142-IL RITORNO DEL DIO IVEON SUL PIANETA TREUN
Erano trascorsi ormai una trentina di anni, da quando il divino Iveon aveva soggiornato per oltre un mese sul pianeta Treun. Dopo quel periodo di tempo, che agli umani risultava abbastanza lungo e che gli esseri divini consideravano assai scarso, il dio dell'eroismo aveva avvertito una grande nostalgia del villaggio di Cerpus e dei suoi abitanti. Soprattutto gli era ancora rimasta nel cuore la graziosa Grael, la quale, a causa dei tanti anni trascorsi, adesso era ormai diventata una donna matura. Per cui ella doveva presentarsi con un aspetto diverso, avendoglielo trasformato l'elemento temporale. Esso, infatti, abituato a non fare sconti a nessuno, imponeva la sua tirannica legge ad esseri viventi e non viventi, ma a questi ultimi un po' meno. Al ricordo della sua fugace permanenza tra i Cerpusini, il dio era stato assalito da un assillo angosciante, il quale non smetteva di procurargli una profonda tristezza nell'animo. Egli, stranamente, era spinto a credere che i poveretti ancora una volta si trovassero alle prese con qualche nuova disavventura. A tale riguardo, si prefigurava perfino chi potesse essere la causa della loro attuale sciagura da lui temuta. Allora, venendo pressato da quella preoccupazione che non tendeva a smorzarsi dentro di sé, il divino Iveon aveva lasciato il pianeta Zupes e si era messo in viaggio alla volta di quello di Treun. Egli lo raggiunse dopo una traversata cosmica, la quale, secondo la sua concezione del tempo, risultata relativamente breve.
Non appena aveva messo piede sul pianeta treunino, il dio Iveon si era accorto all'istante che nel villaggio tante cose erano profondamente mutate. Le persone della nuova generazione, ossia quelle che non superavano l'età di quarant'anni, di sicuro non sapevano neppure chi egli fosse. Mentre gli altri Cerpusini di maggiore età, essendo andati incontro ad un marcato invecchiamento dei loro tratti somatici, a causa dell'inevitabile legge della natura, si presentavano più o meno irriconoscibili. Ma ciò che dispiaceva di più al dio era il fatto che non riusciva più a scorgere sui loro volti quella serenità che anni addietro egli vi aveva fatta ritornare. A quel tempo, il dio dell'eroismo ve l'aveva scolpita così vistosamente, che non si faceva fatica ad avvistarla nemmeno ad un miglio di distanza. Invece adesso aveva l'impressione che i Cerpusini avessero smarrito di nuovo il desiderio di vivere e che fossero dediti a consumare la loro esistenza in compagnia del più nero pessimismo.
Essendosi reso conto della reale situazione del villaggio, immediatamente la preoccupata divinità benefica era volata alla capanna del capo del villaggio per controllare se Arbes fosse ancora vivo e continuasse a ricoprire la carica di un tempo. In essa aveva trovato i soli Grael e il suo anziano padre, poiché la madre Fenula era morta da un paio di anni; mentre i suoi fratelli, essendosi ammogliati, erano andati a vivere con le rispettive famiglie nelle loro capanne. Quando il divino Iveon vi aveva fatto la sua apparizione, con le identiche fattezze di tanti anni addietro, i due congiunti si erano mostrati impacciati e non sapevano come accoglierlo nella loro dimora. Essi erano indecisi se riceverlo con la calda enfasi della felicità, quella che erano abituati a riservargli tempo addietro; oppure manifestargli la freddezza, che proveniva dalla loro riprovazione. Nel frattempo, però, essi tacitamente preferivano dimostrargli la loro contrarietà, a causa di qualcosa che l'ignara divinità per il momento non riusciva ad afferrare. A quel loro freddo atteggiamento, il dio, con il chiaro intento di rompere il ghiaccio, si era rivolto ai due consanguinei con tono riprensivo, dicendo:
«Ehi, voi due, non ditemi che non mi avete riconosciuto, perché sono rimasto identico a quello che ero tanti anni fa, quando vi lasciai a vivere la vostra serenità! Perciò posso sapere cosa vi ha presi, per riservarmi un trattamento volutamente glaciale, anziché accogliermi con la gaiezza di allora? Secondo quanto mi risulta, non credo proprio che io vi abbia arrecato un grave torto durante la mia permanenza su Treun!»
Se la ragazza aveva optato per il silenzio a oltranza, come faceva immaginare la sua espressione mimica, il padre invece era intervenuto a giustificare il clima di silenzio con cui lo stavano accettando nella loro dimora. Così, mostrandosi per niente allegro, l'anziano uomo si era dato a rispondergli al posto della sua muta terzogenita. Le sue parole erano state le seguenti:
«Tu avevi fatto tantissimo per noi, divino Iveon, e noi te lo avevamo riconosciuto; perciò, come ringraziamento, avevi ricevuto la nostra totale gratitudine. Ma non avresti dovuto guastarci la minestra con quanto ci hai combinato in seguito, facendoci trovare di nuovo nei guai! Ti prego di non fare l'ingenuo e l'incredulo, dal momento che sai bene a quale tua colpa mi sono riferito. Essa non può essere affatto giustificata!»
«Arbes, se mi stai rinfacciando ciò che penso, sappi che fu tua figlia a pretenderlo da me! Ella mi implorò, perché mi congiungessi carnalmente con lei! Pensa che minacciò perfino che si sarebbe tolta la vita, se non avessi accondisceso al suo desiderio! Ecco come andarono le cose quella volta, ossia poco prima che abbandonassi il vostro pianeta! Perciò non potete addossarmene alcuna colpa!»
«Invece a noi non dispiacque, divino Iveon, che nostra figlia fosse stata inseminata da un dio generoso come te. In merito, sappi che i suoi familiari e l'intera popolazione cerpusina accolsero l'evento con orgoglio e con immensa soddisfazione! Posso garantirti che allora tutto il popolo di Cerpus, senza fare eccezione di nessuno, ne andava fiero! Lo sai perché? Da tutti ci si attendeva dal parto di mia figlia la venuta nel nostro villaggio di un essere prodigioso, il quale avrebbe fatto grandi cose per noi. Invece esse andarono non come avevamo sperato. Per cui oggi ci ritroviamo ad avere a che fare con un tiranno diabolico, che senza interruzioni ci vessa e rende la nostra esistenza un'autentica geenna!»
«Quindi, Arbes, a ciò era diretta la tua allusione, quando mi hai rinfacciato di avervi in seguito rovinato la minestra! Ma non ho ancora capito in che modo io ve l'abbia guastata, dopo che vi lasciai, ossia durante la mia assenza da Cerpus. Voglio che me lo spieghi tu, dal momento che non riesco a comprenderlo da me!»
«Considerato che gli autori delle nostre attuali sciagure siete stati tu e mia figlia Grael, è meglio che sia lei stessa a metterti al corrente di ogni cosa, dio Iveon. Spero pure che ella dopo prenda la decisione giusta, quando avrà finito di narrarti l'intera vicenda. Oramai la gente del villaggio non ce la fa più a sopportare l'abominio a cui essa è costretta! In un certo senso, la tua presenza mi rincuora, visto che tu solo puoi sbarazzarci del nuovo mostruoso oppressore di Cerpus! Per questo la tua ex amata dovrà capacitarsi che ciò è necessario fare nel modo più assoluto, se desidera che tra di noi venga restaurato il bel principio di libertà e venga rovesciato contestualmente l'oltraggioso sopruso, del quale siamo vittime da diversi anni. Ella dovrà persuadersi, una volta per sempre, che occorre mettere da parte il suo amore materno e sacrificare il perfido figlio uscito dal suo grembo!»
«Insomma, volete farmi capire qualcosa in questa vicenda, se non vi dispiace?» si era dato ad urlare il dio Iveon «Vedo che qui si continua a parlare con circonlocuzioni! Tu, Grael, cosa hai da dirmi a tale proposito?! Su, sbrìgati a riferirmi ciò che devo sapere, per favore! Così dopo, se dovrò impegnarmi a togliervi da qualche altra sopraffazione, non esiterò a farlo, essendo mio dovere estirpare il male dove esso alligna!»
A quel punto, la quarantottenne donna era esplosa in un pianto disperato, il quale era sembrato che non volesse avere più fine. Soltanto dopo che il dio da lei amato l'aveva abbracciata e calmata, ella aveva iniziato a raccontargli ciò che era avvenuto durante la sua assenza dal loro villaggio. Con una tristezza ben visibile, Grael si era messa a riportare i fatti che vi si erano svolti, da quando il dio Iveon era andato via dal loro pianeta fino al suo ritorno su di esso. Allora noi, intanto che la sventurata donna si darà a narrarli al suo divino amato, non ci dispenseremo dall'ascoltarli insieme con il dio positivo; invece li apprenderemo insieme con lui dal primo all'ultimo, senza tralasciarne nemmeno uno.
[Due mesi dopo che andasti via dal nostro pianeta, mio divino Iveon, essendomi accorta che ero incinta di te, ne fui molto felice e cominciai ad attendere con ansia la nascita del nostro bambino. Mi rallegravo immensamente, al pensiero che egli avrebbe avuto un dio come padre. Nello stesso tempo, mi andavo chiedendo con quali caratteristiche il nostro piccolo sarebbe nato, quali propositi avrebbe avuto e come avrebbe considerato noi esseri umani. Mai pensai male di lui, essendo convinta che il nascituro, essendo tu suo padre naturale, di sicuro sarebbe stato un essere meraviglioso. Infatti, ero convinta che, con il trascorrere degli anni, tuo figlio avrebbe reso la mia vita stupenda sotto ogni aspetto.
A quattro mesi dalla tua partenza, la mia pancia si gonfiò a tal punto, che anche gli altri si resero conto della mia gravidanza. Perciò, a cominciare dai miei genitori e dai miei fratelli, essi si andavano chiedendo chi mi avesse ingravidata, visto che non ero una donna sposata. Quando poi gli rivelai che il genitore del mio bambino eri tu, contrariamente a quanto mi attendevo, nessuno dei miei familiari e neppure un solo Cerpusino mise in dubbio la mia parola. Anzi, dal giorno della mia rivelazione, cominciai a rappresentare per tutti quanti loro una donna privilegiata e degna del massimo rispetto.
La gestazione non mi procurava complicazioni di sorta, la qual cosa mi rassicurava che anche il futuro parto non mi avrebbe creato dei seri problemi. Infatti, come avevo previsto, esso fu eutocico, per cui si svolse regolarmente; però mi riservò una grande sorpresa. Anziché un solo bambino, misi alla luce una coppia di gemelli biovulari. In verità, l'evento non mi dispiacque e lo accettai con sommo gradimento, essendo persuasa che i due marmocchi erano tutti e due figli tuoi. Entrambi i neonati si presentavano fisicamente sani, molto svegli ed affamati come lupacchiotti. L'unico fatto strano stava nel diverso colore della loro pelle. La carnagione di uno, cioè di quello che avevo chiamato Emiel, era come la nostra. Invece quella dell'altro, a cui avevo dato il nome di Lustok, si presentava velata da una patina di colore verderame accentuato. La qual cosa mi portò a credere che il solo Lustok, a causa della sua pelle diversa dalla nostra, fosse tuo figlio. Perciò continuavo a chiedermi chi fosse invece il padre dell'altro bambino, considerato che non mi ero accoppiata con nessun altro essere, fosse egli un uomo o un dio.
I due gemelli avevano un anno, quando furono lasciati soli nella nostra capanna, poiché tutti gli altri della famiglia avevamo preso parte al matrimonio di un nostro parente. Durante la nostra assenza, essa prese fuoco, per cui le fiamme, in men che non si dica, divorarono completamente la nostra abitazione. La gente, che era accorsa a spegnere il divampante incendio, poté solo prendere atto che non c'era più niente da salvare, ritenendo morti i miei bambini lasciati in casa. Al contrario, le persone, che erano accorse per spegnere l'incendio, udirono dei vagiti provenire dalle rovine fumanti della capanna. Il loro pianto allora li spinse a rovistare fra le varie suppellettili brucianti, le quali venivano ancora azzannate da tenui fiammelle. Con grandissima sorpresa, i soccorritori trovarono i due bambini indenni da ogni azione del fuoco: i loro corpi si presentavano solo leggermente affumicati e sporchi di cenere. Quel prodigio non fece altro che confermare agli abitanti del villaggio che i due gemelli da me partoriti erano davvero tuoi figli, anche quello su cui nutrivo dei forti sospetti, ossia Emiel. Esso convinse anche quelle persone che in passato avevano mostrato dello scetticismo circa la loro paternità, pur non avendomelo mai fatto intendere apertamente.
All'età di tre anni, i nostri due pargoletti si resero protagonisti di un altro mirabolante episodio. Siccome un nostro vicino ci aveva regalato un gattino, quotidianamente Emiel e Lustok con le loro birichinate lo rendevano martire, facendolo disperare in continuazione. Una mattina, mentre essi gli facevano l'ennesimo dispetto, a un tratto il micetto sgattaiolò come un bolide all'esterno della capanna. Ma l'animale non era solo, poiché lo inseguivano quelli che rappresentavano i terremoti di casa. Allora, vedendosi ancora braccato da vicino dai suoi perseveranti inseguitori, il piccolo felino pensò di trovare scampo nella chioma di un grande albero di gelso. Perciò, arrampicandosi sulla corteccia del suo tronco, la raggiunse fulmineamente. Quanto ai nostri due bambini, facendo allibire quelli che si stavano gustando lo spettacolo, con una facilità impressionante operarono anch'essi un arrampicamento sul grosso tronco, il quale si rivelò ancora più rapido di quello della bestiola. Quando infine lo ebbero raggiunto tra i rami frondosi, i due bricconcelli prima se ne riappropriarono e poi fecero un bel salto nel vuoto. Sbalordendo tutti, essi non si procurarono neppure un graffio dalla caduta.
Soltanto a tredici anni, i due adolescenti gemelli iniziarono ad esternare la loro vera indole. Ci stupiva il fatto che essa non si rivelasse uguale in entrambi. Tutti notavamo che quella dell'uno era diametralmente opposta a quella dell'altro. Di preciso, l'indole di Lustok si presentava biliosa e perfida; mentre quella di Emiel si mostrava tranquilla e bonaria. Anche i loro caratteri si mostravano antitetici. Il primo era un tipo collerico, vendicativo, insofferente di ogni cosa; soprattutto egli era malvagio ed egoista. Invece il secondo era simpatico, solare, generoso, paziente ed altruista. Per tale ragione, nella nostra famiglia Lustok veniva amato meno di Emiel. La quale nostra predilezione per il fratello lo mandava in bestia e gli produceva parecchia stizza nell'animo. Anzi, glielo faceva odiare maggiormente di più, fino a non digerirlo e a litigare con lui senza mai smettere, a volte anche per un nonnulla.
Avevano compiuto sedici anni di età, quando, in seguito ad una banale discussione, i due gemelli si ritrovarono a litigare al centro del villaggio. In verità, la lite, come sempre, fu voluta dal solo Lustok, poiché si mise a vantarsi di essere più forte e più in gamba del fratello. Emiel, da parte sua, con molta pazienza cercò in ogni modo di farlo ragionare; però senza riuscirci. Alla fine, non potendone più, egli decise di ritornarsene a casa, lasciando in quel luogo il gemello che ancora sbraitava come un forsennato. Ma Emiel aveva fatto appena pochi passi in direzione della sua capanna, allorché si sentì pugnalare proditoriamente alle spalle dall'indispettito germano.
All'aggressione di Lustok, effettuata a danno del fratello gemello, la gente presente intervenne per rinfacciargli il vile atto da lui commesso. Inoltre, additandolo come una persona indegna di restare nel loro villaggio, lo invitò a vergognarsi della sua inqualificabile condotta. Allora egli, nel vedersi addosso tanti occhi accusatori che gli manifestavano la loro disapprovazione, scappò via senza perdere tempo. Le stesse persone provarono subito dopo a curare il profondo taglio che si era prodotto sulla schiena di Emiel, cercando di tamponarglielo alla meglio. Ma prima che esse ci mettessero le loro mani, la brutta ferita li fece restare di stucco. Il motivo? La videro rimarginarsi da sola sotto i loro occhi basiti, facendo perfino sparire ogni traccia della cicatrice che si era appena formata. Anche dopo quell'ingiustificabile gesto di Lustok, almeno i rapporti di Emiel con lui seguitarono a mantenersi discreti. Mentre nessuno poteva sapere che cosa il fratello covasse nel proprio intimo e che tipo di rancore nutrisse nei confronti del suo indulgente gemello.
Da quel giorno gli abitanti del villaggio cominciarono a temere il cattivo Lustok. Essi venivano intimoriti dal fatto che una persona trista come lui aveva a disposizione delle prerogative tanto speciali. Le quali, attraverso l'invulnerabilità, la rendevano invincibile, rispetto agli altri Cerpusini, fatta eccezione del benamato fratello Emiel. Costui, per fortuna, poteva porgli un freno, ogniqualvolta egli manifestava ingiustamente la sua innata cattiveria a danno di qualche abitante del villaggio.
Nel frattempo gli anni trascorrevano in fretta e il carattere di Lustok peggiorava sempre di più. Esso diveniva più difficile ed insopportabile, fino a renderlo ostile a tutti i Cerpusini. Il cattivo gemello seguitava a minacciare e ad impaurire chiunque non gli si dimostrasse un vero leccapiedi e non lo adulasse in modo spudorato. Spesso si scagliava perfino contro il fratello che era malvisto da lui, unicamente perché godeva dei suoi stessi privilegi. In cuor suo, avrebbe voluto che egli non esistesse e che il villaggio ne restasse privo. Così avrebbe avuto campo libero di poter fare in esso tutto ciò che la sua mente perversa gli suggeriva. Dal canto suo, Emiel cresceva in modo esemplare, seguendo le orme del padre. Egli era benvoluto dai Cerpusini e quelli anziani affermavano che il giovane semidio, diversamente dal fratello, andava considerato degno figlio del suo divino genitore, che avevano conosciuto anni addietro.
Avevano compiuto il loro ventesimo anno di età, quando un bel giorno i nostri giovani gemelli si erano visti allontanare insieme dal villaggio. Ma soltanto uno di loro, cioè Lustok, vi fece rientro con un'aria abbastanza soddisfatta. Da quel mattino maledetto, per sfortuna di tutti, non si sarebbe più sentito parlare del bravo Emiel, come se le viscere della terra lo avessero inghiottito. Quando Lustok fece ritorno a casa da solo, in famiglia nessuno fece caso alla mancanza del fratello, siccome egli poteva benissimo essersi trattenuto nel villaggio a discutere con qualche amico incontrato per strada. La mattina dopo, però, quando ci rendemmo conto che Emiel aveva trascorso la notte fuori casa, all'istante ci allarmammo tutti ed iniziammo a preoccuparcene in modo serio. Quanto a me, subodorando qualcosa di lercio nell'assenza inspiegabile da casa di Emiel, mi venne spontaneo prendere di petto l'altro mio figlio, che era presente, e chiedergli alquanto adirata:
«Vuoi dirmi, Lustok, dov'è finito tuo fratello Emiel? In Cerpus, ieri alcuni lo hanno visto uscire all'alba dal villaggio in tua compagnia, senza farvi ritorno. Come giustifichi questo fatto insolito? Comunque, non puoi asserirmi che egli all'improvviso ha deciso di lasciarci senza neppure avvisarci e salutarci, poiché non ti crederei!»
«Mica sono il guardiano di mio fratello, mia seccante genitrice! Egli sa benissimo badare a sé stesso e non ha bisogno di me per cavarsela da ogni situazione scabrosa gli possa capitare. Inoltre, devi sapere che, una volta usciti da Cerpus, ognuno di noi ha preso una strada differente e se ne è andato per i fatti suoi. Vedrete che, prima o poi, egli rincaserà! Ecco come stanno esattamente le cose, se ci tieni a saperlo, madre!»
Mio padre non rimase soddisfatto della risposta che Lustok mi aveva data con una palese sfacciataggine. Per questo volle assalirlo con altre domande frammiste a manifeste accuse, allo scopo di metterlo con le spalle al muro. Così si diede ad esprimerglisi con queste parole:
«Lustok, perché la sparizione del tuo gemello non ti ha fatto né caldo né freddo, lasciandoti del tutto indifferente? Perché non ti sei presa la briga di andare a cercarlo? Perché Emiel, proprio ieri che è uscito con te, non ha fatto più ritorno a casa? Te lo dico io il motivo, nipote ingrato! Tu lo hai sempre odiato, hai continuamente maltollerato il fatto che egli fosse dotato dei tuoi stessi privilegi! Invece avresti voluto che tu fossi il solo a dimostrare agli altri di avere dei poteri eccezionali, i quali trascendono le possibilità umane! Ecco perché non mi meraviglierei, se venissi a sapere che quel giorno hai accoppato tuo fratello! Al massimo, potrò avere difficoltà a spiegarmi in che modo tu lo abbia ucciso; ma sono sicuro che sei dovuto ricorrere all'inganno per riuscirci!»
«Ti ordino di smetterla, vecchio scimunito!» gli ruggì contro Lustok, mostrandosi parecchio infastidito «Altrimenti, anche se sei mio nonno, ti giuro che te ne farò pentire amaramente! Così dopo imparerai a come rivolgerti al sottoscritto, al quale devi il massimo rispetto! Mi sono spiegato adesso, rimbecillito, che non sei altro?»
«Osi minacciare tuo nonno, pur essendo egli il capo del villaggio, nipote scellerato? Ti ordino di mostrarti più riguardoso verso il padre di tua madre, il quale è la persona più rispettabile di Cerpus! Vorrei tanto che ci fosse qui tuo padre ad ascoltarti per farti impartire da lui la lezione che ti meriti! Inoltre, approfitti di tua madre, unicamente perché ella è una donna debole e non sa educarti come dovrebbe fare!»
«Ma il mio genitore non c'è, babbeo. Quindi, non ti serve esprimere i tuoi insulsi desideri! Invece adesso sarai tu a ricevere da me la giusta lezione, malmenandoti adeguatamente e togliendoti il comando del nostro villaggio! Così imparerai a rispettarmi e a non farmi più perdere la pazienza con le tue aggressioni da strapazzo!»
«Per favore, figlio mio!» intervenni allora a difesa del mio genitore «Non rivolgerti con questo tono ingiurioso a tuo nonno, che è anche mio padre! Non osare recargli lo sfregio a cui hai accennato. Esso ti farebbe odiare a morte sia da me che dall'intero nostro popolo, il quale non a torto già si mostra molto insofferente del tuo protervo comportamento!»
Alle mie parole, Lustok, dandomi uno strattone, mi allontanò da sé e mi mise da parte. Poi assalì suo nonno e si diede a riempirlo di botte, colpendolo con calci e pugni. Il poveretto, data la sua età avanzata, non poteva competere con lui ed opporgli un'adeguata difesa. Così, dopo averlo picchiato a sangue, mio figlio lo trascinò con la forza all'esterno della capanna. Lì, mettendogli un cappio al collo, lo costrinse a seguirlo per l'intero villaggio. Mentre avanzava per le sue vie e si tirava dietro il nonno come un cane al guinzaglio, Lustok andava gridando forte: "Popolo di Cerpus, da oggi in avanti, sarò io il vostro capo e non più questo vecchio decrepito e rincitrullito! Per il vostro bene, voglio farvi la seguente avvertenza: tutti coloro che oseranno opporsi a me saranno trucidati senza alcuna pietà!"
In quella turpe circostanza, ci furono alcuni Cerpusini che, di fronte al truculento spettacolo offerto dal nipote, si indignarono ed espressero la loro disapprovazione, scagliandogli anche contro alcune frecce. Allora Lustok riuscì a fermarne alcune con le mani, mentre erano in volo; invece si estrasse dal corpo quelle che erano riuscite a colpirlo, con l'istantaneo e totale rimarginamento delle ferite. Dopo egli rispedì le saette ai vari emittenti, lanciandole con la forza del braccio. Esse, colpendoli alla gola l'uno dopo l'altro, li fulminarono sul colpo. Furono sufficienti la sua dimostrazione strabiliante e la sua efficace reazione a trasformare i restanti Cerpusini in docili agnelli, rendendoli ubbidienti e fedeli come bestie. Da quel giorno, sotto il chiaro effetto della paura, cominciarono a considerare Lustok il nuovo capo del villaggio, evitando di indisporlo in qualche modo e di recargli la minima offesa.
Negli anni che sono seguiti, gli abitanti del villaggio non hanno mai saputo spiegarsi il mistero dell'improvvisa scomparsa del loro beniamino Emiel. Pur ritenendolo il responsabile di essa e l'autore della sua probabile morte, mai nessuno di loro ha osato chiederne la spiegazione al suo gemello Lustok, avendo paura di una sua reazione spietata. Da quel giorno è passato un decennio di tirannia, da parte di nostro figlio. Egli si è mostrato verso il suo popolo un despota crudele e lo ha obbligato a vivere senza sosta nell'abiezione e nel terrore. Inoltre, durante il secondo anno della sua dittatura, egli istituì il "diritto della prima notte". In base al quale, quando c'è un matrimonio nel villaggio, gli spetta trascorrere la prima notte con la sposa. Perciò la sventurata, se vuole vivere, deve concederglisi senza obiezioni; anzi, deve sentirlo come un dovere. Per fortuna, mai nessuna è stata fecondata da lui, probabilmente perché la sua natura semidivina rende il suo seme infecondo.
A questo punto, divino Iveon, ha termine il mio racconto, il quale è stato una specie di resoconto della storia del nostro villaggio dell'ultimo decennio. Ti faccio presente che non ho voluto riportare i tanti altri truci episodi, di cui egli si è macchiato in tutti questi anni, ad evitare di renderti la cronistoria assai lunga. Comunque, te li lascio immaginare! L'importante è che io ti abbia riferito quelle cose essenziali che dovevi conoscere per saperti regolare nei confronti del nostro folle figlio.]
Dopo aver terminato la sua lunga narrazione, la quale aveva abbracciato due lustri, Grael aveva preteso dei chiarimenti dal dio, circa la condotta niente affatto edificante assunta dal loro figlio Lustok. Perciò, mostrandosi massimamente contrariata, secondo lei a buon ragione, la poveretta aveva domandato al suo antico amore:
«Divino Iveon, come è potuto succedere che, da una divinità benefica quale tu sei, sia derivato un essere abietto come nostro figlio Lustok? Tu lo devi spiegare a me, a mio padre e a tutti i Cerpusini, i quali un tempo ti hanno conosciuto, stimato ed amato! Alcuni di loro ti hanno perfino maledetto, per avermi messa incinta e per avermi fatto mettere alla luce un essere ignobile come Lustok. Solo il nostro Emiel li faceva ben sperare; ma egli, dopo essere stato eliminato dal fratello, non ha potuto più fare alcuna cosa per loro! Quindi, vuoi spiegarci ciò che in questa nascita è andato storto, ammesso che ci sia una spiegazione plausibile in relazione a un fatto del genere?»
«Divino Iveon, anch'io voglio capirci qualcosa su tutta questa ingiustizia, la quale inaspettatamente è piovuta dal cielo sul mio popolo!» aveva preteso anche Arbes, l'ex capo del villaggio «Tu soltanto, grazie alla tua potenza divina, puoi chiarirci ogni cosa ed illuminarci in merito ai tanti sgraditi fatti accaduti nel nostro scalognato villaggio!»
«State tranquilli, amici miei,» il dio positivo si era dato a rispondere ad entrambi «che da me avrete il chiarimento che mi avete richiesto. Apprenderete alcuni fatti a voi ignoti, i quali vi stupiranno tantissimo. Comincio col rassicurarvi che Emiel, che è l'unico mio figlio, non può essere morto. Il fratello uterino era impossibilitato ad ucciderlo, non avendo egli le prerogative adatte per farlo. Contenti adesso?»
«Divino Iveon,» gli aveva obiettato Grael, infiammandosi un poco «entrambi i gemelli sono figli tuoi e non puoi dubitarne! Dunque, sei ingiusto ad asserirmi un fatto così assurdo! Inoltre, se Emiel è ancora vivo, come vuoi farci credere, perché non si è mai più rifatto vivo dalle nostre parti e non è venuto a liberare i Cerpusini dai soprusi del cattivo gemello? Allora ci spieghi anche questo particolare, che non capiamo?»
«Non ti scaldare per niente, Grael, se non vuoi che la bellezza svapori sul tuo volto! Ti dico che sbagli a mettere in dubbio quanto ti ho affermato poco fa. Io ti proverò che le mie affermazioni sono fondate e tu non potrai più muovermi alcun'altra obiezione. Adesso ti sei calmata per permettermi di continuare a spiegarti ogni cosa?»
«Sbrìgati a farlo, divino Iveon, perché mio padre ed io non aspettiamo altro! Sono anni che attendiamo tante risposte sulla nostra vicenda! Ti garantisco che ora sono serena!» gli aveva risposto la matura donna. Ella, ormai, aveva perso molto del suo passato pudore e, al bisogno, si presentava più agguerrita e spigliata che mai.
«Ricordi, Grael, il giorno del nostro triste addio, quando mi convincesti a concederti quel rapporto intimo, che di sicuro non avrai ancora scordato? Oppure non lo rammenti più? Se così fosse, mi faresti un grande torto e non mi perdonerei di avertelo concesso!»
«Certo che lo rammento, divino Iveon! Come potrei averlo dimenticato? Lo avverto ancora che mi pervade l'intero corpo, infiammandomelo di ardente passione! Ma vuoi dirmi cosa c'entra il nostro beato giorno di allora? Ha forse esso qualcosa di particolare che non riesco ad intravedervi per niente? Se è così, parlamene!»
«Prima di darci all'amplesso amoroso, mi raccontasti che la notte precedente avevi fatto un sogno, durante il quale ero venuto a chiederti di fare l'amore con me. Alla mia richiesta, trionfante di gioia, non esitasti ad esaudirla. Ricordi ancora, Grael, che mi facesti presente quanto ti ho appena detto oppure lo hai già dimenticato?»
«Rammento molto bene anche questo particolare, divino Iveon. Sì, pure quel sogno bellissimo ce l'ho ancora impresso nella mente, intenso e incancellabile, proprio come noi due lo avremmo vissuto realmente il giorno dopo! Ma richiamando alla mia mente quel lontano sogno, in realtà dove vorresti arrivare? Me lo vuoi spiegare?»
«Devi sapere, Grael, che quel tuo rapporto notturno non era stato un sogno e neppure ero stato io a fare l'amore con te durante la notte! Questa è la pura verità, che adesso ti esorto a metterti in testa, anche se giustamente sei di parere avverso!»
«Quindi, chi era stato ad ingannarmi, divino Iveon, se non eri stato tu il mio partner, in quello che mi era apparso un sogno? Dimmelo subito, per favore! Voglio sperare che non fosse stata quella perfida divinità a sostituirsi a te quella notte! Se fossi stata convinta di una cosa simile, pur di non far nascere il suo abominevole discendente, piuttosto mi sarei suicidata, prima di far sorgere il nuovo giorno!»
«Invece fu proprio il dio Trauz ad amoreggiare insieme con te, dopo avere assunto le mie sembianze. Per lui si trattò di una vendetta trasversale, volendo vendicarsi di me. Egli era intenzionato anche a farla finita con te, come nei suoi sacrifici, se non fosse stato costretto a scappare dalla mia presenza nei paraggi! Egli ti avrebbe strozzata, come se fossi stata una sua vittima!»
«Adesso capisco perché, a un certo punto, mi afferrasti il collo ed iniziasti a stringermelo forte. All'improvviso, lo mollasti e sparisti senza neppure salutarmi. Io non diedi peso al tuo gesto, poiché nei successivi momenti ero persuasa di esserci incontrati in un sogno. Invece il malefico dio aveva falsato la mia realtà ed aveva approfittato di me sul serio! Tu, divino Iveon, in effetti, quando ti accorgesti dell'inganno che era stato operato a mio danno dal dio Trauz? Vorrei conoscere anche quest'altro particolare, dal momento che il mattino dopo non me lo facesti notare neppure un poco!»
«Me ne accorsi, Grael, durante il nostro rapporto sessuale. Ma non volli palesarti niente per non intossicarti gli incantevoli istanti che stavi vivendo insieme con me. Sappi che il mio ritorno sul vostro pianeta mi è stato dettato soprattutto da questo motivo. Volevo sincerarmi che tu non avessi partorito un mostro, capace anch'esso di rendervi l'esistenza impossibile. Infatti, proprio come supponevo, ciò vi era accaduto!»
«Adesso che hai preso atto che quanto temuto da te si è avverato realmente presso il nostro popolo, mi dici, divino Iveon, che provvedimento intendi adottare nei confronti del figlio mio maledetto? Lascio a te deciderlo e non te ne vorrò neppure un poco, qualunque esso sarà! Secondo mio padre, egli va eliminato al più presto!»
«Il tuo genitore non ha torto, Grael. Perciò il mio primo dovere sarà quello di ridurre Lustok all'impotenza ed eliminarlo senza alcuna pietà. Così il vostro popolo riacquisterà ancora una volta la sua libertà e la sua serenità. Un tempo già ebbi modo di servire ai Cerpusini l'una e l'altra sopra un piatto d'argento. Come constato, adesso mi toccherà rifarlo per il loro bene. Comunque, non mi tirerò indietro anche stavolta!»
«Sebbene Lustok sia anche parte di me, lo sacrificherò volentieri, divino Iveon, essendo del parere che il male non debba prevalere sul bene. Dunque, fai quello che ritieni giusto, purché sul volto dei Cerpusini ritorni a brillare il sorriso! Ma adesso parlami dell'altro gemello, il mio prediletto Emiel. Tu mi hai garantito che egli, non potendo essere stato ucciso dal fratello, vive ancora in qualche posto. Allora perché egli non è venuto a rasserenarmi ogni attimo della mia esistenza e continua invece a non farlo? Vuoi spiegarmi che cosa potrebbe impedirgli di far ritorno alla sua dimora?»
«Di sicuro, Grael, nostro figlio Emiel è impossibilitato a farlo. Suo fratello, lo stesso giorno in cui egli sparì dalla circolazione, dovette tendergli qualche insidia. Dalla quale non è riuscito più a liberarsi, a causa di un impedimento fisico.»
«Se è come affermi, divino Iveon, egli, non essendo una divinità come il padre, sarà senz'altro morto di fame e di sete, dopo tanti anni senza mangiare e senza bere! Non ti sembra? Nessuno può resistere tanto a lungo, senza toccare né cibo né acqua! Oppure mi sbaglio, in merito al mio timore, siccome le cose non stanno come ho pensato?»
«Non darti pena per questo, Grael! Il tuo Emiel, essendo un semidio, non ha bisogno di alimentarsi e di dissetarsi per sopravvivere, come avviene per voi umani. Se i semidei certe volte mangiano e bevono insieme con gli esseri uguali a voi, lo fanno solo per imitarvi e farvi compagnia. Comprendi adesso, mia adorabile creatura, che nostro figlio non può essere morto per penuria di alimenti e di acqua?»
«Grazie, divino Iveon, per queste tue rassicuranti informazioni! Ora ti posso chiedere quando andrai a recuperare il nostro Emiel, visto che è rimasto intrappolato da tanto tempo, per colpa del fratello? Dovresti sapere che sono in ansia di rivedermelo davanti, per riabbracciarlo con gioia ed elargirgli tutto il mio affetto!»
«Andrò a liberarlo, Grael, dopo che avrò punito il malvagio Lustok per i suoi numerosi misfatti! A proposito, mi sapete dire dove posso trovarlo? Non vedo l'ora di incontrarlo e di dargli il benservito da parte di tutti i Cerpusini! Egli dovrà pagare a caro prezzo le diverse iniquità commesse a loro discapito! Questo lo comprendi, madre impaziente?»
«Domani è proprio il Giorno della Resa dei Conti, divino Iveon.» si era affrettato a rispondergli il risollevato Arbes «Perciò potrai trovarlo al centro del villaggio, nel medesimo posto in cui una volta si svolgevano i cruenti sacrifici dedicati al dio Trauz. è lì che Lustok è solito seviziare i Cerpusini da lui ritenuti colpevoli, per avergli mancato di rispetto o per aver criticato il suo operato alle sue spalle!»
«Allora, Arbes, conosco il luogo dove cercarlo. Ma anche se non lo sapessi, sono certo che domani mi accompagneresti volentieri sul posto. Adesso vorrei che tu mi spiegassi che cos'è questo Giorno della Resa dei Conti. Esso mi fa immaginare qualcosa tutt'altro che bello; anzi, mi fa pensare a cose soltanto brutte per alcuni Cerpusini!»
«Lustok ha voluto che l'ultimo giorno di ogni mese venisse dedicato alla resa dei conti. Ossia, egli trascina con la forza nel posto suddetto le persone che, secondo lui, hanno tramato contro la sua persona oppure si sono lamentate del suo iniquo governo. Dopo, una alla volta, le strangola davanti ai molti Cerpusini presenti. Divino Iveon, si vede che è un vizio di famiglia quello di strangolare gli esseri umani, per cui esso si tramanda di padre in figlio! Quindi, anche il perverso Lustok lo avrà ereditato dal perfido suo genitore e non gli dispiace metterlo in pratica davanti ad una grande folla che lo disapprova!»
«Ne sono convinto anch'io, Arbes! Perciò domani gli preparerò una bella sorpresa e sarà lui a rendere conto al popolo cerpusino delle sue numerose malefatte. Ti prometto che gliele farò pagare tutte insieme, punendolo con la morte. Mentre lo giustizio mediante strozzamento, la mia punizione a suo danno farà gioire i molti Cerpusini presenti!»
«Bene, divino Iveon, vorrà dire che questa notte non dormirò, al pensiero che domani mi attende una gradevolissima giornata, considerato che essa mi darà modo di prendermi la più grande soddisfazione! Prima di congedarci, se non ti chiedo troppo, mi dici qual è la natura di un semidio e in che cosa essa si differenzia da quella divina e da quella umana? Dopo che mi avrai dato anche questa risposta, spiegandomi le tre differenze, te ne sarò molto riconoscente!»
«Mio caro Arbes, il semidio è un essere costituito da due componenti, una umana e l'altra divina. Per certi aspetti, la prima non è diversa dalla vostra, per cui può anche avvertire determinate esigenze proprie dell'uomo. Ma, al contrario dell'essere umano, esse non necessariamente devono essere soddisfatte, poiché il semidio può sopravvivere anche senza mangiare e senza bere; mentre, in relazione al sonno, esso, pur non essendo necessario, gli risulta molto giovevole. Quanto alla sua attività sessuale, essa si presenta uguale a quella dell'uomo; però egli risulta infecondo. Il suo corpo, invece, anche se è invulnerabile, invecchia e muore come quello di un essere umano. Solo che il suo invecchiamento avviene più lentamente, cioè le sue cellule impiegano un tempo quadruplo di quello delle cellule umane, prima che la morte le deteriori e le sopprima definitivamente. Perciò la sua esistenza, paragonata a quella degli esseri umani, si presenta più longeva.»
«Visto che non ne hai parlato, divino Iveon, vorrei anche apprendere come in lui si comporta la parte divina. Vuoi soddisfarmi anche in ciò?»
«Essa non muore, Arbes; invece sopravvive al corpo materiale, anche dopo che questo è perito in un qualsiasi modo. Ma non avendo più un corpo che la possa sorreggere, tale essenza è costretta a rinunciare ad un'esistenza attiva. Allora essa vaga nell'aria senza avere più una forma e una coscienza; né può ritornare a far parte della divinità che l'ha generata. La natura di un semidio, come ti rendi conto, non ha niente a che vedere con quella di un dio, perché essa continua a restare una entità indistruttibile che non può smettere di essere cosciente e pensante per l'eternità. Adesso hai compreso ogni cosa su di essa?»
«Sei stato molto chiaro, dio Iveon, e te ne sono infinitamente grato. Per questa sera, dunque, può bastare; anzi, possiamo anche lasciarci, in attesa di rivederci domani, quando darai luogo al grande spettacolo. Sono sicuro che esso, essendo un meraviglioso evento che i Cerpusini si attendono da un decennio, riporterà in mezzo a loro la dolce serenità di cui fruivano un tempo! Perciò essi dovranno esserti ancora una volta grati per il tuo intervento a loro favore e contro il figlio del dio Trauz.»
L'indomani il semidio Lustok aveva trascinato nella piazza del villaggio i cinque Cerpusini da lui condannati alla pena dello strangolamento. Per l'occasione, ogni volta egli pretendeva che assistesse allo spettacolo un'alta percentuale di popolazione. Così esso avrebbe intimorito i più ribelli di Cerpus e li avrebbe indotti ad essere sottomessi, senza creargli grossi problemi. Ma prima che egli desse inizio al suo formale discorso di apertura, com'era solito fare, il condannato Velkus, che in quel momento era il dio Iveon, aveva incominciato a gridargli con tutta la voce:
«Lustok, lurido verme schifoso, se questo è il Giorno della Resa dei Conti, perché non iniziamo da te e ci rendi conto delle tante scelleratezze da te commesse durante tutti questi anni? In Cerpus, sappiamo che fosti tu l'autore della scomparsa di tuo fratello Emiel. Perciò chiedo al popolo cerpusino presente quale pena ti meriti per il tuo fratricidio. Esso dovrà pronunciarsi sul tuo caso ed emettere un verdetto equo!»
Poi si era rivolto alla moltitudine dei Cerpusini presenti, chiedendo:
«Voglio sapere da tutti voi quale pena si merita il farabutto Lustok, per il suo gravissimo crimine. Per favore, esprimete il vostro giudizio, miei conterranei, senza aver timore del vostro oppressore. Vi garantisco che egli oramai non potrà più farvi alcun male, avendo i minuti contati! Allora mi date una risposta, che sia equa?»
Fra tutti gli astanti, solamente una persona aveva avuto l'ardire di dargli la propria risposta, cioè il loro ex capo Arbes. Con loro grandissimo stupore, egli, quasi sfidando il nipote Lustok, si era dato a gridare a gran voce, affinché tutti lo udissero:
«Egli merita la morte, Velkus! Perciò lo disconosco anche come nipote, per essersi macchiato del sangue innocente di suo fratello, per avere abusato del popolo e per avermi usurpato il comando del villaggio con la forza! Che la morte lo annienti per sempre, quindi!»
Com'era da prevedersi, i due inattesi interventi non erano garbati a Lustok; anzi lo avevano fatto inasprire più di quanto lo fosse già per sua indole. Egli, all'inizio, avrebbe voluto accoppare all'istante le persone che li avevano fatti. Poi, mantenendo per un istante l'autocontrollo, si era dato a rispondere innanzitutto a suo nonno:
«Così, secondo te, meriterei la morte! Ciò, come ringraziamento per averti risparmiato la vita, soltanto per accontentare mia madre! Ma hai dimenticato un particolare importante, Arbes, ossia che qui solo io posso disporre di essa! Oggi tu morirai con gli altri cinque da me condannati alla pena capitale. Ti riserverò un trattamento speciale, non appena avrò finito di strangolare il primo di loro!»
Detto ciò, Lustok aveva raggiunto Velkus e gli aveva allungato le mani intorno al collo per darsi ad operare su di esso la sua stretta mortale. Questa volta, però, il collo della sua vittima non cedeva e mostrava la rigidità della pietra. Perciò non si aveva sul suo volto nessuno storcimento delle labbra e non si verificava alcuna protrusione linguale dalla sua bocca, ad indicare il suo incipiente soffocamento. Alla fine, il semidio non aveva avuto neanche il tempo di chiedersi il perché di quello strano fenomeno. Prima che ciò avvenisse, egli si era visto scaraventare a terra dalla stessa persona che avrebbe dovuto fare da sua vittima. Un attimo dopo, egli era stato anche raggiunto da un raggio rossastro da lui emesso lì per lì. Esso allora lo aveva investito ed avvolto in una grande fiammata, polverizzandolo in un battibaleno. Disintegrato il despota di Cerpus, il divino Iveon aveva abbandonato le sembianze di Velkus ed aveva ripreso quelle che erano sue abitualmente. Alla sua vista, tutti i Cerpusini ultracinquantenni avevano riconosciuto subito il divino Iveon, il loro ex salvatore. La qual cosa li aveva spronati ad osannarlo e a ringraziarlo per averli liberati dalle numerose vessazioni dell'infame Lustok.
Dopo l'anziano Arbes aveva chiesto la parola ai presenti, che continuavano ad inneggiare al divino ospite. Allora il suo popolo, divenuto silenzioso, gli aveva permesso di parlare. Egli, visibilmente emozionato, si era rivolto ai suoi conterranei così:
"Cerpusini, anche se Lustok ha smesso per sempre di essere tra di noi, io non sarò mai più il vostro capo, siccome la mia tarda età non me lo consente. Al posto mio, però, ci sarà mio nipote Emiel, il quale possiede tutti i requisiti per esserlo e per governarvi saggiamente. Lo so a cosa state pensando sul suo conto. Ebbene, egli non è morto, come credevamo; è soltanto trattenuto in qualche parte, dopo essere caduto in un tranello del malvagio fratello. Me lo ha assicurato il dio Iveon qui presente, il quale è suo padre. Egli tra poco andrà a recuperarlo e ce lo porterà qui sano e salvo. Da oggi in poi, perciò, sarà suo figlio a governarci con saggezza e con giustizia. Infine devo rivelarvi un'altra importante verità, miei cari Cerpusini. Lustok non era il figlio del giusto dio Iveon; invece suo padre era il maligno dio Trauz, il quale aveva posseduto mia figlia con l'inganno! Solo oggi ne siamo venuti a conoscenza dal padre di Emiel. Ora comprenderete anche la sua natura malefica!"
Alla stupenda notizia che il loro stimato ed amato Emiel era ancora vivo, tutti i Cerpusini presenti ne erano stati oltremodo felici. Essi non vedevano l'ora che il nobile e generoso gemello fosse di nuovo tra di loro, ma stavolta come loro capo benamato. Invece il dio Iveon non aveva perso tempo a mettersi alla ricerca del figlio, del quale non si erano più avute notizie da molti anni. Secondo lui, se egli non era riuscito a venirne fuori, poteva trovarsi solamente in un burrone profondo, dove di sicuro era stato spinto da Lustok a tradimento. Il divino eroe aveva orientato le proprie ricerche verso quell'area geografica non lontana da Cerpus, la cui conformazione fisica potesse ospitare delle grandi profondità. Dopo averla individuata, egli si era dato ad ispezionarla a palmo a palmo, fino a quando non si era trovato davanti ad una buca, il cui fondo non era visibile ad occhio nudo. Infatti, essa, che era simile a un pozzo con un diametro di tre metri, s'internava nel terreno fino ad una profondità spaventosa, che non era possibile misurare. Allora il dio vi si era calato senza difficoltà e ne aveva raggiunto il fondo, sul quale aveva trovato il figlio Emiel che era completamente immerso nel sonno.
A quella apparizione, egli, rallegrandosene, subito lo aveva riportato in superficie e lo aveva rianimato mediante un suo soffio energetico. Tornato ad essere quello di una volta, Emiel aveva ringraziato lo sconosciuto salvatore e gli aveva domandato chi fosse. Secondo lui, per essere riuscito a trarlo fuori da quell'orrido, poteva essere soltanto un'entità soprannaturale. Il dio aveva soddisfatto all'istante la richiesta del figlio, rivelandogli prima di ogni cosa di essere suo padre. Dopo gli aveva raccontato pure tutto il resto che era avvenuto in precedenza nel villaggio, compresa la giusta punizione impartita al gemello uterino.
Alla fine, padre e figlio, dopo essersi abbracciati calorosamente, se n'erano ritornati insieme a Cerpus, dove erano stati accolti con grandi effusioni di gioia e di affetto. Ma Grael era stata la sola persona alla quale gli occhi si erano illuminati di un giubilo inesprimibile. Ella prima si era mostrata grata e riconoscente verso il dio Iveon, circondandolo con le sue braccia appassionatamente. Subito dopo, invece, si era unita al figlio in un caloroso abbraccio, il quale si era protratto molto a lungo, tra calde lacrime e un'immensa commozione da parte di entrambi.
Il dio Iveon si era trattenuto sul pianeta Treun ancora una decina di giorni, volendo appagare il legittimo desiderio del figlio Emiel. Durante quei pochi giorni, egli aveva trascorso delle ore indimenticabili accanto al figlio e a sua madre Grael, siccome l'uno e l'altra non avevano smesso di tenerlo impegnato. Inoltre, Emiel aveva voluto fargli tantissime domande sulle divinità che avevano la sua stessa natura; né il padre si era astenuto dall'accontentarlo, poiché si era dato a spiegargli ogni cosa che riguardava sia gli dèi che le dee, appagando il desiderio del figlio più di quanto egli si aspettasse. Ma una volta terminati la decina di giorni di permanenza sul pianeta Treun, il dio Iveon, dopo aver salutato con un abbraccio il figlio e Grael, era ripartito da esso, portandosi dietro parecchia tristezza e un acerbo rimpianto. L'una e l'altro, in verità, non avevano smesso di abbandonarlo durante l'interminabile viaggio che lo riportava a Zupes, il pianeta che gli aveva dato i natali.