137-IL RACCONTO DI GRAEL

Prima di ogni cosa, Iveon, voglio farti presente che mio padre Arbes è il capo del nostro villaggio. Da mia madre Fenula, egli ha avuto anche due figli maschi, entrambi più grandi di me. I miei fratelli, i quali si chiamano Dusop e Gesp, hanno rispettivamente venti e diciannove anni. Quanto al mio villaggio, esso ha per nome Cerpus e conta all'incirca ventimila abitanti. Ma prima di scontrarci con i nostri conquistatori e di soccombere alla loro ferocia, eravamo molto più numerosi. Premesso ciò, passo a raccontarti il dramma che vivono i Cerpusini da una decina d'anni, cioè da quando fummo battuti e sottomessi dai mostruosi Torchidi. Costoro sono degli esseri fisicamente molto diversi da noi; inoltre, essendo invulnerabili, sono da considerarsi dei combattenti invincibili.

All'inizio, nessuno di noi sapeva spiegarsi da dove fossero provenuti, poiché in precedenza non avevamo mai sentito parlare di loro. Perciò fummo indotti a pensare che i Torchidi fossero venuti fuori dal nulla, per cui non potevano avere né storia né morale; mentre le loro origini di sicuro affondavano nel mistero più fitto. Alcuni erano dell'avviso che essi fossero stati vomitati dalle viscere della terra da qualche divinità malintenzionata. Essa, dopo averci presi in antipatia, si era data ad assoggettarci senza compassione alle persecuzioni più dure e inflessibili. Il loro avvento nel nostro villaggio fu preceduto da un fenomeno strano, il quale ci fece sbigottire in massa. Adesso passo a raccontarti ciò che avvenne un decennio fa.

Un'ora dopo mezzogiorno, il nostro popolo era intento a godersi una splendida giornata di sole, allorquando il cielo si rannuvolò tutto all'improvviso. Eppure pochi attimi prima non si era registrato in nessuna sua parte neppure un refolo di vento. Esso, se ci fosse stato, avrebbe almeno potuto giustificare l'anomalo successivo evento! L'insolito fenomeno, dopo aver provocato l'istantaneo mutamento meteorologico nelle eccelse sfere celesti, qualche attimo più tardi iniziò ad esprimersi bizzarramente, come non ce lo saremmo mai aspettato! In verità, non si trattava di veri e propri strati nuvolosi, ma di una specie di bruma giallognola, la quale era dedita ad un movimento vorticoso. Anzi, quella scialba nuvolaglia giallastra ci appariva in vertiginosa fuga, per cui i suoi addensamenti si rincorrevano gli uni gli altri, fino ad accavallarsi. Intanto che essa copriva il cielo e ci nascondeva il sole, dei lampi lividi e parecchi tuoni cavernosi rovinavano dall'alto, assalendoci con furia e incutendo terrore tanto alle persone quanto agli animali.

Durante quei momenti bruttissimi, eravamo convinti che presto sarebbe sopraggiunta la fine del mondo! Al contrario, dopo appena un'ora di sconquasso celeste, il cielo ritornò a rasserenarsi di nuovo, come se prima non ci fosse stato nessun tipo di fenomeno atmosferico, nemmeno di lieve entità. Allora in ogni luogo ritornò il pacifico trantran quotidiano di sempre. Soltanto così nella mente di ognuno di noi venne a sparire del tutto il ricordo dell'inusitata perturbazione atmosferica, nonostante essa avesse scatenato il finimondo su una vasta area della nostra regione, lasciandovi i suoi segni rovinosi. Il giorno dopo, se la natura non si mostrava più intenzionata a molestarci con altre inspiegabili intemperie, non altrettanto si poteva affermare in riferimento a talune entità sconosciute. Esse, come avremmo appreso in seguito, avevano per nome Torchidi. Costoro, chiamati anche Creature del Male, erano provenuti dal nulla e non avevano alcuna parvenza della razza umana. Si trattava, infatti, di esseri mostruosi che, pur essendo circa un centinaio, quando si davano a combattere e a lottare, valevano più di un esercito.

Una volta apparsi senza preavviso da chissà quale parte della nostra regione, i Torchidi iniziarono a crearci diversi seri problemi. Dapprima essi presero di mira i campi coltivati e ne devastarono le messi e le colture, mettendo a dura prova la pazienza dei nostri agricoltori. I quali, anziché affrontarli, preferirono precipitarsi da mio padre, essendo egli il loro capo, e lamentarsi con lui del torto subito da quelle orribili creature allogene. In quell'occasione, si venne anche a conoscenza del loro esiguo numero e della loro bizzarra complessione segmentata. Ma furono la loro costituzione fisica e le loro peculiarità esiziali a far preoccupare il mio genitore e gli altri abitanti del villaggio, allarmandoli seriamente.

A detta dei contadini fuggiaschi, si era di fronte a degli orribili mostri, che erano alti tre metri ed avevano degli arti formati da più segmenti ben connessi tra loro e con giunture ben saldate ed elastiche. Il loro tronco si presentava oblungo e romboidale; mentre la loro testa aveva la forma di un triangolo isoscele rovesciato, la cui altezza era doppia della base. Quanto al loro corpo, se così poteva definirsi, considerato nella sua interezza, esso, lungi dall'avere una struttura di tipo animale o umano, faceva pensare maggiormente a un insieme arborescente defogliato e striminzito. Né si riusciva a descriverlo in una diversa maniera. Perfino il loro incedere si mostrava particolare e incredibilmente fuori del comune, siccome li faceva avanzare con scatti intercalati da pause appena percettibili, come se venissero azionati da leve con molle. Quando si davano a correre, essi eseguivano dei moderati salti molto singolari, i quali, per lo più, non li facevano alzare dal suolo oltre i due metri e gli consentivano di coprire una distanza non superiore ai cinque metri.

Infine, come riferito ancora dagli atterriti campagnoli, sia gli arti superiori che gli occhi degli alieni si dimostravano delle armi micidiali. Con la sola forza delle braccia, essi riuscivano a sradicare alberi di media grandezza; mentre si servivano degli occhi per un altro uso distruttivo. Ogni volta che i mostri lo decidevano, dalle loro orbite partivano dei guizzi di luce verdastra, che raggiungevano la superficie del suolo e vi spargevano grandi fiammate. Esse allora si davano a bruciare ogni cosa che cresceva sopra il terreno. Perciò, dopo essere stati sottoposti al saccheggio rovinoso degli aggressori, i campi si erano ritrovati con un aspetto impressionante. Vi si scorgevano vaste zone di colture cerealicole che bruciavano e alberi divelti gettati qua e là alla rinfusa, in attesa di essiccarsi e di andare incontro alla morte. Insomma, si era assistito alla devastazione più sconcertante e radicale. In quel luogo era stato come se grosse palle di fuoco fossero grandinate dal cielo oppure come se la furia di un centinaio di cicloni si fosse abbattuta rovinosamente! Per i poveretti contadini, l'unica consolazione era stata il fatto che quegli orribili esseri avevano infierito unicamente contro i vegetali da coltura e contro il bestiame, il quale risultava ovino, equino e bovino. Dal momento che i Torchidi non si erano accaniti anche contro di loro, essi, in preda al terrore più folle, avevano potuto darsela a gambe levate e dirigersi alla volta del loro villaggio, senza essere disturbati nella loro fuga precipitosa. In quel modo poterono riferire la loro terribile esperienza al loro capo, che rimase incredulo al loro racconto.

Ascoltata l'esposizione di quanto era accaduto nei loro campi, da parte delle vittime, le quali si erano presentate a lui con un codazzo di altri abitanti del villaggio vocianti, mio padre non osò pronunciarsi su due piedi sulla triste vicenda. Ma promise agli astanti che, senza perdere un attimo di tempo, avrebbe mandato a chiamare i suoi quattro collaboratori per deliberare sul da farsi. Uno di loro era Neskuv, il quale veniva considerato dai Cerpusini un vero eroe. Per questo, solo dopo avere avuto un coscienzioso consulto con loro, egli avrebbe adottato il provvedimento più opportuno nei confronti dei saccheggiatori alieni.

Fatta la sua promessa, il mio genitore sollecitò a sloggiare quanti seguitavano a gridare fuori la sua dimora, rassicurandoli: "Daremo una dura lezione a coloro che hanno messo a sacco i nostri campi, punendo il loro impudente strafare!". Inoltre, li pregò di attendere nelle loro capanne le decisioni che molto presto avrebbe preso insieme con quelli che collaboravano con lui. Egli le avrebbe fatte pervenire ad ogni capofamiglia con la massima urgenza. Mio padre non deluse le loro aspettative, poiché un'ora più tardi egli si trovava già in riunione con il quartetto di persone che lo coadiuvavano attivamente nella guida del villaggio.

Una volta che li ebbe messi al corrente dei vari fatti appresi dai contadini, dai pastori e dai mandriani fuggiti, volendo conoscere anche il loro parere in merito, egli domandò ai suoi collaboratori:

«Dunque, dopo quanto avete udito da me, cosa ne pensate, miei esimi consiglieri? Da voi mi attendo dei consigli o dei suggerimenti che mi aiutino a risolvere il problema che abbiamo nel villaggio. Sappiate che non possiamo permetterci di perdere tempo, dal momento che ce ne resta ben poco! Perciò, prima che faccia notte, occorre trovare una soluzione che non dovrà risultare a detrimento del nostro popolo, il quale è stato messo già a dura prova dagli alieni invasori!»

«Se dipendesse da me, mio carissimo Arbes,» gli rispose Neskuv «sbrigherei la faccenda in quattro e quattr'otto, senza pensarci sopra due volte! Ma siccome sei tu il capo del nostro villaggio, rimetto a te ogni decisione in merito. Del resto, non potevo esprimermi altrimenti!»

«Di grazia, amico mio, mi dici in quale maniera risolveresti la faccenda? Nel nostro caso, non credere che sia facile deliberare, come tu hai lasciato intendere! Ad esserti sincero, da parte mia, non so neanche da dove incominciare per dipanare questa matassa scabrosa!»

«La risolverei, come ora ti spiego. Prima armerei un esercito di diecimila uomini e dopo marcerei contro quelli che hanno osato recare nocumenti ai nostri campi. Li guiderei io stesso alla vittoria! Così spezzeremmo le reni ai mostruosi invasori, facendoli pentire dei danni che hanno causato alle nostre colture e al nostro bestiame!»

«Neskuv, hai forse dimenticato di quali poteri lesivi sono forniti i nostri mostruosi nemici? In merito ai quali, sono convinto che, se essi dovessero servirsene con l'intenzione di annientarci, per tutti noi di certo sarebbe la fine! è proprio questo che mi consigli, senza curarti affatto dei gravi disagi che ne deriverebbero al nostro popolo?»

«Certo che no, amico Arbes! Credi forse che daremmo loro l'opportunità e il tempo di ricorrere ai loro poteri? Devi sapere che li faremmo fuori, prima ancora che essi fossero riusciti nel loro intento. Senz'altro, ci verrebbe richiesto anche un costo di vite umane; ma alla fine noi avremmo la meglio sui prepotenti invasori! Te lo garantisco!»

A quel punto, mio padre, che si mostrava molto scettico sulle previsioni ottimistiche dell'impavido amico, volle sentire anche i pareri degli altri tre collaboratori. Cioè, tese ad apprendere anche da tali persone se un loro conflitto con quegli esseri obbrobriosi sarebbe stato davvero conveniente. Vedendo poi che esse erano della medesima opinione dell'eroico Neskuv, egli si piegò alla loro volontà. Infatti, senza la minima esitazione e senza alcun timore, essi convintamente propugnarono lo scontro armato con i distruttori dei nostri campi coltivati e gli uccisori del nostro bestiame di vario tipo. Tra le altre cose, si era stabilito che ogni famiglia del villaggio, allo scopo d'ingrossare le file dell'esercito, avrebbe dovuto inviare un proprio membro maschio che fosse abile all'uso delle armi. Egli l'indomani, prima di mezzogiorno, si sarebbe dovuto trovare pronto alle porte del villaggio, in assetto di battaglia.

Nel tardo pomeriggio di quel medesimo giorno, la totalità dei Cerpusini furono messi a conoscenza delle decisioni prese dal loro capo e dai suoi collaboratori. Perciò, già in serata, in ogni capanna si cominciò ad affilare le armi; però, a dire il vero, non si manifestava nessun entusiasmo, da parte di coloro che stavano per prendere parte al conflitto. Come avevano previsto i calcoli effettuati dai quattro bellicisti in base al loro criterio di reclutamento, il valoroso comandante Neskuv si ritrovò a disporre di un considerevole contingente di armati. Il loro numero si rivelò molto vicino a quello da lui richiesto e preventivato dai membri della riunione. Per cui esso fu considerato sufficiente per battere gli invasori che avevano cominciato a calpestare il loro suolo.


Trascorsa la prima ora pomeridiana, la quale era stata dedicata dalle sue truppe interamente alla consumazione del pasto di mezzodì, il comandante cerpusino diede ordine alle sue schiere di levare l'accampamento e di serrare le file. Oramai era giunto il momento di mettersi in marcia verso il luogo, dove i suoi perlustratori avevano avvistato le strane creature allogene. Il suo piano tattico e strategico, che egli aveva preparato con la massima cura e in ogni minimo dettaglio, mirava ai due obiettivi, che adesso ti specifico. In riferimento al primo obiettivo del comandante Neskuv, il suo contingente, dopo avere avvistato il nemico, si sarebbe dovuto frazionare in piccole schiere. Agendo in quel modo, esso non avrebbe dato ai mostri la possibilità di provocare in brevissimo tempo delle grosse perdite tra i suoi uomini. Con il suo secondo obiettivo, avrebbe puntato ad arrestare l'avanzata dei diabolici esseri da truppe scelte, già preparate adeguatamente a conseguire tale scopo. Esse, con un'azione subitanea e repentina, avrebbero avuto il compito di legare i loro arti inferiori, di atterrarli e di non farli più rialzare da terra. Così, obbligati a restare distesi al suolo e senza alcuna possibilità di movimento, i mostruosi nemici facilmente sarebbero stati conciati malissimo dai soldati addetti a tale incarico. Infatti, essi avrebbero dovuto prima mutilarli con le armi e poi calpestarli senza nessuna pietà.

L'avvistamento dei terribili alieni ci fu a circa due miglia dal villaggio. Sembrava proprio che essi stessero aspettando i nostri soldati, desiderosi di farne un orrendo eccidio e dare una nuova dimostrazione della loro potenza distruttiva. Per fortuna, non era loro intenzione distruggere per intero il nostro popolo, per i motivi che avremmo appreso in seguito. Altrimenti, essi avrebbero fatto irruzione nel nostro villaggio la notte precedente, radendolo al suolo e privandolo di ogni segno di vita.

Essendo ormai imminente lo scontro, Neskuv inviò ai suoi aiutanti di campo il primo ordine, con il quale li obbligava a far marciare gli uomini alle loro dipendenze in ordine sparso. Con una strategia del genere, ossia con la disgregazione del suo esercito in numerosi drappelli, egli mirava ad assalire i nemici su ogni fronte, assegnando ad alcuni soldati il compito di legare a tutti loro gli arti inferiori e ad altri quello di atterrarli, dopo essere stati immobilizzati con funi. Ma essi sarebbero riusciti ad ottenere entrambe le azioni sui loro imprevedibili nemici? In verità, bisognava ancora accertarsene per conoscerne i futuri risultati.

Quando i suoi reparti di fanteria e di cavalleria ebbero portato a termine le varie operazioni di accerchiamento, Neskuv, tramite i suoi dieci cornisti, ordinò ai suoi ufficiali di sferrare l'attacco contro l'esiguo numero dei terribili nemici. A quel punto, si videro sbucare dalle macchie circostanti duecento nuclei armati, ciascuno composto da cinquanta uomini. In un attimo, essi dilagarono per la campagna e si avventarono contro gli invasori con rabbia ferina. Siccome la metà di loro era formata da cavalieri e l'altra metà da fanti, ogni mostro fu assalito da una coppia di gruppi, dei quali uno era costituito da uomini a cavallo e l'altro era formato da soldati appiedati. I cavalieri avevano il compito di galoppare vertiginosamente intorno al proprio mostro, con l'obiettivo di disorientarlo e di frenarlo nella sua azione offensiva. Nel frattempo, i fanti dovevano raggiungerlo e legarlo con diversi giri di corda intorno agli arti inferiori. Inoltre, gli uni e gli altri, mentre erano impegnati separatamente nei due incarichi specificati, dovevano anche colpirlo senza interruzioni con ogni sorta di armi a loro disposizione.

Chi aveva creduto che il suo piano strategico avrebbe funzionato alla perfezione, dando degli ottimi risultati e consegnando ai Cerpusini la palma della vittoria, ben presto dovette ricredersi. Difatti, passando alla sua fase attuativa, Neskuv fu costretto a pentirsi con amarezza di aver trascinato tante persone al macello. Egli, poté soltanto rendersi conto che, con il suo maldestro intervento contro i mostri, stava per fare stroncare da loro una ingente moltitudine di vite umane. Purtroppo le cose non sarebbero potute andare diversamente, considerata l'alta temibilità dei mostruosi avversari. Essi, essendo degli esseri molto potenti, nel modo più assoluto non potevano essere attaccati e danneggiati dalle loro armi che, a volerle giudicare con obiettività, risultavano primitive.

I Torchidi, che non somigliavano ad alcuna specie animale del nostro pianeta, all'inizio lasciarono fare ai nostri soldati tutto ciò che era nelle loro intenzioni. Difatti, mentre gli armati cerpusini si scaraventavano contro gli alieni, gli venne permesso di colpirli con grandinate di frecce e di lance. Invece i nostri avversari, siccome quelle armi si dimostravano del tutto innocue contro di loro, si sentivano massimamente tranquilli. Il motivo? Le frecce e le lance, quando raggiungevano il loro corpo invulnerabile, non riuscivano a trafiggerlo in nessun modo; anzi, cadevano al suolo senza sortire alcun effetto, deludendo chi le scagliava. Anche le funi non riscuotevano alcun successo. Dopo essere state attorcigliate intorno ai loro arti inferiori fino al numero di volte consentito dalla loro lunghezza, esse prendevano immediatamente fuoco e diventavano cenere. In quella maniera, rendevano vani gli sforzi dei nostri soldati che cercavano di farli stramazzare al suolo. Pur rimanendo scioccati, essi ugualmente non desistevano e continuavano ad eseguire gli ordini che avevano ricevuto dal loro capo supremo.

Soltanto dopo aver fatto sfacchinare i nostri uomini per un tempo che essi ritennero bastevole, frustrando di continuo i loro propositi di distruggerli, alla fine i mostruosi alieni passarono alla controffensiva. Innanzitutto ciascun mostro circondò il proprio gruppo di assalitori con un muro di fuoco per sbarrare a ciascuno di loro anche la più piccola possibilità di fuga. In seguito si diede a ricoprirli di fiamme ardenti, che iniziarono a bruciarli e ad arrostirli vivi, come se fossero della cacciagione allo spiedo. Investiti da quelle lingue incendiarie di colore arancione, i poveretti non potevano fare altro che urlare e crepare dal dolore, mentre la morte si insinuava in loro inarrestabile e impietosa. In tale inferno di grida disperate e penose, si levava ovunque l'odore acre e nauseabondo degli innumerevoli corpi che ardevano vivi. Gli scalognati Cerpusini, infatti, dopo essersi dimenati per poco tempo, si accasciavano al suolo straziati dalle fiammate e dalla sofferenza. Stramazzati poi al suolo, essi consentivano alle fiamme voraci di completare sui loro corpi l'azione di liquefazione e di incenerimento iniziato da poco.

Alla fine, tutti i combattenti cerpusini trovarono la loro tormentosa morte sul campo di battaglia, per essere stati ridotti prima in tizzoni umani e poi in mucchi di cenere. Essendosi poi alzato un forte vento, la massa cenerina finì per essere spazzata via da esso, che badò pure a spargerla in ogni zona della regione e nel vicino villaggio. Dove la gente non riusciva a spiegarsi cosa fosse quella polvere biancastra e da dove provenisse, essendo ignara che essa rappresentava i resti mortali dei loro familiari caduti in battaglia qualche ora prima. A ogni modo, Neskuv fu l'unico ad essere stato risparmiato dalle fiamme dei mostruosi esseri incendiari. Naturalmente, non perché egli fosse risultato ad esse più simpatico degli altri, siccome era stato proprio lui a spingere i suoi compatrioti in quel conflitto sanguinoso. Invece la ragione era ben altra. Essi avevano riservato al nostro eroe un trattamento speciale, ossia una fine più miserabile di quella toccata ai suoi soldati. La quale sarebbe dovuta esserci sotto gli occhi degli abitanti del villaggio che non avevano preso parte alla battaglia, quella che si era appena svolta e conclusa!


Il tramonto non si era ancora presentato alla natura, allorquando si videro tre delle Creature del Male accedere al nostro villaggio. Esse, dopo averne eseguito la cattura, conducevano con loro il nostro eroe Neskuv, tenendolo in una posizione incredibile. Restando a testa in giù e sospeso nell'aria a un metro dal suolo, il poveretto precedeva la prima delle creature, la quale sembrava sorreggerlo con la forza del pensiero. Tutti gli abitanti incontrati da quegli orribili intrusi si stupivano dello strano fenomeno, per cui molti di loro si sentirono invogliati a seguirli. Soprattutto ci tenevano a conoscere la loro destinazione, siccome essa per il momento risultava ancora ignota. Così, non perdendoli di vista, i tanti curiosi infine scoprirono che la loro meta era la nostra capanna. I Torchidi, infatti, erano venuti a parlamentare con mio padre, in quanto capo del villaggio cerpusino. Stupendocene moltissimo, noi ci andavamo chiedendo come avessero fatto quegli esseri, i cui corpi davano molto da pensare, a rendersi conto che mio padre era il capo di Cerpus e che il loro prigioniero era stato il vero responsabile della nostra spedizione punitiva. Non riuscendo però a spiegarcelo in modo logico e comprensibile, fummo costretti a rinunciare a capire da cosa fosse scaturita quella loro consapevolezza di ogni fatto avvenuto nel nostro villaggio.

Quando il mio genitore uscì dalla propria capanna, l'alieno, che reggeva il nostro Neskuv come per magia, a un certo punto, lo lasciò cadere a terra, proprio ai piedi di mio padre. Dopo averlo fatto ruzzolare davanti a lui, quasi fosse un sacco di patate, egli ci tenne a fargli presente:

«Ecco colui che è stato il responsabile della morte di diecimila Cerpusini! Per questo abbiamo deciso di riservargli un trattamento speciale, alla presenza degli altri abitanti del villaggio. Vogliamo sperare che lo spettacolo, al quale daremo luogo tra qualche istante, risulti di vostro gradimento! Siamo certi che esso vi faccia rinsavire per l'avvenire. Adesso, però, state a guardare la fine che gli abbiamo riservato!»

Un attimo dopo, era seguito qualcosa di rivoltante, che noi tutti non ci saremmo mai aspettato. Al povero Neskuv si erano viste staccare le venti dita, prima quelle dei piedi e poi quelle delle mani; però non tutte insieme. La loro amputazione era avvenuta singolarmente, ossia di un dito per volta, come se fosse stata eseguita da un paio di tenaglie invisibili. I singoli danni provocati dall'estirpazione delle une e delle altre dita erano ben manifesti, a causa del sanguinamento e dell'atroce dolore che essi arrecavano a chi era costretto a subirli impotente. All'escissione delle dita seguirono prima l'amputazione dei piedi e delle mani, poi quella degli avambracci e delle gambe, infine quella delle cosce e delle braccia. Ovviamente, la loro asportazione ci fu tra le urla disperate del nostro sventurato eroe, poiché egli non aveva cessato di soffrire orrendamente, durante l'intera opera mutilante effettuata dal Torchide.

Intanto che il corpo di Neskuv diventava un torso monco di arti e circondato da un lago di sangue, la vita lo abbandonava sempre di più. Oramai esso era divenuto quasi esangue, quando fu privato anche della testa. Solo dopo essere stato decapitato, il campione del nostro popolo smise di soffrire ulteriormente, per essere divenuto esanime. Allora la ferocia dei mostruosi esseri ebbe termine e non andò oltre; mentre noi avevamo temuto che essa sarebbe proseguita anche con il suo sventramento, che per nostra fortuna non ci fu. La loro efferata esibizione aveva messo in mostra uno spettacolo così terrificante, da fare accapponare la pelle alla maggioranza dei presenti. I quali erano rimasti inorriditi di fronte allo strazio e al tormento patiti da colui che, fino a quel momento, era stato tenuto in grande considerazione nel nostro villaggio. Io non sto qui a riportarti le pene dell'inferno sofferte dallo sventurato durante le sevizie da lui subite, poiché non voglio con il loro ricordo né avvilire me né intossicare te!

Dopo aver scempiato il corpo della loro vittima nel modo orribile che ti ho riferito, ossia con il suo tronco privato di tutti gli organi appendicolari, il medesimo alieno, che prima aveva parlato con tono sostenuto e sprezzante, si rivolse nuovamente a mio padre e gli disse:

«Tranquillìzzati, Arbes, capo di Cerpus, poiché nei tuoi confronti non mi è stato ordinato alcun tipo di smembramento. Sappiamo già che eri contrario a combatterci, avendo compreso che contro la nostra potenza non c'era niente da fare. Inoltre, almeno per il momento, non abbiamo interesse a distruggere il tuo popolo. Tutto dipende da se esso intende ubbidirci pedissequamente oppure no.»

«Ma a quale prezzo ci lasciate vivere, se è lecito saperlo, visto che di sicuro tra poco c'imporrete con la forza ciò che pretendete da noi?» gli chiese mio padre «Inoltre, volete palesarci chi siete e se obbedite agli ordini di un essere divino? Dopo che saremo venuti a conoscenza di queste cose, anche se poche e della minima importanza, sapremo cosa risponderti e come regolarci.»

«Le tue sono tre domande, Arbes, che passo subito a soddisfare, cominciando dalle ultime due. Noi siamo i Torchidi, detti pure Creature del Male, e siamo al servizio di Trauz, il dio dell'orgasmo mortale. Io, che mi chiamo Zulk, sono stato posto al loro comando dal nostro potente dio, per cui ne sono il capo. è evidente che sono venuto da te per conto di lui, allo scopo di rivelarti e d'importi la sua volontà. Alla nostra illustre divinità nessuno di voi potrà mai opporsi e disubbidire: pena la morte!»

«Prima di conoscere il volere del tuo dio, Zulk, il quale di sicuro vorrà costringere il mio popolo a pagare un salato tributo, vorrei sapere da te che bisogno c'era da parte sua di farvi distruggere le nostre colture. Egli, come divinità, era senz'altro a conoscenza che esse ci servivano per nutrirci, per sfamarci e per sopravvivere!»

«Con tale distruzione, Arbes, volevamo solo dimostrarvi l'invincibile potenza della divinità che ci ha creati. Ma per colpa del vostro dissennato Neskuv, abbiamo dovuto farvela assaggiare anche nella maniera che non volevamo, cioè a danno del vostro popolo. Ti assicuro che gli abbiamo dovuto infliggere delle gravi perdite, pur non essendo nelle nostre intenzioni operare una carneficina del genere. Adesso lo sai!»

«Ora veniamo al punto dolente della nostra discussione, Zulk, e dicci che cosa esige realmente il tuo dio da noi Cerpusini, in cambio della nostra salvezza. Voglio sperare che quest'ultima e la richiesta del tuo dio si compensino in qualche modo! Altrimenti per noi sarà meglio procurarci la morte, anziché tollerare un sacrificio impossibile!»

«Siccome nel vostro popolo è venuto a mancare un numero ingente di maschi, per prima cosa, Arbes, dovete dare la possibilità a tutte le donne di avere un marito, cioè un maschio che le insemini e le renda gravide. Ciò vi sarà possibile, solo permettendo a ogni uomo di accoppiarsi con più donne, attraverso una poligamia autorizzata. Soltanto così la vostra popolazione potrà rifarsi ben presto delle morti subite nel cruento conflitto di alcune ore fa. Vedrete che con la poliginia le nascite risulteranno triplicate e le pesanti perdite odierne subite non costituiranno più un grosso problema per la vostra popolazione diminuita!»

«Come mi rendo conto, Zulk, vi preme molto che la mia gente proliferi a più non posso nel villaggio. Sono convinto che il suo incremento avrà qualche rapporto con quanto sta per esserci richiesto dal vostro dio, se venite a promuoverlo, intimandoci anche il modo di conseguirlo! Perciò sei pregato di sputare il rospo, senza continuare a tergiversare, anche se prevedo che la tua risposta ci risulterà abbastanza amara!»

«Arbes, la tua osservazione è giusta! Il nostro dio non vuole correre il rischio che voi non possiate in avvenire corrispondergli il prezzo che pretenderà da voi, in cambio della vostra salvezza. Egli, come puoi convincertene, è senz'altro un freddo calcolatore, oltre che un palese egoista. Ma voi non ci potete fare niente, se è fatto così!»

«Eppure, Zulk, il vostro dio non ha esitato a farvi uccidere dieci migliaia dei nostri soldati! Non comprendo la sua incoerenza in questa circostanza! Se il mio popolo davvero gli serviva tantissimo, secondo i suoi reconditi disegni, poteva risparmiarsi la grande ecatombe, che avete portata a termine nella recente battaglia!»

«Hai ragione, Arbes. Se li ha fatti uccidere, però, è stato solo perché essi non servivano al suo scopo. Come sai, sono le donne a mettere al mondo i figli e un solo uomo può inseminare una gran quantità di loro. Se ci aveste inviato contro un esercito di donne, stanne certo che non ne avremmo ammazzato neppure una. Te lo garantisco!»

«Intanto, Zulk, continui a non dirmi quali sono le pretese del tuo dio nei confronti del mio popolo, perché ci faccia concessione della vita. Se vuoi deciderti a farlo adesso, almeno dopo sapremo finalmente quale grigio futuro ci attende, se esso non sarà proprio nero al cento per cento! Allora sbrìgati a svelarcelo, per favore!»

«Egli pretende da voi che gli sacrifichiate ogni mese tre giovani vergini di età non superiore ai venti anni, esattamente nel modo come ora ti spiego. Esse dovranno essere legate sopra una pira per essere possedute dal nostro dio, il quale farà provare loro il massimo godimento. Ma proprio mentre l'orgasmo le farà impazzire dal piacere, egli le strangolerà e le farà morire all'istante. Adesso hai compreso pure l'attribuzione che si è data il nostro dio. A quel punto, interverremo noi tre, essendo gli unici Torchidi a presenziare il sacrificio, e daremo fuoco alla catasta di legno, la quale ridurrà in cenere i loro corpi ormai privi di vita. Quindi, sta a voi scegliere se acconsentire alla richiesta del nostro divino Trauz, sacrificando solo tre donne ogni mese, oppure optare per l'olocausto del vostro popolo. Nei vostri panni, non avrei alcuna difficoltà ad operare la mia scelta e accetterei senz'altro il sacrificio mensile di solo tre donne!»

«Anche se per la nostra gente la pretesa del vostro dio risulta un tributo molto esoso e spietato, Zulk, siamo obbligati a piegare la fronte davanti a lui, considerato che per noi non c'è un'alternativa migliore. Non vorrei però essere io a fare la scelta delle tre vittime sacrificali, siccome mi dispiacerebbe essere tacciato di parzialità e di preferenza, da parte degli altri abitanti del mio villaggio!»

«Se è questo che ti preoccupa, Arbes, puoi stare tranquillo! Saremo noi Torchidi a sceglierle, facendo trovare la mattina del sacrificio una corona di fiori davanti alla capanna di ogni futura vittima. Se qualche famiglia cercasse di fare la furba, sottraendola all'insaputa degli altri Cerpusini, in quel caso verrebbero uccisi anche tutti i suoi componenti. Ora, prima di ritirarci dal villaggio, vi ricordo che la prima immolazione dovrà avvenire fra tre giorni. Perciò non dimenticate di approntare per quella data la legna occorrente per il rogo sacrificale. Per il vostro bene, siate puntuali e precisi, nel compiere il lavoro che vi abbiamo affidato!»

Andati via i Torchidi, la gente si ricusò di celebrare i funerali in onore del grande eroe di un tempo, ritenendolo l'unico responsabile dell'immane uccisione dei loro cari. Volle invece gettare il suo corpo smembrato in pasto ai cani, essendosi persuasa che quella era la miserevole fine che si meritava. Inoltre, il giorno che seguì fu proclamata nel villaggio una giornata di lutto, perché in tutte le capanne si potesse piangere la morte di quanti erano caduti nella precedente assurda battaglia. Nei giorni successivi, i Cerpusini si diedero a ponderare con calma il gravoso onere che avevano assunto come impegno con il divino Trauz. A tale pensiero, l'animo di ognuno di loro si accasciò e si avvilì in modo spaventoso, al pensiero che, da quel momento in poi e con periodicità mensile, tre giovani vittime innocenti sarebbero state immolate alla crudele divinità. Ovviamente, ogni famiglia, che aveva una o più ragazze adolescenti nel proprio nucleo, cominciò ad augurarsi che l'ignobile scelta non cadesse mai sulla propria capanna.

Il rito del primo sacrificio naturalmente non si svolse in modo allettevole, considerato che il suo svolgimento conturbò parecchio la mente dei Cerpusini che assistettero ad esso. Per cui tutti fecero ritorno alle loro capanne sconvolti e con uno spirito molto depresso e dissestato. Era stata rigorosamente vietata la presenza dei bambini all'impressionante spettacolo, allo scopo di evitare agli stessi degli impatti psicologici enormemente traumatizzanti. Da allora, così, più di trecentosessanta giovani cerpusine sono state sacrificate al dio Trauz dal nostro popolo, senza poterci ribellare alla sua sopraffazione. Ci tocca perfino accettarla di buon grado, se non vogliamo essere sterminati in pochi attimi dalle sue Creature del Male. Unica cosa che possiamo fare, nella nostra triste sorte, è piangerci le povere vittime e dolerci della loro inumana immolazione. Oramai questo è diventato il nostro ingiusto e crudele destino, che nessuno mai potrà più levarci di dosso, essendo stata una perversa divinità ad assegnarcelo malvagiamente e contro la nostra volontà!