164°-IVEONTE FRANTUMA L’INVULNERABILITÀ DI KORUP

Dopo che Iveonte gli si fu avvicinato abbastanza, Korup, che ora era in preda ad uno sdegno forsennato, volle innanzitutto studiarselo per bene, poiché non gli era mai capitato di incontrare un avversario come quello che aveva ora davanti. Per giunta, costui era riuscito a compiere una impresa così eccezionale, che egli non avrebbe mai considerata possibile da parte di un essere umano. Quando alla fine lo ebbe squadrato da capo a piedi, lo assalì con tutta la rabbia che aveva in corpo:

«Hai ucciso il mio amico falcone, l'essere che avevo di più caro al mondo. Per questo me la pagherai, come nessun altro! Potevi esimerti dal fare l'impiccione e dal metterti in guai molto seri. I quali tra poco ti pioveranno addosso travolgenti ed esiziali. Stanne certo che ti farò maledire il giorno che sei venuto ad vivere in questo mondo, a causa del tuo gesto intollerabile da me! Perciò prepàrati a pagarmi a caro prezzo il tiro mancino che mi hai giocato con la uccisione del mio pennuto!»

«Devo proprio mettermi a tremare, Korup, quando invece sono qui per sfidarti e per porre fine alla tua infinita sequenza di assassini? Invece non potrò mai farmi prendere dalla tremarella, poiché essa sarebbe per me davvero fuori luogo! Inoltre, come fai a considerarmi un intrigante, se mi stavi cercando? Hai perfino minacciato coloro che ti supplicavano, pur di non farmi scontrare con te! Te ne sei forse già dimenticato?»

«Perché, tu chi sei, per venire a parlarmi in questo modo?! Non mi dire che sei esattamente Iveonte in persona! Non posso crederci! Come anche tu hai detto, i tuoi due cognati si affannavano a trovare scuse a non finire per non farti combattere contro di me, siccome non avevi dimestichezza nelle armi e nelle arti marziali! Per questo la tua presenza in questo posto non mi convince affatto e non so come spiegarmela in qualche modo possibile!»

«Invece, Korup, per tua sfortuna, sono proprio quell'Iveonte che stava creando problemi a voi tre! Sono colui che esercita la tua stessa professione, però all'inverso. Mentre tu vai uccidendo i campioni, nessuno dei quali però non potrà mai essere alla mia portata; da parte mia, vado ammazzando i mostri della tua specie. Fra poco si vedrà chi di noi due sarà in grado di abbattere l'altro e sopravvivergli. Ti garantisco che per l'Ammazzacampioni oramai è giunta l'ora fatale, poiché adesso il primo campione, che sono io, è qui per vendicare tutti gli altri campioni, che erano di poco pregio e che sono stati ammazzati da te! Anche se la notizia non ti suona per niente piacevole, sappi che tra poco avverrà precisamente quanto da me dichiarato!»

«A quanto vedo, Iveonte, lo sei per davvero un campione! Eppure i fratelli della tua ragazza volevano darmi ad intendere che eri una persona comunissima! La tua visita mi risulta molto gradita, poiché mi darà l'opportunità di uccidere finalmente un valente campione. Già prima di intraprendere il nostro combattimento, non posso non considerarti il più grande di tutti quelli che ho massacrato fino ad oggi e anche degli altri che seguiterò ad uccidere dopo di te, fino a quando essi non saranno diventati un migliaio esatto. Lo sai il motivo, per cui ti riconosco questo primato? Perché sei riuscito a colpire il mio Rus in volo. Sappi che i campioni da me uccisi non sono pochi, considerato che essi hanno già raggiunto il ragguardevole numero di settecentosettantasei. Per questo tu sarai il settecentosettantasettesimo di loro ad essere ucciso da me! Né le parole da te appena udite sono uscite invano dalla mia bocca, dato che esse corrispondono all'assoluta verità e te ne daranno la certezza!»

«Questo lo vedremo molto presto, Korup! Ma non capisco perché hai sorvolato su un particolare, ossia sul fatto che io sono stato anche il solo campione che è venuto a sfidarti, anziché farsi sfidare da te! Ora, poiché ci tieni a portare bene i conti dei campioni che vai sconfiggendo ed uccidendo, ti metto al corrente che la loro carneficina è terminata con il numero settecentosettantasei, visto che il settecentosettantasette sarà quello che ti risulterà fatale. Dei tre sette che lo compongono, il primo ti porterà via l'imbattibilità, il secondo ti priverà dell'invulnerabilità e il terzo ti farà crepare, come se tu fossi un cane rognoso. Dunque, mostruoso essere, prepàrati a porre termine alla tua lunga scia di crudeli ammazzamenti. Lo ha deciso l'asso dei campioni, quello che posso essere esclusivamente io! La qual cosa non ti gioverà neppure un poco!»

La grande sicurezza e la fredda determinazione dimostrate da Iveonte nello scagliarsi verbalmente contro il suo avversario, rincuorò gli animi dei due abbacchiati fratelli, cioè del re Cotuldo e del viceré Raco. Ma non lo stesso effetto ebbe essa sul semidio Korup, il quale ne rimase solamente alquanto stupito e, in un certo senso, anche conturbato. Infatti, quel linguaggio del giovane era invece abituato ad adoperarlo lui contro i campioni da lui sfidati. Per la verità, non erano state le affermazioni del giovane dorindano ad arrecargli quella specie di inquietudine. Invece lo aveva messo in difficoltà il fatto strano che Iveonte si era voluto soffermare sul numero settecentosettantasette. Difatti esso lo aveva riportato con la mente alla seguente raccomandazione di sua nonna: "Inoltre, il tuo divino genitore ti manda a dire di guardarti bene da tutti quei campioni, i quali rappresenteranno i numeri composti da tre cifre uguali, ossia il centoundici, il duecentoventidue, il trecentotrentatre; e via dicendo. In uno di loro, secondo lui, potrebbe annidarsi una pericolosa insidia per te, anche se la sua natura è regolarmente umana. Non chiedermi niente a tale riguardo, nipote mio, visto che neanche tuo padre è riuscito a saperne di più, essendo questo un particolare avvolto dal più assoluto mistero!" E il nuovo campione coincideva appunto con uno di tali numeri, formato com'era da tre cifre uguali!

Perciò adesso egli si andava chiedendo se non fosse proprio Iveonte il campione che avrebbe potuto procurargli dei gravi problemi! Ma in quale maniera? Era possibile conoscere ciò che Iveonte aveva di diverso dagli altri campioni umani? Inoltre, come poteva egli avere ragione della sua invulnerabilità? Possedeva forse un'arma, la quale era diversa da tutte le altre? Peccato che nemmeno il suo divino genitore glielo avesse saputo dire! Allora, a scanso di pericoli imprevisti, Korup decise di guardarsi bene da lui, poiché sembrava essere proprio l'osso duro, che gli era stato preconizzato da sua nonna. Inoltre, a differenza di tutti gli altri campioni, due fattori importanti tornavano a favore del suo nuovo avversario. Il primo riguardava la sua infallibilità nell'arco, la quale si era rivelata talmente perfetta, da fargli colpire il suo falcone, nonostante il suo impercettibile volo. Un obiettivo che egli aveva sempre ritenuto irraggiungibile da parte di tutti! Il secondo, invece, si riferiva alla modalità di sfida, essendogli venuto meno in essa l'attributo di sfidante. Per la prima volta, come si rendeva conto, era stato un campione a sfidarlo, prima ancora che fosse lui a farlo di persona all'altro! Alla fine, preferì non dare alcun peso a quelle sue constatazioni, poiché esse probabilmente non volevano significare proprio nulla. Dalla sua parte, in fin dei conti, c'era sempre la sua invulnerabilità; nonché egli poteva contare sulle prodigiose forze ed abilità che gli provenivano dalla sua semidivinità. Esse lo rendevano inattaccabile da qualunque essere umanamente inteso, anche se egli fosse un tipo in gamba come il validissimo Iveonte! Allora, sentendosi forte di quei suoi requisiti semidivini, Korup decise di non rimbeccare più le argomentazioni mordaci del saccente avversario e stabilì di rintuzzare immediatamente la sua spavalda arroganza.

Ad ogni modo, non fu affatto difficile ad Iveonte avvertirne contestualmente l'imminente attacco, avendoglielo trasmesso all'istante il roteare degli occhi grifagni dell'avversario. Per questo brandì subito la sua preziosa spada per contrastare nel modo migliore la sua azione minatoria. La quale, tutto ad un tratto, si era lasciata prevedere terribilmente impetuosa e pericolosamente incontrollabile. L’eroico giovane ebbe appena messo in atto una difesa inespugnabile, nella quale avevano un ruolo di primo piano i suoi vigili occhi e il suo agilissimo corpo, quando all'improvviso Korup sferrò il suo grande assalto. Perciò lo si vide cozzare contro la sua solida barriera difensiva come un ciclone in piena forma, che tenta di rovinare e di abbattere ogni cosa che incontra nel suo devastante avanzare. Nel medesimo tempo, i suoi rapidi e ripetuti affondi cercarono di infilarsi in quei vuoti che apparivano più vulnerabili. Non bastando ciò, essi tesero a caricarlo, approfittando di quegli spazi che il proprio rivale avesse per caso lasciati scoperti per distrazione oppure per incapacità difensiva. Così li avrebbe riempiti con i propri colpi micidiali e risolutori del difficile scontro, che era in atto. Invece Korup, molto contrariato, constatò che Iveonte non era la persona da lasciarsi sorprendere in difetto, mostrandogli i vari suoi talloni di Achille, come era accaduto con i precedenti campioni. La sua scherma altamente professionistica, da lui stimata da vero esperto, si dimostrava invincibile ed ineguagliabile, nonché tecnicamente inattaccabile nella difesa. Anzi, di sicuro essa si sarebbe dimostrata insuperabile anche nell'offesa.

Iveonte, da parte sua, dopo aver subito impunemente la prima tremenda aggressione da parte dell'Ammazzacampioni, con la soddisfazione dei fratelli di Lerinda, passò al contrattacco, il quale si dimostrò altrettanto superbo e demolitore. I colpi della sua spada, rivelandosi irresistibili, iniziarono a sbizzarrirsi in un’autentica gincana incontrollabile e sconcertante. Perciò apportarono al loro incredulo destinatario, oltre che un solido impaccio ed un grande disorientamento, una certa fragilità di resistenza. Era sembrato che tali colpi avessero voluto inchiodarlo sul pavimento, mentre cercava di porsi al riparo da loro. Essi avevano continuato a bersagliarlo senza dargli tregua, manifestandosi con una ridda frenetica e frastornante. Soprattutto lo avevano fatto sentire, per la prima volta, il misero bersaglio dell'avversario che, lottando impavidamente, non demordeva. A quell'esordio, che aveva permesso a ognuno dei due contendenti di rendersi conto delle reali possibilità di offesa e di difesa dell'avversario, seguì fra Iveonte e Korup un combattimento significativamente audace. Per cui esso, avendo preso una piega di massima allerta, in seguito proseguì all'insegna della somma prudenza. I loro colpi, i quali si mostravano spesso di inaudita potenza, venivano studiati e selezionati da ciascun combattente, prima di spedirli alla parte avversaria, la quale restava sempre molto vigile. Così pure le parate degli stessi risultavano repentine, precise ed ammortizzatrici dei tanti colpi tremendi in arrivo. Anzi, essi provenivano da entrambe le parti senza sosta e simili a pioggia torrenziale oppure a valanghe di neve, nonché con un martellare continuo e fragoroso.

In un certo senso, anche il re Cotuldo e il viceré Raco partecipavano al terribile scontro. L'uno e l'altro vi si sentivano trascinare mentalmente e psicologicamente. Perciò ne seguivano l'evoluzione e l'avvicendarsi degli assalti possenti con molta apprensione, facendo il tifo per il sorprendente fidanzato della loro sorella. Tutti e due, infatti, si meravigliavano in modo da non crederci dell'eccellente preparazione schermistica che si aveva nel giovane. Egli era in grado di operare dei veri prodigi con i virtuosismi della sua spada invincibile: a volte smorzava l'intraprendenza e la foga combattiva dell'avversario, altre volte gli imponeva la sua potestà competitiva. Né erano rari i casi, in cui riusciva a procurargli ferite nelle varie parti del corpo. Esse, però, come per prodigio, si rimarginavano e scomparivano in tutta fretta, ossia qualche attimo dopo che gli erano state inferte con grande maestria dal valoroso rivale.

Come non smettevano di osservare i due autorevoli fratelli, finalmente Korup aveva trovato il suo degno avversario, quello che preferiva imporgli la propria legge, anziché farsi soggiogare da quella che egli solitamente imponeva agli altri. Per la quale ragione, la sua ordinaria prepotenza assassina non era più la medesima; ma tendeva a ridimensionarsi in misura rilevante. Anzi, adesso che era tenuta sotto il vigile controllo del valorosissimo Iveonte, essa appariva palesemente in uno stato decrescente, si mostrava quasi fiaccata e non più disastrosa. Ciò nonostante, i due nobili germani non se la sentivano ancora di azzardare qualche pronostico sull'esito di quel titanico combattimento, il quale si presentava dall'epilogo imprevedibile. Per il momento, quindi, non erano in grado di prefigurarsi in che maniera il giovane avrebbe sconfitto l'invulnerabilità del suo infame avversario. Anche Croscione, da parte sua, benché fosse nel suo stato di estrema sofferenza, attraverso il re Cotuldo e il fratello Raco, si teneva aggiornato sull'andamento dello scontro. Egli gioiva immensamente nell'apprendere dai suoi informatori che il forte Iveonte stava conducendo in modo brillante la sua lotta contro Korup. Inoltre, ogni tanto si metteva a gridare con quanta voce avesse in corpo: "Iveonte, non dargli tregua, incalzalo ed ammazzalo come un lurido verme! L'Ammazzacampioni non è degno di stare tra i vivi e di essere risparmiato da te!" Dopo, non potendo fare altro, si metteva a tacere, aspettando la fine dello scontro in atto.

Nel frattempo, la tenzone si andava acuendo e si svolgeva tra i due superbi contendenti con una animosità sempre più battagliera ed incalzante, sempre più audace e spericolata. Da ambedue le parti, non si smetteva di ricorrere a delle vere esibizioni schermistiche ed acrobatiche di grande rilevanza, le quali facevano stupire i due fratelli di casa reale. Da un lato, il semidio Korup non desisteva sia dall'esternare i suoi attacchi rabbiosi e subdoli sia dall'effettuare le sue cariche fulminee e poderose. Queste ultime, però, non riuscivano mai a conseguire dei risultati concreti e definitivi. Dall’altro lato, l'indubbia perizia d'armi di Iveonte, come pure la sua incrollabilità, nonché il suo assedio massiccio e gagliardo, non potevano che tradursi in un vero disappunto nell'animo dell'Ammazzacampioni. A volte tali strumenti di lotta ne limitavano perfino le ardite intraprendenze o finivano addirittura per neutralizzarle.

Svolgendosi in quella maniera il combattimento, Iveonte fieramente contrattaccava gli assalti del rivale, lo punzecchiava con le sue stilettate strategiche ed incontrollabili, lo disorientava con i suoi tatticismi imprevedibili e lo spossava con slombanti colpi sui fianchi. Sovente egli passava ad impersonare una vera furia scatenata e rendeva possibile l'impossibile, fino a sbilanciare e a vanificare i molti propositi offensivi di Korup. I quali tendevano a schiacciarlo e a concludere per sempre lo scontro; ma ovviamente senza mai riuscirci. Il giovane, oltre a rendere vane le azioni del suo avversario, si dava a tempestarlo con una procella di colpi irresistibili e sdegnosi. I quali spesso lo costringevano alle corde e l'obbligavano a subire impotente l'incalzare della sua azione aggressiva e tempestosa. Allora lo stesso Ammazzacampioni se ne sbalordiva con grande livore ed invano cercava di rendersi conto di come avesse fatto il suo antagonista a conseguire una preparazione d'armi di così alto livello. Essa, che faceva invidia perfino a quella da lui posseduta, adesso minacciava sul serio di infangargli il prestigio e la reputazione, privandolo di quella rispettabilità, della quale egli era solito andare fiero.

Era ormai una buona mezzora che i due alteri rivali si scambiavano dei colpi di una potenza inaudita, allorché l'invincibile Iveonte raddoppiò i suoi attacchi furibondi, mettendo in difficoltà l'invulnerabile Korup. Costui, poiché i suoi riflessi cominciavano ad annebbiarsi e a tradirlo, adesso stentava ad opporgli una valida difesa, sebbene riuscisse ancora a destreggiarsi con una certa scioltezza. Ma una destrezza, la quale non si presenta più supportata da ottimi riflessi, in una qualsiasi attività essa venga ad operare, senza dubbio è destinata ad andare in bianco. Difatti, poco dopo, Iveonte riuscì a cogliere Korup in fallo, troncandogli di netto l'avambraccio destro, esattamente quello che reggeva la spada. Allora tanto il semiarto amputato quanto l’arma da esso usata finirono di colpo sul pavimento, restandovi a pochi metri di distanza da lui. Il semidio, da parte sua, non badando al suo organo, il quale era divenuto monco ed aveva iniziato a perdere del liquido verdastro, si precipitò subito verso la sua parte amputata. Quando poi la ebbe raggiunta, la raccolse da terra e se la riattaccò al braccio rimasto mutilo, sul quale operò un innesto rapido e alla perfezione. Così fece ritornare le due parti anatomiche congiunte e perfettamente integre come prima, cioè saldate fra di loro, senza alcuna traccia dell'innesto effettuato.

Quando infine ebbe fatto ritornare intero il suo arto superiore lesionato, Korup non perse tempo a raccogliere la sua spada da terra. In quel modo, poté riprendere il combattimento contro il suo singolare avversario, che continuava a non dargli tregua e a mostrarsi instancabile. Logicamente, lo scioccante episodio dell'innesto eseguito da Korup, se aveva fatto trasecolare il re Cotuldo e il fratello viceré Raco, non era venuto a suscitare in Iveonte la medesima impressione. Egli, anziché soffermarsi su di esso e stupirsene come i suoi due impressionati cognati, preferì invece redarguire convenientemente il suo avversario, mediante le seguenti mordaci parole:

«Come vedo, Korup, sai fare benissimo il chirurgo. Così, in un niente di tempo, sei in grado di appiccicarti al corpo qualsiasi parte ti venga mozzata dai tuoi avversari! Ma stanne certo, scellerato, che, come ho già neutralizzato i tuoi meccanismi di offesa e di difesa, allo stesso modo vanificherò assai presto la tua invulnerabilità. A quel punto, posso assicurarti che dovrai dire addio alla tua ignobile esistenza, quella che hai costellata di mille nefandi misfatti. Vedrai che ti obbligherò a rinunciare ad essa, facendoti finire per l'eternità nel nulla eterno! Né tu potrai fermarmi in una qualunque maniera!»

Il rimbrotto del giovane non cagionò alcuna reazione verbale in Korup. Egli, pur di non distrarsi e di non commettere ulteriori errori, considerò più giusto restare in quell'ostinato mutismo, nel quale si era chiuso da un bel po’ di tempo. Oramai si era andata impadronendo di lui una velata preoccupazione, la quale lo faceva apparire alquanto perturbato e indeciso. Il grande campione, da parte sua, oltre a rendergli colpo su colpo, seguitava ad aggredirlo con sempre rinnovato vigore e ad inveire contro di lui con assalti insistentemente tremendi, i quali non conoscevano né pause né allentamenti. Alla fine, Iveonte, non potendone più di quel lungo scontro, con la sua arma sferrò contro l'avversario due colpi portentosi: il primo lo privò della spada e il secondo gli spiccò la testa dal busto, la quale finì miseramente sul pavimento e vi rotolò sopra per alcuni metri. Dopo, non pago di ciò, il giovane eroe decise di completare l'opera come gli suggeriva la mente. Perciò, dopo che si fu avvicinato al busto acefalo di Korup, gli amputò i quattro arti e li scagliò lontano dal suo tronco tutti in direzioni diverse. Agendo in quel modo, egli li fece disperdere tra le decine di cadaveri, che si scorgevano disseminati dappertutto nella sala del trono. Una volta fatto scempio del corpo dell'Ammazzacampioni nel modo che abbiamo visto, Iveonte si avvicinò al trono per tranquillizzare i fratelli della sua Lerinda, che non si sentivano ancora del tutto sereni. Perciò egli si espresse loro:

«Eccovi liberati dell'essere più spregevole che sia mai esistito sulla terra! Vogliate scusarmi per lo scempio cagionato al suo corpo, al quale sono stato obbligato a ricorrere, nonostante andasse contro i miei principi morali! Ma l'eccezionalità del caso non mi ha lasciato altra scelta, se volevo terminare lo scontro con il mio avversario. Mi dispiace per quanti si sono trovati ad affrontarlo prima di me e ne sono rimasti barbaramente ammazzati senza pietà. Adesso tutti loro possono stare tranquilli nelle tombe, poiché oggi essi hanno trovato in me il loro vendicatore!»

Quando Iveonte ebbe finito di parlare, il re Cotuldo e il fratello lo ringraziarono per quanto aveva fatto per loro due ed anche si complimentarono con lui, per l'alto valore dimostrato nella terribile lotta contro l'Ammazzacampioni. Ma il viceré Raco volle esprimergli la sua riconoscenza non solo verbalmente, ma pure con un gesto affettuoso. Perciò, intanto che il fratello abbandonava la sala del trono per andare ad ordinarne lo sgombero dalle numerose salme che vi abbondavano, egli si avvicinò ad Iveonte e lo abbracciò calorosamente. Poi, in preda alla commozione, il viceré si mise a dirgli:

«Grazie, Iveonte, per essere intervenuto in tempo in mia difesa, facendomi dono della vista, e per avere frantumato la perversa tracotanza di Korup! La mia sorellina non poteva trovare, come compagno della sua vita, un partito che fosse migliore del tuo. Se un giorno voi due vi sposerete, mi sentirò immensamente orgoglioso di avere un cognato come te! A mio giudizio, tu vali più di un principe e anche più di un sovrano!»

Di lì a poco, mentre si teneva ancora abbracciato al fidanzato della sorella, in segno di affetto e di gratitudine, il fratello di Lerinda pose fine al suo entusiasmo e alla sua gioia, che prima in lui si stavano manifestando assai intensi. Mostrandosi esterrefatto e rammaricato, quasi balbettando, egli si diede ad esprimersi al giovane, pronunciando le seguenti parole:

«Cosa mi tocca vedere mai, valoroso Iveonte! Le sei parti del corpo di Korup si sono già quasi ricomposte! Devo prendere atto che egli è un vero demone, che non si lascia sconfiggere da nessuno e da niente! Sai dirmi, cognato mio, cosa succederà, dopo che si sarà interamente ricomposto, ridiventando l'essere infernale di poco fa?»

A quelle frasi balbettate dal tremante viceré di Casunna, Iveonte, dopo essersi staccato dal suo abbraccio, si voltò subito a guardare indietro. Allora pure lui prese atto che Korup non risultava più un corpo frazionato, quale egli lo aveva ridotto e lasciato in precedenza; bensì aveva già operato in gran parte la sua aggregazione corporale. Gli rimaneva da recuperare solamente il braccio destro e la sua spada.

A quella vista impossibile, il giovane cercò di rincuorare il fratello di Lerinda, parlandogli in questa maniera rassicurante:

«Non temere, nobile Raco, perché ti prometto che Korup ha oramai il tempo contato! Forse è vero che egli non si lascia sconfiggere da nessun essere umano, fosse egli rappresentato pure dalla mia persona. Posso garantirti, però, che la mia spada tra breve lo sconfiggerà definitivamente, senza più farlo esistere per l'eternità. Tra meno di un minuto, te ne renderai conto con i tuoi stessi occhi!»

Rincuorato il viceré Raco, Iveonte raggiunse rapidamente il figlio del dio del sesso, che si era già impadronito anche del restante arto mancante ed ora si stava chinando per raccattare la sua spada. Ma proprio mentre l'Ammazzacampioni era chino su di essa, egli gli trafisse da parte a parte il torso. Poi, tenendolo infilzato ed immobilizzato in quella posizione, Iveonte esclamò alla sua spada: "La mia parte l'ho fatta, prodigiosa arma! A questo punto, spetta a te fare la tua! Le forze del male non possono e non devono prevalere su quelle del bene!"

Non appena il giovane ebbe invitato la sua spada invincibile ad intervenire contro quell'immondo essere infernale, di repente si vide la sua lama farsi rossa come un tizzone ardente. In quel momento preciso, il corpo di Korup prese fuoco e fu avvolto all'istante da fiamme rossastre. Esse iniziarono a divorarselo, proprio come se si fosse trattato di un autentico pezzo di legno. Così subito dopo, nel giro di pochi attimi, l'intero corpo dell'Ammazzacampioni prima fu privato dell'intera sua linfa vitale e poi fu ridotto in un mucchio di cenere. Intanto che le sue spoglie mortali venivano bruciate dalle fiamme, da queste erano provenuti dei versi che si erano rivelati dei grugniti spaventosi. I quali si erano propagati in tutta la grande sala del trono, simili a dolorosi lamenti. In quell'istante stesso, inoltre, era sembrato che la sua parte divina fosse scappata via e avesse abbandonato per sempre quella umana. La quale, a sua volta, si era andata consumando e disintegrando nel vortice delle brucianti ed impietose fiamme cagionate dall'arma invincibile di Iveonte.

La fine di Korup, com'era previsto, era stata appresa anche dalla madre Arnina e dalla nonna adottiva Turza. Infatti, nel medesimo tempo che la vita lo abbandonava, nel remoto tempio dedicato al dio Araneo, il corno dell'effigie del dio si era messo a tingersi di rosso fuoco in modo intermittente, quasi volesse esprimere la sua disperazione. Quel fenomeno, il quale aveva voluto segnalare l'agonia del Vendicatore, era continuato fino a quando costui non aveva emesso l’ultimo respiro. In tal modo, egli aveva anche cessato di godere della natura degli esseri umani, ponendo finalmente termine alle sue mattanze.