso da Cotuldo, come mi hai sempre detto tu. Devi sapere che l'ho tratto anche da un grosso guaio. Se non fossi intervenuto in tempo, il poveretto adesso si ritroverebbe senza occhi, una disgrazia che era già toccata a Croscione. Il braccio destro di tuo fratello Cotuldo, per sua sventura, ora è diventato cieco per sempre! In un certo senso, mi dispiace per lui, che non potrà più godere delle bellezze naturali!»

«Per favore, Iveonte, dimmi: chi ha tentato di rendere cieco Raco?»

«È stato il semidio Korup, il quale si faceva chiamare anche l’Ammazzacampioni. Ti assicuro, Lerinda, che egli era un essere infernale! Ma la mia spada lo ha abbattuto e distrutto. Perciò egli non potrà più nuocere a nessuno su questa terra, dove invece le persone hanno tanto bisogno di pace, di benessere e di serenità!»

«Raco me ne aveva già parlato, Iveonte. Egli ne provava un tale terrore, che temeva perfino che tu ti battessi con lui, dopo che ha appreso che eri il mio ragazzo! Ma mio fratello non ti conosceva bene quanto me. Per questo egli mi ha presa anche per pazza, quando ho insistito che era necessario che tu ti scontrassi con quell'abominevole essere, poiché solo in quel modo Korup sarebbe rimasto ucciso e non avrebbe più costituito alcun pericolo per l'umanità. E così è stato, mio imbattibile campione! Sono felice di apprendere che il primo a beneficiarne è stato proprio il mio diletto fratello! Per la qual cosa, ti ringrazio immensamente. Riguardo ai nostri sogni, che ne pensi, amore mio? Essi, secondo me, rappresentano qualcosa che cozza contro ogni logica umana! Adesso mi vado chiedendo quando tali nostre esperienze oniriche ci lasceranno in pace. Anche se dobbiamo ammettere che il termine "pace" è inesatto nel nostro caso; anzi, direi del tutto inappropriato, poiché durante il loro svolgimento in noi si hanno la felicità più grande e il piacere più gradito! Non è forse vero, dolce tesoro mio?»

«Lo penso anch'io, Lerinda, che i nostri sogni sfidino ogni logica umanamente intesa; né so spiegarmi come essi avvengano in noi e da chi ci provengano. Non riesco neppure a darmene una spiegazione in una maniera qualsiasi, ossia con o senza la nostra logica. Alcune volte sono portato a credere che qualche divinità si sia sintonizzata con il nostro amore. Così si diverte a farcelo rivivere realmente, anche quando esso rimane imprigionato in quegli irreali squarci esistenziali della nostra mente, i quali vengono comunemente chiamati sogni. Anzi, mi domando perché mai essa ha voluto scegliere proprio noi due, con le tante infinite coppie di innamorati che ci sono in questo nostro mondo! Probabilmente, dobbiamo esserle simpatici entrambi!»

«Anch'io la penso allo stesso modo tuo, mio eroe insuperabile; però non attribuisco la paternità dei nostri sogni ad alcuna divinità. Piuttosto oserei affermare che è la tua spada a procurarci i nostri inconfessabili sogni. Non ricordi, quel giorno nel bosco, quando ti feci presente che, mentre amoreggiavamo, l'avevo scorta comportarsi stranamente? Allora la vidi accendersi di una vasta gamma di colori, come se anch’essa partecipasse alle nostre effusioni amorose ed esprimesse dei propri stati emozionali. Si direbbe che, avendoci preso gusto in quella circostanza, in seguito abbia deciso di rivivere insieme con noi la sua piacevole esperienza! Credi forse che le mie osservazioni siano fuori luogo, amore mio, oppure mi dai ragione?»

«Sì, mi ricordo benissimo, Lerinda. Ma non possiamo attribuire alla mia spada i nostri sogni, se non ne abbiamo l'assoluta certezza. Per il momento, comunque, non restiamo ad almanaccare su tale fatto, visto che si tratta di un problema che esorbita dalle nostre possibilità di risolverlo. Ciò che conta per entrambi è che siamo noi due i veri protagonisti dei nostri sogni e che essi perseguono soltanto la nostra felicità, il nostro godimento e la nostra serenità. Tutto il resto conta ben poco!»

«Hai ragione, Iveonte. Adesso, però, è mio dovere affrettarmi a rimettermi in sesto e ritornare ad essere fisicamente quella che ero più di venti giorni fa. Altrimenti, sono sicura che comincerai a provare schifo per il mio corpo e per la mia persona. Forse deciderai perfino di cambiarmi con un'altra donna più bella e più fascinosa, facendomi così morire di crepacuore! Certo che ne morirei senza meno, se tu te ne trovassi un'altra e amassi lei al posto mio!»

«Avverrà proprio questo, mia dolce Lerinda, se non ti rimetti in sesto!» acconsentì con un tono scherzoso Iveonte «Questa tua magrezza inizia a spaventarmi in tal modo, che quasi vengo assoggettato dagli incubi più terribili! Anzi, essa, come hai pensato prima, potrebbe spingermi a trovarmi un'altra ragazza degna di me, se non ti sbrighi a mettere su un po' di ciccia in ogni parte del tuo smilzo corpo. Mi sono spiegato, amore mio, che devi darti a mangiare a più non posso?»

Con la battuta scherzosa del giovane, non gradita dalla ragazza, si concluse la discussione fra i due innamorati; ma poi essi continuarono a stare insieme fino a tarda serata. Lerinda aveva bisogno di restare più a lungo possibile con il suo amato innamorato, poiché ella doveva riprendersi anche psicologicamente e spiritualmente.

Quando Iveonte ritornò al suo campo, raccontò a Lucebio e ai suoi due amici lo scontro che aveva avuto alla reggia contro l'invulnerabile Korup. Tutti e tre allora sgranarono tanto di occhi, nell'apprendere che l'Ammazzacampioni prima si era attaccato un avambraccio, che Iveonte gli aveva amputato, e in seguito si era addirittura ricomposto, dopo che il suo tronco era stato privato della testa e di tutti e quattro gli arti.

Sul tardi, quando Iveonte rimase solo con lui, Lucebio volle essere messo al corrente sul seguito dei suoi sogni con l'amata e se li faceva anche lei. Perciò, rivolgendosi al giovane, gli domandò:

«Allora, Iveonte, hai domandato alla tua Lerinda se anch'ella è costretta a fare i tuoi stessi sogni, allo scopo di tranquillizzarti a tale riguardo? Se lo hai fatto, come credo sia avvenuto, ebbene, qual è stata la sua risposta, che desidero tantissimo conoscere?»

«Certo che gliel'ho chiesto, Lucebio! La sua risposta è stata quella da me presupposta, ossia capita anche alla mia ragazza di farli e può dimostrare che essi, al suo risveglio, risultano svolti nella realtà. Al mattino, quando si sveglia, ella si ritrova ogni volta con la vagina contenente il mio liquido seminale. Naturalmente, questo strano fenomeno, ad iniziare dal primo sogno, le ha arrecato un'angoscia traumatizzante, siccome non sapeva in che modo dirmi che io le avevo carpito l'illibatezza durante il nostro primo sogno. Giustamente, la povera Lerinda aveva temuto che non le avrei creduto e l'avrei perciò perfino lasciata. Inoltre, ella non era partita per Casunna, come mi aveva fatto credere la sua nutrice! Invece era rimasta nella reggia a vivere la sua disperazione, non sapendo come dichiararmi che l'avevo deflorata durante il sogno.»

«Se le cose stanno così, Iveonte, non c'è alcun dubbio che quanto capita a voi due sia un fenomeno paranormale, per niente spiegabile con la logica umana. Perciò lo si deve attribuire a qualche forza soprannaturale. Io vi auguro con sincerità che, nel caso vostro, si tratti di una divinità benigna, la quale abbia voluto prendervi benevolmente sotto la sua protezione, recandovi un immenso beneficio!»

Con tale augurio e con il consuetudinario "Buona notte!", Lucebio troncò la conversazione con il giovane e se ne andò a dormire rasserenato. Poco dopo, anche Iveonte, il quale appariva visibilmente affaticato e con gli occhi che gli si volevano chiudere a qualsiasi costo, si sentì spingere a fare la medesima cosa. Per questo, una volta raggiunto il suo rustico alloggio, fece appena in tempo a buttarsi sopra il suo letto, che lo si vide già sprofondare in un sonno profondo e ristoratore.