13-NURDOK DIVENTA ORFANO IN TENERA ETÀ

Nurdok era nato da genitori molto semplici. Essi, sebbene fossero di alta estrazione sociale, avvertivano una sola esigenza, la quale era quella di godersi la serenità e la felicità tra le quattro mura domestiche. Dopo essere nato il loro primo rampollo, sia l'una che l'altra erano accresciute in modo smisurato nel piccolo nucleo familiare. Si trattava, quindi, di una coppia di giovani sposi che non avevano alcuna pretesa; ma coltivavano unicamente delle modeste ambizioni. I loro nomi erano Icondo e Neula. Il giovane faceva parte della tribù del Fuoco ed era il primogenito dell'affabile Tesda e di Suok, che era il superum della Berieskania. La ragazza, invece, apparteneva alla tribù dell'Acqua ed era la figlia della virtuosa Luska e di Gerik, che era il conductor della Trasia.

Il nonno paterno, non appena era stato informato che era nato il piccolo Nurdok, si era infinitamente commosso ed era stato preso da un immenso giubilo. Subito dopo si era precipitato alla casa del figlio insieme con Burgior. Costui, oltre ad essere un astrologo, era uno dei suoi due saggi consiglieri. Il piccolo rappresentava il primo nipote di Suok, essendo nato dal figlio Icondo. Il quale, a sua volta, aveva pure preceduto tutti gli altri fratelli a venire alla luce. A ogni modo, la nascita di Nurdok era stata accolta con grande tripudio dall'astrologo Burgior. Egli prima lo aveva tirato fuori dalla culla; dopo, tenendolo sollevato con le braccia al di sopra della propria testa, si era messo ad esclamare: "Ecco giunto tra noi il benedetto dagli astri, poiché il neonato sarà baciato dalla fortuna! Quando sarà grande, diventerà il più glorioso dei Berieski, per cui l'osanneranno le popolazioni di tutte e quattro le tribù. Soltanto un suo nipote, il quale sarà anche un diretto discendente di uno straniero par suo, lo supererà in eroismo e in grandezza d'animo. A proposito di tale futuro tuo pronipote, mio prode superum, nessuno potrà mai paragonarsi a lui nel mondo intero. Per cui sarà celebrato il più grande eroe di ogni tempo, ossia del presente, del passato e del futuro!"

L'autorevole nonno, in occasione del rito della circoncisione che veniva praticata tra i Berieski a scopo religioso al compimento del terzo mese di età, aveva voluto regalargli una culla di vimini assai bella. Allora i genitori l'avevano subito sostituita con quella che si erano procurata a loro spese. La nuova zana, che era di forma ovale e poteva essere trasportata a mano, aveva due sponde lunghe ottanta centimetri e alte mezzo metro; inoltre, presentava un manico circolare sovrastante, il quale le teneva collegate. Essa, prima di essere dipinta ed ornata con diversi bei fregi nella parte esterna, era stata spalmata con una resina impermeabilizzante, la quale l'aveva resa impenetrabile ad ogni tipo di liquido. Perciò, se posta sopra una superficie di acqua, la culla riusciva a mantenersi a galla, proprio come se fosse stata una piccola barca. In seguito, anche se il suo donatore non lo aveva previsto, la sua culla sarebbe risultata il regalo più prezioso per il piccolo Nurdok, poiché essa gli avrebbe salvato la vita. Ma tra breve, raccapricciandoci per un motivo e tirando il fiato per un altro, apprenderemo in che maniera la culla si sarebbe rivelata la salvatrice del futuro superum dei Berieski.

Un giorno, il quale era iniziato all'insegna del bel tempo, i coniugi Icondo e Neula avevano deciso di approfittarne e di darsi ad una piacevole escursione. Così, oltre a far cambiare aria al loro bambino, essi si sarebbero concesso un po' di relax. Entrambi intendevano concretizzare il loro desiderio, che era quello di visitare la riva orientale del Sundro, che era il fiume sacro della Berieskania. Esso, attraversandola da cima a fondo, si presentava sinuoso in tutto il suo percorso. Nella Sandar, che era la loro regione, il corso d'acqua percorreva il vasto bosco che si estendeva ad ovest di Geput. Questo era il popoloso borgo della tribù del Fuoco, dove c'era la residenza dell'allora superum della Berieskania. Nei programmi dei due giovanissimi consorti, era prevista anche una lunga sosta nei pressi della cascata, che il fiume formava a metà del suo serpeggiante percorso boschivo. Il suo assordante fragore era considerato dai Berieski la tonante voce del loro onnipossente dio Mainanun. In quella radiosa giornata, Icondo e Neula avevano deliberato di svagarsi un mondo con il loro bambino ed avevano pensato di consumare il pranzo al sacco presso la riva del piccolo bacino idrico. Il corso d'acqua prima effettuava il suo salto a precipizio in una lieve depressione del terreno, formandovi un laghetto; ma poi riprendeva la sua corsa verso il lontano mare, seguendo la direzione nord-ovest.

Montati quindi sui loro cavalli, marito e moglie erano usciti di buon'ora dal loro borgo; poco dopo si erano anche addentrati nel bosco per raggiungere la loro meta. Il piccolo Nurdok, che dormiva nella sua zana, viaggiava con la madre. Ella, tenendo adagiata la culla sulla groppa del proprio quadrupede, se la teneva davanti con cura; però stava attenta a non lasciarsela sfuggire, per evitare al piccolo una pericolosa caduta. Secondo le previsioni, l'escursione non avrebbe dovuto riservare nessuna brutta sorpresa ai tre gitanti, poiché il sentiero da loro percorso era battuto da boscaioli e da cacciatori. A dire il vero, esso era frequentato pure da coloro che erano in cerca di funghi oppure andavano raccogliendo castagne e frutti di bosco. Perciò non erano da attendersi da quei luoghi degli incontri spiacevoli, siccome non risultava che essi fossero infestati da malintenzionati oppure da belve feroci.

La piccola famigliola galoppava da un paio di ore, con un viaggio alle spalle che era andato liscio come l'olio, allorquando la boscaglia si era fatta più rada. A quel punto, erano cominciate anche a farsi sentire in lontananza le acque della cascata, le quali via via sarebbero divenute sempre più fragorose. Esse, inoltre, precipitando giù da un'altezza superiore al centinaio di metri, finivano nella piccola fossa naturale sottostante, dove producevano un rumore assordante. Nel piccolo laghetto, le acque, dando luogo ad un'abbondante schiuma, permettevano alle esalazioni vaporose da essa formate di espandersi nei dintorni lievi e appena percettibili. A un certo momento, perciò, satura com'era di goccioline, l'aria era divenuta frizzantina, a causa di una leggera brezza. La quale, dopo aver carpito alla cascata le tenui e diafane stille, le diffondeva nelle zone circostanti. A volte la piccola corrente d'aria riusciva a trasportarle perfino ad un miglio di distanza dal loro luogo di formazione.

In vista del fiume sacro, un'atmosfera di brio aveva iniziato ad aleggiare intorno ai due affabili giovani, poiché essi ritenevano imminenti la fine del loro viaggio e l'inizio del loro diporto. Anche gli stanchi cavalli erano stati presi da un clima festoso, perché davano per scontato che presto avrebbero potuto dissetarsi in abbondanza. Intanto che il loro corpo grondava di sudore, le bestie esprimevano la loro contentezza con prolungati nitriti di sentito appagamento. Perciò ogni cosa, almeno all'inizio, sembrava procedere per il verso giusto, a cominciare dallo smagliante cielo azzurro. In un certo senso, dall'alto esso contribuiva a rendere più attraente e vivace la natura. Essa, dopo essersi sganciata dalla monotona esistenza notturna, da alcune ore era ritornata a pieno ritmo alla sua quotidiana funzione diurna. Infatti, si era messa a palpitare dappertutto di rigoglio verdeggiante e di fragrante vitalità.

Purtroppo le condizioni meteorologiche non possono far presagire il destino degli uomini, giacché le une e l'altro procedono su binari differenti, anche se qualche volta possono risultare confluenti. Ecco perché non sempre l'ottimo stato delle prime si abbina ad una rosea evoluzione del secondo. Perfino i fulmini a ciel sereno possono presentarsi in qualsiasi istante, oltre che in ogni circostanza. Ciò, anche quando il bel tempo sembra promettere a coloro che ne hanno bisogno dei momenti rasserenanti e spensierati! Era quanto stava appunto per succedere ai nostri due allegri escursionisti. A loro insaputa, un destino scriteriato e maligno stava tramando contro di loro, malgrado il fulgore e l'amenità della giornata la facessero da padroni. Ma l'evento tragico, che stava per accadere ai danni degli sventurati Icondo e Neula, avrebbe rivelato una drammaticità e una efferatezza senza pari. Le quali sarebbero state considerate inaccettabili perfino dai più duri di cuore. Per tale ragione, il crudele destino avrebbe dovuto vergognarsi, nell'istante stesso che le aveva deliberate senza compassione. Specialmente perché esse assai presto si sarebbero messe a spadroneggiare tristamente nei loro confronti, a onta di ogni umana forma di clemenza e di misericordia.

Una volta giunti in prossimità della cascata, i due felici consorti avevano arrestato le loro bestie ed erano scesi a terra. Mentre la donna era andata a sistemarsi con il piccolo ancora dormiente presso la sponda del bacino idrico, il marito aveva badato ad abbeverare i cavalli. Eseguita tale operazione, il giovane era andato a legare i quadrupedi all'albero più vicino, il quale era distante una ventina di metri dalla cascata. Dopo averlo raggiunto, si era dato a legare le bestie al suo tronco. Eseguendo tale operazione, egli aveva anche dato un'occhiata alla sua folta chioma, la quale però non aveva destato in lui sospetti di alcun genere. Infine, con uno slancio festoso, Icondo aveva deciso di lanciarsi a rotta di collo in direzione del laghetto, dove la moglie lo stava aspettando ansiosa, poiché in quell'attimo non vedeva l'ora di unirsi a lei e al figlioletto.

Il primogenito del superum era riuscito a fare appena pochi passi, allorché si era visto aggredire alle spalle da una tigre ruggente. Essa, con un lungo balzo ferino, gli era piombata addosso dall'alto dell'elemento arboreo e lo aveva sbattuto violentemente al suolo. La belva, in attesa di una facile preda da farne il proprio pasto, era rimasta per varie ore in agguato proprio sull'albero, che il poveretto aveva scelto per legare i loro cavalli. Il suo manto rugginoso e striato di nero l'aveva tenuta ben mimetizzata tra il fogliame dei rami. Perciò, non appena le si era presentata l'occasione propizia, a qualunque costo essa non aveva voluto farsi sfuggire la sua vittima di turno, destinandole all'istante il suo famelico e micidiale assalto. Il distratto Icondo, pur avendo dato un'occhiata ai rami, non si era accorto della mangiatrice di uomini. Invece essa, restando ben nascosta tra le foglie, aveva continuato a spiarlo per tutto il tempo che egli era rimasto ai piedi dell'albero.

Il poveretto non aveva neppure fatto caso all'ombrosità delle due bestie, la quale, in verità, c'era stata in forma attenuata. Infatti, la brezza, spirando nella stessa direzione del felino, aveva tradito quasi completamente il loro olfatto. Anzi, rendendolo discontinuo nel percepire i vari odori, essa non aveva consentito a nessuno dei due cavalli di individuare la presenza della temibile tigre in agguato. In un attimo, così, il disgraziato era stato schiacciato dall'insostenibile peso del grosso predatore, il quale non doveva essere inferiore ai tre quintali. Senza farlo accorgere di nulla, la belva aveva fatto scattare contro di lui il suo balzo feroce, che in quella circostanza era risultato fulmineo e letale in pari tempo. Il sanguinario felino, oltre ad affondargli i poderosi artigli nella schiena, in un attimo lo aveva decapitato con un formidabile morso alla nuca. Perciò, senza permettergli il minimo divincolamento di autodifesa, lo aveva fulminato sul colpo, troncandogli immediatamente l'esistenza.

La moglie Neula, la cui attenzione era stata richiamata dal suo potente ruggito, aveva assistito fin dall'inizio alle brutali azioni della belva. L'aveva seguita per l'intero tempo che essa era stata intenta ad annientare con rapidità le forze e la vita del consorte. Perciò ella era rimasta a guardarla inorridita e scioccata, fino a quando non si era avuto la conclusione dello straziante episodio, il quale aveva coinvolto tragicamente il marito. La giovane donna era apparsa come inebetita ed incapace di risolversi in qualche modo, come se venisse immobilizzata da una forza oscura. Ma poi era stato il piccolo Nurdok a destare la donna da quella specie di trance, nella quale era caduta e continuava a permanervi, venendone interamente soggiogata. Il bambino, non appena era stato svegliato dai bramiti della belva, subito aveva cominciato ad emettere forti ed acuti vagiti, scuotendola dal suo momentaneo shock. Egli, però, oltre a ridestare la madre dal suo stato di intontimento e di immobilità, aveva richiamato su loro due l'attenzione della dominatrice incontrastata della giungla. Allora, senza perdere tempo, essa aveva smesso di dilaniare il corpo dell'uomo e si era messa a raggiungere le due nuove prede. Perciò adesso era il piccolo della donna a fare più gola alla bestia, per cui aveva deciso di farlo diventare un suo bocconcino prelibato.

A quella reale minaccia, Neula aveva smesso di pensare alla tragica sorte toccata al suo Icondo. Ma senza temere minimamente per la propria vita, le era balenato nella mente il solo pericolo che anche il figlio era in procinto di correre. Perciò, afferrata la culla con una mano, ella si era messa a scappare come una forsennata lungo la riva del fiume, seguendone il corso discendente. Mentre correva, la poveretta non si curava dello sballottamento a cui andava sottoponendo il suo bambino, facendolo insistere nel suo pianto dirotto. Da parte sua, la trista fiera, che all'inizio aveva cominciato a dirigersi verso la sua appetibile preda con passi felpati e con movimenti studiati, in seguito aveva voluto imitare la donna, la quale scappava per non essere raggiunta. Così si era data a rincorrerla senza darle tregua, poiché non tollerava che ella le portasse via l'ottimo bocconcino. La belva, che non intendeva lasciarselo sfuggire, bramava di impadronirsene al più presto per divorarlo. Nel suo inseguimento, la tigre avanzava con salti così lunghi, che sembravano spingerla in avanti con la rapidità del vento. Neula, da parte sua, spesso si voltava indietro per controllare la situazione. Quando infine si era resa conto che la maligna inseguitrice non era disposta a mollarli e che quanto prima li avrebbe raggiunti, ghermiti e sbranati, ella aveva cercato di porvi rimedio. Non sapendo nuotare, aveva abbandonato alla corrente del fiume la sola culla con dentro il piccolo Nurdok, il quale non smetteva di darsi al suo pianto dirotto. Così, intanto che il contenitore di vimini prendeva l'abbrivo, spostandosi sempre di più verso il centro del corso d'acqua e aumentando la sua velocità, la madre era stata aggredita dalla malvagia belva, che l'aveva sbranata e divorata con particolare ferocia. Era parso che avesse voluto vendicarsi della donna, per non averle consentito di mangiare quella che stava per diventare la sua tenera preda.

Quanto ai cavalli, essi, all'apparizione del felino, essendo diventati balzani, erano riusciti a slegarsi. Di lì a poco, manifestando molto terrore attraverso i loro ininterrotti nitriti, si erano dati ad una fuga precipitosa, galoppando furiosi alla volta del borgo. La loro corsa aveva avuto termine, solo quando essi avevano raggiunto l'abitazione dei loro padroni. Invece la piccola zana, dopo un quarto d'ora che veniva trasportata dalle acque del fiume, era stata prima avvistata e poi bloccata dal traghettatore Ferbio. Costui, nello scorgere all'interno di essa un bambino ancora in fasce, era rimasto molto sbalordito e non sapeva spiegarsi come essa fosse capitata nel fiume. Di lì a poco, dopo averla recuperata, egli era rientrato senza indugio nella sua capanna ed aveva consegnato alla moglie Usca la culla, nella quale ci stava il grazioso bambino piangente.


Il rientro delle bestie al borgo, avvenuto senza i loro cavalcatori, aveva messo in fermento i vicini di casa. Costoro allora senza perdere tempo si erano preoccupati di informare l'autorevole Suok dell'inconsueto episodio. Essi giustamente avevano ritenuto che quel fatto riguardasse di persona il loro superum, trattandosi del mancato ritorno a casa del suo primogenito, della moglie di lui e del loro bambino. Allora la persona più illustre della Berieskania, non appena era venuta a conoscenza che i due cavalli erano ritornati a casa del figlio, senza avere sulle groppe il suo primogenito, sua moglie e il loro bimbo, all'istante aveva temuto per la vita dei suoi parenti stretti. Perciò, senza attendere neppure un minuto, egli si era messo alla testa di cento soldati a cavallo ed era volato alla loro ricerca. Naturalmente, Suok si era dato a seguire lo stesso itinerario che avevano percorso i suoi cari congiunti. Egli ne era a conoscenza, siccome essi glielo avevano riferito, prima di lasciare il borgo di Geput, cioè quando avevano intrapreso il viaggio.

Il tragitto, per quasi l'intero percorso, non aveva evidenziato alcuna traccia né di anormalità né di violenza, da parte di qualcuno o di qualcosa. Infatti, durante la loro avanzata, nella zona era stato notato che la vita seguitava a trascorrervi con il solito tranquillo trantran quotidiano. Per sfortuna, però, non si era potuto dire la medesima cosa, dopo che era stato raggiunto il luogo scelto come meta dalla piccola famigliola. Giunti in quel posto, dapprima erano stati ritrovati i resti mortali del povero Icondo, il quale era stato identificato, soltanto grazie alle sue vesti lacere ed insanguinate. Successivamente, seguendo per un miglio le impronte della donna e del felino, le quali lungo la riva del fiume apparivano ben visibili, era stato rintracciato anche il corpo di Neula. Esso, che era stato straziato in modo orribile come quello del marito, ugualmente si era presentato irriconoscibile. Perciò si era dovuto identificare anche il corpo della nuora attraverso i suoi indumenti personali, che si presentavano terribilmente pure insanguinati e ridotti a brandelli.

Del piccolo Nurdok, però, non era stata rinvenuta nemmeno la minima traccia. La qual cosa aveva indotto Suok a ritenere che la mangiatrice di uomini non fosse riuscita ad allungare i suoi artigli sul nipotino. Glielo faceva credere soprattutto l'irreperibilità della sua culla. La quale, nonostante gli sforzi compiuti dai suoi uomini, non era stata ritrovata e recuperata in nessun luogo di quella zona percorsa dalle acque fluviali. Allora, ritenendo il nipote al sicuro in qualche parte, il superum aveva ordinato ai suoi soldati di scovare la tigre e di abbatterla con i loro archi, prima che essa riuscisse a mettere i propri artigli sul piccolo. Inoltre, una volta uccisa, le avrebbero evitato di infierire contro altre persone inermi del suo popolo. Con tale provvedimento, egli l'avrebbe anche fatta pentire di avere abbandonato la giungla e di aver fatto strage del figlio e della nuora, i quali sventuratamente erano rimasti sue vittime.

Da quel momento, incalzata dai cento Berieski, la belva non aveva avuto più vita facile. Così, dopo una battuta di caccia durata un paio di ore, l'enorme felino era stato finalmente intercettato e scovato. In verità, erano stati i suoi ruggiti di nervosismo a tradirlo e a farlo scoprire dai suoi cacciatori, i quali erano degli ottimi arcieri. In un primo tempo, essi avevano spinto la tigre in una piccola radura per impedirle di nascondersi tra la vegetazione. Infine, quando la bestia feroce era divenuta loro facile bersaglio, intanto che essa ruggiva e fremeva rabbiosamente, l'avevano stecchita con una raffica di infallibili frecce, le quali le erano piovute addosso numerose, trafiggenti e mortali. Avvenuto l'abbattimento della possente belva, la quale si era assuefatta alla carne umana e la cercava ovunque si trovasse, Suok aveva ordinato la sospensione delle ricerche del piccolo e il loro ritorno al borgo di Geput. Ve lo avevano spinto le tenebre, che presto sarebbero calate su ogni cosa. Ma prima egli aveva fatto raccogliere dai suoi uomini i resti mortali dei due congiunti, siccome l'indomani essi sarebbero dovuti essere onorati con la rituale cerimonia funebre.

I funerali, che avevano avuto luogo il giorno dopo, erano consistiti prima nella cremazione dei pochi resti dei due corpi e poi nella conservazione delle loro ceneri in una cassetta di legno. Essa era stata poi totalmente incatramata all'esterno, siccome l'urna cineraria doveva essere consegnata alle scorrenti acque del Sundro. Esse avrebbero dovuto accompagnarla fino allo sconfinato mare aperto. Secondo la credenza dei Berieski, esclusivamente in quel modo si consentiva agli spiriti dei defunti di accedere con serenità all'aldilà. A ogni modo, c'erano dieci giorni di tempo per effettuare la consegna dell'urna al fiume; ma Suok, già al termine dei loro funerali, era ritornato con i suoi soldati al fiume sacro. Una volta in quel posto, per prima cosa, egli aveva affidato alle sue acque l'urna contenente le ceneri del figlio e della nuora. Subito dopo, il superum aveva fatto riprendere le ricerche del piccolo Nurdok dai suoi soldati. Memore di quanto gli aveva vaticinato l'astrologo Burgior, egli era convinto che il piccolo sarebbe stato trovato in quella zona.

A suo parere, due erano i probabili destini, ai quali la culla poteva essere andata incontro. Il primo faceva ipotizzare che essa fosse stata intercettata da qualcuno di passaggio in quelle parti. Allora egli, mosso a pietà dell'ospite infante, non si era astenuto dal raccoglierla e dal portarsela a casa sua. Il secondo, invece, faceva ritenere che la stessa fosse stata appositamente abbandonata dalla moglie del figlio alle acque del fiume, pur di sottrarre il figlioletto alla voracità della tigre. Se si ammetteva che si fosse compiuto il secondo destino riguardante il piccolo, allora ne scaturivano le sole due ipotesi possibili che concernevano la fine della culla. Essa, come poteva essere fluitata fino alla foce del corso d'acqua; così poteva essere stata scorta e bloccata da qualche pescatore o traghettatore che operava nelle vicinanze. Il quale, essendosi commosso per l'evento, non aveva esitato a dare ricetto al piccolo trovatello rinvenuto nelle acque fluviali. Ma Suok aveva preferito considerare la cosa in chiave ottimistica e credere che si fosse verificata la seconda ipotesi. Perciò, insieme con i suoi soldati, si era dato a perlustrare la vasta fascia di terra che fiancheggiava la discendente sponda orientale del Sundro. Inoltre, si era ripromesso che, dopo la ricerca di andata, egli e suoi uomini si sarebbero dedicati pure a quella di ritorno, battendo l'altra riva, la quale era quella occidentale.

Pervenuti nei pressi del corso d'acqua, i suoi uomini avevano incominciato a condurre le loro ricerche in tutte le capanne che incontravano lungo la fascia di terra, che non si discostava dal fiume più di due miglia. A quelli che le abitavano, essi avevano chiesto se erano venuti a conoscenza del ritrovamento di una culla sulle acque del Sundro con dentro un bambino. Alla fine, dopo una ennesima ricerca senza risultato, Suok era capitato nella capanna giusta, cioè quella del traghettatore Ferbio. L'uomo, che lo aveva raccolto, naturalmente era apparso molto giubilante nell'apprendere che il bambino da lui salvato dalle impetuose e limacciose acque del fiume era il nipotino del superum della Berieskania. Ritrovato il piccolo Nurdok, il capo dei Berieski alla fine si era tranquillizzato, per cui aveva fatto ritorno al borgo molto risollevato e soddisfatto. Ovviamente, era da escludersi nella maniera più assoluta che nella sua mente non fosse anche rimasto a tormentargli l'esistenza il pensiero della morte del primogenito Icondo e di quella della nuora Neula. L'una e l'altra uccisione da parte della belva feroce adesso gli piagavano aspramente l'animo e gli procuravano un abbattimento fisico e psichico non comune.

Nurdok era stato cresciuto nella casa dei nonni paterni, dove non gli erano mancati il grande amore della nonna Tesda e l'affetto dei suoi sette zii. I quali, per una decina di anni, avevano fatto a gara a chi lo coccolasse di più. Ma in seguito, l'uno dopo l'altro, i sette figli del superum avevano dovuto lasciarlo alle sole cure dei nonni, per aver preso moglie e per essere andati ad abitare nella loro nuova casa. Comunque, quando si era sposato anche l'ultimogenito di Suok, cioè Ukio, Nurdok era entrato nella fase adolescenziale. Allora era venuta meno per lui l'età dei giochi ed era iniziata una serie di esercitazioni pratico-teoriche, che principalmente avevano avuto lo scopo di rafforzargli il fisico e di acuirgli l'ingegno. Essi, in verità, avevano mirato anche ad applicarlo nei diversi studi attinenti allo scibile di quel tempo. Della sua preparazione psicofisica, si era voluto occupare personalmente il nonno Suok, il quale, per essere diventato il superum della Berieskania, un tempo aveva dovuto dimostrare di essere il primo tra i campioni berieski. Egli aveva voluto impartire al nipote delle proficue lezioni sul perfetto uso delle armi. Ma aveva iniziato da quelle che risultavano più adatte alla sua età, ossia la fionda, l'arco e il pugnale. L'allievo, da parte sua, aveva ogni volta risposto brillantemente agli insegnamenti del suo eccellente maestro. Per questo il nonno aveva dovuto prendere atto che il prodigioso nipote possedeva una innata predisposizione per l'apprendimento di quelle discipline, che gli andava via via scrupolosamente insegnando durante la sua intera fase adolescenziale. Un fatto del genere lo aveva stupefatto molto, per cui aveva iniziato a convincersi che il nipote davvero era destinato ad imprese grandiose, quelle che giammai sarebbero state possibili alle altre persone della sua epoca, compreso lui.