158-UKTON ED ELESIA VENGONO LIBERATI DAL DIO IVEON
Nel frattempo, cos'era accaduto ai due divi sventurati, dopo che il dio Iveon era stato costretto a lasciarli andare alla deriva, siccome il dio Brust stava per iniziare l'invasione della Circoscrizione di Zupes? A mio avviso, ci sarà utile ripercorrerne le disavventure e i tremendi stati d'animo, ai quali essi erano andati incontro in quel lasso di tempo. In questo modo, li seguiremo fino a quando non gli apparirà davanti l'inossidabile dio Iveon, che è in procinto oramai di raggiungerli e di porre termine definitivamente alle loro ingenti tribolazioni.
In un primo momento, quando si erano convinti che presto il divino eroe sarebbe andato a prelevarli, Ukton ed Elesia avevano assaporato una gioia indefinibile. Essi si erano sentiti rinascere, trarre fuori dal loro tenebroso tunnel senza speranze e riemergere dalle torbide acque del mare della desolazione. Davanti a loro, perciò, era riapparso l'alone luminoso della fiducia, il quale li aveva spinti finalmente ad essere oltremodo speranzosi. Soprattutto c'era stata la sfavillante certezza della fine dei loro interminabili guai e contrattempi. Sotto l'empito della viva commozione, entrambi gli sventurati divi si erano abbracciati, si erano espressi le emozioni più magiche. Inoltre, avevano vissuto un'atmosfera di inimmaginabile felicità dal sapore gradevole. Poco dopo, invece, era stato comunicato ai due divi, i quali erano già in attesa di essere portati in salvo, che il dio dell'eroismo non sarebbe più andato a prelevarli e a condurli su Zupes, dove erano cominciati ad aversi i sinistri bagliori di guerra, la quale era stata voluta dal dio Brust. Così, a causa dei sopravvenuti fatti nuovi di una certa gravità, egli era stato obbligato a fare immediato ritorno al suo pianeta con l'intero equipaggio del Vurk.
La notizia era risultata all'uno e all'altra una vera doccia fredda e li aveva gettati in un raggelante sconforto. Scorgere la loro àncora di salvezza abbandonarli in piena burrasca, per loro due aveva rappresentato un mortale colpo alla nuca. Aveva provocato nel loro intimo un autentico shock, poiché esso vi aveva demolito ogni illusione e ogni porta aperta alla speranza. Quel repentino abbandono, da parte del divino eroe, era venuto a travolgere una realtà amica, la quale, fin dalla sua prima apparizione, era apparsa non solo sicura, ma pure a portata di mano. Insomma, dopo aver ricevuto da tale realtà il brutale addio, tutti i loro sogni si erano infranti, si erano spenti miseramente nella palude della delusione e si erano inariditi nelle sabbie di un deserto squallido e spoglio. Così alla fine, pur struggendosi nell'amarezza di una stupenda speranza svanita nel disinganno, entrambi avevano cercato di rincuorarsi a vicenda. In che maniera? Ricorrendo ad un lungo dialogo, il quale non poteva che risultare penoso e patetico.
Dei due sconfortati dialoganti, era stata la diva Elesia ad aprire bocca per prima. Con l'intento di risollevarlo dall'abbattimento psichico in cui si era inabissato, la poveretta aveva iniziato a far presente al suo amato:
«Anche se la disdetta non smette di perseguitarci, mio caro Ukton, ugualmente non dobbiamo avvilirci, come stiamo facendo in questo momento. Al contrario, ci conviene seguitare a sperare che, prima o poi, anche per noi ritornerà a splendere il sole, siccome le cose si aggiusteranno per bene. Perciò la speranza non ci deve abbandonare in nessun caso; al contrario, in noi essa dovrà restare accesa per permetterle di alimentare i nostri sogni e di illuminarli. Solo comportandoci nel modo che ho detto, ci verrà la voglia di esistere e la forza di seguitare a farlo!»
«Hai ragione, mia preziosa compagna. Inoltre, non ci serve a nulla demoralizzarci e distruggerci interiormente, a causa della iettatura che ci perseguita. Si sa che i patemi di animo non hanno mai risolto alcuna situazione dolorosa o difficile che sia; semmai ogni volta essi l'hanno soltanto aggravata! Per questo bisogna privarcene totalmente e sorridere alla dolce speranza, come tu mi hai suggerito. Siamo, quindi, speranzosi, in questa nostra nuova travagliata vicissitudine!»
«Bravo, Ukton! è in questa maniera che voglio sentirti parlare ed esprimerti! Preferisco scorgere in te l'indifferenza più assoluta verso le disgrazie, che la sorte si diverte a scagliarci addosso senza un minimo di moderazione. Essa vorrebbe farci sopraffare dalle sventure più nere e strazianti, senza mostrare neppure un briciolo di compassione verso di noi. Ciò, sebbene già rappresentiamo degli iellati naufraghi di un mare in forte tempesta, come se fossimo due cani rognosi!»
«A volere essere ragionevoli, Elesia, non ci è sempre possibile reagire all'ingiusto destino, come hai tu suggerito, quando non ci si mostra clemente e non ammette opposizioni da parte nostra. Specialmente poi se esso si mette di impegno, al fine di punzecchiarci e di arrecarci del male a lungo e in modo insopportabile, facendoci perdere la pazienza!»
«Al contrario, se vogliamo evitare di procacciarci da noi stessi una esistenza priva di ogni valore positivo, non dobbiamo arrenderci alle calamità, mio dolce Ukton, anche quando esse si mostrano perseveranti in noi. La tristezza può essere facilmente combattuta, surrogandola con la tiepida idea fissa che quanto prima qualche stella amica ritornerà a brillare nella nostra esistenza, mostrandosi più radiosa di prima e procurandoci infine una serenità imprevista!»
«In linea di massima, mia soave Elesia, si dovrebbe fare come mi stai consigliando. Certe volte, però, la conflittualità interiore ci mette a dura prova e ci fa ritrovare in una specie di crisi esistenziale. Allora non sappiamo neppure dove sbattere la testa e come leccarci le ferite. Direi che in una simile circostanza ci viene spontaneo perdere la calma, deprimerci e rattristarci, prendercela aspramente con chi ha osato infierire contro di noi! Purtroppo è la natura degli esseri esistenti e pensanti, tanto di quelli divini quanto di quelli umani, che reagisce in questa maniera. Per tale ragione, è molto difficile smuoverla da una simile sua presa di posizione e farla addirittura cambiare!»
«Non hai tutti i torti, Ukton. Lo sconforto spesso si trasforma in una brutta bestia dentro di noi, per cui non ci fa ragionare in alcun modo. Ma sono convinta che nessuna circostanza, sia essa bella oppure brutta, può durare una eternità. Tienilo bene a mente! Se oggi ci tocca il maltempo, prima o poi avremo anche il sereno dalla nostra parte. Allora non ce lo faremo sfuggire e ce lo godremo con la massima voluttà!»
Nei confronti dei due divi, mentre se ne andavano a zonzo nell'immenso spazio cosmico, le cose erano procedute esattamente come abbiamo visto. Kosmos, oltre ai suoi lati buoni, annoverava nella sua lista anche quelli cattivi. Da una parte, la stupenda bellezza delle girandole galattiche, conferendo all'universo un fascino imparagonabile con le sue popolazioni astrali, destava nel loro animo ogni sorta di stupefazione. Dall'altra, invece, il buio vuoto cosmico infondeva in loro tanta malinconia e una propensione per il pessimismo più oppressivo. A un certo punto, però, i due negletti divi erano stati costretti a porre termine al loro vagabondaggio, oltre che alle loro note di disperazione esteriore e di tormento interiore. Infatti, l'incubo di una esistenza minacciata aveva preso il loro posto e si era messo ad inoculare nell'animo di entrambi un terribile terrore, quale essi non lo avevano mai avvertito in precedenza.
Vagando poi per gli sconfinati sentieri di Kosmos mano nella mano, all'improvviso Ukton ed Elesia si erano sentiti come scossi da qualcosa di indefinibile. Cioè, avevano avuto la sensazione che una forza immane proveniente dall'esterno li avesse prima avvolti in un abbraccio paralizzante e poi si fosse messa ad operare su di loro una forte presa, obbligandoli a restare immobili. Dopo la quale, essi potevano solamente parlarsi ed esprimersi la loro sconcertante esperienza, anche se avevano ben poche cose da dirsi in quei momenti agghiaccianti e terrificanti. Infatti, essi riuscivano a scambiarsi la sola grande paura che si era data a giganteggiare in loro tremendamente e con uno spessore spaventoso! Dopo essere stati immobilizzati, i due divi in seguito si erano anche visti trascinare via, in modo continuo e con velocità costante. Era sembrato come se una forza misteriosa li stesse risucchiando nel suo vortice turbolento. Allora, essendosi accorto per primo che tutti e due erano rimasti imprigionati nella nuova tremenda situazione, la quale non lasciava a nessuno di loro spazi sia di movimento che di decisione, Ukton si era dato a gridare alla sua compagna:
«Elesia, avverti subito mio padre e Iveon di ciò che ci sta succedendo! Sollecitali a venirci in soccorso, se ci vogliono trovare ancora dotati di esistenza in questo periglioso Kosmos! Amica mia, ti raccomando: sbrìgati ad avvisarli, senza alcuno indugio!»
La diva non aveva perso tempo ad informarli della loro disgrazia in atto, attraverso il terribile messaggio inviato a Iovi, quello che già abbiamo avuto modo di apprendere. Ma fino a quando il dio Iveon non li aveva raggiunti, la loro esistenza aveva navigato in un marasma infernale ed aveva conosciuto gli attimi più spaventosi della loro esistenza. Nel vedersi e nel sentirsi risucchiare dalla forza oscura, il panico si era impossessato di loro in modo tremendo, moltiplicandosi via via. Essi avevano quasi smesso di provare quell'ambascia e quell'angustia, che poco prima la stavano facendo da padrone nel loro animo. Perciò, intanto che quella forza continuava ad operare su di loro un'attrazione irresistibile e fatale, i due scalognati divi si erano sentiti disperdersi in un qualcosa di ignoto e di spaventoso, senza più un presente ed un futuro. A un certo momento, Ukton ed Elesia si erano ritrovati in compagnia soltanto del loro timor panico. Il quale si era messo a spadroneggiare dentro di loro e a spaventarli a morte, intanto che li faceva sragionare follemente negli atti e nei pensieri. Infine, quando l'eroico dio era stato scorto da loro, essi si erano infiammati di intensa emozione e non volevano quasi crederci. I due divi, ovviamente, erano all'oscuro che in precedenza c'era stato un altro tentativo di raggiungerli e riportarli a Zupes, da parte del dio del coraggio e del gerark Vaulk. Ma ad esso era stato posto fine molto prima dal dio Osur, il quale, a nome del dio Kron, li aveva costretti ad interromperlo con effetto immediato.
All'apparizione del dio dell'eroismo, che rappresentava la divinità da lui adulata, Ukton, palesando una gioia immensa sul proprio volto, si era dato subito a gridargli:
«Finalmente sei arrivato, Iveon! Come puoi vedere, veniamo attratti da una forza arcana, dalla quale non riusciamo a divincolarci. Ma perché essa non procura alcun esito sfavorevole sulla tua divinità? Forse perché sei un dio adulto? Oppure c'è sotto dell'altro, magari un prodigioso intervento di Kron, che mi risulta di difficile comprensione?»
«Devi sapere, Ukton, che adesso mi trovo in Kosmos allo stato puro, cioè senza avere la psiche modificata per esisterci. Quindi, non c'entra la mia età. Invece la Deivora, ossia la forza occulta che sta esercitando la sua influenza negativa su di voi, riesce ad attrarre esclusivamente le divinità che si sono assoggettate alla modifica della loro componente psichica. La qual cosa, come sai, avviene attraversando una delle due nubi che si trovano in Luxan oppure attraverso la Fonte dell'Assimilazione di Tenebrun. Inoltre, altre divinità l'hanno ereditata per discendenza, per essere nate in Kosmos. Essa, pur volendolo, non è in grado di arrecare danni di alcun genere alle divinità che risultano presenti nello spazio cosmico, senza la necessaria nota modifica della loro psiche.»
«Iveon, si sa però che una divinità, senza la modificazione della loro psiche, può condurre in Kosmos soltanto una esistenza impossibile sotto diversi aspetti. Perciò tu come riesci a non accusare nessun tipo di disturbo psichico? Gentilmente, vuoi spiegarmi anche quest'altro mistero, che trovo assurdo e del tutto incomprensibile?»
«Vedi quest'anello che tengo infilato nel mignolo della mano sinistra? Ebbene, Ukton, è esso che mi permette una vita normale nella realtà cosmica, pur avendo la psiche immodificata! Si tratta di un prodotto taumaturgico, che poteva venirmi fornito solo dall'eccelso Kron, allo scopo di consentirmi quello che hai definito un vero mistero.»
«Dopo il tuo chiarimento, eroico Iveon, avendomi rivelato ciò che ti fa sfidare l'impossibile in Kosmos, ho compreso ogni cosa. Ma adesso sei in grado di sottrarci all'influenza della Deivora? Quando tenterai di farlo, dovremo temere qualche tipo di reazione da parte sua, visto che essa di sicuro ci sarà, essendo intenzionata a vietartelo a ogni costo?»
«Tra poco lo verificheremo e sapremo qualcosa riguardo a tale problema, Ukton. Nel frattempo, ti consiglio di non pensare a un fatto del genere, poiché è la cosa migliore!»
«L'ultima volta il mio amico Iovi ci ha comunicato che dei mostri nemici avevano sconfinato nella nostra circoscrizione. Per la quale ragione, mio padre aveva richiesto la tua immediata presenza su Zupes, dovendosi fronteggiare la loro invasione. Il vostro dietrofront indirettamente è andato contro di me e contro Elesia. Vuoi dirmi, mio eroico Iveon, come si è conclusa alla fine la guerra tra il nostro impero e quello delle divinità malefiche. Sono sicuro che tu hai condotto alla vittoria i nostri antimostri e, con essi, anche le divinità benefiche! Non è forse vero che è andata così la nostra battaglia contro gli dèi negativi?»
«Come hai supposto, Ukton, si è giunti ad un conflitto totale tra il nostro impero e quello delle divinità negative, durante il quale abbiamo riportato una schiacciante vittoria sui nostri nemici. Tutti i loro mostri sono stati distrutti. In seguito, si è pure proceduto contro quei pianeti dell'Ottaedro che facevano registrare sopra la loro superficie la presenza di divinità malefiche. Per cui essi sono stati disintegrati. Alla fine la massa delle divinità malefiche è stata vista battere in ritirata e dirigersi in Tenebrun. Esso è stato raggiunto solamente da quelle che non sono finite nelle maglie della Deivora, poiché le altre non avevano motivo di farlo. Così il famigerato Impero dell'Ottaedro non esiste più, essendo stato smantellato da noi divinità positive!»
«Che bella notizia mi hai data, dio dell'eroismo! Mi domando come le divinità malefiche potevano illudersi di vincere contro di noi, se le nostre forze avevano un condottiero del tuo calibro? La loro velleità di risultare vincitori poteva essere soltanto un'assurda pretesa!»
«Comunque, Ukton, devi convincerti di una cosa. Tutte le divinità benefiche si sono dimostrate molto valorose e hanno combattuto validamente nell'immane conflitto, che è scoppiato di recente. Tra loro, c'era anche tuo fratello Pluv. Egli si è ricoperto di gloria durante l'aspro conflitto, dimostrandosi uno strenuo difensore del nostro impero! Insomma, possiamo affermare che egli è stato un degno figlio di suo padre! Te lo posso giurare!»
«Questa è un'altra bella notizia, Iveon, perché anch'essa mi riempie di gioia! Sono contentissimo per il mio fratellone. Posso farti una confidenza, amico mio? In passato egli mi è stato sempre antipatico che non ti dico, a causa della sua manifesta supponenza! Sì, mi stava proprio sulle scatole, a dirla con gli umani! Invece ora, a un tratto, lo trovo assai simpatico e probabilmente potrà anche aspirare alla mia amicizia!»
Alle notizie date dal dio Iveon, la reazione di Elesia era apparsa opposta a quella di Ukton. La si era vista abbuiarsi in viso e lasciarsi prendere da un senso di mestizia. La trasformazione psichica della diva non era sfuggita affatto al divino eroe, il cui sguardo era pure concentrato su di lei. Egli, dopo averla studiata a fondo, le aveva domandato:
«Vuoi dirmi, Elesia, come mai le mie notizie ti hanno sia turbata che rattristata? Semmai saresti dovuta essere contenta che l'impero delle divinità negative è stato definitivamente distrutto! Oppure c'è qualcos'altro che ti ha fatto reagire in quella maniera che non comprendo, rendendo il tuo stato d'animo come lo scorgo in questo istante?»
«Certo che sono felice, Iveon, dal momento che ora vivo solo in funzione del mio Ukton. La sua felicità è anche la mia e non potrebbe essere diversamente! Non immagini il piacere che ho provato, nell'apprendere la sconfitta di mio padre Katfur e del suo kapius Brust! Invece è stato il pensiero della mamma a gettarmi in una grande costernazione. Negli ultimi tempi, ella ha cercato di essermi una vera madre, come non era mai avvenuto in precedenza. Aveva perfino preso a cuore la mia relazione con il mio amato Ukton, favorendola ogni volta che glielo chiedevo. Chissà che fine avrà fatta la poveretta e dove avrà trovato riparo durante la terribile guerra! Non oso neppure immaginarlo!»
«Questo non te lo so dire, Elesia. Possiamo solo avanzare le tre ipotesi, che adesso ti prospetto. La prima ce la fa ritenere salva in Tenebrun; mentre la seconda ce la fa pensare prigioniera nella rete della Deivora. Quanto alla terza, essa ci porta a credere che ella, avendo lasciato in tempo l'Impero dell'Ottaedro, sia poi scampata sopra un altro pianeta di Kosmos, dove si sta rifacendo una nuova esistenza. A questo punto, devo sbrigarmi a liberarvi dai tentacoli della Deivora, poiché più vi avvicinate al suo nucleo, più mi sarà difficile strapparvi alla sua forza attrattiva. Infatti, quest'ultima si presenta inversamente proporzionale alla sua distanza: quanto più piccola essa risulta, tanto più grande è l'attrazione esercitata dall'entità aliena sulle divinità.»
Prima di intervenire a favore dei divi, al fine di strapparli all'influenza della mostruosa aliena, il dio Iveon si era chiesto se fosse meglio salvarli uno per volta, oppure tentare di farlo contemporaneamente. Dopo, pur consapevole che cercare di liberarli insieme gli avrebbe comportato maggiori fatiche, lo stesso egli aveva optato per la seconda soluzione. Essa gli veniva dettata anche dal fatto che ignorava la reazione che si sarebbe scatenata nella Deivora contro la diva rimasta nella sua influenza, mentre egli metteva in salvo il suo compagno. Una volta presa tale decisione, avendola valutata quella che gli offriva maggiori garanzie per la sicurezza dei suoi protetti, il divino eroe si era accinto a metterla in pratica. Egli era convinto che, agendo in quel modo, non si sarebbe sbagliato.
Il suo primo provvedimento era stato quello di farli risultare all'interno di una stessa sfera energetica, la quale non avrebbe dovuto permetterne la separazione in nessun caso. Ottenuta la qual cosa, dopo il dio dell'eroismo l'aveva avvolta con un fascio di forze trattrici, le quali non si sarebbero dovute spezzare neppure nella peggiore delle ipotesi. Infine, nei confronti della sfera, egli si era dato ad esercitare una trazione opposta a quella che le stava imponendo la Deivora, pur stando ad una enorme distanza. Ma sebbene fossero immani i suoi estenuanti sforzi, il dio Iveon non era riuscito a ottenere alcun effetto in tal senso. L'influenza dell'avversaria seguitava ad esserci sui due divi terrorizzati, dimostrandosi in grado di prevalere su di loro, senza fargli subire alcun disturbo.
Procedendo così le cose, il dio dell'eroismo si era convinto che i soli suoi poteri, benché egli fosse una divinità maggiore, erano impotenti a competere con la Deivora, come del resto già gli aveva fatto presente il dio Kron. Quindi, doveva fare affidamento soltanto sull'anello che l'eminente divinità gli aveva consegnato e ricorrere ad esso, se voleva avere la supremazia sulla potente creatura aliena. In verità, ciò non era ancora scontato, dato che la Deivora rappresentava un mistero perfino per gli eccelsi gemelli! Dentro il suo intimo, egli bramava tanto che la potenza dell'anello si rivelasse superiore a quella dell'arcana forza oscura. Se così non fosse stato, la sopravvivenza dell'universo intero sarebbe stata a rischio! Inoltre, le divinità, che erano finite nel suo nucleo centrale, avrebbero smesso di esistere per sempre, siccome esse, pur senza venire distrutte dalla Deivora, nei suoi confronti sarebbe stato come se ciò fosse avvenuto. Difatti la loro esistenza, mostrandosi sepolta nell'incoscienza, si sarebbe presentata come se non ci fosse. Perciò essa non sarebbe stata migliore di quella delle divinità positive che decidevano di annientarsi volontariamente nella terribile realtà di Inesist.
Innanzitutto il dio Iveon aveva collegato alla potenza energetica elargita dall'anello la sfera e il fascio di forze che l'avvolgeva, sottoponendola ad un'azione trainante. Ricorrendo ad un provvedimento del genere, allo stesso tempo egli aveva potenziato l'una e l'altro. Soltanto dopo tale loro potenziamento, il dio dell'eroismo aveva dato il via alla trazione dei due divi, mostrandosi fiducioso che essa gli sarebbe stata consentita. Per sua fortuna, il divino eroe si era avveduto che questa volta il risultato era ben diverso da quello di prima, siccome il contenitore energetico che racchiudeva Ukton ed Elesia si era dato ad invertire il senso di marcia. Esso ora si lasciava trarre nella direzione da lui voluta, senza troppa fatica. La qual cosa aveva infuso una grandissima gioia negli animi dei due divi interessati, i quali non credevano ai loro occhi.
Pure il dio dell'eroismo, constatando che la sfera si faceva trainare senza difficoltà nella nuova direzione, appariva molto pago. Un simile fatto stava a dimostrare che l'anello era più potente della forza attrattiva della subdola Deivora. Ma egli, dopo quell'evento favorevole, si era ben guardato dal ritenere che il problema fosse stato già risolto. Per crederci sul serio, prima doveva sottrarre i due divi alla completa influenza della famigerata forza arcana e condurli in un'area di Kosmos, che fosse stimata da lui più che sicura. A suo parere, da quell'entità aliena immateriale ci si poteva attendere di tutto in ogni istante. Perciò sarebbe stato un madornale errore, se egli, sottovalutandola, si fosse permesso di considerarla un'avversaria già sconfitta definitivamente. Così pure sarebbe stato ancora peggio, se, in base a tale sua opinione priva di certezza, avesse abbassato la guardia. Se ne deduceva che era suo dovere restare allerta ed essere pronto a reagire a qualche suo intervento pernicioso, nel caso che esso fosse sopravvenuto inaspettatamente. In quella circostanza il dio dell'eroismo si andava domandando quale sarebbe stata la reazione della Deivora, nel vedersi trafugare due delle sue prede, e in quale misura essa sarebbe avvenuta, considerata anche l'eccessiva distanza del suo nucleo. Egli, più che chiedersi se la reazione ci sarebbe stata o meno, principalmente si andava ponendo i seguenti due quesiti: quale consistenza essa avrebbe avuto e come ne sarebbero usciti i due divi, dopo averla subita in modo deciso e sconvolgente?
All'inizio, tutto parve andare liscio come l'olio, pur restando i suoi protetti ancora all'interno dell'influenza della Deivora. Di lì a poco, però, alle loro spalle e ad una distanza non quantificabile, era incominciata ad intravedersi uno strano fenomeno. Si trattava di estesi campi di forza, i quali, assumendo la forma di ampi strati di nuvolaglia policroma, li stavano inseguendo con una stizza da definirsi forsennata. Appena li avevano scorti, Ukton ed Elesia ne avevano tremato, come se fossero foglie agitate dal vento. Invece il dio Iveon, per nulla preoccupato, era ricorso ai ripari, al fine di procurare sia a loro che a sé stesso una difesa appropriata. Egli aveva dato origine ad una nuova sfera energetica di massima potenza, nella quale avevano preso posto sia la sfera con i divi che la propria divinità. Secondo il suo giudizio, adesso la minacciosa offensiva della sua rivale non avrebbe potuto nulla contro di essa.
Quando infine le fiumane energetiche della Deivora li avevano raggiunti, si erano messi a scompigliare l'intero spazio cosmico circostante alla sfera protettiva, quella che dava ricetto al dio e ai tremanti divi. Intorno ad essa, dunque, era cominciata ad aversi una vera tregenda di rumori, di livide luci e di sconquassi. I primi si manifestavano con ringhi, mugghi ed urli infernali; i secondi, invece, davano luogo a folgori sinistre e a lampi accecanti. In riferimento ai terzi, essi, accanendosi con spietatezza contro la sfera, la facevano ritrovare in una sarabanda di oscillazioni e di scossoni, come se fosse nell'occhio di un ciclone. Le imperversanti forze a servizio della straordinaria creatura increata, quindi, mettevano a dura prova la parete della sfera. Sembrava quasi che volessero schiacciarla o squarciarla, con l'intento di strapparle il contenuto prezioso, il quale era rappresentato dai due spaventati divi. Pur di raggiungere tale loro scopo, adesso le medesime infierivano contro la sfera energetica come bestie impazzite e fameliche, cercando di fiaccarla, di indebolirne la resistenza e di spazzarla via, come se si fosse trattato di un esile fuscello.
A ogni modo, esse non riuscivano a conseguire il loro obiettivo, non essendone capaci; nel frattempo, però, creavano intorno ad essa un quadro spaventoso di rappresentazione della realtà. Il quale, in quegli orribili momenti, non appariva più come uno spazio vuoto e silente; ma era divenuto un crogiolo di fenomeni terrificanti e scioccanti. Per tale motivo si registrava nello spazio che circondava la sfera uno scatenarsi di nuvolaglie scombussolanti, ruggenti ed abbarbaglianti, che non desistevano dalla loro lotta feroce contro la ben difesa sfera energetica. Quest'ultima, presentandosi con una struttura coesa ed inespugnabile, non temeva per niente i loro ripetuti assalti. Al contrario, li sopportava con indomabile fierezza e senza scomporsi minimamente. Il dio Iveon, da canto suo, era persuaso che quel loro insistente ardore, prima o poi, sarebbe sbollito e li avrebbe lasciati in pace. Più che per lui, egli era portato a fare tali considerazioni a favore dei due divi, non volendo che essi soffrissero di quella rappresaglia scatenata condotta dalla Deivora. La quale la stava suscitando, soltanto perché non le garbava l'idea che le portassero via le due nuove essenze divine modificate. Inoltre, si era anche ripromessa di punire severamente la divinità, che ci stava provando con tracotanza.
Durante quella fase di massiccio attacco, da parte delle potenti forze deivorine, oltre che di esclusiva difesa da parte dell'aggredita sfera, Ukton ed Elesia non stavano assolutamente vivendo degli attimi felici. La preoccupazione che a un tratto il recipiente energetico potesse cedere, facendoli trovare sotto il potere dell'ignota entità aliena, non li teneva sereni. La loro esistenza appariva travagliata, pervasa di timori e di agitazioni, in preda a reazioni psichiche sconcertanti, le quali influivano negativamente sulla loro natura spirituale. Invece la risposta emotiva del dio Iveon non faceva registrare alcun segno di oppressione interiore. Egli stava affrontando il turbinoso evento senza farsi impressionare e scomporre da esso in nessun modo. Al contrario, si dimostrava una solida roccia inattaccabile in quel frangente indiavolato, che non voleva più smettere nell'accanirsi contro di loro. Nessuno sconvolgimento cosmico poteva ferire la sua sicurezza e la sua imperturbabilità, le quali doti si erano oramai rinsaldate e consolidate in lui come cemento resistente e duraturo.
Perché la barriera della sfera energetica reagiva unicamente in senso difensivo e non anche in quello offensivo? Non si era forse sempre saputo che l'attacco era la migliore difesa? Pure il dio Iveon si faceva la medesima domanda, ma senza riuscire a darsi una risposta esauriente. Comunque, egli era propenso a credere che essa non attaccasse le forze assalitrici della Deivora, poiché prima intendeva studiarsele a fondo. Perciò era convinto che a momenti ci sarebbe stata anche la sua reazione adeguata alla circostanza. Allora essa si sarebbe manifestata con un attacco esemplare contro tali forze e non avrebbe perso tempo ad annientarle con un'azione rapida e definitiva. Ovviamente, il dio Iveon non poteva suggerire alla barriera energetica come doveva reagire contro quel bombardamento di forze, che infuriavano da ogni parte e seminavano terrore nei divi Ukton ed Elesia. Alla fine la flemmatica conclusione del dio era stata la seguente: prima o poi, essa avrebbe perso senz'altro la pazienza. Perciò la sua controffensiva non si sarebbe più fatta attendere, facendo pentire amaramente chi la stava provocando.
Nel frattempo la diabolica aggressione delle irritanti forze della Deivora continuava ad imperversare intorno alla sfera energetica, la quale, mentre la tollerava, non dava ancora alcun segno di stanchezza. Esse facevano scatenare la loro ira furibonda contro ogni sua parte, come se volessero ridurla in pezzi, a forza di profonde azzannate energetiche. Le quali, però, si dimostravano impotenti ad ottenere qualche dato di fatto con le loro perverse intenzioni e con i loro intransigenti assalti, che si infittivano senza accennare a scemare. Quindi, l'attacco da parte delle imbestialite forze della Deivora durava da un'ora, allorquando la barriera della bersagliata sfera si accese di un colore rosso vivo. A quello strano fenomeno, il divino Iveon aveva temuto che la sfera stesse capitolando, per essere stata stressata dalle forze avversarie fino all'inverosimile, e che fosse anche sul punto di esplodere. Parimenti egli aveva provato pure a credere che un simile fenomeno volesse significare invece che la sfera si stava svegliando e si preparava a contrattaccare le forze nemiche, avendo intenzione di commisurare la propria reazione alla loro prepotenza. Ma non gli era stato necessario darsi la risposta da solo, poiché altri fatti nuovi, che erano seguiti poco dopo senza smentirsi, avevano badato a dargliela in maniera incontrovertibile e con la gratitudine di quanti vi stavano rifugiati dentro ancora tremanti.
Dunque, anziché registrarsi un collasso nell'ambito della struttura della sfera, il quale avrebbe dovuto prima farla raggrinzire in superficie e poi schiacciarla completamente, si era avuto ben altro effetto. A un tratto, da parte della barriera sferica, c'era stata un'ampia sventagliata di raggi energetici di massima potenza. Sgorgando dalla sua superficie ed irradiandosi tutt'intorno, essi si erano messi a dare battaglia alle convulse ed attaccanti forze della Deivora. In un battibaleno, le avevano assalite, le avevano imbrigliate, ne avevano raffreddato il fervore e si erano dati ad esaurire la loro essenza, quella che fino a quel momento le stavano rendendo gagliarde e spavalde. Per cui, a quel punto, erano cominciati a scemare tutti i turbolenti fenomeni, ai quali le forze avverse davano luogo, calando di intensità e di irruenza. Anzi, adesso ne scaturiva una fenomenologia aggressiva meno marcata ed invadente, meno imperiosa e dilavante. Ciò, perché esse si trovavano a dibattersi nella morsa di altre forze devastanti, le quali tendevano a ridimensionarne l'aggressività e gli effetti nocivi. In quel groviglio di forze contrastanti, dove le une venivano a subire la supremazia delle altre, sembrava aversi la netta vittoria di quelle che provenivano dalla sfera energetica. Esse si mostravano più determinate, più agguerrite, più vigorose e del tutto refrattarie a una sconfitta clamorosa; anzi, pareva che avessero coscienza del delicato compito che era stato loro assegnato. Per questo cercavano di svolgerlo e condurlo a termine, secondo gli ordini ricevuti, cioè in forma radicale e ultimativa.
In verità, il loro atto cosciente non doveva limitarsi al solo campo della difesa, visto che il loro principale obiettivo si presentava ben altro. Esso si identificava precisamente con l'estirpazione dallo spazio cosmico delle varie nuvolaglie energetiche inviate dall'entità aliena. Le quali, ad un loro primo esame, risultavano dei potenti concentrati di forze scatenate, che erano in possesso di infinite risorse. A un certo momento, infatti, le forze della sfera avevano profuso nello spazio cosmico circostante una energia purissima, la quale era da considerarsi la migliore che potesse provenire da una entità spirituale superiore. Essa, presentandosi sotto forma di candida e vivida luce, aveva dissolto dentro di sé le pestifere forze della Deivora. Reagendo in quella maniera, tale energia aveva riportato alla precedente calma lo spazio cosmico, dove si trovavano il dio Iveon e i due divi. Il qual fatto all'istante aveva avuto la sua ripercussione positiva sull'animo di Ukton e su quello di Elesia. Allora essi avevano ripreso a vivere la serenità di prima e a gustarsi quella gioia gradevole che proveniva ad entrambi dalla loro avvenuta liberazione dall'ignota entità aliena. Soltanto ora i due divi avevano la garanzia che nel futuro finalmente ci sarebbero stati per loro dei momenti propizi, ricchi di soddisfazioni e di sogni avverati. Quella magica prospettiva era dovuta all'intervento provvidenziale delle due eccelse divinità di Luxan. Esse, attraverso il dio Iveon, avevano reso possibile l'impossibile e donato alla loro esistenza il sapore di una felicità piena e gradita.
Dopo che c'era stata la scomparsa delle forze mordenti della Deivora, che non avevano dato modo di far comprendere che fine avessero fatto, il dio dell'eroismo aveva proceduto a disattivare lo schermo protettivo della sfera, la quale era stato in grado di proteggerli eccellentemente. Avvenuta la sua disattivazione, mentre palesava un'enfasi di gaudio, era venuto spontaneo al secondogenito del dio Vaulk mettersi a gridare:
«Evviva! Siamo salvi! Fortunatamente per noi tre, le energie della sfera hanno prevalso sulle forze della Deivora, debellandole e facendole sparire dalla circolazione! Grazie, Iveon, per averle guidate a conseguire un obiettivo di questo tipo, a totale nostro beneficio!»
Il dio, spegnendo un po' il suo esagerato entusiasmo, gli aveva replicato:
«Ukton, soltanto dopo che saremo usciti dall'influenza dell'entità aliena, potremo cantare vittoria. Ma fino a quel momento, se fossi in te, eviterei di darmi ad una qualsiasi forma di effusione e di giubilo! Perciò dobbiamo ancora avere parecchia pazienza, prima che ciò avvenga in modo stabile e permanente! Mi sono spiegato adesso, gioioso divo?»
Le parole del dio dell'eroismo, anche se avevano intristito in parte il divo, reprimendogli alquanto il morale, non avevano spento in lui alcuna speranza. Per la qual cosa, egli gli aveva ribadito:
«Ammesso che ci dovesse essere un nuovo attacco da parte di altre forze della Deivora, mio insuperabile campione, sono convinto che la sfera energetica saprà ancora difenderci magnificamente e sconfiggerle, come ha fatto poco fa! Scommetto che pure la mia compagna Elesia è del mio stesso parere, per cui ella non si preoccuperebbe affatto, se ci dovesse essere un'altra loro invasione!»
«Mi fa piacere, Ukton, che tu sia convinto di quanto hai dichiarato e mostri una immensa fiducia nella sfera. Ma adesso cerchiamo di riprendere la nostra corsa, la quale dovrà allontanarci sempre di più dalla nemica delle divinità, siano esse positive oppure negative. Solo dopo che avremo smesso di essere sotto la sua influenza, potremo considerarci al sicuro al cento per cento dalle sue forze attanaglianti!»
Intanto che i due divi innamorati si scambiavano teneramente qualche sorriso e alcune carezze, il dio Iveon aveva seguitato a trarli in salvo, senza sospendere neppure un poco il traino della sfera che li ospitava. Mentre il trasporto avveniva senza difficoltà, a un certo punto, il dio si era accorto che l'influenza della Deivora era cessata. Lo aveva compreso dal fatto che la loro velocità era assai aumentata, poiché la sfera non veniva più rallentata dalla creatura aliena. Ma egli preferì andare avanti ancora per molto, prima di ritornare indietro a combattere e ad annientare l'odiosa ed imbestialita sua avversaria. Quando infine aveva raggiunto una ragionevole distanza dallo spazio cosmico influenzato dalla Deivora, il dio dell'eroismo aveva stabilito di lasciare i divi sopra Eknod. Si trattava di uno sperduto pianeta situato nella galassia di Procal, il quale orbitava solitario intorno alla stella Samel. Dopo aver posto piede su di esso e vi si erano anche sistemati, l'eroico dio si era dato a comunicare alle due giovani divinità:
«Adesso vi devo salutare, miei cari divi, siccome la mia missione non è ancora terminata. Essa potrà dirsi conclusa, quando avrò eliminato la pericolosa Deivora, perché mai più nessuna divinità ne diventi una vittima. Questo è anche il volere degli eccelsi gemelli, i quali mi hanno inviato qui principalmente con questo obiettivo!»
«Per quanto tempo, Iveon, dobbiamo rimanere su questo pianeta ad aspettarti?» gli aveva domandato il divo Ukton «Inoltre, se malauguratamente tu non dovessi farcela contro la divinità aliena, che ne sarebbe di noi due? Ma speriamo che tu riesca nella tua difficile impresa e ritorni a riprenderci al più presto! Altrimenti il nostro calvario continuerà ad esserci per un tempo smisurato, prima di essere recuperati da altre divinità!»
«Non preoccupatevi di ciò, Ukton. La tua Elesia, tramite Iovi, adesso avviserà tuo padre che vi ho liberati e che quindi possono venire a prelevarvi nella galassia di Procal, la quale appartiene all'ex Impero dell'Ottaedro. Vi posso assicurare che essi accorreranno immediatamente da voi, vi preleveranno e vi condurranno sopra il nostro pianeta Zupes, dove non avrete più niente da temere! Non siete contenti di ciò?»
«Lo saremmo senz'altro, Iveon, se quanto hai asserito fosse possibile! Per favore, vuoi dirci come faranno mio padre e Iovi ad intercettarci, se ignorano del tutto dove ci troviamo? Hai forse dimenticato che ciò non sarà possibile, pur ricorrendo alla telepatia? Cosa sai rispondermi a tale riguardo, siccome è vero quanto ti ho affermato?»
«Questa difficoltà è stata superata, Ukton, e non devi più preoccupartene. Il tuo amico Iovi, tenendosi in comunicazione telepatica con Elesia, saprà facilmente trovarvi nel punto esatto in cui siete in questo momento. Ti garantisco che avverrà esattamente come ti ho riferito. Hai scordato che lo stavamo già facendo l'altra volta?»
«Non ti comprendo, Iveon. Essendone lo scopritore, so benissimo che telepaticamente due divi si possono soltanto trasmettere i pensieri, senza essere in grado di individuarsi nei rispettivi luoghi di trasmissione! Dunque, ti pongo di nuovo la mia domanda: Volendo, come farà il mio amico a ritrovarci, pur ricorrendo alla telepatia?»
«Ciò che non sai, Ukton, è che Iovi ha perfezionato il processo della telepatia. Egli, al momento attuale, grazie alla sua tecnica aggiornata, può vedere anche dove si trova il divo con cui è in contatto telepatico. Dopo averti messo a conoscenza degli ultimi sviluppi di Iovi sulla tecnica telepatica, adesso ti è tutto chiaro o non ancora?»
«Certamente, Iveon! Allora devo riconoscere che il mio amico Iovi, essendo stato in grado di perfezionare la mia scoperta come mi hai riferito, mi ha perfino superato. Eppure fui io a concepire e a suggerire a lui la trasmissione dei pensieri per via telepatica!»
«Questo lo sappiamo tutti su Zupes, mio caro Ukton! Da parte sua, Iovi non ha omesso di farcelo presente. Ma ora è giunto il momento di separarci. Per questo, mentre voi due aspettate che vi vengano a prendere con un antimostro Vurk, io mi avvio verso la Deivora per affrontare la mia ardua e pericolosa impresa. Anche tuo padre, come te, non vede l'ora di riabbracciarti. Sono sicuro che ci saranno con lui pure i tuoi due fratelli, il più grande e il più piccolo di te. Quanto al tuo fratello maggiore, di sicuro sarà lui a guidare il poderoso ente opponente!»
«Lo credo anch'io, amico Iveon! A questo punto, però, fammiti dire: "In bocca al lupo e che la perfida Deivora riceva da te la lezione che si merita!" Ti prometto che nel frattempo saremo pazienti ed impavidi su questo pianeta, in attesa che arrivino da Zupes mio padre e i miei fratelli. Una volta che ci avranno raggiunti, essi ci preleveranno e ci condurranno direttamente tra le braccia della mia tribolata madre!»