165 -L'EROICO DIO NELLA REALTÀ DI ANIMUR
Nel precedente capitolo, ci siamo lasciati sfuggire il divino Iveon, mentre veniva trascinato via dai gorghi di Animur e spariva alla nostra vista, senza avere avuto la possibilità di seguirlo nella sua nuova realtà. Adesso che avvertiamo la necessità di rimediare e ne abbiamo anche la possibilità, ci riconduciamo subito a lui, al fine di renderci conto della situazione che stava vivendo nel presente. Così, una volta che ci saremo ritrovati insieme con il dio, ci farà senz'altro piacere accompagnarlo nelle altre paradossali vicende, che stanno per seguire a quella in corso.
Come abbiamo appreso in precedenza, il divino Iveon, essendo obbligato a seguirne gli eventi, a un tratto era stato sballottato dalla farraginosa tempesta, che era stata provocata dalle livide esplosioni di chiaroscuri in lotta fra di loro. Le quali, a loro volta, si erano date a fondersi con i rumori reboanti, che risultavano presenti nell'immaginazione dell'osservatore. Ebbene, attraversando malvolentieri un budello con rapidità vertiginosa, alla fine egli si era visto sbalzare fuori da esso e rovinare sul suolo di una regione a lui completamente sconosciuta. Avendo poi dato una occhiata in giro, per avere una idea del luogo in cui era stato fatto piombare con la forza, il dio aveva notato che in esso non si scorgeva neppure un briciolo dell'universo conosciuto fino allora, cioè quello che ospitava il suo pianeta natale e altri astri analoghi.
Adesso che lo abbiamo rintracciato, ritroviamo il dio positivo che era intento a spiegarsi il fitto mistero di quella circostanza, che seguitava ad avvolgergli l'esistenza travagliata. In riferimento alla quale, egli sperava che, non appena ci fosse stata la sua spiegazione, si sarebbe reso conto altresì della località in cui era finito non di propria volontà. Riflettendoci bene, al dio Iveon risultava strano che gli fosse sfuggito un particolare di quella rilevanza, al quale lì per lì non aveva fatto caso per niente. Poco prima, nel cadere a terra, egli aveva avvertito una discreta dolorabilità nella parte del corpo che era andata a sbattere contro il suolo. Invece, come essenza spirituale, non avrebbe dovuto accusare alcun dolore. Difatti le divinità non potevano andare incontro a disturbi fisici di qualsiasi tipo fossero, per il semplice fatto che ne erano esenti.
Se all'eroico dio era sfuggito quel dettaglio non di poco conto, noi non siamo tenuti ad approfondirlo al posto suo, anche perché egli avrà modo di accorgersene da sé stesso, soltanto in un secondo momento. Anzi, siamo sicuri che l'adatta circostanza, prima o poi, gli capiterà. Così lo renderà cosciente della nuova realtà in cui era incappato, poiché essa già si faceva prevedere come immancabile. Perciò noi cerchiamo di interessarci delle sole vicende che, in un prossimo futuro, lo vedranno come il loro principale personaggio nella buona e nella cattiva sorte. Oramai, avendo imparato a conoscerlo come le nostre tasche, sappiamo benissimo che egli non era mai stanco di dare il meglio di sé nell'abbracciare una giusta causa oppure nel prendere le difese di qualche vittima della prepotenza. Ma in seguito la nuova realtà gli avrebbe consentito di essere sé stesso oppure gli avrebbe creato qualche problema in tal senso? Presto verremo a conoscenza anche di un fatto del genere.
Dopo essere approdato all'ignoto mondo, dove la percezione poteva essere unicamente extrasensoriale, anche se per lui essa non si stava manifestando della medesima specie, il dio dell'eroismo prese la decisione di avviare le sue prime indagini su di esso. A cominciare dalla sua parte fisica, in quel posto nessuna cosa riusciva a convincerlo che essa si rivelava un autentico controsenso. Si trattava di un luogo che appariva assai strano, per il fatto che non era circondato da un nitido cielo, come avveniva sul proprio pianeta. Al contrario, esso si esprimeva, mostrando solo un grigiore mortificante. Era come trovarsi sotto una cappa di piombo, dalla cui atmosfera soffocante gli proveniva una sfibrante astenia, la quale finiva per coinvolgerlo a livello muscolare, psichico e cerebrale. Perciò il dio riusciva ad avvertire addosso a sé unicamente una pesante prostrazione, una profonda ipocondria e tanta confusione mentale. Dai quali malesseri adesso gli derivavano un forte turbamento, la mancanza di lucidità e una discreta alterazione della percezione. Paradossalmente, egli si sentiva proprio come se fosse diventato un autentico essere umano, con tutte le sue carenze fisiche, percettive, psichiche ed intellettive. A ogni modo, egli evitò di soffermarsi su quella sintomatologia soggettiva. Essa, sebbene si fosse impadronita di lui e lo stesse infiacchendo ed opprimendo gravemente, calzava più alla umana specie o ad una sua sottospecie; anziché essere tipica di una divinità.
In un momento di grande disorientamento, come quello che si ritrovava a vivere proprio allora, al dio dell'eroismo risultava di primaria importanza scorgere di nuovo dentro di sé l'essere divino che era sempre stato. Egli era convinto che, soltanto dopo aver raggiunto tale obiettivo, sarebbe stato capace di dirigerlo verso la realtà oggettiva, a cui fino a poco prima la sua esistenza era stata saldamente connessa. In quel modo si sarebbe riappropriato del mondo che gli era appartenuto in senso lato e ristretto. Nel frattempo, però, bisognava fare i conti con una realtà, la quale era venuta fuori dal nulla anomala e anonima. Essa, se le apparenze non lo ingannavano, esprimendosi e manifestandosi a lui, appariva il contrario di ciò che sarebbe dovuta essere nella realtà.
Probabilmente era metafisica; ma le sue manifestazioni inducevano a considerarla più fisica, a causa delle sue numerose caratteristiche, che facevano orientare la sua indagine in tal senso. Soprattutto se considerata dal punto di vista soggettivo, quella realtà finiva per dar luogo ad una situazione che stava al di fuori della comune logica. Per cui i presupposti, i quali lo spingevano ad esaminarla nella sua fisicità, si rivelavano insussistenti e si sfaldavano come ghiaccioli sotto i raggi di un sole cocente. Allora occorreva tralasciare anche quel particolare, dal momento che non si poteva rinvenire intorno ad esso una verità oggettiva assoluta ed inoppugnabile. Per tale motivo occorreva che egli si desse al più presto alla scoperta del luogo circostante.
Per la verità, quella località che apparteneva al presente, mnemonicamente parlando, non riusciva a rammentare al dio Iveon nessuno degli ambienti naturali riscontrati sugli altri pianeti compatibili con la vita, almeno tra quelli che erano stati da lui visitati. Invece quello, su cui era capitato adesso, si discostava moltissimo da loro, in particolar modo se ci si riferiva ai vari suoi ingredienti paesaggistici, i quali si presentavano esigui e di scarso interesse. Non era neppure rilevabile la presenza di qualcuno degli elementi naturali, che erano soliti rendere ricca ed attraente la superficie di un pianeta. Difatti erano assenti l'immenso cielo azzurro, l'ondeggiante e spumoso mare, i piatti bacini lacustri, i fluenti fiumi tortuosi, i monti svettanti contro le rade nuvole spinte dal vento, la vegetazione lussureggiante, nonché i campi assolati ed ubertosi. Al contrario, ogni cosa appariva immota, neutra, spoglia e svigorita. Pareva quasi immergersi in un'atmosfera crepuscolare, che finiva per protendersi nel vago, nell'incerto e nell'indeterminato. Inoltre, una velatura di enigmatica esistenza avviluppava quella regione e l'avrebbe di sicuro celata ai suoi frequentatori, se ce ne fossero stati. Anzi, li avrebbe perfino messi nell'impossibilità di studiarla nella sua autenticità e di fruire della sua realtà, qualunque essa fosse stata.
Pur trovandosi in quelle condizioni, il divino eroe era stato dell'idea che non bisognava arrendersi alla involuta circostanza attuale. All'opposto, era giusto indagarla a fondo, allo scopo di tentare, in un primo momento, di comprendere i suoi lati oscuri e, successivamente, di avere il sopravvento sugli stessi. Allora, senza perdere altro tempo, scrollandosi di dosso quel torpore e quel senso di accidia che seguitavano ad opprimerlo, il dio aveva pensato di mettersi ad esplorare l'ambiente a sé circostante. Al riguardo, era certo che avrebbe fatto prima, se fosse volato sopra di esso. Invece, cercando di darsi alla solita volata, egli aveva fallito ogni tentativo di decollare e di lanciarsi nel plumbeo spazio, perché vi effettuasse il suo volo ricognitore. Quest'ultimo gli era stato frustrato da qualcosa, che egli stesso non sapeva spiegarsi. Perciò era stato costretto ad eseguire la perlustrazione della zona alla stessa maniera degli esseri umani, ossia servendosi dei piedi. Secondo lui, quell'handicap riscontrato dentro di sé era da imputarsi alla malia del luogo, la quale seguitava ad aver ragione di lui; ma questa volta fisicamente inteso.
Cammin facendo, il dio dell'eroismo si rendeva conto che erano tante le anomalie di vario genere, nelle quali si andava imbattendo, via via che muoveva i suoi primi passi. A parte il clima null'affatto ameno e solatio, che imprimeva su ogni cosa la sua impronta soffocante, vi si incontravano molteplici squarci irrealistici. Essi, senza mai smettere di mostrarsi densi di un arcano disarmante, coinvolgevano in modo sinistro i visitatori del posto. Anzi, i medesimi gli procacciavano alternativamente varie impressioni negative, tra le quali venivano riscontrate la nausea, l'orrore, il ribrezzo, il disgusto, la ripugnanza, il raccapriccio, la frustrante abiezione e l'incoercibile senso di vomito. Anche le sue manifestazioni esteriori non erano da definirsi consolanti; ma bisognava ritenerle di tutt'altro tipo, vista la loro natura orridamente macabra. A tale riguardo, occorreva ancora appurare se anche l'intera regione si sarebbe presentata con caratteristiche simili, oppure queste ne avrebbero espresso solamente una parte. Comunque, noi non soffermeremo il nostro pensiero su un problema simile; invece ci occuperemo della località che in quel momento la divinità positiva stava percorrendo. Allora diciamo subito che si trattava di un sentiero che affondava in una selva, la quale si presentava con un fitto sottobosco. Quanto alla sua vegetazione, senza considerare gli alberi di alto fusto, essa si mostrava completamente priva di ogni specie di animali ed era dotata di un movimento lievemente vibratorio. Inoltre, poiché neppure uno zefiro spirava da qualche parte, non si riusciva a comprendere da cosa provenisse alle piante e agli sterpi della zona quella loro continua vibrazione.
Mentre il dio Iveon transitava per quel luogo, sovente alcuni esseri orrendi, che avevano la pelle verdastra e gli occhi di fuoco, facevano capolino da un groviglio di vegetazione. Poi, gufando con un atteggiamento dispettoso, vomitavano numerosi mostriciattoli viscidi e nerastri, i quali andavano ad incollarsi alle larghe foglie. Poco dopo, però, erano essi stessi a farsi ingurgitare di nuovo da chi li aveva emessi dalla bocca. Così si introducevano in tali fauci con dei saltelli, che gli consentivano di spostarsi con una certa rapidità.
Un'altra rappresentazione, che si presentava di una truculenza così inaudita da fare recere, veniva offerto da disomogenee coppie animalesche che avevano il compito di impressionare parecchio. Ciascuna risultava formata da due abbozzi di bestie. L'una, che aveva la stazza di un gorilla, mostrava una sagoma molto più raccapricciante di tale primate. L'altra, la cui grossezza era quella di un capitone, aveva il corpo ispido e la testa somigliante a quella di un drago volante. Il loro rapporto consisteva in questo: il piccolo animale irsuto, dopo essersi infilato nella gola di quello più grande, ne usciva poi attraverso lo sfintere anale. Quel suo comportamento abnorme e ripetitivo si palesava assai disgustoso a colui che ne prendeva atto e giustamente si dava a catalogarlo tra gli spettacoli esistenti più ripugnanti ed obbrobriosi.
Lungo il tratto selvoso del suo percorso, al divino Iveon era capitato invece di assistere perfino all'esibizione di alcuni strani mostri, i quali si sputavano addosso i propri visceri, cercando poi di legarsi reciprocamente con gli stessi. Anch'essa si aveva a ripetizione, poiché non smetteva di cessare neppure per fare una breve pausa. Per fortuna, seguitando il suo tragitto, il viaggiatore finiva per lasciarsi alle spalle quella sconcia visione, senza correre più il rischio d'incontrarla. La qual cosa era accaduta anche all'eroico e pugnace vincitore della Deivora. Egli, dopo aver superato la boscaglia, si era ritrovato a percorrere una gola, che si allungava per un paio di chilometri tra due pareti rocciose paurosamente ripide. Questa volta, però, non c'erano le chiome degli alberi a privare il disorientato viandante della visione del firmamento, anche se esso fino a quel momento non era stato mai scorto. Adesso un leggero strato di bruma grigiastra, estendendosi senza superare l'altezza di due metri, si era sostituito alla foltezza dei frondosi rami. Così faceva in modo che il cielo continuasse a non farsi scorgere sull'angusta valle.
Procedendo ora in quel mortorio originato da vari fattori concausali, il dio si augurava che almeno non mancassero quella pace e quella serenità che, da un primo esame della situazione, si lasciavano prevedere certe. Ma ciò sarebbe poi successo davvero, senza che si avessero altre sorprese da chi regnava in quel luogo? Il dio Iveon, da parte sua, dopo essersi armato di ferrea pazienza, avanzava attraverso lo strettissimo canalone, che aveva appena incontrato. Esso era incassato tra due scoscese pareti rocciose di media altezza, le quali lo facevano risultare costantemente nella penombra. Almeno nel suo primo tratto, lungh'esso non si era verificato nulla di straordinario e di sconvolgente, per cui l'avanzata del guardingo dio era avvenuta tranquilla e priva di fastidi di qualche genere. Egli, a ogni modo, non si era illuso che il suo cammino si sarebbe svolto in quella maniera anche per la restante parte della strada che aveva ancora da percorrere, essendo persuaso che così non sarebbe stato.
Infatti, quando egli aveva superato metà percorso dalla sua meta, altri fenomeni orripilanti erano venuti a fargli visita, con l'intento preciso di infondergli un enorme spavento, come se egli fosse un uomo. All'improvviso, affacciandosi dai costoni delle due pareti laterali, una decina di figure grossolane, smisurate e mostruose nel complesso, si erano date ad invadere la parte alta della gola. Volando poi nell'esiguo spazio, essi a volte riuscivano perfino ad oscurarla con l'apertura delle loro ampie ali membranose. Passandosi invece ad esaminarne le sagome, esse non si mostravano per niente rassicuranti, dato che il loro profilo contorto e scheggiato esprimeva il massimo della disarmonia. Ma era il loro corpo reale ad evidenziare il non plus ultra della bruttezza. Esso, a studiarlo bene, dava una visione di sé talmente orrifica, da agghiacciare l'animo di chi era costretto ad osservarlo, fino a spegnervi nello stesso tempo qualsiasi tipo di reazioni emotive. Invece le sue terribili caratteristiche fisiche potevano riassumersi nei seguenti rilievi: corpo tozzo e squamato, regione craniale somigliante a quella di un orecchione, padiglioni auricolari ampi che sventolavano di continuo, occhi rossastri che roteavano in entrambi i sensi, naso a proboscide che terminava con la testa di un boa, cavità boccale profonda che mostrava due file di zanne bicorni, da cui si alternavano emissioni di fuoco e di fumo nero. Si avevano, inoltre, ali con ampia apertura che erano formate da membrane late e verdognole, un paio di zampe poderose che erano munite di artigli rostrati e una coda lunga e robusta, la quale era percorsa sulla parte dorsale da una cresta rossiccia e seghettata.
In merito alla serie dei loro movimenti collettivi, i quali avvenivano in combinazione e spesso si intrecciavano, anch'essi non si mostravano da meno nell'incutere il più incredibile spavento all'osservatore. Compiendoli rapidamente, quelli che li eseguivano tendevano senza cessazione ora ad avvicinarsi ora ad allontanarsi tra di loro, emettendo nello stesso tempo degli stridi acuti, i quali venivano tollerati a malapena da chi aveva la sventura di udirli. Ma i loro spostamenti più terrificanti si dimostravano quelli che li facevano dirigere in picchiata contro il dio. I mostruosi esseri, raggiunta una certa vicinanza a lui, lo prendevano di mira con un rapido getto di fuoco, però senza raggiungerlo e fargli del male. Esso era costituito da volubili e rossastre fiammate che, mentre bruciavano, tendevano ad espandersi ovunque in modo avviluppante.
Qual era l'atteggiamento del divino Iveon, di fronte a quei fenomeni strambi, i quali non lasciavano comprendere se cercavano solo di terrorizzarlo oppure era anche loro intenzione di nuocergli? Visto però che fino a questo momento non è stato chiarito tale particolare, è opportuno che lo facciamo adesso. Così, insieme con il suo chiarimento, avremo modo di racimolare altri utili dettagli sullo stretto rapporto del dio con la nuova realtà. Per ovvie ragioni, com'era accaduto anche prima, il divino eroe si limitava soltanto a scrutare le macabre e lerce coreografie, che venivano effettuate dagli orrendi mostri. Quanto a preoccuparsene, egli non ci pensava neppure lontanamente, non potendo la sua natura divina temerle per qualche motivo. Perciò il dio andava dritto per la sua strada, senza scomporsi e soffermarsi con la mente su nessuno degli episodi che non cessavano di capitargli sotto gli occhi.
Se in precedenza si è detto che le ragioni del suo comportamento erano scontate, a pensarci bene, non era affatto così. Esse potevano essere considerate evidenti solo da una divinità che, come apprenderemo più in là, ignorava di aver perduto la sua natura divina. Nell'attuale realtà, però, essa gli era stata carpita misteriosamente da qualcuno che lo stava controllando. Riguardo poi ai mostri che gli andavano apparendo lungo il tragitto da lui percorso, si chiarisce che essi, con le loro esibizioni spaventose e minacciose, non avevano alcuna intenzione di arrecargli qualche danno mortale. Invece miravano solo a suscitare in lui il timore più impossibile; ma stranamente evitavano di accopparlo. Anche in relazione a tale presa di posizione da parte dei mostri, che il dio incontrava lungo il suo cammino, ci sarà per noi l'opportunità di avere delle chiarificazioni adeguate. In questo modo, avremo la sicurezza che l'attuale momento della nostra storia non risulterà mancante di un suo tassello importante. Per cui ci sarà consentito di apprenderla nella sua interezza e senza che ci siano lacune di sorta nella nostra appassionante ed accanita lettura.