131-ELESIA S'INNAMORA DI UKTON E SI PRESTA AD AIUTARLO
Tradotto il divo catturato in un reparto che era adiacente alla sua abitazione, lo scellerato dio Katfur, per evitargli di scappare, lo aveva rinchiuso in una calotta energetica. La cui funzione era quella di impedire alla sua minore potenza di attraversarla, nel caso che l'ostaggio avesse tentato di uscirne ed allontanarsi. L'intera superficie della calotta, infatti, era attraversata da un campo di forza di altissimo potenziale, il quale non avrebbe ceduto, anche se l'energia del divo positivo si fosse espressa con la massima efficienza. Di lì a poco, dopo essersi accertato di aver costruito una sicura cella per la giovane divinità benefica da lui sequestrata, il dio negativo aveva invitato la moglie e la figlia nella cella del prigioniero per farglielo vedere. Quasi fosse un suo trofeo di guerra!
In quel luogo, il dio Katfur intendeva offrire alle due familiari un saggio della sua inaudita crudeltà. In verità, la dea Vaen già sapeva che il marito, quando ricorreva ad essa, mostrando un cinismo impressionante, riusciva ad arrecare dei danni ingenti alle sue vittime, le quali erano sempre divinità positive minori. Perciò adesso il perfido dio negativo voleva comportarsi allo stesso modo anche con il divo Ukton; ma ci teneva a farlo alla presenza delle altre due componenti della famiglia.
Pochi attimi dopo, il sadico Katfur si era dato ad imperversare in modo indescrivibile contro la giovane divinità da lui fatta prigioniera. Ossia, aveva incominciato a strapazzargli la psiche nella forma più barbara, come se al suo posto ci fosse un'autentica scimmietta. Allora lo sventurato divo positivo, essendo in balia dei maltrattamenti psichici del suo oppressore, aveva iniziato a vivere i momenti più orribili della propria esistenza e a subire lo schianto parossistico dell'animo. Il poveretto, mentre ne avvertiva le conseguenti sensazioni dolorifiche, quasi fossero reali, si sentiva tagliuzzare in mille brandelli da una lama bene affilata.
Vivendo quella sua prima terribile esperienza, Ukton si era ritrovato ad essere preda delle allucinazioni più macabre e terrificanti, le quali lo facevano inabissare in un oceano di fobie e di incontrollabili isterismi. Nel suo intimo, invece, si davano a regnare esclusivamente il tenebrore di un nero pessimismo, il patema di un'ansia angosciante e la frustrazione di una esistenza ormai alla deriva, come se fosse prossima alla fine. Ciò non bastando, il divo veniva costretto ad avere la sensazione che quei suoi molteplici stati d'animo lo dessero in pasto alla ferocia mordace di un disastroso cataclisma spirituale. Intanto che il terrore e l'orrore facevano strage della sua depressa entità psichica, il volto di lui andava incontro a continue trasfigurazioni. Esse vi si manifestavano conturbanti al massimo, poiché erano intente a demolire il pacato aspetto della sua abituale serenità e a surrogarglielo con una pena impossibile.
Mentre succedevano quelle cose orrende allo sfortunato divo positivo, la dea negativa Vaen si mostrava indifferente e non si lasciava influenzare per niente dallo sviscerato sadismo, che seguitava a sprizzare dal volto del consorte. La figlia Elesia, al contrario, si lasciava suggestionare dall'episodio in modo pietoso. A suo avviso, la paterna esibizione si stava dimostrando un fatto davvero ripugnante; anzi, significava l'estrinsecazione di una perversione enfatizzata, degna dell'esecrazione più spregevole. Nella sua intimità, ella la disdegnava e la condannava, a causa dell'assurdo sadismo che vi scorgeva. Secondo lei, nessuna specie cosciente, fosse essa divina od umana, doveva permettersi di attuare un misfatto del genere verso chicchessia, né prendendovi parte attiva né proteggendola con la propria complicità omertosa.
La diva, la cui età era di settemila anni, assisteva alla deplorevole ostentazione del genitore con un abbattimento dello spirito, che faceva davvero spavento. Le si era perfino sbiancato il volto, come se volesse svenire da un momento all'altro, siccome non riusciva a sopportarla in nessuna maniera. Quel suo atteggiamento le proveniva dal fatto che ella si era sentita immedesimare con il divo positivo, intanto che il genitore si accaniva contro di lui e lo bersagliava con le sue sevizie di natura psicologica. Era come se anch'ella si trovasse a vivere gli atroci istanti da lui vissuti, fino a recepirne realmente le mostruose sofferenze. In quella circostanza di sommo martirio, la diva negativa, per il bene proprio e di quello del divo, sperava che il carnefice suo genitore si decidesse a smetterla al più presto di propinare al suo ostaggio quelle inconcepibili torture. Secondo lei, esse potevano essere escogitate soltanto da una mente diabolica a danno di vittime derelitte.
Quando il dio Katfur aveva cessato di infierire contro il prigioniero e i tre familiari se ne erano ritornati nella loro abitazione, Elesia non si riconosceva più. Ella appariva psichicamente scossa e demoralizzata, come non lo era mai stata in passato. Aveva la sensazione che avesse preso sulle proprie spalle l'intero pesante fardello del disgraziato divo positivo. Ma purtroppo per lui e per lei, quello non sarebbe stato un episodio unico e neppure sporadico, poiché esso sarebbe continuato a ripetersi nel tempo con una periodicità giornaliera. Così ogni giorno Ukton ed Elesia, quest'ultima solo di riflesso, erano stati costretti a sobbarcarsi il mare di sofferenza che il dio malefico si divertiva a provocare nel divo positivo e, senza saperlo, anche nella propria figlia. A lei la pena proveniva dal sentire una grande compassione per la sventurata vittima del padre.
Il secondogenito del dio Vaulk era all'oscuro del dramma che l'unigenita del suo torturatore stava vivendo insieme con lui; né avrebbe mai immaginato che per lei era un dovere prendere parte alla sua sventura e al suo dolore. Comunque, prima o poi, Ukton ne sarebbe venuto a conoscenza e ne sarebbe anche rimasto strabiliato per due motivi. Il primo gli avrebbe fatto ritenere strano che una diva negativa potesse provare per lui una tale commiserazione, da volere perfino condividere il suo fardello di strazi. Il secondo lo avrebbe fatto stupire immensamente, siccome quel modo di concepire l'esistenza si rinveniva addirittura nella figlia del suo diabolico carnefice! In seguito, però, l'assidua frequentazione della diva negativa avrebbe dissipato in lui ogni dubbio, poiché avrebbe constatato di persona che in lei allignavano sul serio una sensibilità e una nobiltà d'animo incredibili. Esse, a parer suo, pur nella loro apparente assurdità, erano da considerarsi fuori discussione!
Ogni giorno, dopo che il padre aveva terminato di massacrargli la psiche con le sue allucinazioni orripilanti, Elesia trovava il tempo e il modo di andare a far visita all'ostaggio, raggiungendolo presso la sua campana energetica. Nei primi giorni, ella se n'era restata soltanto a guardarlo a lungo, senza mai proferirgli una parola, pur abbozzandogli di tanto in tanto un tenero sorriso. Mentre gli sorrideva, pareva che volesse rinfrancargli lo spirito, visto che era al corrente che le sevizie paterne glielo avevano fiaccato terribilmente. Come figlia del dio dell'infamia, la poveretta non sapeva esprimersi altrimenti nei confronti del disgraziato recluso catturato dal padre. A suo giudizio, egli non l'avrebbe mai compresa, essendo persuaso che una divinità negativa giammai sarebbe stata capace di provare certi sentimenti benevoli. Difatti in lei, ammesso che non fossero simulati, essi erano da considerarsi soltanto inammissibili ed innaturali dalle divinità sia positive che negative
In seguito, poiché la sua diva visitatrice seguitava a restare in silenzio ogni volta che andava a trovarlo, Ukton aveva deciso di forzarla ad aprire bocca e a dargli delle spiegazioni circa il suo comportamento. Agendo in quel modo, avrebbe finalmente appreso il motivo delle sue visite quotidiane e ciò che ella si prefiggeva con esse. Così il giorno dopo, quando la diva negativa si era ripresentata al suo cospetto, il secondogenito del gerark Vaulk, con l'intento di farla parlare ed obbligarla a motivare le sue visitazioni diurne, prendendola di petto, le si era espresso in questo modo:
«Se anche oggi hai deciso di fare scena muta, mia sconosciuta visitatrice, ti consiglio di toglierti dai piedi e di lasciarmi vivere la mia penosa solitudine. In tal modo, potrò almeno piangere i miei guai tutto solo, senza che ci sia la scomoda presenza di una diva malefica, quale tu sei. Lo so con certezza che vieni in questo luogo, esclusivamente per godere delle mie disgrazie! Avanti, confessa che questa è la verità!»
La risposta della sua interlocutrice non si era fatta attendere molto, visto che essa era stata immediata. La diva, considerandosi duramente offesa dalle sue parole, pur non meritandolo, ci aveva tenuto a reagire al rimbrotto del prigioniero del padre. Perciò si era affrettata a dirgli:
«Prima di risponderti, divo positivo, voglio farti sapere che ci tengo molto a parlare con te, però a condizione che tu non mi offenda, come hai fatto un attimo fa! Fino ad oggi sono rimasta zitta, per il semplice fatto che avevo una tremenda paura di ricevere il tuo disprezzo, a causa del male che mio padre ti arrecava ingiustamente. Adesso, se me lo consenti, mi pongo a tua completa disposizione e puoi domandarmi qualunque cosa tu voglia. Ti prometto che esaudirò ogni tua richiesta, a parte quella di farti uscire dalla campana energetica che ti tiene recluso. Anche perché, se tu me lo chiedessi, non potrei accontentarti, essendo impossibilitata ad aiutarti in tal senso! Ma tu questo già lo saprai.»
«Certo che lo so, cortese diva! Perciò non posso pretendere da te di venire liberato, poiché solo in tuo padre c'è un simile potere. Invece puoi fare per me ben altro. Prima vorrei conoscere il nome del dio che mi ha catturato e su quale pianeta egli mi tiene relegato. Dopo avermi dato queste due notizie, potrai parlarmi di te, se lo desideri, considerato che non lo disdegno. Per il momento, diva negativa, oltre al fatto che sei l'unica figlia del mio catturatore, non so nient'altro sul tuo conto!»
«Mio padre, il quale è il dio dell'infamia e ha eseguito la tua cattura, si chiama Katfur; mentre mia madre Vaen è la dea dell'adulterio. Io sono la loro figlia unigenita e mi chiamo Elesia. Viviamo sul pianeta Elmud, che orbita intorno alla stella Bolek, la quale è situata nella galassia di Oreap. Inoltre, come già ti sei accorto a tue spese, il mio genitore è una divinità negativa maggiore, di cui non sono mai riuscita a comprendere l'esagerata cattiveria. Provo perfino disprezzo nei suoi confronti, quando si dà a farti penare nella maniera infame che conosci!»
«Quindi, Elesia, mi trovo in una galassia, che è all'esterno dell'Impero dell'Ottaedro! Essa non dista nemmeno tanto da quella in cui si trova il mio pianeta, dal momento che entrambe sono separate dalla sola galassia di Paren. Se mio padre venisse a saperlo, correrebbe immediatamente a liberarmi! Adesso mi dici perché avete preferito risiedere sopra un pianeta, che non appartiene all'impero delle divinità negative? C'è stata forse una ragione specifica, la quale vi ha spinti a prendere una tale decisione? Oppure la vostra scelta non c'è stata per qualche motivo? Suvvia, Elesia, rispondimi anche su questo particolare!»
«A quest'ultima tua domanda, divo positivo, non so cosa rispondere, siccome in famiglia non c'è mai stata una discussione su un argomento del genere. Forse si è trattato di una libera scelta di mio padre, senza che vi sia stata alcuna ragione. Ora vorrei che tu ti mettessi a parlarmi di te, a cominciare dal tuo nome, dato che ci tengo a conoscere più cose possibili sulla tua vita. Ma prevedo che il mio grande interesse per te ti risulterà strano!»
«Io mi chiamo Ukton e sono il secondogenito di Vaulk, il dio del coraggio; mentre mia madre è Gedal, la dea della fermezza. Ho solamente due fratelli, i quali sono uno più grande di me e un altro più piccolo. Il maggiore si chiama Pluv, il dio della memoria; mentre il nome del minore è Biok. Viviamo sul pianeta Zupes, il quale orbita intorno alla stella Purias, che è situata nella galassia di Astap. Mio padre è un gerark dell'Impero del Tetraedro e comanda sulla Circoscrizione di Zupes. Se sapesse che il tuo genitore mi tiene qui prigioniero, verrebbe a strapazzargli l'esistenza peggio di quanto egli si diverte a fare con la mia! Peccato che il mio genitore sia all'oscuro del luogo dove mi trovo in questo momento! Se ne fosse a conoscenza, correrebbe a liberarmi senza alcun indugio, dando il fatto suo a quel delinquente di tuo padre!»
«Lo credo anch'io, Ukton. Anzi, sarei molto felice, se ciò accadesse! Egli avrebbe tutte le sue buone ragioni per vendicarsi dell'oppressore del figlio! Quello che non comprendo, però, è come mai il tuo potente genitore si astiene ancora dal farlo. Possibile che egli a tutt'oggi non sia ancora riuscito a sapere quale divinità, dopo averti imprigionato, ti priva della libertà di agire e ogni giorno va commettendo tanti atti di abuso nei tuoi confronti? Comunque, se non lo hai ancora compreso, non condivido affatto il maligno comportamento del mio genitore nei tuoi confronti. Invece lo disapprovo e lo condanno con tutta me stessa!»
«Ti ringrazio per il tuo vivo interesse per me, Elesia! Siccome mi ispiri una grande fiducia, adesso ti spiego alcune cose che non conosci. Devi sapere che una divinità positiva può accedere a Kosmos, oltre che allo stesso modo vostro, ossia restando visibile alle altre divinità, anche allo stato latente. In quest'ultimo caso, un'altra divinità, positiva o negativa che sia, può captare la divinità priva dei suoi dati identificativi, solo se viene a trovarsi in un raggio di cento chilometri da essa! Nemmeno le eccelse divinità Kron e Locus, sebbene fornite di iperpoteri primari, possono individuarla. Dopo averti chiarito ciò, ti faccio presente che scapatamente mi sono avventurato nello spazio cosmico allo stato latente. Ecco perché mio padre, a causa della mia leggerezza, ha le mani legate nel cercarmi ovunque e nel portarmi il suo valido soccorso! Ora comprendi il guaio che mio malgrado ho fatto, graziosa diva?»
«Come si fa a diventare una divinità latente, Ukton? è la prima volta che sento parlare di questa particolarità di voi divinità positive. Probabilmente lo ignoro, solo perché alle divinità negative non è possibile procurarsi una simile peculiarità.»
«Per assumere lo stato di latenza, Elesia, ad una divinità di Luxan basta accedere in Kosmos attraverso la Nube Nera. Invece la Nube Bianca, analogamente alla Fonte della Rigenerazione che sta in Tenebrun, vi lascia entrare come divinità identificabile da qualsiasi altra entità positiva o negativa in esso esistente.»
«Ma tu, Ukton, come facevi a trovarti in Kosmos nello stato di latenza, se, come penso, sei nato e vissuto sempre nella nostra realtà cosmica? Se non ti rincresce, ti andrebbe di spiegarmi anche questo nuovo particolare, il quale mi risulta difficile comprendere? Ti confesso che mi farebbe piacere apprenderlo direttamente dalle tue labbra!»
«Hai proprio ragione, Elesia, a farti una simile domanda. Ma devi sapere che da poco nel nostro impero è ricorso il Solenne Pellegrinaggio. Si tratta di un'importante ricorrenza, la quale obbliga i divi di entrambi i sessi, accompagnati naturalmente dai rispettivi genitori, a raggiungere Luxan. Lo scopo del loro viaggio avente come meta il Regno della Luce è quello di formulare l'atto di sottomissione e il giuramento di obbedienza all'onnipotente Splendor, dal quale sono derivate le prime divinità, che un tempo erano tutte positive. Questa volta era toccato anche a me e al mio amico Iovi prendere parte all'importante pellegrinaggio per assolvere i due compiti che ti ho appena specificato. Tutti e due vi eravamo stati condotti dai nostri padri e dalle nostre madri, che se ne inorgoglivano a non finire.»
«Così, Ukton, non appena vi è stato possibile, senza dare troppo peso alla cosa e dimentichi dei vostri doveri di figli, insieme avete voluto strafare e combinarne una delle vostre! Non è forse vero che è stato come ho pensato? Se mi sbaglio, correggimi; ma non credo di essere in errore. Sono sicura che è successo proprio in questo modo!»
«Non hai torto, Elesia! Una volta adempiuto il nostro dovere, all'insaputa dei nostri genitori, il mio amico ed io abbiamo deciso di avventurarci da soli in Kosmos. Da parte nostra, però, la cosa peggiore è stata quella di aver voluto accedervi come divinità latenti. Dopo, pur essendoci ripromessi che avremmo fatto durare la nostra passeggiata solo poco tempo, al contrario di Iovi, mi sono dimostrato più sventato e ho ceduto alla tentazione di spaziare il più possibile nell'infinito Kosmos. Così vi ho volato, fino a quando non mi sono ritrovato a poca distanza da tuo padre. Il quale, essendosi accorto del mio stato di latenza, non ha esitato a catturarmi. Sono convinto che, già fin da allora, è stata sua intenzione condannarmi al tipo di prigionia che conosciamo!»
«Mi dispiace, Ukton, per quanto di sconcertante ti sta accadendo presso la nostra dimora. A questo punto, però, prima che mio padre rientri e mi sorprenda nella tua prigione, devo lasciarti alla svelta. Continueremo la nostra piacevole conversazione nel nostro prossimo incontro, che spero ci sia al più presto! Dunque, arrivederci, amico mio!»
Quando la diva negativa lo aveva lasciato, allontanandosi di corsa da quel luogo, il secondogenito del dio Vaulk era rimasto esterrefatto. Egli non riusciva a capacitarsi perché mai avesse colloquiato con la diva Elesia, come se ella fosse stata una diva positiva. Perciò si andava domandando se fosse stato vero il suo dialogo avuto con lei. Magari si era trattato solo di una mera illusione dovuta al suo stato debilitato! Pur ammettendo che esso c'era stato effettivamente, poteva anche darsi che egli avesse scorto in Elesia la diva che desiderava fosse nella realtà. Per questo non si era accorto che il loro intreccio di domande e d'impressioni reciproche si stava svolgendo in una situazione non effettuale e realisticamente paradossale! Possibile che egli fosse incappato in un errore così clamoroso? In piena sincerità, il divo Ukton non se la sentiva di dare credito ad esso, ad evitare di addolorarsi di più. Comunque, la diva Elesia sarebbe ritornata a trovarlo e, in quella circostanza, la verità sarebbe saltata fuori. Egli era convinto che, in un modo o in un altro, l'avrebbe fatta apparire linda e verace sul volto della sua misteriosa interlocutrice.
Il giorno seguente, quando la diva negativa gli era ricomparsa alla solita ora, il divo Ukton si era proposto di bersagliarla con una batteria di domande. Con esse, intendeva ottenere in lei la spremitura della verità, ricavandone un succo genuino, senza alterazioni di sorta. Invece era stata ancora la figlia del dio Katfur ad aprire il discorso, dicendogli:
«Eccomi ancora presso di te, Ukton! Se lo vuoi sapere, non vedevo l'ora di ritrovarmi in tua compagnia, essendo desiderosa di consolarti! Perciò, adesso che siamo di nuovo insieme, intendo mitigarti l'angoscia e la disperazione che oggi mio padre ti ha fatto rivivere con toni terribili e raccapriccianti. Non immagini quanto torturi pure me il suo sadico comportamento a te avverso! Per cui vorrei che tu non lo subissi. Mi devi credere senza dubitarne, quando ti riferisco queste cose veritiere!»
«Grazie, Elesia, per l'interessamento e per la compassione che continui a mostrare verso di me. Sai una cosa? Ieri mi sono chiesto perché mai appari così premurosa nei miei confronti. A tale riguardo, però, non sono stato in grado di darmi una risposta soddisfacente. Per favore, perché non mi aiuti tu a rispondere alla mia legittima domanda?»
«Ti accontento subito, Ukton. Un'intima esigenza, che è più forte di me, interiormente mi fa muovere in questa direzione. Essa è più che giustificata! Tu sei entrato a far parte della mia vita quanto me stessa, per cui rappresenti il caposaldo della mia esistenza, la quale intende svolgersi solo accanto a te. Da quando ti ho conosciuto, la mia unica aspirazione è quella di renderti assai lieto. Soprattutto desidero spegnere nel tuo animo gli allucinanti momenti che il mio pessimo genitore ti costringe a vivere con la sua morbosa malignità. Non c'è dubbio che egli ricavi, dal maltrattamento che ti procura a ogni ritorno della luce del sole, un piacere perverso, oltre che il massimo appagamento! Te lo posso garantire, amico mio!»
«Da parte tua, Elesia, è nobile coltivare un simile sentimento dentro di te, considerato che esso ti fa molto onore! In verità, non avrei mai immaginato che qualcosa del genere potesse attecchire anche in una divinità malefica, quale tu sei. Se proprio lo vuoi sapere, mi riesce davvero difficile credere ai miei occhi, intanto che ti sento parlare così!»
«Non mi meraviglio nel sentirti affermare queste cose, Ukton! A tale proposito, anche se tra poco accoglierai le mie parole con scetticismo, ugualmente ci tengo a confessarti un fatto che stimo di una importanza rilevante. Quando vieni strapazzato da mio padre nella maniera ignobile che conosci, non sei il solo a provare le atroci sofferenze che da lui ti derivano. Anch'io, immedesimandomi con te, le avverto in uguale misura e con la stessa intensità. Dunque, le tue condizioni pietose, oltre a commuovermi e a spingermi a compiangerti, mi fanno penare tremendamente. Perciò vorrei essere io l'arbitro del tuo attuale destino. Se potessi esserlo, ti restituirei all'istante la libertà da te tanto agognata, in questi momenti difficili che stai vivendo nella nostra casa! Purtroppo mi è assolutamente impossibile recarti qualche aiuto nel modo che desideri, anzi che desideriamo!»
«Con le tue parole, Elesia, mi confondi; mi fai perfino dubitare che la tua natura sia malefica. Se non scorgessi sulla tua fronte l'emblema del male, non oserei mai reputarti una divinità negativa! Conosco alcune divinità positive, la cui sensibilità di spirito non è neppure lontanamente da paragonarsi a quella tua! Ti assicuro che non ti sto mentendo, mentre ti asserisco queste cose. Ecco perché mi fai rimanere immensamente sbalordito, quando ti sento esprimerti come stai facendo!»
«Grazie per il bel complimento, Ukton! A tale riguardo, voglio farti presente che la stessa domanda, che ti sei posta tu un attimo fa, continuo a pormela anch'io da sempre. Dentro di me, vedo venire alla luce sentimenti, i quali sono l'opposto di quelli che nutrono le altre divinità della mia stessa natura. L'imperativo, che fa breccia nei miei pensieri e nelle mie azioni, è quello che mi spinge ad amare e non ad odiare il prossimo, ad adoperarmi per il suo bene e non ad arrecargli del male. La qual cosa, in un certo senso, mi punisce, poiché mi fa sentire relegata tra due realtà diverse, senza poter fruire di nessuna delle due: l'una è quella che detesto e l'altra è quella che non mi accetta. Comprendi l'immane sofferenza che mi proviene dalla mia ambivalente esistenza, dalla quale non sono in grado di liberarmi?»
«Forse sì e forse no, mia dolce Elesia. Ad ogni modo, non riesco a comprendere la tua sofferenza a causa del tuo comportamento esemplare, dal momento che dovresti sentirti premiata, se sei fatta nel modo che hai detto! Forse non ti avrò seguita abbastanza nel tuo ragionamento. Ma se ciò fosse avvenuto in me, intanto che parlavi, per favore vuoi spiegarmi meglio da cosa ti deriva la pena, a cui hai accennato?»
«Provvedo subito, Ukton! Da una parte, la duplicità del mio essere mi fa vivere pessimamente accanto ad entità divine, la cui esistenza è sintonizzata con i soli valori negativi, quelli che la mia coscienza rigetta per principio. Dall'altra, a causa del mio marchio infamante, essa m'impedisce di vivere con le divinità che la pensano proprio come me e concepiscono la realtà alla mia stessa maniera. Mi hai intesa adesso?»
«Hai proprio ragione, Elesia! Prima non avevo fatto caso a questo particolare assurdo, che fa di te un essere inquieto ed infelice. Nella casistica dei fenomeni strani, non si è mai rinvenuto uno uguale a quello che ti coinvolge. Per come la penso io, esso, nella definizione delle due nature divine, ossia quella positiva e quella negativa, si presenta come l'eccezione alla regola. Tu mi appari come una goccia bianca, la quale è costretta a lasciarsi andare in un mare nero, senza né pace né speranza. Se in passato fossi venuto a sapere di un caso come il tuo, giammai ci avrei creduto! Perciò mi vado chiedendo come si sia potuto verificare in te un paradosso simile. Il guaio è che non posso nemmeno farmi aiutare da mio padre a risolvere il tuo rebus; però, se fossi libero, senza dubbio gli chiederei spiegazioni in merito. Anzi, farei di più! Lo pregherei di darti una mano ad uscire per sempre dall'ambivalenza della tua natura, che si presenta negativa nella forma e positiva nella sostanza. Ammesso poi che esista davvero una possibilità di farti uscire da essa!»
«Grazie, Ukton, per le tue altruistiche intenzioni di voler districare la difficile situazione della mia esistenza. A questo punto, però, il tempo, che per noi si mostra ogni volta tiranno, è giunto di nuovo al capolinea e si prepara a separarci. Perciò non ci resta altro da fare che salutarci e rimandare i nostri discorsi alla mia prossima visita. Stanne certo che, quando me ne sarò andata da questo luogo, continuerò a pensare a te e ti sarei molto grata, se tu facessi altrettanto nei miei confronti!»
Non appena la bella diva si era sottratta repentinamente alla sua vista, senza dargli neppure il tempo di confermarle che anche tutti i suoi pensieri sarebbero stati rivolti a lei fino al successivo incontro, Ukton era rimasto ancora stupefatto. Le confidenze, che ella gli aveva fatte, lo avevano lasciato di stucco. Adesso riusciva a vederla sotto tutt'altra luce e cominciava a provare per lei una certa dose di simpatia e di benevolenza. Il divo si andava perfino domandando se c'era la possibilità da parte di qualcuno di fare qualcosa a suo bene. Egli desiderava vederla tratta dalla sua inverosimile esistenza, considerato che essa si mostrava penalizzante nei suoi riguardi. Secondo lui, soltanto l'onnipotente Splendor sarebbe stato in grado di operare un miracolo del genere, essendo il sommo essere divino a cui niente era impossibile!
Alla luce delle incredibili rivelazioni della diva, i loro incontri erano continuati ad aversi con la medesima periodicità giornaliera e con un ardore che ogni volta cresceva sempre di più. Giorno dopo giorno, essi erano andati assumendo una valenza più intensa, in termini di simpatia, di affetto, di passione, fino a sfociare in entrambi in un bruciante amore. Per questo i loro abboccamenti avevano cominciato a rivelarsi belli per un verso e brutti per un altro. La loro bellezza proveniva dal fatto che consentivano ai due divi di esprimersi candidamente il loro amore sincero, anche se obbligati a farlo solo con gesti e parole. Misticamente, in verità, essi riuscivano a creare l'atmosfera di un idillio amoroso molto sentito.
In seguito, quel modo di amarsi non era bastato più, siccome le loro psichi si erano dati a reclamare ben altro, allo scopo di dare sfogo alla loro inesplosa passione. Infine, avvertendola come un'esigenza insopprimibile, esse avevano anelato alla loro compenetrazione. Per cui la loro intenzione era divenuta quella di scambiarsi carezze ed abbracci consistenti ed estasianti, ossia conformi alle loro aspettative passionali. Ma per il momento fra i due divi si levava la barriera energetica, che vietava all'uno e all'altra di congiungersi spiritualmente e psichicamente, fino ad ottenere una rilassante compenetrazione, compresa quella di tipo sessuale. Essi ora venivano a trovarsi davanti a un muro invalicabile di frustrazione, il quale finiva obbligatoriamente per demolire le loro aspirazioni più concupite ed appaganti. Sotto questo aspetto, come possiamo immaginare, gl'incontri tra i due innamorati erano apparsi anche deludenti, non trovandovi essi una piena soddisfazione. Ci si riferiva a quella che poteva provenire ad entrambi unicamente da una reale trasfusione reciproca di esigenze e di appetiti profondi. Quindi, bisognava farla realizzare fra di loro prima possibile, al fine di smettere di penare ancora di più.
Un bel giorno, la diva Elesia, essendo intenzionata a raggiungere il suo amato Ukton all'interno dell'emiciclo energetico, aveva pensato di ricorrere alla madre e chiederle di aiutarli, nel caso che ciò le fosse risultato possibile. Così, quando si era trovata in presenza della genitrice, le si era rivolta con queste accorate parole:
«Madre mia, sai benissimo che non ho mai ricevuto da te quella cura e quell'attaccamento che era tuo dovere dispensarmi nel tempo passato. Mi hai sempre lasciata sola con me stessa, in preda a un destino arido ed avaro in ogni senso. Ma tu non sai quanto io abbia sofferto, per essere stata deprivata delle tue coccole e delle tue carezze! Inoltre, ignori quanto io abbia penato per l'assenza assoluta del tuo conforto e del tuo consiglio, nel momento che ne ho avuto un gran bisogno! Oggi sono disposta a perdonarti ogni torto da te subito, a patto che tu soddisfi un mio desiderio, del quale tra poco ti metterò al corrente. Ti faccio presente che dentro di me il suo appagamento è diventato una tale esigenza, da non poterne più fare a meno. Dunque, se ti sarà consentito, dovrai soccorrermi a qualunque costo!»
«Figlia mia, è tutto vero ciò che mi hai rinfacciato. Infatti, per te non sono stata mai una buona madre e tuttora continuo ancora a non esserlo. Mi dispiace per la sofferenza che ti ho recata fino ad oggi, anche se senza volerlo. Oggi, però, sono disposta ad esaudire ogni tuo desiderio, pur di vederti finalmente contenta. Quindi, dimmi cosa vuoi che io faccia per te, poiché ti garantisco che, se la tua richiesta rientra nelle mie possibilità, sarai subito appagata da me. In questo modo, placherò almeno in parte il rimorso che ho cominciato ad avvertire da poco dentro di me. Dopo che mi hai fatto aprire gli occhi, spero tanto di poterti accontentare, per il tuo bene e per il mio! Adesso puoi farmi la tua richiesta, figlia mia, perché sono tutta orecchi ad ascoltarti!»
«Vorrei che tu mi permettessi di raggiungere il divo positivo nella sua prigione, madre mia, senza pretendere nient'altro da te! Perciò, se sei in grado di soddisfare tale mio grandissimo desiderio, senza meno dovrai concedermi il tuo aiuto, poiché lo gradirò immensamente!»
«Ebbene, Elesia, considerato che posso accogliere la tua richiesta, senz'altro sarai da me accontentata; però a condizione che tuo padre non venga mai a saperlo oppure a sospettarlo. Tu non immagini neanche alla lontana di cosa egli sarebbe capace, se venisse a conoscenza di averti favorita in una cosa simile! Ci siamo intese, figlia mia?»
«Certo che egli non dovrà venirne a conoscenza, madre mia! Questo già lo sapevo, per cui potevi anche evitare di farmelo presente. Ma poiché non vedo l'ora di entrarvi, desidero che tu mi spieghi in che modo posso superare la barriera energetica che circonda da ogni lato l'ostaggio di mio padre. Sbrìgati a dirmelo, per favore, se vuoi fare una cosa giusta per me!»
«Figlia mia, non dovrai fare niente di difficile. Ti basterà stringere la mia mano destra con la tua sinistra, mentre l'attraversi. Ciò vale pure per l'uscita; ma non farti venire strane idee, riguardo a quanto ti ho rivelato! L'espediente riesce soltanto tra due divinità negative: una deve trovarsi all'esterno della barriera e l'altra all'interno di essa.»
«Madre mia, importante per me è raggiungere il divo positivo e restare sola con lui. Per questo, dopo avermi aiutata ad entrare nella campana energetica, non dovrai rimanere lì a fare da terzo incomodo. Hai inteso? Inoltre, ti chiedo di essere puntuale nel ripresentarti a noi per permettermi di venirne fuori in tempo, prima del ritorno del babbo. Altrimenti, saranno guai peggiori per lui; mentre, riguardo a noi due, non so a quali cose terribili pensare, siccome egli di sicuro vorrebbe vendicarsi anche di me e di te!»
«Non preoccuparti, figlia mia! Conosco già il motivo per cui vuoi entrare nell'emiciclo! Puoi stare tranquilla che non rimarrò fuori a guardarvi, mentre fate certe cose che già immagino. Inoltre, sarà mia premura non farvi sorprendere insieme da tuo padre, mentre vi date a realizzarle, poiché io ci andrei di mezzo più di voi due!»
Il giorno dopo, la diva Elesia, grazie all'aiuto materno, le era stato possibile raggiungere il divo positivo all'interno della sua prigione. Allora la gioia, che ella aveva provato nel vedersi accanto al suo caro Ukton, posso solo anticiparvi che era stata inimmaginabile! Pure il divo benefico aveva avvertito un piacere immenso nel sentire il suo spettro sfiorare quello di lei. Anzi, si era avuta in lui una carica di elettrizzanti sensazioni mai provate prima di quella circostanza. Una volta rimasti soli, senza più tenere addosso gli occhi indiscreti della dea dell'adulterio, Ukton ed Elesia si erano sentiti attrarre, come se l'una fosse una calamita e l'altro un frammento metallico. Ci era stato in loro un reciproco slancio fulmineo, con il quale ognuno dei due partner aveva teso a cercare il tocco psichico dell'altro, in un abbraccio caloroso e senza fine, vibrante e fantastico nella sua sublime esecuzione. In preda com'erano al desiderio della passione, in quel momento i due divi non se la erano sentita di intavolare ulteriori discorsi di nessun genere; ma avevano badato soltanto a trasfondersi reciprocamente il loro calore psichico.
Poco dopo, neppure ciò si era dimostrato bastevole ad entrambi, al fine di sentirsi pienamente appagati, poiché essi avvertivano ancora un'intima insoddisfazione che andava a qualunque costo fatta sparire. Allora Elesia, prendendo l'iniziativa, si era espressa al compagno con queste testuali parole:
«Ukton, lasciami compenetrare con te, permettimi di fluire nel tuo corpo e d'insinuarmi in tutte le sue parti. Così facendo, riusciremo ad appartenerci e a saldarci in un reciproco abbraccio, divenendo una coppia di esseri beati ed indivisibili. Anzi, ciascuno di noi diverrà parte integrante dell'altro; inoltre, restando tu padrone del mio essere, alla fine raggiungeremo insieme la meravigliosa acme del godimento! Te ne prego: accontentami, se il tuo bene per me è sincero!»
Com'era da prevedersi, il divo aveva assecondato il suo desiderio, consentendole di compenetrarsi con lui fino all'ultima particella della sua consistenza eterea. A mano a mano che il fluido ectoplasmatico di lei confluiva nella sua essenza, egli avvertiva nell'intero suo essere una dolcezza indefinibile. Si sentiva come se l'incanto di una nuova essenza lo irradiasse in ogni sua parte, apportandovi delle sensazioni meravigliose. L'uguale cosa succedeva alla diva. Ella, nell'insinuarsi gradevolmente in lui, ne veniva avviluppata in modo sublime ed estasiante, subendone un piacevole signoreggiamento. A compenetrazione effettuata, entrambi i divi si erano ritrovati a vivere quel nuovo tipo di esperienza con una mente diversa; la quale non riusciva più a pensare, rivolta com'era a far profitto di tanta esaltazione dello spirito. A un certo punto, Elesia, non sentendosi ancora paga di quel fluido evanescente che si andava inserendo gaudente in tutto il suo essere, aveva preteso dal suo partner una compenetrazione anche di tipo sessuale. Ella, poiché l'avrebbe vissuta per la prima volta, si sentiva già ebbra di sperimentarla, senza porre altro tempo in mezzo.
A quel punto, stando così le cose, le due entità psichiche, quella ospitante e quella ospitata, avevano messo da parte ogni sapore della dolcezza e si erano asservite all'ebbrezza di una sensualità che faceva loro assaporare ben altro tipo di godimento. Il quale non largiva dolci sensazioni allo spirito; anzi, infondeva un focoso ardore nell'animo, quello che la sessualità dirompente, guidandolo attraverso sentieri beati, pilotava verso l'apogeo del piacere. Infine esse si erano trovate di fronte al trionfo delle sensazioni, che investivano la loro totale sfera psichica, immettendola in una spirale di compiaciuto godimento generale. Per cui le loro due essenze sperimentarono la parte più gratificante della compenetrazione, al culmine della quale iniziò la sua fase calante. Essa si era tradotta in uno smorzamento progressivo delle diverse implicazioni psichiche, le quali erano scaturite in precedenza dall'atto compenetrativo. In ultimo, in entrambi i divi si era esaurito ogni effetto beatifico della compenetrazione.
Di lì a poco, essi, stando l'uno disteso accanto all'altra e tenendosi per mano, erano stati colti da alcuni momenti di distensione e di rilassamento, tutti che procacciavano ai loro spiriti una serenità di cui non avevano mai fruito. Nel contempo, preferivano riandare al loro recente vissuto e riviverne mentalmente gli scorci ineffabili, volendo continuare a goderseli nella loro coinvolgente passionalità. Ma pochi attimi dopo, la diva Elesia aveva voluto rompere il silenzio imperante in quel luogo. Mostrandosi assai contenta e soddisfatta, aveva dichiarato al neo compagno:
«Grazie, Ukton, per avermi regalato poco fa gl'istanti più belli della mia esistenza! Oggi mi hai condotta sul palcoscenico della delizia, facendomi rappresentare la parte della gioia deificata. Nel tuo corpo, ogni mio attimo esistenziale ha avvertito dei fremiti, i quali mi derivavano da una felicità che non è possibile descrivere. Inoltre, esso ha registrato l'armonia del mio essere appagato, mentre festeggiava l'ineffabile evento. Ora non puoi immaginare quanto io te ne sia grata e riconoscente!»
«Anch'io, Elesia, sono stato invaso dalle tue stesse emozioni. A un tratto, mi sono visto percorrere degli incantevoli squarci esistenziali, durante i quali mi è sfuggita la cognizione del tempo. Perciò ho badato esclusivamente a gioire di te e a saziarmi del tuo spirito estroso. Esso, mentre era compenetrato con il mio, mi elettrizzava e mi folgorava soavemente con sprazzi di gaudio e di giubilo. I quali, intanto che li vivevo, mi si rivelavano vividi e fervidi!»
«Adesso, però, Ukton, cambiamo argomento. Sai che non sopporto più di vederti prigioniero di mio padre e vittima delle sue quotidiane angherie? Perciò vorrei aiutarti a liberarti da lui; desidererei fare qualcosa per tirarti fuori dal tuo attuale inferno. Suggeriscimi tu come potrei riuscirci; così dopo, senza perdere tempo, cercherò di seguire alla lettera quanto mi proponi di fare! La mia è una promessa alla quale non potrei mai venir meno. Te lo giuro!»
«Perché metti in mezzo questo tuo parlare, Elesia, che non ha alcun senso per me? Lo sai benissimo che tanto tu quanto tua madre giammai riuscireste ad aver ragione di tuo padre, se lo affrontaste, considerato che egli è una divinità maggiore. Perciò voi due non potrete mai abbattere o neutralizzare il campo di forza che mi circonda e m'imprigiona come un autentico uccello in gabbia. Dunque, t'invito a lasciar perdere.»
«Questo lo so anch'io, Ukton; invece avevo pensato a ben altro per raggiungere il nostro obiettivo. Durante la prossima visita di mio padre all'amico Seurd, avrei intenzione di raggiungere i tuoi genitori per metterli al corrente della tua pessima situazione; inoltre, inviterei tuo padre a venire in tuo soccorso. A mio avviso, questa è la sola strada giusta da percorrere, se desideri riscattarti dalle grinfie del mio infame genitore!»
«Tu saresti disposta a fare tanto per me, Elesia? Per vedermi libero e non più sottoposto alle crudeltà di tuo padre, ti metteresti sul serio contro di lui, senza temere la sua collera e la sua tremenda ritorsione? Entrambi sappiamo che esse seguirebbero intollerabili nei tuoi confronti, se tu prendessi una tale iniziativa!»
«Lo farei senz'altro, Ukton! Se non per te, che adesso rappresenti il mio adorato divo, per chi altro dovrei correre dei grossi rischi? Per nessuno: te lo assicuro! Per favore, permettimi di raggiungere i tuoi genitori e di parlargli del tuo stato precario!»
«Grazie, mia amabile Elesia, per ciò che ti proponi di fare per il mio bene. In merito alla tua proposta, voglio avvisarti che i maggiori pericoli li correresti nell'Impero del Tetraedro. Sono sicuro che, in qualità di divinità negativa, ve ne incontreresti non pochi, anche se non ne conosco esattamente la natura. Per te, dunque, sarebbe una impresa difficile raggiungere il pianeta Zupes, che è il luogo di residenza dei miei genitori. Secondo me, non avresti alcuna possibilità di arrivarci, poiché le divinità positive non te lo consentirebbero.»
«Invece voglio provarci lo stesso, mio amato Ukton. Sono disposta a fare i tentativi più impossibili e rischiosi, pur di renderti libero e di vederti lontano da questo inferno, che mio padre ti va procurando. In pari tempo, esso diventa pure il mio, quando egli te lo infligge tristamente e con il suo cinico godimento!»
«Dal momento che hai stabilito di aiutarmi con tutta te stessa, Elesia, ti do il mio assenso; ma non so quanta strada saresti in grado di fare, dopo aver oltrepassato i confini del nostro impero. Comunque, una volta in quello spazio sorvegliato, se ti dovessi trovare in difficoltà, potresti giocare la tua ultima carta nel modo che ti suggerisco. Spero proprio che l'espediente riesca anche con te, pur essendo una diva negativa!»
«Allora dimmi cosa dovrei fare, Ukton, qualora venissi a trovarmi in cattive acque, mentre volo attraverso l'impero delle divinità positive. Secondo me, in quel grave momento, per me sarà meglio restarmene del tutto inattiva, senza tentare alcuna mossa che potrebbe essere fraintesa! Non lo credi anche tu, mio caro?»
«Certo, Elesia! Invece in quel caso ti propongo di ricorrere al mio espediente! Una volta giunta nell'Impero del Tetraedro, dovrai cercare di metterti in comunicazione con il mio amico Iovi per via telepatica. Adesso ti spiego di cosa si tratta.»
«Come mai non lo hai fatto già tu, mio tesoro? è stato forse il tuo stato di prigionia a non permettertelo? Oppure sotto c'è qualcos'altro che non conosco? Vorrei proprio che tu mi spiegassi questa presenza d'incongruenza che noto nel tuo discorso!»
«In verità, Elesia, neppure io riesco a spiegarmi un fatto del genere; ma dubito che sia stata questa sfera energetica a non permettermelo, quando ho tentato di comunicare con Iovi! Secondo me, è stato il mio stato di latenza a rendere inefficace lo stratagemma messo a punto da me e dal mio compagno. Per il momento, non so pensare a una diversa causa che possa aver inficiato arcanamente la sua riuscita!»
«Lasciando adesso da parte il motivo del suo mancato funzionamento, Ukton, vuoi dirmi di cosa si tratta? Così, se nell'Impero del Tetraedro verrò a trovarmi in serie difficoltà, vi ricorrerò senza meno e senza indugio. Speriamo che esso funzioni almeno a me, quando ne avrò un maledetto bisogno! Altrimenti, farò la tua fine!»
«Per sintonizzarti con la mente del mio amico, Elesia, innanzitutto dovrai fare in modo che i polpastrelli di entrambe le mani siano congiunti. Solamente dopo ti toccherà pronunciare la frase che ti faccio ascoltare: "Ora sono in te, Iovi; perciò ascolta ciò che ti dico!"»
«Davvero solo queste due frasi dovrò pronunciare, Ukton? Ma dopo cosa succederà, una volta che le avrò proferite?»
«A quel punto, Elesia, avendo captato il tuo messaggio, il mio amico, come sarà logico, crederà che sia stato io ad inviarglielo. Per questo cercherà all'istante di mettersi sulla mia stessa lunghezza d'onda, senza però riuscirci. Infatti, credendo che sia stato io ad inviargli il messaggio, egli indirizzerà a me la sua risposta, la quale sarà: "Ti avverto in me, Ukton; adesso puoi parlarmi." Le sue parole, naturalmente, non si faranno captare da nessuno, essendo errato l'indirizzo del loro destinatario. Allora anche tu sarai impossibilitata ad ascoltarle, non essendo esse rivolte a te. Così il tuo tentativo alla fine terminerà con un nulla di fatto. Ecco come svolgeranno le cose!»
«Vuoi dire, Ukton, che tutto finisce lì, senza che io possa trasmettergli le notizie che sono andata a fargli apprendere per tuo conto? Non ti sembra assai poco, anzi quasi nulla, perché egli venga a conoscenza del tuo reale stato attuale? Oppure non ho inteso appieno il discorso che un attimo fa mi hai fatto? Spero proprio di no, se non vuoi deludermi!»
«Non è come hai pensato, Elesia, perché potrai trasmettergli ogni cosa che vorrai! Sarai solo tu a non essere in grado di ascoltare le sue parole; invece il mio amico Iovi continuerà a registrare ogni tua frase, cioè l'intero messaggio che gli farai pervenire. Mi sono spiegato adesso oppure devo ripeterti ogni cosa daccapo?»
«Bene, Ukton! Se il vostro espediente funzionerà anche tra due divi di diversa natura, ossia uno positivo e un altro negativo, le cose per me si prevedono già migliori, visto che potrò riuscire nella difficile impresa. Infatti, mi sarà permesso di contare su un futuro meno aleatorio! Non sei d'accordo con me, amico mio?»
«Come non potrei esserlo, Elesia, se quanto ti sei proposta di fare è a mio vantaggio! A questo punto, non mi resta che augurarti tanta fortuna durante il tuo lungo viaggio!»
Non molto tempo dopo, era sopraggiunta la dea Vaen a riprendersi la figlia. Alla sua apparizione, essi si erano affrettati a concludere anche quel loro ennesimo incontro. Questa volta, però, la conclusione c'era stata all'insegna del sommo appagamento e della rosea speranza. In ognuno di loro, era rimasta una parte dell'altro, la qual cosa li andava mettendo in un'agitazione grandissima. Ma essa poteva significare unicamente che in loro permaneva un gradevole benessere. Infatti, una volta che si erano lasciati, essi già si desideravano di nuovo. Per la qual cosa, si sognavano e attendevano con ansia il momento di rincontrarsi, non vedendo l'ora di impossessarsi ancora di quegli stupendi attimi che avevano vissuto insieme nella sfera energetica!