130-IL DIO NEGATIVO KATFUR CATTURA IL DIVO POSITIVO UKTON

I millenni si rincorrevano da tempo immemorabile, quando una materia vivente particolare aveva fatto la sua prima comparsa in Kosmos. Dopo, però, era stato necessario che trascorressero ancora migliaia di secoli, perché da essa derivassero degli esseri speciali, ai quali le divinità diedero il nome di Materiadi, ossia creature concrete derivate dalla materia. Ma costoro, fin dalla loro origine, si erano ritrovate a gestire nel proprio essere tre essenze distinte fra loro: quella materiale, quella pensante e quella intelligente. Facevano parte dei Materiadi anche gli umanoidi, altrimenti detti androidi, dei quali gli uomini erano da considerarsi il ceppo più rappresentativo, dal momento che essi ne costituivano l'evoluzione selettiva meglio riuscita sotto molteplici aspetti.

La Teomachia, che ci stiamo accingendo a narrare, era esplosa in Kosmos, quando la razza umana era già cominciata a svilupparsi sopra alcuni pianeti. I quali, essendo risultati compatibili con l'essenza vitale, si erano dati a farla germinare, a favorirne la crescita e a proteggerla. Durante il loro aspro conflitto, per taluni aspetti, le divinità, tanto quelle positive quanto quelle negative, sarebbero state obbligate a far fronte ad una situazione critica abbastanza difficile. Quando esse si sarebbero date battaglia in una parte dell'universo, facendola diventare teatro di scontri apocalittici, sarebbero state viste combattersi con ardimento, oltre che con un accanimento inverosimile. Infatti, le une avrebbero voluto avere la meglio sulle altre, siccome gli sarebbe rincresciuto subire qualche scottante sconfitta, da parte delle loro divine rivali. Durante il conflitto, perciò, avremo la sensazione che l'intero cosmo stia collassando, poiché le energie, che i due blocchi divini si scaglieranno contro, saranno di altissimo potenziale. Esse finiranno per disseminarlo di situazioni gravitazionali anomale, che saranno a volte esplosive altre volte implosive. Per cui si riveleranno motivo d'immane terrore per le specie viventi fornite di coscienza.

A questo punto, però, smettendo di dilungarci oltre sull'annunciata Teomachia, ci conviene risalire alle cause che daranno ad essa origine. Il cui imponente strascico, in termini di distruzione e di morte, non conoscerà limiti e comporterà lungh'esso lo sfacelo di una infinità di astri.

I prodromi del conflitto divino si erano avuti sul piccolo e solitario pianeta Elmud, che orbitava intorno alla stella Bolek. Questa faceva parte della galassia di Oreap e si trovava agli estremi confini meridionali di Kosmos. La si poteva individuare nello spazio neutrale posto a metà strada tra la galassia di Lasef, che apparteneva all'Impero del Tetraedro, e quella di Sariop, che era compresa nell'Impero dell'Ottaedro. Ebbene, da migliaia di anni, sul pianeta in questione si erano insediati il dio Katfur e la sua consorte, la quale era la dea Vaen. Ma siccome dal loro matrimonio era nata un'unica figlia, ossia la bella diva Elesia, la loro famiglia non era da considerarsi numerosa. Inoltre, come la cronaca del tempo faceva registrare, su di essa c'era molto da dire o da sparlare, a seconda di come si vogliono interpretare i fatti. Da parte nostra, presi da un pizzico di curiosità, eviteremo senza meno di fare finta di non aver sentito alcunché; al contrario, cercheremo di approfondirli nella maniera migliore. Anzi, seguiteremo a farlo, fino a quando non saremo venuti a conoscenza di ogni particolare della sparuta e malefica famigliola divina.

Katfur, che era il dio dell'infamia, sebbene fosse una divinità maggiore, non aveva la testa interamente a posto. Esprimendoci con la nostra mentalità, potremmo affermare che gli mancava un venerdì. Perfino il suo concetto sulla famiglia non era dei più logici; al contrario, esso risultava strambo ed ambiguo nella sua impostazione. Siccome il modo in cui egli lo concretizzava nella sua esistenza reale si presentava bizzarro ed opinabile, il medesimo finiva per fare acqua da tutte le parti. Perciò, al riguardo, anche le sue due familiari erano dello stesso avviso.

Avvenuta la nascita della prima figlia, il dio dell'infamia non aveva più voluto sapere di compenetrarsi con la consorte. Per questo si era rifiutato di avere con lei altri rapporti sessuali, che potevano aversi esclusivamente dopo la compenetrazione. A proposito della quale, in seguito cercheremo di comprendere meglio a cos'altro essa serviva. Di punto in bianco, ad un certo momento, gli era saltato il grillo di avere coiti soltanto con la sottospecie umana. Per chi vuole apprendere come ciò avveniva, il dio negativo, dopo essersi umanato ed avere assunto le sembianze del marito, passava a congiungersi carnalmente con la donna che più gli riusciva gradita. Ma prima si faceva promettere da lei che, durante l'atto sessuale, non avrebbe desiderato di rimanere incinta ed avrebbe solo badato a trarre piacere da esso.

Quando la moglie Vaen era venuta a conoscenza di quell'atteggiamento anormale del marito, non lo aveva accolto di buon grado, sebbene ella, neanche a farlo apposta, fosse la dea dell'adulterio. Perciò la dea negativa per ripicca non aveva esitato neppure un poco a rendergli la pariglia. Così, mostrandosi più ingorda di una lupa, ella si era data a fare strage di uomini, assumendo l'aspetto a volte delle loro mogli altre volte delle loro fidanzate. Diversamente ella si trasformava in una donna di bella presenza e seducente in cerca di avventure galanti. La divetta Elesia, da parte sua, era cresciuta ignara dello strano comportamento dei suoi genitori. Quando invece era divenuta una diva, si era resa conto di come stavano realmente le cose tra il padre e la madre nell'esplicitazione della loro sessualità. In verità, ella se l'era presa non più di tanto. Ma dopo anche per lei il sesso era diventato un vero problema, visto che esso la faceva penare maggiormente e le turbava di continuo la sfera psichica.

Non conoscendo sul pianeta Elmud alcuna divinità di sesso maschile, oltre al padre, la poveretta non sapeva come soddisfare quei suoi appetiti che le provenivano dal sesso. Non poteva nemmeno ricorrere ai giovani maschi della sottospecie umana, imitando in quella maniera i suoi genitori. Infatti, soltanto le divinità adulte potevano umanarsi ed accoppiarsi con Materiadi di quella specie. Costoro, bisognava ammetterlo, erano quelli che offrivano le maggiori chances in un rapporto sessuale con le dee consenzienti. Per la diva negativa, l'alternativa possibile era quella di compenetrarsi con una donna a sua insaputa, nel momento stesso che veniva posseduta dal proprio partner. In quella maniera, anch'ella sarebbe riuscita a godere dei frutti deliziosi dell'atto amoroso. Ma la giovane dea, non reputando soddisfacente per lei quel genere di rapporto, aveva estromesso a priori dalla propria esistenza il ricorso ad un coito di quel tipo.

Allora, come si rendeva conto, le restavano due alternative: la prima era quella di rivolgersi al padre, chiedendogli di farle avere un'esperienza sessuale. La seconda, invece, la invitava ad escludere per sempre dalla propria vita la pratica del sesso, perfino come mero desiderio. Volendo seguire la prima alternativa, Elesia, pur di avere una compenetrazione con lui, facendo seguire ad essa la sua prima esperienza sessuale, aveva deciso di proporsi al proprio genitore come partner. All'ultimo istante, però, essendosi vergognata di quella sua decisione, ella non se l'era sentita di andare avanti nel suo proposito ed aveva fatto marcia indietro.

Se vogliamo avere maggiori dettagli sul divino nucleo familiare di Elmud, il quale è già stato passato rapidamente in rassegna, ci tocca mettere a nudo il carattere di ciascun suo membro, pur ricorrendo ad una descrizione succinta. Spero solo che essa, nella sua concisione, sia in grado di rivelarci almeno una piccola quantità degl'importanti aspetti di ognuno di loro, dal momento che non ci dispiacerà per niente conoscerli.

Il dio Katfur era una divinità introversa e aveva un carattere psicolabile. Sebbene non lo lasciasse intendere palesemente al resto della famiglia, nella sua interiorità, oltre che esserlo, egli si sentiva un dio infame e perverso. Ma se nel proprio ambito familiare appariva sempre scontroso, non si manifestava tale nei confronti del genere umano. Secondo lui, da esso gli provenivano le più ampie gratificazioni, specialmente dalla sua componente femminile. Quanto alla sua vita sociale, il dio dell'infamia si mostrava taciturno e per niente incline a qualche tipo di espansione. Anche i suoi rapporti con la figlia erano da giudicarsi pessimi. Fin da quando era una divetta, egli non si era mai degnato di farle qualche coccola; anzi, neppure adesso che ella era diventata una diva, le abbozzava il più lieve sorriso. Allo stesso modo, il dio negativo trattava la consorte, verso la quale non assumeva un atteggiamento più lusinghiero di quello riservato all'altra familiare. Per la qual cosa, fra i due coniugi, che erano sempre sul sentiero di guerra, le incomprensioni e gli attriti non conoscevano soste. Ad essere obiettivi, le une e gli altri assumevano forme a volte attenuate altre volte accentuate.

Riferendoci adesso alla moglie Vaen, si doveva ugualmente dubitare della sua perfetta sanità mentale, considerato che spesso ella dimostrava di difettare di una buona parte di essa, poiché non di rado le capitava di perdere la tramontana. Ciò era da imputarsi al fatto che la dea dell'adulterio nel proprio intimo si sentiva insofferente di quanto accadeva in seno alla propria famiglia, in special modo del suo glaciale rapporto con il consorte, il quale si rivelava per nulla confortante. Per tale ragione, la si scorgeva sragionare, mostrarsi confusa, barcamenarsi fra varie situazioni instabili, cedere al vittimismo. Inoltre, disinteressandosi dell'esistenza della sua unica figlia, continuava a trascurare i propri doveri materni verso di lei. Tuttavia, nei pochi momenti di lucidità razionale, la sua indole poteva ritenersi positiva, socievole e trattabile. Soltanto nei confronti della sua unigenita, la dea metteva in mostra quanto di meglio avesse il suo carattere. Così, nelle vesti di madre affettuosa e premurosa, ella riusciva con grazia a farle dono del suo amore sincero, dimostrando interesse per lei ed elargendole la sua sincera tenerezza.

Ci resta infine da spendere qualche parola in più sulla loro figliola. Cominciamo col dire che Elesia non trascorreva un'esistenza serena, poiché si trovava a combattere su due fronti, uno esterno e l'altro interno. Com'è intuibile, la sua battaglia esterna era quella che le proveniva dall'incongruente condotta dei suoi genitori, siccome essa non si manifestava affatto irreprensibile. I loro dissapori vissuti nel silenzio e i loro manifesti adulteri, consumati nel tacito accordo delle parti, ferivano tremendamente l'animo della diva. La poveretta, a causa del suo temperamento insicuro e malfermo, si era sempre privata della facoltà d'intervenire nell'insano comportamento dei genitori. Per cui non aveva mai contestato ad entrambi l'assurdo rapporto che da tempo si era instaurato tra loro due, il quale ora risultava a suo detrimento. Difatti, a causa di esso, ella si vedeva abbandonata a sé stessa, non potendo rivolgersi a nessuno dei due genitori per fruire di un valido aiuto, di un sicuro sostegno e di un ottimo consiglio. Nonostante ciò, Elesia non era ricorsa ad alcuna forma di contestazione, per il semplice fatto che era priva di un carattere forte e votato alla ribellione. Esso era basato sulla sottomissione incondizionata e sulla piena convinzione che ai genitori era permesso fare qualunque cosa desiderassero. Mentre i figli assolutamente non potevano sindacare il loro operato; come pure non era loro consentito muovere agli stessi appunti ed obiezioni di qualsiasi genere.

Di tutt'altro genere, invece, era la sua battaglia interiore, la quale assumeva due aspetti differenti. Il primo era quello che già conosciamo, ossia l'essere impossibilitata a vivere la propria sessualità e a procacciarsi da essa il massimo piacere psichico. Nel caso poi che ella avesse voluto essere una cultrice del sesso, automaticamente le sarebbe stato precluso di perseguire l'erotismo più raffinato. Sul secondo aspetto, di cui anche conviene venire a conoscenza, vale la pena soffermarci qualche attimo in più. In questo modo, approfondiremo ulteriormente la nostra misteriosa diva negativa e ne scandaglieremo l'intimo nella misura che riterremo opportuna e bastevole, pur di avere di lei un'idea che risulti la più giusta possibile.

Per un fatto strano, nella divina Elesia non c'era alcuna forma esistenziale che potesse farcela accomunare alle altre divinità negative, poiché avvertiva in sé più il desiderio di amare che quello di odiare. Mentre il senso della pietà era radicato in lei in modo profondo ed inestirpabile. La diva si lasciava prendere dalla compassione, ogni volta che le capitava di assistere alle disgrazie di qualche essere umano bersagliato dalla sventura. In sintesi, si rivelava più forte di lei l'adoperarsi per il bene, anziché per il male; nonché l'avversare i vizi e preferire le virtù. Nello stesso tempo, si opponeva con tutte le sue forze alle pressioni istintuali interiori, le quali cercavano di costringerla a conformarsi ad una concezione maligna dell'esistenza. Quasi ella fosse la figlia naturale di due autentiche divinità benefiche, nelle quali il bene era da definirsi congenito e la prevaricazione poteva considerarsi inesistente!

A causa di ciò, la divina Elesia si era ritrovata a vivere la sua crisi d'identità tra disorientamenti e travagli, senza poter ricorrere al soccorso dei genitori. I quali avevano già per conto loro parecchi problemi da risolvere e un mucchio di tresche da gestire. Ammesso che il padre e la madre fossero stati delle divinità normali e premurose, la diva negativa come avrebbe fatto a svelare ad entrambi quelle sue tendenze abnormi, che sarebbero risultate scandalose all'uno e all'altra? Per le entità di natura malefica, senza meno esse potevano mostrarsi terribili, mostruose, vomitevoli ed inaccettabili.

Prima di continuare ad addentrarci nelle vicissitudini della sventurata Elesia, è opportuno chiarire come facevano i due tipi di divinità a riconoscersi fra di loro. Ossia, dal punto di vista della loro costituzione esteriore, che cosa permetteva di distinguere l'essenza di una divinità positiva da quella di una divinità negativa? Più in particolare, quali criteri adoperava una divinità benefica o malefica per stabilire se un'altra divinità ad essa sconosciuta fosse della sua stessa natura oppure no? In riferimento ad un simile quesito, possiamo starcene tranquilli, dal momento che nessuna divinità era costretta a ricorrere ad astrazioni macchinose. Né tanto meno doveva affrontare problematiche complesse, al fine di accertarsi con quale specie di entità metafisica essa stesse avendo a che fare. Sia per l'uno che per l'altro tipo di divinità, il problema si presentava di una elementarità banale, anche se non riusciamo ancora ad immaginarcelo neppure lontanamente.

Bisogna sapere che l'onnipotente Splendor, quando decideva di cacciare da Luxan una divinità che si rendeva indegna di tale luogo, poco prima di catapultarla nella realtà di Tenebrun, le imprimeva sulla fronte il marchio dell'infamia. Esso, oltre a risultare indelebile e perpetuo nella divinità che lo riceveva per castigo, si trasmetteva ai suoi discendenti, senza risparmiare alcuna generazione futura. Il marchio, di cui ci stiamo occupando, il quale poteva essere cancellato solamente dall'onnipotente Splendor, riproduceva sulla fronte della divinità malefica, come emblema del male, un serpentello azzurrognolo. Il rettile in miniatura, formando una spira con la metà del suo corpo contenente la coda, mostrava la sua restante parte ritta frontalmente. Sulla cui parte superiore, rappresentata da un collo abbastanza dilatato, poggiava la testa a guisa di cappuccio. Chiarito tale particolare sulle divinità negative, possiamo continuare il nostro racconto e ricondurci alla diva negativa.

La divina Elesia, dunque, trascorreva il suo tempo oberata di due enormi pesi spirituali, quali appunto per lei si dimostravano la crisi d'identità e la frustrazione sessuale. Un bel giorno, però, l'esistenza della diva si ritrovò a godere di una circostanza favorevole per niente attesa. Essa trasformò radicalmente il suo penoso trantran quotidiano e le consentì una salutare boccata di ossigeno nella mefitica aria che andava respirando da tempo nel malsano ambiente familiare. Per l'esattezza, ci stiamo riferendo all'arrivo nella sua casa di una giovane divinità maschia di natura benefica. Ma com'era potuto succedere un fatto del genere?

Mettiamo subito in chiaro che il divo positivo non c'era arrivato di proposito, dal momento che un simile evento era da considerarsi quasi impossibile. Allora qual era stata l'assurda combinazione di eventi che ce lo aveva fatto capitare? Per comprendere nel modo migliore una simile evenienza ed appagare così la nostra curiosità su di essa, non ci resta che seguire la cronistoria del citato avvenimento, ripercorrendolo dalla A alla Z. Ma prima di metterci a chiarire ogni cosa su di esso, va fatto presente che il dio Katfur aveva l'abitudine di andare a fare la sua visita di cortesia all'amico Seurd, il dio dello sdegno, il quale abitava su Luot. Volendo anche aggiornarci sullo studio astronomico di Kosmos, lo spento astro orbitava nello spazio gravitazionale appartenente alla stella Bolek. Questa, essendo situata nella galassia di Oreap, faceva parte dell'Impero dell'Ottaedro.

Il dio malefico stava appunto ritornando dall'ultima delle sue visite all'amico intimo, quando all'improvviso si era imbattuto in un divo positivo. Siccome la sua apparizione era risultata repentina, il dio dell'infamia subito ne aveva arguito che la giovane divinità benefica poteva essere soltanto latente. Altrimenti, egli avrebbe dovuto scorgerla, anche quando si trovava ad una distanza maggiore da essa. Perciò, volendo, non gli sarebbe stato difficile catturarla, anche perché la sua cattura non gli avrebbe procurato alcun problema. Difatti non ci sarebbe stata nessuna reazione da parte di qualche divinità benefica sua parente, poiché la sua prigionia non poteva essere scoperta da nessuno, neppure dall'eccelso dio del tempo. Dopo averlo tradotto nella sua casa, egli si sarebbe dato a divertirsi con lui, scaricandogli addosso quotidianamente una caterva di enormi supplizi psichici. Così facendo, gli avrebbe arrecato la massima sofferenza. Alla fine, avendo ragionato in quel modo e avendo fatto bene i suoi calcoli, il dio Katfur l'aveva data per vinta alla sua infamia, che lo aveva spinto a fare prigioniero il malaccorto divo.

Prima di soffermarci sulla cattura dello sconosciuto divo positivo da parte del perfido dio negativo, è opportuno venire a conoscenza delle generalità della giovane divinità benefica e dei motivi che lo avevano fatto trovare accidentalmente in quella remota parte di Kosmos, tutto solo e privo d'identità. Ebbene, il divo si chiamava Ukton ed era il secondogenito di Vaulk, il dio del coraggio, nonché di Gedal, la dea della fermezza. Il padre occupava un posto di primo piano nell'Impero del Tetraedro, dove vivevano le divinità positive. Se poi vogliamo informarci anche della sua famiglia, egli era il gerark della Circoscrizione di Zupes, che comprendeva le seguenti quattro galassie: Astap, Puver, Paren e Lasef. Ogni circoscrizione cosmica prendeva il nome dal pianeta–guida, che era anche la sede del gerark. Le altre tre circoscrizioni risultavano: la Circoscrizione di Antrus, sede del Primo Gerark Kavor; la Circoscrizione di Osken, sede del gerark Neop; la Circoscrizione di Pelen, sede del gerark Ponkar. La stessa cosa avveniva nelle sei circoscrizioni che facevano parte dell'Impero dell'Ottaedro, dove si erano sistemate le divinità malefiche, dopo essersi trasferite a decine di migliaia in Kosmos.

Acclarata l'identità del divo Ukton, è giusto renderci conto del perché o a causa di quale evento sfavorevole egli si era ritrovato a volare oltre i confini dell'impero delle divinità positive, precisamente in prossimità del pianeta Elmud. Ad una prima valutazione dei fatti, il suo stato di latenza, quello che lo privava di ogni dato identificativo, portava a credere che esso fosse stato la conseguenza di un suo atto volontario. Ciò lasciava intendere che c'era stato in precedenza un dispetto da parte sua, il quale era maturato dentro di lui, in seguito ad un litigio avuto con i propri genitori. Al contrario, le cose non erano andate nel modo da noi erroneamente ipotizzato. Allora cerchiamo di apprendere nell'esatta versione dei fatti come il divo positivo si era trovato in quel posto.


Fatto presente che nel suo rapporto con le divinità non si sapeva quale stima dare alla funzione temporale, poco tempo prima c'era stato il Solenne Pellegrinaggio delle divinità positive. Esso aveva visto tutte le giovani entità divine di Kosmos trasferirsi in Luxan, naturalmente accompagnati dai rispettivi genitori. Dei quattro gerark dell'Impero del Tetraedro, il solo dio Vaulk, insieme con la consorte Gedal, aveva partecipato al pellegrinaggio, essendo l'unico ad avere un figlio che si trovava nella fascia di età prescritta. Si trattava del loro secondogenito Ukton, la cui età si aggirava intorno ai novemila anni. Erano partiti con loro anche Volc, il dio della precisione, e la sua consorte Kaen, la dea della carità. Anch'essi avevano accompagnato il figlio Iovi nel Regno della Luce per lo stesso motivo. Egli aveva quasi novemilanovecento anni ed era un grandissimo amico di Ukton.

Dopo aver raggiunto Luxan ed aver preso parte al solenne rito che si era svolto in Beatitudo, i due amici avevano iniziato a divertirsi un mondo, visitando con i genitori il paradisiaco luogo dell'Empireo. Al termine della visita, i due divi potevano ben dire di aver trascorso dei momenti incantevoli, quali non avevano mai vissuto sul loro pianeta Zupes, che essi adesso definivano asettico ed amorfo.

In seguito Ukton e Iovi erano rimasti soli, poiché i loro genitori si erano dedicati a far visita ai loro parenti, ai loro amici e ai loro conoscenti. La qual cosa li aveva spinti a darsi a scorribande di ogni tipo nel Regno della Luce, non sentendosi ancora divagati abbastanza. Scorrazzando poi di qua e di là senza mai stancarsi, a un certo punto, i due divi si erano trovati nei paraggi della Nube Bianca e della Nube Nera. Allora Iovi aveva proposto all'amico:

«Ukton, perché non ci avventuriamo in Kosmos e ce ne andiamo girovagando per conto nostro attraverso le galassie e le stelle che vi sono contenute? Oppure temi di farlo, senza che ci siano i nostri genitori ad accompagnarci e a guidarci?»

«Come ti è saltata in mente una simile idea, Iovi! Hai forse dimenticato che sono uno dei tre figli del dio del coraggio? Devi sapere che mio padre, quando era un divo come noi, pur di dimostrare la sua immensa temerarietà, voleva addirittura buttarsi nell'Abisso dell'Oblio! Egli lo avrebbe fatto senza meno, se l'eccelso Kron non fosse intervenuto a fermarlo giusto in tempo! Se in quella circostanza nessuno avesse arrestato la sua corsa, come diretta conseguenza del suo atto temerario, adesso non starei qui a parlartene!»

«Allora, Ukton, da quanto mi hai riportato, devo dedurre che sei disposto ad accettare la mia proposta, senza alcun "se" e alcun "ma"! Ciò, poiché mi ha convinto che hai deciso di esaudire il mio desiderio, mi reca molto piacere. Sono bramoso di andare incontro al tipo di avventura che ti ho appena fatto presente!»

«La penso senz'altro come te, caro Iovi! Una scappatella del genere alla fine non potrebbe che renderci fieri di noi stessi! Ti farò vedere che non ho neppure timore di attraversare la Nube Nera, nell'affrontare la nostra avventura! In questo modo, ti dimostrerò quanto è grande il coraggio che alberga in me e che pochi conoscono!»

«Se passerai attraverso la Nube Nera, Ukton, stanne certo che lo farò anch'io. Ma devi promettermi che, una volta in Kosmos come divi latenti, ci terremo sempre a distanza ravvicinata. Così non rischieremo di ritrovarci a volare separati e ce la spasseremo come meglio ci aggraderà.»

«Va bene, Iovi! Ti garantisco che, dopo essere pervenuti nell'infinito spazio cosmico, eviteremo di sbizzarrirci in corse sfrenate e ci guarderemo di continuo a vista, ad evitare di sparire l'uno all'altro. Dopo la mia promessa, amico mio, ti senti rassicurato a sufficienza? Secondo me, dovresti esserlo senza meno!»

«Infatti, lo sono, Ukton! Sappi, però, che poco fa non lo dicevo per paura. Mi sarebbe solo seccato ritrovarci a percorrere lo sconfinato Kosmos, ognuno per conto proprio! Invece, guardandoci a vista, non correremo il rischio di smarrirci in esso ed eviteremo di procurare delle grane ai nostri genitori. Essi, a causa nostra, come minimo, si preoccuperebbero per noi che non ti dico! Quanto a me, non vorrei nel modo più assoluto che i poveretti si impensierissero per me in maniera esagerata! Sono convinto che tu la pensi come me! Non è forse vero, amico mio?»

«Te ne do atto, Iovi. Ma adesso conviene sbrigarci e dare finalmente inizio alla nostra emozionante avventura cosmica. Essa dovrà essere breve, se vogliamo che termini, prima che i nostri genitori smettano le loro visite ai loro amici e parenti e si accorgano della nostra assenza dal Regno della Luce! Sono certo che mi sono spiegato quanto basta!»

Invece sappiamo come si comporta la maggioranza dei giovani. Essi si mostrano sempre disponibili a fare promesse, ma non sono mai propensi a mantenerle! Infatti, era capitato di comportarsi alla stessa maniera pure al nostro divo Ukton, il quale aveva dimenticato completamente le buone intenzioni manifestate poco prima al suo compagno. Non appena aveva messo piede in Kosmos, all'istante gli erano usciti dalla testa i buoni propositi convenuti con lui. Sentendosi un puledro allo stato brado, Ukton si era dato a delle pazze corse, senza avere più la voglia di raffrenarsi e di porre termine al suo slancio focoso. Egli non aveva voluto più dare retta alle parole di riprensione dell'amico intimo; anzi, esse erano rimaste del tutto inascoltate da lui, come se non gli fossero mai giunte all'orecchio.

Il figlio del dio Vaulk, tutto a un tratto, era letteralmente scomparso alla vista dell'amico, a cui era sembrato che il profondo Kosmos lo avesse inghiottito. Da parte sua, Iovi non era stato così scriteriato da corrergli dietro per cercarlo in uno spazio senza fondo e a lui ignoto. Egli era rimasto ad attenderlo nelle vicinanze del vestibolo d'ingresso a Luxan, con la speranza di vederlo ricomparire in quel luogo da un momento all'altro. Dopo insieme avrebbero fatto ritorno nell'Empireo. Alla fine, poiché era trascorso molto tempo e Ukton tardava a fare ritorno dalla sua scorrazzata, egli si era dato molto pensiero per lui, fino ad allarmarsi sul serio. Allora giustamente aveva deciso di avvisare senza indugio i suoi genitori, prima che il proprio allarme risultasse tardivo per davvero.

Rientrato nella divina dimora, egli aveva trovato un gran numero di divinità che erano non meno preoccupate di lui, a cominciare dai propri genitori e da quelli dell'amico. Essi, dopo aver notato la loro assenza da Luxan, si erano subito rivolti al dio Kron, perché li aiutasse a cercare i loro figli con il suo sguardo lungimirante. Il quale era capace di perlustrare l'intero universo, dal punto di vista sia spaziale che temporale. Così erano venuti a sapere dal dio del tempo che i due divi, prima di lasciare Luxan, avevano attraversato la Nube Nera. Perciò neppure lui era riuscito ad essere di qualche aiuto nella loro ricerca in Kosmos.

Sebbene la scoraggiante notizia li avesse messi in apprensione, i quattro genitori non avevano perduto la speranza di rivederseli davanti, non molto tempo dopo. Invece ciò era avvenuto soltanto per un divo, poiché l'unico a fare ritorno da Kosmos era stato Iovi, il quale aveva potuto riferire a tutti loro com'erano andate realmente le cose tra sé e l'amico. Da parte dei genitori di Ukton, si era seguitato a sperare, anche se più il tempo trascorreva, più le speranze di vedere il figlio rientrare in Luxan si affievolivano, ma senza mai smorzarsi. I poveretti non volevano credere alla sua sparizione perpetua nell'immenso universo.

Infine c'era stata la partenza da Luxan delle divinità che avevano preso parte al Solenne Pellegrinaggio, dovendo esse ritornare con i loro divi al rispettivo pianeta di residenza. A quel punto, a detta di tutte le divinità positive di Luxan, le probabilità che lo scomparso divo potesse rifarsi vivo si erano ridotte al lumicino. Invece il dio Vaulk e la dea Gedal non la pensavano come tutte loro. Essi, essendo i suoi genitori, confidavano che il loro figliolo prima o poi si sarebbe rifatto vivo su Zupes. Come è noto, la speranza è l'ultima a morire in coloro che diventano vittime della malasorte. Anzi, essa, per farli stare un tantino tranquilli, li aveva accompagnati durante l'intero tragitto che li aveva riportati alla loro casa lontana; però non aveva evitato di farli apparire alle altre divinità visibilmente dimessi ed afflitti quanto mai!

A questo punto, anche se già si conosce il triste epilogo della vicenda, ognuno di noi è in ansia di apprendere come si erano svolti i vari fatti che avevano condotto il malavventurato Ukton dritto nella rete del dio dell'infamia. Anche perché siamo particolarmente ansiosi di conoscerli e di giudicarli, secondo la nostra valutazione soggettiva. Già da questo istante, però, ci sentiamo in dovere di rimproverare al divo la sua faciloneria e la sua impulsività, avendo fatto superare all'una e all'altra ogni limite. Nel comportarsi in quella maniera, egli non aveva pensato neppure un tantino che, così agendo, avrebbe costernato a non dirsi i suoi preoccupati genitori!

Ritornando al divo Ukton, egli, dopo un poco che si era dato alla sua volata sfrenata, non si era reso conto che l'amico lo aveva già perso di vista e che quindi non poteva più stargli dietro. Egli aveva voluto ignorare quel particolare, siccome l'ebbrezza del volo, avendolo ubriacato, non gli aveva fatto più capire nulla. Invece sua unica preoccupazione era stata quella di seguitare la sua corsa in avanti e senza sosta in quello spazio, dove lo avevano allettato sia i voli interplanetari sia quelli interstellari ed intergalattici. Lo scenario cosmico, per il secondogenito del dio del coraggio, si era presentato fin troppo stupendo, per non sentire la voglia di affondare in esso e di goderselo a più non posso! Oramai ne era rimasto calamitato in modo irrinunciabile, per cui lo aveva avvertito come un richiamo forte e ineludibile, come un fascino d'inimmaginabile potenza espressiva, nonché come qualcosa di esoterico e di mistico. In quegli attimi straordinari, il divo aveva percepito unicamente il desiderio ingordo di assaporarne l'intima essenza. La quale gli si era rivelata permeata di magia e d'incanto, di fascino e di sublime ebbrezza.

Procedendo in quel viaggio magico ed incantevole, a un certo punto, Ukton era stato costretto ad un brusco arresto involontario. Qualcosa era intervenuto ad arrestare la sua corsa nell'infinito, riducendogliela a zero. Egli stesso si era sentito bloccare dentro un campo di forza costrittiva, la quale lo avvolgeva e gli faceva avvertire di fatto il senso dell'angustia, dell'immobilità e dell'impotenza a reagire a qualcosa che lo tratteneva nello spazio. In quelle condizioni, non gli era stato difficile prendere atto di essere incappato nelle maglie di una divinità negativa di grado superiore. Soprattutto c'era stato in lui l'immediato rammarico per la sua leggerezza di aver voluto arrischiarsi in Kosmos come divinità latente. La qual cosa adesso, come doveva aspettarselo, gli frustrava ogni aiuto da parte dell'autorevole genitore, non potendo egli individuarlo in nessuna maniera e in nessun luogo dello spazio.

Come già appreso in precedenza, era stato il dio Katfur a voler stroncare nel divo Ukton l'ingordigia di libertà e il fervere di umori, i quali erano rivolti all'indagine del suo mondo esteriore. Aveva voluto spazzare via in lui l'ilarità che gli proveniva dall'entusiasmo provato per le sue conquiste conoscitive. Inoltre, aveva teso a privarlo della felicità che gli proveniva dalla contemplazione di tanti suggestivi miracoli cosmici. Insomma, gli aveva intimato il finecorsa del suo bel viaggio di suggestioni, di emozioni, di soddisfazioni, di vivacità e d'incontenibile piacere, soffocando in lui l'ansia di conoscenza. In cambio, il dio dell'infamia si apprestava a surrogargli il tragitto con un tipo di esperienze diametralmente opposte, le quali avrebbero indotto la sua psiche a rotolarsi in squarci esistenziali drammatici e traumatizzanti. Perseguitando e affliggendo il divo con raccapriccianti distorsioni della realtà, la malefica divinità gli avrebbe pure fiaccato paurosamente lo spirito. Da parte sua, Ukton, divenendo vittima delle sue intollerabili persecuzioni, pur di vedersi privato per sempre di tutte loro, senza meno avrebbe agognato nell'intimo la non–esistenza. Una brama di quella specie non gli sarebbe servita a nulla, poiché non sarebbe potuta diventare reale, permettendogli così di liberarsi dal dio dell'infamia e di scrollarsi di dosso le proprie sofferenze. Invece esse avrebbero seguitato a torturarlo senza interruzione.