161°-KORUP, IL GUERRIERO DAGLI OCCHI GRIFAGNI

Come avevano fatto la Somma Sacerdotessa e il simulacro di Araneo a sparire dal tempio, prima che i Guerrieri Eletti del dio Matarum li raggiungessero? Era sembrato proprio che si fossero volatilizzati e dileguati nel nulla, senza lasciare traccia di sé sia all'interno del tempio che nelle parti circostanti ad esso. In verità, era stato il dio del sesso a subodorare con un largo anticipo l'imminente pericolo che stava per risultare lesivo a sé stesso e alla propria setta. Perciò, prima che la Somma Sacerdotessa si addormentasse come gli altri seguaci, l’aveva messa al corrente in tempo di quanto stava per succedere, dandosi a parlarle così:

"Mia devota Turza, una grave minaccia incombe sull'intera setta degli Araneidi e sullo stesso tempio, che mi è stato da loro dedicato. Non c'è però il tempo di salvare nessuno di loro, a parte te e il mio simulacro. Perciò tra poco mi rimpicciolirò in modo tale, che alla fine potrò trovare ricetto nel cavo di una delle tue mani. Quindi, càmbiati di abito e, non appena avrò assunto le nuove dimensioni, mi prenderai e mi porterai via con te, lontano dal tempio quanto più possibile. Affréttati a farlo, prima che i nostri nemici riescano ad attuare la loro paventata minaccia. Se essi riuscissero ad uccidere il mio simulacro animalizzato, non potrei più far valere alcun tipo di esistenza fra gli uomini per rivelarmi a loro. Invece sarei costretto a vivere per sempre relegato nelle tenebre e nell'anonimato. Dopo che mi avrai condotto via da qui, rammenta che, perché io possa sopravvivere nelle nuove dimensioni, occorrerà che tu mi nutrisca ogni giorno con una goccia di sangue appartenente ad una bambina, che non abbia superato i tre anni. Infine ti metto al corrente che, solo dopo che mi avrai trovato un posto capiente e sicuro, mi trasformerò di nuovo nel mio simulacro con le reali dimensioni di prima."

Così, una volta che lo smisurato ragno con la testa di uomo si era ridotto a meno di due centimetri di lunghezza, la Somma Sacerdotessa Turza lo aveva raccolto dal pavimento. Poi, tenendoselo con cura nel cavo della mano sinistra, lo aveva portato via dal tempio, dal quale era dovuta scappare in fretta e furia. Ella era stata anche molto cauta nei suoi spostamenti, cercando di evitare chiunque avesse potuto rappresentare un potenziale pericolo per sé e per il divino mostriciattolo, che portava con sé con grande premura. Quando infine non aveva più temuto alcun pericolo per loro due, la religiosa si era diretta a sud della città di Cirza. Ella voleva raggiungere la catena montuosa che si profilava superba e maestosa all’orizzonte. Lungo il percorso, Turza si era preoccupata di rapire l'unica bambina che aveva trovata sulla sua strada. La piccola, che poteva avere un paio di anni, era la terzogenita di una coppia di giovani contadini. Essi, in sei anni, erano diventati genitori di tre bambini, dei quali la femminuccia era la più piccola.

Era trascorso ormai più di un mese, quando l’accorta sacerdotessa era pervenuta alle falde della catena montuosa. Prima, però, ella aveva dovuto affrontare un viaggio interminabile, il quale si era dimostrato disagevole e defatigante, oltre che insidioso. Durante il tragitto, Turza si era presa cura sia del minuscolo divino mostro sia della bambina. A quest'ultima, inoltre, ella aveva dato il nome di Arnina, il quale aveva voluto essere una forma contratta del nome di Araneo al femminile. Nelle vicinanze dei monti, ella, senza perdere tempo, si era messa alla ricerca di una dimora che potesse contenere il simulacro del divino Araneo e il suo nuovo tempio. Ma solo dopo averla cercata per una intera giornata, la sacerdotessa era riuscita a trovarla a cinquecento metri di altezza. Si era trattato di un immenso antro, in cui ella aveva messo il dio nella condizione di trasformarsi di nuovo nel proprio simulacro avente le dimensioni originarie.

Assicurato un ottimo rifugio all'effigie del dio, la Somma Sacerdotessa si era poi interessata unicamente della cura della bambina. Ella l’aveva cresciuta, come se fosse stata la propria figlia. Perciò, fin dalla sua tenera età, aveva cominciato a farsi considerare da lei la vera madre, mostrandole nel contempo un affetto straordinario. Turza, oltre ad allevarla con cura e con tutte le attenzioni possibili, si poteva dire che avesse mirato a plagiare la bambina, impregnandole in continuazione la mente di dottrina araneica nella sua forma più enfatizzata. Non bastando ciò, la donna aveva cercato di perseguire in lei il fanatismo più infervorato ed assoluto verso la divinità di Araneo. Spersonalizzandola, le aveva fatto vivere l'ascetismo religioso come qualcosa di insostituibile e di indispensabile alla sua vita. Nel dedicarsi alla crescita di Arnina, ella aveva fatto passare in subordine ad essa perfino il cibo e l'aria. Perciò aveva ignorato le varie fasi evolutive, a cui la bambina andava incontro, intanto che cresceva e si sviluppava fisicamente e psichicamente. A mano a mano che l'età di Arnina aumentava, Turza la educava, dando la priorità ai vari obiettivi araneici. Nello stesso tempo, aveva badato alla rifondazione dell'araneismo e alla ricostituzione della setta degli Araneidi. I cui seguaci, nel giro di un decennio, erano diventati un paio di migliaia, tenendo conto delle sole persone adulte e non anche dei loro figli minorenni, i quali diventavano Araneidi per diritto di nascita.

Quando infine aveva ritenuto il numero degli affiliati sufficiente per rifondare la setta, l’infaticabile sacerdotessa li aveva incaricati di costruire il nuovo tempio da dedicarsi al dio Araneo. Ella aveva voluto che esso fosse edificato nella stessa grotta che ospitava il simulacro del dio, in modo da risultare nascosto agli occhi dei non appartenenti alla setta. Così facendo, avrebbero evitato una nuova rappresaglia da parte dei Guerrieri Eletti del dio Matarum, come era avvenuto in passato. Ma era stato necessario un quinquennio di lavori, perché il sacro tempio venisse costruito identico a quello distrutto dai profani presso la città di Cirza. Le sue caratteristiche ci sono ben note, avendone appreso in precedenza la forma, le dimensioni, le parti interne e i vari locali afferenti. Nel successivo anno, la fedele devota del dio Araneo si era dedicata a rimettere in piedi l'intero apparato religioso della loro setta, procedendo alla nomina delle sacerdotesse, delle converse e dei satirei. Naturalmente, aveva impegnato il suo tempo anche alla iniziazione di tutti i nuovi adepti, erudendoli nelle varie cerimonie che erano sacre al dio del sesso.

Al termine di tale anno, la sacerdotessa aveva ritenuto che fosse giunto il momento di riprendere i tre riti di novilunio e di ridare vita alle diverse cerimonie ad essi connesse. Il solo rito inaugurale aveva dovuto subire delle varianti, rispetto al normale svolgimento di tutti gli altri che già abbiamo conosciuto. In quello attuale, innanzitutto c’era stata la consacrazione della diciottenne Arnina a Somma Sacerdotessa. La quale, a sua volta, aveva consacrato aranelde, converse e satirei quelle persone che già erano state prescelte dalla madre Turza a tale compito. Inoltre, dopo essere avvenuta l'animalizzazione del simulacro del dio, prima ancora che venissero deflorate e fecondate le vergini adolescenti da parte dei satirei, c'erano state la deflorazione e la fecondazione della novella Somma Sacerdotessa Arnina. Ad entrambe le cose aveva provveduto il dio Araneo, dopo essersi animalizzato ed essersi accoppiato con la ragazza stessa, inseminandola e mettendola incinta ipso facto.

L'ibrido accoppiamento era stato preceduto dalla seguente nuova orazione formulata dalla ex Somma Sacerdotessa al dio, che si era appena incarnato: "Divino Araneo, ascolta la preghiera della tua devota serva, la quale sta per proporti il modo di vendicarti delle offese sacrileghe, che ti arrecarono i mille guerrieri del sacerdote Tespo. A tale scopo, ti prego di accogliere la proposta che sto per farti. Dopo che avrai sverginato Arnina, non solo dovrai inseminarla, come hai fatto sempre con me; bensì dovrai anche renderla feconda. Così il vostro frutto un giorno vendicherà l'affronto subito dal divino suo genitore. Dunque, in nome della vendetta, deflora la giovane Arnina, inseminala e fecondala! Ella è già predisposta fisicamente e preparata psicologicamente a tale importante compito. Per cui non aspira ad altro che a concedersi compiaciuta alle tue brame voluttuose e ad essere posseduta carnalmente dal tuo essere divino fattosi animale. Adesso tocca a te fare la tua parte attiva nel possederla, nell'inseminarla e nel renderla madre di colui che un giorno ti vendicherà! Il modo di agire lo deciderà lui stesso."

Quando infine ebbe terminato di formulare la sua preghiera, Turza prima aveva fatto denudare la giovane Arnina e poi l'aveva fatta distendere sotto il ventre del mostruoso dio per farla possedere da lui. Da parte sua, la neo Somma Sacerdotessa, in un primo momento, aveva accusato visibili segni di sofferenza fisica, la quale le era stata prodotta dalla lacerazione del suo inviolato imene, da parte del turgido membro del dio. Alcuni attimi dopo, ella aveva cominciato a dimenarsi in preda ad una smania di piacere sessuale. Il godimento, che le proveniva da esso, non le aveva dato tregua ed aveva provocato in lei l'accensione di un irrefrenabile gaudio. Il quale, mentre la ragazza veniva posseduta dalla lussuria del suo divino partner, era quasi sembrato di non volere avere più termine, essendo il suo desiderio quello di protrarsi all'infinito.

Una volta che era stata inseminata dal dio Araneo, Arnina, sottraendosi al di lui corpo, aveva abbandonato la sua posizione supina e si era alzata in piedi. Allora la madre ne aveva approfittato per raccogliere in una ciotola di terracotta lo sperma del dio, mentre colava abbondante e in modo fluido dalla vagina della ragazza. Avvenuta la raccolta del liquido seminale del dio Araneo, Arnina aveva dato inizio alla nuova cerimonia religiosa, cioè alla Sterilizzazione delle Sacerdotesse e delle loro Converse, la quale era consistita nel rendere infeconde sia le une che le altre. Per ottenere la loro infecondità, ella si era avvicinata a ciascuna di loro e le aveva introdotto nel canale vaginale un po' del liquido seminale del dio animalizzato. A tale riguardo, va chiarito che il giallastro e vischioso sperma divino, una volta immesso anche in minima parte nella vagina di una donna feconda, la rendeva automaticamente sterile per la sua intera esistenza. Invece, per la sola Arnina e in quell'unica circostanza, il seme del dio era risultato fecondante, come Turza aveva chiesto al suo protettore. A suo parere, solamente in quella maniera poteva essere permessa la nascita di colui che in seguito avrebbe dovuto attuare il suo disegno di vendetta. Allora il dio aveva assecondato volentieri la richiesta della sua fervida devota, esaudendo così la sua supplica. Per questo non si era opposto a quanto la donna teneva in mente di realizzare, anche perché ella faceva pure i suoi interessi.

Arnina, dopo sette mesi esatti che era rimasta incinta del dio Araneo, aveva generato un maschietto, al quale era stato dato il nome di Korup. Egli era nato con la carnagione verdognola; mentre i suoi occhi, fin dalla sua nascita, erano apparsi rossi e lucidi. Inoltre, tutti gli appartenenti alla setta araneica, già subito dopo che il piccolo era nato, avevano iniziato a chiamarlo anche "Il Vendicatore". Quanto all'adolescente Somma Sacerdotessa, dopo il suo primo accoppiamento con il divino Araneo, non aveva potuto officiare nel tempio per dodici noviluni. Comunque, ella non era stata sostituita in tale ufficio dalla sacerdotessa più anziana, bensì dalla madre putativa Turza. La quale, sebbene avesse oramai raggiunto la bella età di quarantotto anni, si sentiva ancora in forma e quindi in grado di poterlo fare, senza accusare problemi di sorta.


Alla crescita del piccolo Korup, avevano badato tanto la giovanissima madre quanto la matura nonna adottiva Turza. Esse gli avevano largito le loro affettuose cure senza parsimonia. Il marmocchio, però, fin dalla sua puerizia, dando prova della sua natura semidivina, aveva dimostrato di poter fare a meno delle due familiari. Difatti erano stati parecchi gli episodi che avevano messo in mostra la sua natura prodigiosa, la quale si differenziava molto da quella umana. Fra le altre cose, a due anni, il piccolo aveva dato prova di saper correre come un leprotto e di essere in grado di arrampicarsi senza difficoltà sui tronchi degli alberi, come se fosse un'agile scimmietta. A cinque anni, invece, il bambino riusciva a saltare meglio di un quadrumane da un ramo all'altro degli alberi. Un giorno, in uno di tali salti, un ramo aveva ceduto al suo peso, obbligandolo ad un volo nel vuoto di venti metri. Dalla sua caduta a terra, però, il suo corpo non aveva riportato né ferite né fratture né ammaccature. Invece vi era rimbalzato, come se si fosse trattato di una palla di gomma. La sua pelle, in quella circostanza, era apparsa di consistenza gommosa, per cui era stata respinta dal suolo. La notizia era rimbalzata nel piccolo villaggio, in men che non si dica, avallando la convinzione di tutti, in base alla quale la sua natura era prodigiosa. Per questo nessuna cosa e nessun fenomeno naturale poteva costituire per lui un pericolo.

Ma l’episodio, che aveva sbalordito di più gli Araneidi, era stato quello capitato a Korup, quando aveva dieci anni. Siccome un compagno lo aveva aggredito con un pugnale per vendicarsi di un suo dispetto, egli istintivamente aveva cercato di parare il colpo con una mano, la quale perciò ne era rimasta trafitta. Allora le due ferite che, a guisa di foro, erano venute ad aversi su entrambi i lati della sua mano, dopo avere accennato a gemicare un sangue verdechiaro, repentinamente si erano risucchiate tutto il liquido verdastro fuoriuscito. Infine si erano anche rimarginate all'istante, senza lasciare traccia di alcuna cicatrice sul palmo e sul dorso della parte appendicolare del braccio. Per la qual cosa, le persone presenti, che avevano assistito allo strabiliante portento, si erano messe a gridare: "Il Vendicatore è invulnerabile ed invincibile!" In seguito, quando aveva compiuto i suoi venti anni, il giovane Korup si era dimostrato già un guerriero insuperabile, sia che si battesse con le sole mani sia che combattesse con la spada o con altre armi. Egli, nelle varie gare, era solito affrontare cinquanta Araneidi per volta, naturalmente in uno scontro incruento. Ebbene, nonostante il numero dei suoi avversari si presentasse così ingente, egli riusciva lo stesso a metterli tutti fuori combattimento, senza avere alcuna difficoltà nell’avere la meglio su di loro e nello sconfiggerli.

In previsione del suo lungo Viaggio della Grande Vendetta, l’invincibile campione aveva voluto che ci fosse nell’ambito della setta la Guardia di Araneo, la quale era rappresentata dai terribili Guerrieri della Morte. Durante la sua assenza, infatti, essa avrebbe dovuto surrogarlo degnamente nell'opera sia di mantenimento dell'ordine pubblico nel tempio dedicato al suo divino genitore, sia di intervento punitivo contro quei miscredenti che avessero osato inveire contro il divino suo padre. In special modo, tale guardia sarebbe dovuta intervenire contro tutti coloro che si fossero resi responsabili di gravi attentati alla sicurezza del culto araneico. Ossia, avrebbe dovuto sopprimere ogni loro tentativo di destabilizzarne alla base l'intero apparato in una qualsiasi forma e di minarne la stessa sopravvivenza. Perciò ad essa era demandato il compito di punire esemplarmente le sporadiche defezioni e i sacrilegi, quando gli Araneidi si macchiavano di gravissime colpe, cessando in quel modo di risultare meritevoli della protezione della loro divinità, che era il dio del sesso. Ma di essa si avrà modo di parlare più ampiamente nel quarto volume, prima di venire distrutta da Iveonte, Francide e Astoride.

Un giorno, quando il semidio aveva compiuto i suoi venticinque anni di età, la madre e la nonna lo avevano chiamato in disparte e si erano date a fargli un bel discorso. In verità, era stata la sola anziana Turza a parlargli personalmente, anche perché desideravano entrambe la stessa cosa. Così la donna si era data a riferirgli:

«Korup, finalmente è giunto il momento che si compia la Grande Vendetta, della quale tu sarai l'esecutore materiale. In parte, già ne sei stato messo al corrente. Le migliaia di Araneidi, i quali furono sgozzati quarant'anni fa da mille fanatici infedeli, presto dovranno trovare in te il loro illustre vendicatore. Come pure, per opera tua, sarà vendicata l'onta subita dal tuo divino padre. Se un tempo spinsi il dio Araneo a fecondare tua madre Arnina, lo feci appunto perché tu divenissi la sua mano vendicatrice. Non ti scordare che sei un semidio e nessuno degli esseri umani che ti troverai ad affrontare potrà disporre dei tuoi poteri prodigiosi! Perciò avrai facilmente ragione di lui, ogni volta che ne sfiderai qualcuno a duello, durante il tuo lungo Viaggio della Vendetta!»

«Nonna mia cara, io sono pronto a fare una grande carneficina dei nostri nemici, pur di vendicare il torto da loro arrecato al divino mio genitore. Anzi, sono già impaziente di fare una grande strage di coloro che gli profanarono e gli distrussero il sacro tempio, uccidendogli perfino la totalità dei seguaci. Ma come farò a riconoscerli, visto che essi non avranno un segno che li contraddistingua dagli altri? Anzi, adesso essi hanno pure avuto cambiato il loro volto dal tempo! Devo forse mettermi ad uccidere, indiscriminatamente, tutti gli infedeli che incontrerò sulla mia strada? Se è questo che vuoi, ti ubbidirò senza meno!»

«Non è questo che desidera il tuo divino genitore, nipote mio. Egli vuole evitare che tu ti dia ad un massacro in grande stile. Esso, suscitando la collera di qualche divinità positiva maggiore, potrebbe spingerla ad intervenire contro di te e ad annientarti. Così correresti il rischio di essere messo a tacere per sempre. Invece il tuo divino padre vuole che tu, restando nell'anonimato, visiti tutte le città dell'Edelcadia. In ciascuna di loro, ti preoccuperai di cercare e di sfidare coloro che vi sono additati come dei grandi campioni nelle armi e nelle arti marziali. Anche se qualcuno si rifiuterà di battersi con te, lo ucciderai ugualmente; ma pure ammazzerai senza pietà quelli che si arrenderanno alla tua imbattibilità. Il primo della lunga lista dei destinati ad essere assassinati da te dovrà essere Tespo, l'attempato sacerdote di Matarum. Lo potrai trovare nella città di Actina, presso il tempio dove sta servendo il suo dio. Egli, però, dovrà essere escluso dal novero dei grandi guerrieri che ti toccherà ammazzare! Ecco quanto desidera da te il divino tuo genitore.»

«Nonna, mi dici quando potrò considerare ultimata la mia missione vendicativa e potrò ritornarmene finalmente a casa? Così dopo, riabbracciandovi, riprenderò la mia gaia esistenza insieme con voi! Allora sto aspettando di avere da te la giusta risposta!»

«La tua carneficina, Korup, dovrà aver fine, soltanto dopo che avrai eliminato il medesimo numero di campioni che parteciparono alla spedizione punitiva contro l'araneismo, dopo essere stata organizzata da Tespo. Ossia, non appena avrai fatto fuori mille guerrieri che sono considerati degli assi nelle armi e nelle arti marziali, sarai libero di intraprendere il ritorno a casa e di ricongiungerti a noi due. Tieni presente, però, che le persone comuni, cioè quelle che verrai ad uccidere incidentalmente nella tua accanita caccia, non dovrai farle risultare nell’elenco dei campioni uccisi da te. Inoltre, il tuo divino genitore ti manda a dire di guardarti bene da quei campioni, i quali rappresenteranno i numeri composti da tre cifre uguali, ossia il centoundici, il duecentoventidue, il trecentotrentatre; e via dicendo. Come la vede lui, in uno di loro potrebbe annidarsi una pericolosa insidia per te, anche se la sua natura risulterà umana. Non chiedermi niente a tale riguardo, nipote mio, siccome neppure tuo padre è stato in grado di saperne di più, poiché tale particolare si è presentato avvolto nel più fitto mistero! Ti invito, quindi, ad essere cauto, quando ti cimenterai con i nove guerrieri che corrisponderanno ai numeri suddetti, potendo uno di loro risultarti pericoloso.»

Dopo che la nonna aveva risposto al nipote Korup, era intervenuta anche la madre a parlare al proprio figlio. Ella, essendosi preoccupata tantissimo per le ultime parole della madre Turza, per averle trovate abbastanza inquietanti, gli aveva aggiunto:

«Hai sentito, figlio mio, cosa ti ha detto tua nonna, in merito ai guerrieri che dovrai sfidare? Anch’io ti raccomando di non esporti troppo e di essere prudente nel dare la caccia ai nostri nemici. In special modo, dovrai farlo, quando incontrerai i nove campioni coincidenti con tali numeri! A tale riguardo, ti consiglio di portare uno scrupoloso conto di quelli che andrai via via abbattendo nella regione edelcadica. Korup, dovrai tornare sano e salvo presso di noi! Non scordarti che, nell'attendere il tuo ritorno a casa, conterò i giorni, i mesi e gli anni. Insomma, non vedrò l'ora di riaverti tra le mie braccia!»

«Stai tranquilla, madre mia, e non darti pena per il tuo invincibile figlio! Non ci sono dubbi che ritornerò vittorioso, dopo aver condotto a termine la mia missione punitiva e dopo averla costellata di mille salme infedeli! Ti prometto che, quando avrò fatto ritorno da essa, trascorreremo il tempo, godendo insieme del mio successo e stando abbracciati l'uno all'altra per ore ed ore, per bearci della nostra dolce vicinanza!»

Dette quelle parole, Korup si era lanciato tra le braccia delle due donne, le quali si mostravano molto commosse. Così, dopo averle strette a sé calorosamente, aveva intrapreso il suo Viaggio della Vendetta. Esso, che già lasciava prevedere che avrebbe avuto una lunga durata, sarebbe stato disseminato da lui di circa duemila cadaveri, contando insieme sia i guerrieri che egli avrebbe ricercati, pur rifiutandosi di combattere con lui; sia le persone comuni, le quali lo avrebbero irritato per un motivo qualsiasi. Ogni volta egli avrebbe ucciso i suoi avversari, senza mostrare pietà per nessuno, come se fossero dei veri scarafaggi!

Korup aveva iniziato la sua missione vendicativa, partendo dalla città di Actina, dove aveva eliminato, per primo e in modo orrendo, il sessantenne Tespo, il sacerdote del divino Matarum. Ma prima gli aveva esclamato: "Questo è da parte del mio divino genitore Araneo!" In seguito, nella stessa città, aveva affrontato ed ucciso anche novantacinque campioni; né si era astenuto dall'ammazzare tre dozzine di delinquenti comuni, i quali si erano burlati di lui, a causa della sua pelle verdastra e dei suoi occhi grifagni. Soprattutto essi lo avevano dileggiato, poiché egli teneva cucito sulla parte dorsale della sua casacca un pezzo di stoffa gialla, che riportava la seguente scritta: "Sono l'Ammazzacampioni!"

Da Actina, in seguito Korup era passato alle altre città edelcadiche, sempre in cerca di nuovi campioni da sfidare e da accoppare brutalmente. Egli si era presentato ai re, ai principi e ai nobili potenti, sfidando quelli che venivano indicati da loro come degli insuperabili campioni. Inoltre, avvicinando la gente comune, si era fatto dire da essa i nomi di coloro che in città erano considerati dei popolari campioni. Così si era scontrato con tutti loro, pure con quelli che non volevano sapere niente del confronto da lui preteso, prima assegnando e poi arrecando ad ognuno di loro una morte orribile e feroce!

Inseparabile e fedele compagno dell'invulnerabile guerriero dagli occhi grifagni era stato, e lo era tuttora, un feroce falcone addomesticato, che egli teneva sempre sulla spalla sinistra. Al suo comando: "Vai, Rus! Cava ed ingoia!", il terribile volatile si era infallibilmente scagliato contro la persona che risultava in aperto dissidio con il suo padrone. Così, dopo essersi avventato sulla sua preda, che non si aspettava il suo fulmineo assalto, il volatile prima le aveva cavato entrambi i bulbi oculari dalle orbite e poi se li era ingoiati l'uno dopo l'altro, come se si fosse trattato di due ciliegie mature. A dire la verità, il semidio faceva intervenire il suo falco rapace solamente contro le persone comuni e giammai contro quelli che erano stimati dei veri campioni. Agli occhi della gente, egli non voleva vedere sminuita la sua fama di guerriero invincibile e la sua rispettabile onorabilità. Per le quali due cose, egli andava orgoglioso, per cui giammai avrebbe voluto vederle disonorate in un modo qualsiasi!