14-NURDOK CONTRO LE TIGRI E CONTRO LA TRIBÙ DEI GIASSUNI

Compiuti i sedici anni, Nurdok si era ritrovato con una prestanza fisica che poteva essere considerata già formidabile. Inoltre, metteva in mostra una intelligenza, la quale faceva meravigliare quanti lo frequentavano. Più di ogni altra persona, se ne stupiva suo nonno Suok, che gli faceva da impareggiabile maestro d'armi. Fin dalle sue prime lezioni, egli aveva notato che il suo discepolo era un vero portento. Per cui presto sarebbe eccelso su tutti i Berieski, nessuno eccettuato, tanto nell'uso delle armi quanto nella saggezza e nell'astuzia. La qual cosa lo aveva fermamente convinto che, alla sua morte, il prodigioso nipote gli sarebbe succeduto senza alcun dubbio. Stando a tale sua ferma convinzione, secondo lui, grazie anche alle sue spiccate doti di eroe temerario, negli scontri Nurdok si sarebbe imposto con estrema facilità sulla totalità dei guerrieri berieski, per cui avrebbe conquistato il titolo di superum con una facilità estrema. La prima personalità della Berieskania aveva pure iniziato a credere che la predizione dell'amico Burgior, ossia quella che aveva fatto sull'unigenito del suo defunto primogenito, si sarebbe avverata senza meno e che la vita del ragazzo si sarebbe svolta sotto gli auspici degli astri. Essi, vigilando benignamente su di lui, giammai lo avrebbero abbandonato durante l'intera sua esistenza. La quale, stando al medesimo vaticinio, si prevedeva che sarebbe stata assai longeva.

Sebbene fosse ancora adolescente, Nurdok, fra tutti i Berieski, poteva considerarsi ineguagliabile nell'uso della fionda, dell'arco e del pugnale. Mentre nella lotta, potevano contarsi sulla punta delle dita coloro che erano da reputarsi alla sua portata. Riguardo alle sue abilità schermistiche, data la sua giovanissima età, egli era in via di perfezionamento. Il nonno, però, era certo che molto presto il nipote avrebbe raggiunto anche nell'uso della spada la supremazia su tutti gli altri guerrieri. Bastava solo che l'adolescente crescesse ancora un poco per raggiungerla senza difficoltà, poiché la crescita gli avrebbe fatto sviluppare ulteriormente i muscoli brachiali, scapolari e pettorali. Così essa gli avrebbe consentito di reggere senza sforzo alcuno la pesante spada e di perfezionarsi in modo eccellente anche nel suo abile uso.

Aveva appena sedici anni, quando Nurdok prese la decisione di compiere la sua prima impresa, con la quale intendeva raggiungere due obiettivi irrinunciabili: primo, vendicare l'uccisione dei suoi genitori, che era stata operata da una brutale tigre; secondo, ripagare i nonni paterni di quanto avevano fatto per lui fino a quel momento. Essi continuavano a dedicarglisi con il massimo affetto e con una dedizione amorevole. Ebbene, pur avendo ancora una età immatura, era intenzione dell'adolescente uccidere trenta tigri, scuoiarle e regalare le loro pelli alle due persone, che si erano prodigate per lui con immenso amore e con la massima cura, fino ad allevarlo in modo inappuntabile. A suo parere, non c'era dubbio che era stato il loro continuo interessamento a farlo sviluppare talmente bene, che alla fine la sua evoluzione formativa si era rivelata ottimale sotto tutti gli aspetti. Quando Nurdok gli aveva manifestato tali suoi propositi, il nonno non si era opposto a ciò che egli aveva stabilito di attuare; anzi, oltre ad incoraggiarlo, lo aveva lasciato partire con la sua benedizione. Per la verità, il superum non si era mostrato preoccupato per il suo congiunto in partenza, poiché era matematicamente certo che gli astri benigni avrebbero vegliato su di lui.

L'autorevole uomo, prima del suo commiato, aveva voluto metterlo in guardia dalla enorme e scaltra belva, quale appunto si dimostrava la tigre. Dotata com'era di un'agilità e di un'aggressività non riscontrabili in altri animali predatori, essa era da considerarsi il felino più temibile al mondo. Il suo terribile assalto feroce non si lasciava arrestare neppure in seguito alle ferite di poche frecce. Anzi, queste ultime lo avrebbero spinto ancora di più a reagire e ad assalire i suoi feritori, fino a raggiungerli e a sbranarli. Allora Suok lo aveva anche reso edotto che, per poter bloccare una tigre già al loro primo lancio di frecce, queste dovevano avere le punte intrise di curaro. Si trattava di un potente veleno, il quale si estraeva dalla corteccia di un albero a lui ben noto. Esso, in brevissimo tempo, l'avrebbe paralizzata e fatta morire per asfissia. Da parte sua, il nipote aveva fatto gran tesoro degli ottimi consigli ricevuti dal nonno e aveva atteso il momento opportuno per metterli in pratica.

Era lo stesso giorno in cui in passato erano stati dilaniati la coppia dei suoi genitori, quando Nurdok era partito alla volta della giungla con una buona scorta di frecce avvelenate. Le aveva preparate egli stesso, allo scopo di usarle esclusivamente contro le mangiatrici di uomini. Lo accompagnava lo zio materno Estrus, il quale era l'ultimogenito di suo nonno materno Gerik ed aveva dieci anni più di lui. Inoltre, si erano uniti a loro due anche una ventina di uomini del nonno. Essi volontariamente si erano offerti di seguirlo nella sua rischiosa impresa nell'intricata giungla. Ma c'erano voluti cinque giorni, prima che il piccolo gruppo di cacciatori berieski raggiungesse la pericolosa zona che era situata a settentrione, a circa trenta miglia dal loro borgo. Dopo essersi addentrati nella sua vasta e malfida vegetazione, Nurdok e i suoi accompagnatori avevano iniziato una caccia spietata ai danni dei superbi felini dal mantello vistosamente sgargiante, i quali costituivano il terrore di quell'area geografica poco trafficata dalla gente.

La loro lotta contro gli enormi felini non era stata affatto facile e tanto meno divertente, siccome le belve in questione di continuo si erano dimostrate avversarie di tutto rispetto. Esse, inoltre, avevano dalla loro parte il grande vantaggio di trovarsi ad ingaggiare la lotta sul proprio territorio. Il quale, oltre ad essere abbastanza malsicuro per l'uomo, le presentava come le dominatrici incontrastate del luogo e le faceva risultare il terrore degli animali che lo abitavano, per cui essi cercavano a ogni costo di stargli alla larga. Ma le difficoltà rappresentate dalle insidie della giungla non avevano intimorito l'impavido adolescente, poiché egli non si era mai demoralizzato ed aveva sempre affrontato i pericoli con incredibile coraggio. Bisognava ammettere che egli aveva anche sopportato alcune spiacevoli evenienze con animo forte e con una calma imperturbabile, come se avesse la coscienza di un adulto. Infine, allo scopo di evitare di perdersi sulla via del ritorno ed assicurarsi quindi un rientro a casa senza problemi, molto spesso aveva fatto scalfire con un pugnale la corteccia degli alberi. Il taglio era stato sempre praticato sul lato indicante la direzione che portava fuori della giungla e verso il loro villaggio. La tacca, essendo abbastanza grossa, risultava ben visibile all'occhio umano, per questo non si faceva fatica a scorgerla.

I guerrieri, che spartivano con lui le prodezze e i disagi di quei giorni ed avevano tutti una età maggiore della sua, trovandosi di fronte alle sue eccezionali doti, si erano meravigliati a non dirsi. Soprattutto erano rimasti incantati dal suo singolare valore, dal suo spirito bellicoso che si confaceva ad un vero eroe, dalla sua straordinaria tattica, dalla sua acutezza d'ingegno e dalla sua astuzia fenomenale. In quell'impresa, l'irriducibile adolescente si ritrovava ad impiegare le proprie doti non contro un nemico umano, bensì verso le belve più ferine e più scaltre. Esse, infatti, si dimostravano temprate in fatti di cruenta lotta.

La caccia di Nurdok contro le pericolose tigri, dunque, era stata intrapresa e portata avanti in modo egregio. Il sentimento della vendetta si era mostrato così radicato in lui, che lo aveva fatto accanire con inclemenza e durezza contro i suoi nemici felini. Egli aveva iniziato ad odiarli a morte, da quando aveva appreso la tragica sorte toccata ai suoi genitori, ad opera di uno di loro. Per tale motivo ora si era dato a cercarli e a stanarli in ogni angolo della giungla, ammazzandoli con le sue frecce infallibili e micidiali. Spesso aveva anche preparato ad una parte di loro delle trappole mortali, le quali erano tutte andate in porto. Nello stesso tempo, era riuscito a schivare ogni volta i loro agguati insidiosi con taluni accorgimenti intelligenti. I quali ogni volta avevano sorpreso moltissimo i suoi accompagnatori, sebbene fossero già adulti da tempo.

Spesso aveva funzionato anche un suo originale espediente, mediante il quale, senza difficoltà, Nurdok aveva fatto uscire le belve allo scoperto. Per ottenere ciò, egli aveva invitato i suoi uomini ad asportare le vesciche alle tigri già da loro uccise. Dopo aveva fatto irrorare della loro urina quegli alberi, i quali conducevano nel luogo dove gli era stata preparata qualche imboscata o trappola. Così, essendo state richiamate dal pungente odore del liquido urinario appartenente ad individui della propria specie ma di sesso opposto, alcune tigri, che erano a volte maschi altre volte femmine, si erano presentate improvvidamente sul luogo dell'agguato. Allora, alla loro improvvisa apparizione, il gruppo dei Berieski, il quale si trovava già appostato sugli alberi circostanti e le stava aspettando, le aveva fatte fuori con i loro dardi avvelenati. In quel modo essi avevano avuto facilmente ragione delle belve.

La caccia di Nurdok non aveva conosciuto soste. Al contrario, era proseguita a pieno ritmo e con fredda determinazione, risultando in alcune occasioni spericolata ed insidiosa. Inoltre, senza alcuna interruzione, essa si era dimostrata sommamente ostinata e spietata. Mentre la conduceva, il giovane aveva mirato anche a ridurre al minimo le perdite fra gli uomini che lo accompagnavano, riuscendo a non farne registrare nemmeno una. Così, già a conclusione del terzo mese, Nurdok aveva portato a termine la sua vendetta contro le tigri in maniera eccellente. Di conseguenza, insieme con quelli che facevano squadra con lui, egli si era rimesso in viaggio verso il suo villaggio di Geput.

Durante il ritorno, il futuro superum della Berieskania voleva arrivare a casa più presto degli altri, poiché non vedeva l'ora di regalare ai propri nonni le trenta splendide pellicce. Le quali erano state ricavate da altrettante tigri, che erano state ammazzate e scuoiate. Invece, all'insaputa di tutti loro, c'erano alcuni che si preparavano a sottrargliele, prima che essi lasciassero la giungla. Oltretutto, gli stessi individui intendevano effettuare la loro indebita sottrazione, senza tener conto che esse erano costate fatica e sudore ai legittimi proprietari. Come pure non desideravano sprecare per loro il più blando dei ringraziamenti! Il nipote di Suok, ovviamente, non avrebbe accondisceso con facilità ai loro intenti di rapina; al contrario, egli si sarebbe adoperato per punire con fermezza e durezza la loro scellerata attività predatoria.


Lo sparuto drappello dei Berieski aveva ancora da percorrere davanti a sé i due terzi del loro tragitto attraverso la giungla, quando continui e sordi colpi di tamtam li avevano allarmati. Essi, mentre si susseguivano senza tregua e con un ritmo concitato, pareva che volessero aizzare qualcuno ad inseguire, a raggiungere e ad uccidere quanti si trovavano a transitare per quella zona. All'udirli, Nurdok se n'era stupito molto ed aveva chiesto a Kelpo, il più anziano del gruppo, chi potesse essere ad emettere quei lontani colpi di tamburi, facendoli echeggiare per gran parte della giungla. Inoltre, gli aveva domandato cosa essi volessero realmente significare. Allora l'ultracinquantenne aveva spiegato al prodigioso giovinetto che quei colpi non erano prodotti da tamburi, bensì dalla percussione di un tronco d'albero cavo, chiamato tamtam. Inoltre, essi di sicuro provenivano dal villaggio dei Giassuni. Riferendosi poi a tale tribù, l'uomo aveva spiegato che si trattava di un popolo primitivo, il quale era stanziato ad un paio di miglia di distanza da loro. Esso adorava il dio Tapurà, a cui erano soliti offrire dei sacrifici umani.

Stando a chi li conosceva abbastanza bene, di regola le vittime sacrifiche delle loro immolazioni erano rappresentate da persone, che gli indigeni avevano fatto prigioniere nelle loro cacce inesorabili. Difatti essi si davano a cacciare con accanimento, ogni volta che fiutavano la presenza di forestieri nelle parti della giungla prossime al loro villaggio. Non era infrequente, però, che nei loro sacrifici gli incivili Giassuni si servissero di individui della propria gente, preferibilmente di quelli che si erano macchiati di gravi delitti. Essi erano costretti a tale ripiego, quando non capitavano dalle loro parti dei viaggiatori che gli permettessero di eseguire la loro cattura e di sacrificarli al loro dio. In riferimento al significato degli attuali colpi emessi dall'echeggiante e rumoroso strumento di legno, Kelpo si era mostrato convinto che essi stavano incitando un gruppo di guerrieri giassuni alla battaglia. Ma non era stato in grado di chiarire contro quale nemico li stessero spingendo a combattere. Comunque, non era da escludersi che le spie giassune li avessero intercettati ed avessero messo al corrente il proprio capotribù della loro presenza. Egli, a sua volta, aveva inviato sulle loro tracce i migliori guerrieri per catturarli. Così, simultaneamente alla loro partenza dal villaggio, gli addetti ai tamtam si erano dati a battere sui loro strumenti con ritmo frenetico. La qual cosa aveva la funzione di esaltarli e di incitarli a scagliarsi con furore nella caccia intrapresa e nella lotta, che presto avrebbero affrontato con accanimento contro le loro nuove prede.

Nurdok, da parte sua, non conoscendo il numero dei guerrieri giassuni che avevano iniziato a dare la caccia al loro gruppo, aveva ordinato ai suoi uomini di affrettarsi ad uscire dalla giungla. A ogni modo, intanto che essi erano intenti a battere in ritirata, non li aveva tenuti inoperosi. Di tanto in tanto, l'adolescente li aveva invitati a disseminare di punte avvelenate una parte del sentiero che si lasciavano alle spalle, dopo averle ottenute spezzando a metà le frecce e buttando via le parti con la cocca. Logicamente, le mezze asticciole erano state conficcate nel terreno in modo da far sporgere di fuori, ritte all'insù, le rispettive punte avvelenate. Le quali, perché non venissero scorte dai nemici inseguitori, dopo erano state anche coperte e celate con delle foglie a lamina ampia, dal momento che esse risultavano più coprenti delle altre.

Con tale accorgimento, Nurdok intendeva perseguire due obiettivi: primo, arrecare la morte ad una parte degli inseguitori; secondo, rallentarne l'inseguimento con il complesso della paura. A suo avviso, i guerrieri giassuni, dopo avere avuto le prime vittime tra le loro file, sarebbero divenuti più prudenti, stando attenti a dove mettevano i piedi. Ma per fare ciò, essi avrebbero dovuto rallentare l'avanzata. Per la verità, si sarebbe raggiunto il medesimo risultato, anche se i Giassuni, dopo essersi presa la prima scottata, avessero deciso di non inseguirli più sul sentiero che i suoi uomini già avevano aperto e che adesso stavano seguendo. Infatti, l'intrico della vegetazione li avrebbe costretti, per causa di forza maggiore, a rallentare parecchio i passi nella loro corsa. Senza dubbio, il figlio del defunto Icondo aveva fatto bene a prendere quelle precauzioni, siccome i guerrieri giassuni effettivamente erano sulle loro tracce e alla loro accanita ricerca, avendo intenzione di farli loro prigionieri e di sacrificarli in seguito al loro dio.

I selvaggi, dopo aver lasciato il loro villaggio, al grido incessante di "Aó…aó…Tapurà!", avevano iniziato a seguire le peste dei forestieri, poiché essi già erano stati messi al corrente dell'itinerario dei Berieski dalla loro pattuglia di ricognizione. La quale aveva il compito di effettuare perlustrazioni sui territori circostanti, entro un raggio non superiore alle sei miglia. Comunque, i Giassuni potevano essere un paio di centinaia ed erano armati solamente di leggeri giavellotti. Essi, presentandosi con dei volti marcatamente prognati ed indossando un succinto perizoma, avanzavano di gran carriera, anche se non con la massima velocità. Nel frattempo, il loro grido, che inneggiava reiteratamente alla loro divinità, seguitava a farsi sentire, fino a diventare una vera ossessione. Esso, a ben considerarlo, si manifestava monotono nella sua ripetizione e conturbante nella sua fissazione, che si presentava quasi maniacale.

Non c'era voluto molto tempo, prima che i guerrieri giassuni si immettessero sul sentiero che li avrebbe condotti direttamente ai Berieski, i quali procedevano davanti a loro con una certa sollecitudine. Assai presto essi si erano ritrovati a percorrere il primo tratto di cammino, che era stato cosparso dai fuggitivi di micidiali dardi. Per cui una ventina di loro subito erano incappati nella tagliola mortale. Allora coloro che erano finiti sulle schegge avvelenate, avevano riportato delle trafitture alla regione plantare più o meno gravi. Di lì a poco, essi erano stati pure colti da paralisi e da gravi disturbi respiratori, i quali in breve tempo avevano causato a tutti loro la morte. A quel punto, per poter proseguire, gli altri Giassuni, ossia quelli rimasti indenni, per prima cosa avevano estirpato dal terreno le esiziali punte, le quali erano risultate numerose. Ma dopo il loro primo tragico incidente, l'avanzata dei Giassuni era continuata, almeno in principio, all'insegna dell'esitazione e della paura.

Qualche quarto d'ora più tardi, nonostante venissero minacciati da quel reale pericolo di morte in agguato, i selvaggi avevano continuato ad andare avanti senza più né tentennamenti né timori. Essi venivano spinti a procedere per la loro strada dalla voglia sfrenata di procurare altre vittime sacrificali al loro dio Tapurà e di impossessarsi delle magnifiche pellicce possedute dalle persone che stavano inseguendo. Probabilmente gli aborigeni si erano convinti che non c'erano più tratti insidiosi nel sentiero, visto che una loro lunga ed attenta ispezione del terreno da loro percorso aveva dato esito negativo. Per la quale ragione, il loro passo era divenuto di nuovo spedito e sicuro, poiché dava a vedere che essi non temevano più alcun genere di insidia sotto i piedi. Invece, quando meno se lo aspettavano, i Giassuni si erano ancora imbattuti in un nuovo tratto di strada minato dalle solite punte intrise di veleno, le quali avevano cagionato la morte ad altri ventiquattro di loro.

Quei fieri guerrieri, anche dopo essere caduti per la seconda volta nello stesso tranello mortale che li aveva decimati ulteriormente, non avevano desistito dal loro inseguimento. Perciò esso era continuato altrettanto focoso e per niente rinunciatario, da parte di coloro che vi si erano gettati a capofitto, allo scopo di ottenere dalla loro caccia i vantaggi che si erano prefissati. Ma prima di raggiungere i trentadue Berieski che li precedevano, i cacciatori giassuni avevano dovuto subire altri due duri colpi, naturalmente sempre per via delle punte avvelenate, le quali erano state ancora collocate ben larvate sul suolo. Per cui esse gli avevano inflitto ancora gravi perdite, poiché ne avevano uccisi altri cinquantasei. Essi, però, non si erano affatto demoralizzati, sebbene il loro numero fosse stato dimezzato, visto che in totale il medesimo era sceso a cento unità. Anzi, dandosi a reiterare il solito grido inneggiante al loro dio Tapurà, i Giassuni avevano ripreso a lanciarsi all'inseguimento dei Berieski fuggiaschi. Infatti, non se ne facevano un problema, se le disgrazie non smettevano di piovere su di loro, a tutto vantaggio di quelli che stavano fuggendo da loro.

Considerandoli ormai alle costole, Nurdok era stato dell'avviso che era giunta l'ora di attendere i nemici al varco e di assalirli con il massimo accanimento, fino ad inferire ai rimanenti nemici il colpo di grazia. Secondo lui, a giudicarli dalle loro voci, il numero dei Giassuni si era assottigliato parecchio e poteva essere facilmente affrontato e battuto dai suoi uomini. Per questo era giunto il tempo di prepararsi a riceverli degnamente, non costituendo più essi per loro la temuta minaccia di prima. Inoltre, le loro tre bestie da soma, essendo molto cariche, non gli avrebbero consentito di agire diversamente. Difatti si notava benissimo che le medesime, sotto l'esagerato peso, apparivano stanche ed avevano iniziato a rallentare la propria andatura. Così, quando aveva raggiunto un angolo che si prestava bene ad un loro agguato, Nurdok aveva suggerito ai compagni di smettere di fuggire, di rimpiattarsi sopra degli alberi situati tutt'intorno alle loro bestie e di attendere da lassù l'arrivo dei nemici. Era intenzione del giovane farli colpire inesorabilmente dai loro dardi, non appena essi li avessero raggiunti e si fossero ammucchiati intorno alle bestie sovraccariche delle pellicce ricavate dalle tigri uccise. Alla fine le cose erano andate, secondo le sue previsioni.

Una volta che furono arrivati sul luogo sorvegliato a vista dai Berieski, correndo e gridando, i guerrieri giassuni superstiti avevano creduto che le loro vittime designate fossero scappate via, dopo aver abbandonato in quel posto il prezioso carico. Per questo i brutti musi del luogo si erano radunati intorno alle bestie da soma per ammirare le pregiate pelli di tigri ed impossessarsene allo stesso tempo. Ebbene, era stato proprio mentre le sfioravano, le accarezzavano e cercavano di quantificarle, che i rudi aborigeni erano stati raggiunti ed accoppati da cinque scariche di frecce, le quali questa volta però non erano avvelenate ed erano state lanciate da quelli che essi intendevano catturare ed immolare alla loro divinità. Solo in quel modo, Nurdok e i suoi accompagnatori si erano definitivamente liberati dei loro inseguitori. Invece l'eroe beriesko non aveva voluto che la sua partita con la tribù dei Giassuni terminasse lì, poiché già si riprometteva di distruggerla per sempre.

Dopo quella loro inopportuna intrusione nei propri affari privati, era maturata nel giovane l'intenzione di fare pentire i Giassuni di aver preso iniziative ostili contro la sua persona, facendoli sparire dalla faccia della terra. Sei mesi più tardi, infatti, Nurdok, volendo mantenere la promessa fatta a sé stesso, a capo di un agguerrito esercito, era ritornato nella giungla. In quel luogo, dopo aver fatto trucidare l'intera popolazione giassuna dai suoi uomini, i quali si erano dati ad un furioso e sanguinoso assalto, ne aveva anche raso al suolo il villaggio. Egli non aveva avuto alcuna pietà per nessuno di loro, poiché li considerava degli esseri umani sommamente incivili e pericolosi per gli altri uomini.

A quel punto, grazie anche a quei fatti temerari, la fama del diciassettenne Nurdok aveva varcato i confini del suo borgo natio e si era propagata per l'intera estensione della Berieskania. Allora tutta la gioventù beriesca, mettendo ovunque da parte il proprio orgoglio tribale, aveva iniziato a tifare per lui, ritenendolo già alla sua età un grandissimo eroe, che nessun altro Beriesko avrebbe potuto mai emulare e superare. Perciò il triennio, che era seguito, per Nurdok aveva rappresentato il completamento della sua preparazione, soprattutto nell'equitazione e nella scherma, nelle quali discipline il sessantenne suo nonno era molto ferrato. Alla fine egli aveva conseguito un'abilità non comune anche in tali nuove arti militari. In special modo, il giovane si era interessato alla tecnica del combattimento all'arma bianca, riuscendo ad apprenderla in modo eccellente. Variandola poi con accorgimenti personali, era riuscito a superare perfino il suo maestro.


Chi desiderasse completare il quadro delle informazioni riguardanti l'eroe beriesko, egli deve sapere anche che a Nurdok non erano mancate neppure alcune preziose lezioni di matematica e di cultura umanistica. Esse gli erano state impartite, in forma sobria e toccante, dall'anziano Userto, il quale era l'altro saggio consigliere del superum Suok. L'erudito precettore, nella sua gioventù, aveva viaggiato moltissimo, percorrendo in lungo e in largo l'Edelcadia, dove si era imbevuto delle avanzate conoscenze raggiunte dai suoi popoli. Al termine della sua preparazione militare ed intellettuale, il ventenne Nurdok, alla testa di un manipolo di guerrieri, si era dato a fare il giro della Berieskania. Presso ogni tribù berieska, egli aveva partecipato a numerosi tornei, nei quali ogni volta aveva superato gli altri concorrenti, risultandone il meritato campione. Per la qual cosa, in ogni borgo, il suo arrivo era stato accolto da ingenti ed acclamanti schiere di giovani. Invece era stato salutato dagli abitanti adulti con grandissima festa e con una gioia indescrivibile. Occorre far presente che, se i giovani delle quattro tribù berieske veneravano il loro beniamino per le sue gesta e per quelle sue doti che ne facevano il celebrato asso della Berieskania, invece le persone mature lo ammiravano per altre sue qualità. Esse, pur decantando il suo eroico valore, lo stimavano e lo esaltavano soprattutto per le sue nobili virtù umanitarie, per il suo acuto ingegno, per il suo profondissimo senso della giustizia e per l'alta considerazione che aveva dell'onore. Il quale, secondo lui, poteva essere esclusivamente sacro ed inviolabile.

Al pari degli altri Berieski, anche il nonno paterno Suok gli aveva riconosciuto tali qualità positive. Le aveva stimate in lui così integre ed irreprensibili, che, al suo ritorno dalle altre città berieske, aveva voluto affidargli tutti quei processi giuridici nei quali la giustizia si mostrava traballante e non riusciva a venirne a capo. In tali processi, in effetti, le controparti, ora appigliandosi a dei capziosi cavilli legali ora fornendo mezzi probatori falsi e tendenziosi, finalizzavano le loro testimonianze a camuffare la verità o a conferire ad essa una interpretazione distorta ed errata. Per i quali motivi, esse rendevano ogni volta impossibile l'amministrazione della giustizia, da parte di coloro che erano preposti alla funzione giudicante. Con il nipote di Suok, invece, i loro cavilli legali e le loro deposizioni, che erano improntate ogni volta a menzogna e tendevano sistematicamente ad impantanare il processo, non avevano avuto successo in nessun caso. Il giovane magistrato, sempre ed ovunque, era riuscito a rischiarare la verità e a fare trionfare la giustizia. Agendo in quel modo, aveva perseguito i colpevoli con dura intransigenza ed aveva gratificato allo stesso tempo quelli che stavano dalla parte della ragione, essendosi essi dimostrati palesemente innocenti.

Nurdok, dunque, era cresciuto con la coscienza pulita ed assolutamente priva della più piccola tacca. Non era stata mai sua abitudine parteggiare per le persone potenti a detrimento di quelle più deboli. All'inverso, egli si era sempre mostrato pronto ad ascoltare chi andava a sporgergli querela per un torto ricevuto, senza mai tener conto della sua posizione sociale. Perciò si era adoperato con tutto sé stesso per rendergli giustizia e per punire chi aveva sgarrato ai suoi danni con la palese intenzione di abusare di lui. A ogni modo, il nipote prediletto di Suok era stato benvoluto dalla stragrande maggioranza dei Berieski anche per la sua somma rettitudine. Da tutti loro egli aveva riscosso e continuava a riscuotere l'unanimità dei loro consensi. Essi lo consideravano un giovane impareggiabile, che, a un tempo, era abile ad impersonare le grandi doti. Ci si riferisce a quelle che sono capaci di rendere l'essere umano sostanzialmente grande, come le seguenti: ingegno, intelligenza, forza, coraggio, profondo senso della giustizia e del dovere.