124-LO STATO MAGGIORE DELLE DIVINITÀ MALEFICHE

Lo Stato Maggiore delle divinità negative, dette anche malefiche, era stato formato: 1) dal suo comandante in capo, ossia dal dio Buziur, il quale in precedenza si era autoinsignito del titolo di Imperatore delle Tenebre; 2) dalla dea Clostia, che poteva definirsi sua degna compagna, poiché non la dava per vinta a nessuno, certe volte neppure all'autorevole consorte; 3) da sei divinità maggiori, con il titolo di kapius, le quali in Kosmos, non potendo esserci il loro imperatore, avrebbero operato in vece sua. Infatti, come abbiamo appreso, era vietato al dio della superbia di accedere al Regno della Materia e del Tempo. Egli non poteva guidarli neppure da Tenebrun, come erano in grado di fare i divini gemelli. In riferimento poi al sestetto delle divinità membri dello Stato Maggiore, tre di loro erano i figli del dio Buziur e della dea Clostia. Essi erano: Pren, il dio dell'ira, che era il loro primogenito; Korz, il dio dell'inganno, che era il loro secondogenito; Sunk, il dio dell'intemperanza, che era il loro terzogenito. Invece le altre tre divinità maggiori erano i figli del dio Osiep, l'unico germano del dio Buziur, e della dea Elcen. Essi erano: il loro primogenito Fuat, il dio della discordia; il loro secondogenito Brust, il dio della distruzione; il loro terzogenito Zerf, il dio dell'anarchia.

In precedenza ci siamo interessati ad un Buziur nel suo ruolo di divinità positiva, mentre trascorreva la sua esistenza nel Semiempireo di Kron. In esso, egli ci si è rivelato un dio intraprendente, renitente a ogni rigore di Luxan, ma a volte pure simpatico. Adesso, però, conviene apprendere come il dio ribelle viveva la propria divinità nella realtà di Tenebrun. Così avremo modo di sapere se, in seguito alla sua cacciata da Luxan, il suo carattere era cambiato oppure era rimasto il medesimo.

Ebbene, dopo essere stato confinato nel nuovo regno, il cambiamento c'era stato fin troppo in lui. Perciò, da ora in poi, si avrà a che fare con un personaggio diametralmente opposto a quello che aveva interpretato nella sua esistenza luxaniana. Da allora, in verità, di tempo ne è trascorso parecchio e il suo temperamento si è andato via via modellando in un bagno di asprezza e di rabbia. Per il quale motivo, ci troviamo ad avere a che fare con un dio nuovo, abituato a dimostrarsi con gli altri scontroso, irascibile e calcolatore. Non appena c'era stato il suo trasferimento in Tenebrun, il dio Buziur non aveva accettato di buon grado la massa tenebrosa che gli si spaziava tutt'intorno, tirannica e prepotente.

Nei primissimi tempi egli si era ritrovato a vivere in esso in balia della stizza, della disperazione e di un'ansia profonda di uscirne a qualsiasi costo. Ogni suo sforzo in tal senso era risultato vano; anzi, aveva solo contribuito ad incattivirlo, trasformando la sua natura in un qualcosa di mostruosamente repellente. Inoltre, in lui si erano annidate le pecche peggiori, erano lievitati i vizi più ripugnanti, si era ingigantito il male che metteva più spavento; soprattutto vi era esplosa la furia più distruttrice. Ma quest'ultima, in quel luogo, il dio Buziur non poteva esprimersi in modo fattivo su nessuna cosa, come appunto si sentiva di agire nelle latebre del proprio animo perverso.

In sèguito l'Imperatore delle Tenebre era stato raggiunto prima dalla sua amata Clostia e, in un secondo momento, da tutti i suoi amici. Per ultimi, in Tenebrun si erano presentati anche suo fratello Osiep e la fresca sua sposa Elcen. Solo allora c'erano stati in lui sia un ridimensionamento delle sue escandescenze contro il niente sia un affievolimento del suo penoso esistere. La sua natura, però, non era più ritornata ad essere quella dei tempi andati. Cioè, non era stato possibile scardinarvi la malignità e la perfidia, essendo esse diventate le roccaforti del suo nuovo concepire l'esistenza. Il quale non ne aveva voluto sapere di smettere di essere in pari tempo diabolico e scellerato all'ennesima potenza.

Anche riguardo alla dea Clostia, abbiamo già appreso alcuni particolari rilevanti della sua esistenza, i quali ci hanno permesso di comprendere bene il suo personaggio. Ci stiamo riferendo a quello che in lei si era radicato in Luxan. Perciò adesso è giunto il momento di venire a conoscenza del ruolo che aveva assunto di recente nella realtà di Tenebrun, intanto che trascorreva la propria esisteva tenebrunese accanto al venerato marito. I cui esordi si erano rivelati anche per lei grami e privi di soddisfazioni, sebbene le avesse cercate a qualunque prezzo in ogni angolo di quel luogo tenebroso. Più avanti nel tempo, però, essendo paga della compagnia del suo Buziur, ella aveva rinunciato alle sue brame e a ogni forma di appagamento. Per la dea, ora esclusivamente il consorte rappresentava lo scopo della sua vita, per il quale avrebbe vissuto anche un'esistenza peggiore di quella che attualmente era costretta a vivere.

Nella dea negativa, com'era già accaduto nel marito, la natura psichica ed esistenziale si era andata via via trasformando con il trascorrere dei millenni. Così, poco alla volta, essa era divenuta completamente diversa da quella che possedeva nel Regno della Luce, dove ella era stata un tipo di divinità amabile e solare, aperta al massimo al dialogo e alla socialità. Al momento attuale, invece, la consorte del dio Buziur si mostrava una dea scostante, introversa, misantropa ed irosa. Stando ella alle prese con la nuova realtà di Tenebrun, che riusciva a digerire fino a un certo punto, il suo carattere era diventato inaccostabile, intrattabile e inconciliabile con le altre divinità. Possiamo asserire che si era di fronte a una dea, la quale non era più quella di un tempo. Solo con il suo Buziur la divina Clostia riusciva a cambiare notevolmente di carattere. Perciò non gli faceva mancare la sua dedizione assoluta, concedendogli volentieri e con dovizia le sue carezze dolcissime e le sue moine zuccherose.

Vista al di fuori del suo rapporto coniugale, la dea vestiva l'abito di un'entità sadica, inclemente, pronta a tenzonare con qualunque altra divinità. Sovente la consorte dell'imperatore veniva spinta da una malevola voglia di aggressione contro tutti gli altri esseri divini del Regno delle Tenebre. Per cui molti di loro la giudicavano degna consorte del loro capo supremo. Perfino il suo temperamento incostante, volubile ed irascibile, non prometteva nulla di buono nei suoi rapporti con i propri simili. Esso navigava nell'assoluta asocialità e nella permalosità più suscettibile. Inoltre, non era mai propensa a far leggere i propri pensieri del momento a chicchessia e in nessun caso faceva prevedere ciò che ella avrebbe deciso o concluso un attimo dopo. Oramai il suo carattere era diventato quello che tutti ravvisavano in lei e nessuno più sarebbe stato capace di cambiarglielo, neppure il suo caro marito Buziur.

I restanti membri componenti lo Stato Maggiore erano state le sei divinità maggiori rappresentate dai figli del dio Buziur e da quelli del divino fratello. Costoro, una volta pervenuti in Kosmos, loro precipuo dovere era stato quello di guidare e di soccorrere le altre divinità malefiche che avevano cominciato a risiedervi, quando il loro aiuto si rendeva indispensabile. Perciò adesso, ad iniziare dal primogenito del dio Buziur, conviene descrivere tali autorevoli personaggi divini nella maniera più appropriata. Così facendo, conosceremo di ciascuno di loro il perfido carattere e le gravi pecche, nonché l'indole malvagia che li caratterizzava.


Il dio Pren, ossia il primogenito del dio Buziur, non era del tutto sano di mente, per cui si mostrava facilmente collerico e pronto ad attaccare brighe a ogni istante. Egli era il prediletto della madre Clostia, la quale scorgeva in lui il discendente più degno di lei. Quel suo giudizio scaturiva dal fatto che ella riscontrava nella personalità del figlio più grande l'indole che la caratterizzava. Difatti essa risultava stizzosa, malvagia, incontentabile, diffidente e incredibilmente intrattabile.

I suoi rapporti con i due fratelli minori non si poteva affermare che fossero eccellenti. Giudicando la loro compagnia una vera noia, egli si sentiva meglio, quando si rintanava nella propria infinita solitudine. In verità, nonostante la sua antipatia verso i germani, questi ugualmente lo tenevano in grande considerazione, rappresentando egli il loro campione e il loro idolo. La stima illimitata, che essi riponevano in lui, era dovuta al fatto che il beniamino della madre possedeva ingenti doti negative, difficilmente rinvenibili in altre divinità di Tenebrun. Esse, essendo della peggiore specie, ne facevano un dio tanto rispettato quanto temuto. Inoltre, lo presentavano con un'aureola d'iniquità, che si pensava fosse proprio del personaggio carismatico idoneo a procurarsi molti proseliti. Le sue relazioni con il padre, sebbene egli fosse il suo imperatore, lasciavano molto a desiderare; anzi, in alcuni momenti, esse erano apparse inconciliabili e prossime alla rottura definitiva.

A tale proposito, le altre divinità non erano in grado di asserire con certezza chi dei due congiunti desiderasse ed alimentasse quel contrasto, quasi a dar sfogo ad un risentimento latente. Anche se nessuna di loro sapeva spiegarsene il motivo, il dissapore tra il padre e il figlio c'era e non lo si poteva nascondere; al contrario, vi restava immotivato, profondo ed ineliminabile. Qualcuna di loro aveva perfino insinuato che il profondo astio veniva covato dal dio Buziur. Egli aveva iniziato a nutrirlo verso il più grande dei suoi figli, da quando aveva avuto sentore di una compenetrazione di tipo sessuale che si sarebbe consumata tra la propria consorte e il loro primogenito. Invece altre divinità imputavano il rancore paterno all'esagerata ascendenza che il figlio godeva sia in ambito familiare sia al di fuori di esso. Perciò, vivendo essi all'insegna di tale tensione, tra il dio Buziur e il divino figlio Pren non erano mancati parecchi battibecchi, i quali il più delle volte si erano dimostrati assai duri e aspri.

Un giorno, in seguito ad un ennesimo rabbuffo paterno, per ripicca il dio Pren aveva osato ribellarsi all'autorità del genitore, ricorrendo addirittura a un tono di aperta sfida. Allora il dio Buziur, sentendosi fortemente offeso, si era adirato come un ossesso e aveva deliberato di punirlo mediante i suoi iperpoteri secondari. Ma prima che egli attuasse il suo proposito di vendetta, era intervenuta la moglie Clostia a rabbonirlo. Così era riuscita a chetare le acque, sebbene esse, fin dall'inizio, si fossero preannunciate burrascose e rovinose a danno del suo primogenito. Alla fine ella aveva perfino fatto riconciliare l'animo del marito e quello del figlio, spingendoli a rappacificarsi almeno in apparenza.

Veniamo ora al secondogenito del dio Buziur, il quale era il dio Korz. Si dice che buon sangue non mente e, in questo caso, il proverbio calzava a pennello al secondo figlio dell'Imperatore delle Tenebre. Per questo il padre ne andava molto fiero e intratteneva con lui degli ottimi rapporti. Il carattere del dio Korz non era né forte né energico, poiché si presentava conciliante ed emotivamente fragile. Egli dimostrava di avere un temperamento comune, che non di rado lo faceva apparire un dio tanto debole quanto povero d'iniziativa. Ma non la stessa cosa si poteva affermare di lui, quando ci si riferiva alla sua natura. Essa risultava subdola e perfida; mentre la sua forza principale risiedeva nell'inganno. Il dio ricorreva ad esso specialmente per incrementare le altre sue potenzialità; anzi, egli ne faceva un'arma esclusivamente offensiva, essendo diretta a distruggere le capacità difensive dell'avversario. Spesso il dio Korz usava la buonafede altrui come trampolino di lancio, allo scopo di dar luogo ai suoi tranelli con azioni fallaci e con manovre capziose. La qual cosa gli arrecava una enorme soddisfazione e lo faceva giubilare, per aver provato un sommo piacere. A dire il vero, un fatto del genere gl'innescava nell'animo una sorta di delirio forsennato ed incontrollabile.

I suoi rapporti con i genitori, specialmente quelli con il padre, erano da definirsi di massimo livello. Giammai il secondogenito del dio Buziur si sarebbe permesso di contravvenire ad una decisione paterna; né tantomeno avrebbe osato discuterla anche nel modo più sottomesso. Per lui, il padre rappresentava il dogma di Tenebrun, la divinità assoluta ed incontestabile; ma soprattutto era degna della venerazione più forte e celebrata. Lo si ritrovava sovente a difendere le sue ragioni contro l'insubordinato fratello maggiore. Il quale, come abbiamo preso nota, era solito assumere un atteggiamento litigioso nei propri rapporti con il padre, non riuscendo ad andare d'amore e d'accordo con lui in nessun argomento trattato. Pur ammirando il consanguineo più grande in forma quasi osannata, mai gli riservava una stima superiore o uguale a quella che mostrava verso l'autorevole genitore.

Nei riguardi del fratello più piccolo, invece, il dio Korz preferiva assumere un atteggiamento di cordialità e di mutuo rispetto. In nessun caso, pretendeva da lui le sue attenzioni e la sua deferenza, come la consuetudine gli riconosceva da parte sua, anche se non c'era alcun obbligo. Quanto all'amore viscerale che la madre manifestava al solo primogenito, il dio Korz non se ne mostrava particolarmente geloso, poiché esso non costituiva per lui un problema. Dentro di sé, comunque, non riusciva a fare a meno di chiedersi perché mai ci fosse nella madre quella preferenza per il fratello maggiore, dalla quale conseguiva anche il suo diverso trattamento usato nei confronti degli altri due figli. Egli non aveva mai avuto abbastanza coraggio di domandarglielo, essendo timoroso di turbare l'immancabile suscettibilità materna, che giustamente temeva.

Del dio Sunk, che era il terzogenito del dio Buziur, si diceva tutto e niente; ma le altre divinità, a cominciare dai genitori, gli riconoscevano l'intemperanza e l'inaffidabilità. Egli non era mai soddisfatto di nulla e, a qualunque cosa si dedicasse, vi faceva sempre mancare la moderazione. Smodato e sregolato per natura, il dio Sunk andava in continuazione a caccia di nuove esperienze, cercando di riviverle con la sua proverbiale incontinenza. In realtà, di simili evenienze, in Tenebrun se ne potevano reperire ben poche, anche a cercarle col lanternino! Volendo essere realistici, le occasioni per non trovarle erano tantissime; come pure le circostanze per incontrarle mancavano in senso assoluto. A causa di ciò, il dio intemperante, finché fosse rimasto nel Regno delle Tenebre, avrebbe avuto ben poco da far valere del suo decantato difetto. Difatti esso era destinato a restare allo stato virtuale per la sua intera esistenza.

Nel ruolo del dio che non dava affidamento, egli riusciva invece ad avere più fortuna, non mancandogli le occasioni per dimostrarlo. Perfino i genitori e i fratelli avevano sperimentato questa sua prerogativa, rimanendone scottati un numero svariato di volte. Il divino Sunk, avendo il grande dono della persuasione, faceva dimenticare perfino la sua popolare inaffidabilità. Per questo puntualmente finiva sempre per convincere ed imbrogliare le divinità che gli concedevano la loro immeritata fiducia. Ciò accadeva, anche quando esse non ricevevano da lui la garanzia che dopo egli sarebbe stato ai patti contratti con loro. In relazione al carattere del terzogenito del dio Buziur, c'era da far presente che esso era instabile e volubile, per niente trattabile e sistematicamente inaffidabile. Anch'egli, come i suoi fratelli, era privo di una personalità forte e tenace, ossia garante di un modo di vivere stabile e non esposto a continui ripensamenti. Egli manifestava in forma accentuata la sua ansia di primeggiare su tutte le altre divinità e di avere dalla sua parte l'unanimità dei loro consensi. Risultava strano il fatto che nel dio Sunk continuasse ad esserci una pretesa del genere, anche dopo averli esposti in precedenza ai suoi raggiri ed essere venuto meno ogni volta alla fede giurata!

Il suo grado di rapporto con i fratelli era altalenante, ossia un giorno basso e un altro alto. Comunque, durante la fase ascendente, egli intavolava con loro delle piacevoli conversazioni; invece, durante quella discendente, non faceva mancare tra di loro diatribe brusche e furiose, che davano adito a vere baruffe. Di solito, queste si avevano, dopo che egli per l'ennesima volta era venuto meno alla parola data ai suoi interlocutori. I suoi genitori accettavano quel difetto del figlio senza dargli peso, per cui non se la prendevano più di tanto. Quella loro accettazione era valida, anche quando erano loro stessi a rappresentare le sue vittime designate. Essi oramai avevano preso coscienza che per lui il non mantenere le promesse fatte risultava un bisogno primario ed insopprimibile.


Ultimata la presentazione dei tre figli del dio Buziur, passiamo ora a parlare della prole del fratello Osiep, la quale era costituita da altrettanti figli. Costoro, a differenza dei loro cugini paterni, formavano un terzetto bene assortito; inoltre, caratterialmente, non presentavano problemi di sorta. Tra di loro, c'erano un accordo maggiore e una solidarietà più forte; mentre i litigi erano quasi nulli. Perché ce ne fossero, si sarebbe dovuto capovolgere Tenebrun. Difatti venivano a mancare quegli appigli particolari che avrebbero potuto farli scoppiare, motivando in questo modo pure la loro ragion d'esserci.

Volendo invece considerare la loro indole, allo scopo di raffrontarla con quella dei loro cugini, i figli del divino Osiep se ne distinguevano in senso positivo. Essi si mostravano più animosi, più combattivi, più fieri, più determinati, più intraprendenti, più ostinati e più concludenti. Essenzialmente, erano dotati di una ferocia e di una crudeltà aspre ed inflessibili, le quali permettevano a loro tre di essere più malefici. Ecco perché lo zio Buziur li aveva voluti nel suo Stato Maggiore. Secondo lui, in caso di un conflitto con le divinità benefiche, avrebbe fatto affidamento più su di loro che sui propri figli. Il loro modo di fare, infatti, appariva più elastico e rassicurante; soprattutto si dimostrava capace di far fronte alle difficoltà più impossibili. Tali difetti, che essi possedevano, avevano persuaso l'Imperatore delle Tenebre a porre sui tre nipoti la sua cieca fiducia, essendo convinto che avrebbe riscosso da loro grandi soddisfazioni. A questo punto, però, cerchiamo di conoscerli nel modo migliore individualmente, sotto la giusta luce.

Cominciamo a riferire sul dio Fuat, il quale era il primogenito del dio Osiep. Era arcinoto che il suo chiodo fisso era quello di combattere la concordia a qualsiasi costo, essendo egli caparbiamente intenzionato a sostituire al suo posto la discordia. La sua grande bravura consisteva appunto nel seminare zizzania in tutti quei luoghi, dove sembrava che le altre divinità negative non fossero mai discordi in qualcosa.

Sul suo conto, in Tenebrun si raccontava che egli un giorno era capitato in casa dello zio Buziur. In quel momento, i due divini consorti, intanto che erano dediti a vezzeggiare il loro divetto Furor, si facevano delle coccole smancerose e si scambiavano anche qualche effusione di compiaciuta tenerezza. Insomma, quella dimora appariva un idillio, grazie al quale la serenità sposava la calorosa atmosfera profusa nell'ambiente, instaurandovi un connubio di spensieratezza e di gaudio. A quel punto, però, era arrivato proprio lui, ossia il nipote Fuat, l'odioso nemico numero uno di tanta manifestazione di concordia e di giubilo, che stava imperando vistosamente nella casa dell'autorevole fratello del padre.

In un primo momento, egli aveva cercato di non infrangere quel magnifico clima, che lo zio imperatore stava vivendo con la sua deliziosa imperatrice. La quale, in quegli istanti, stava facendo la dolce moglie più del solito, largheggiando nel primo dei suoi doveri coniugali. Allora il poveretto aveva puntato i piedi, pur di non lasciarsi coinvolgere e partire in quarta, con l'intento preciso di guastare la festa all'illustre parente. Invece non c'era stato niente da fare, poiché la brama di dare sfogo al suo indebito intervento era stata più forte di lui, senza lasciarsi sopprimere. Alla fine, perciò, estrinsecando quella natura che gli era connaturale, il dio Fuat aveva dovuto rinunciare ai suoi buoni propositi di non turbare la serenità dei due zii. Così, in un battibaleno, essa gli aveva intimato di spegnere i riflettori sulla rasserenante armonia che entrambi stavano vivendo compiaciuti, ricavandone un appagamento invidiabile.

Dopo essersi presentato alla coppia di parenti stretti, si era rivolto al fratello del genitore ed aveva cominciato a parlargli pacatamente:

«Zio Buziur, pensi ancora all'affascinante Lux? Mio padre ogni tanto parla di lei in famiglia. Egli ci racconta anche che tu andavi pazzo per la dea della luce. Ma ella era davvero così bella, da farti diventare ebbro d'amore, ogni volta che la incontravi e la vivevi nei tuoi pensieri? Per favore, caro zio, vorrei sapere da te se ciò corrisponde al vero!»

«Altro che bella, nipote mio! Lux era, come lo è tuttora, una dea avvenente. Perciò erano in molti gli dèi di Luxan che la corteggiavano, aspirando ad una compenetrazione con lei di tipo sessuale! Non posso negare che anch'io ero tra quegli aspiranti. Pensa che ancora oggi, a volte mi ritrovo con una simile smania addosso!»

«Ah, così stanno le cose?!» la moglie Clostia era intervenuta furiosa nel discorso «Vedo che il ricordo di lux continua ad occupare la tua mente, mettendotela in subbuglio. Inoltre, noto che sèguiti a bramarla con intenso ardore. E magari non hai smesso di sognartela nel modo che meglio preferisco! Ciò dimostra che quel giorno suo figlio Neop non mentiva, quando disse che avevi tentato di sedurre sua madre! Ma vuoi spiegarmi, Buziur, cos'ella aveva più di me? Se ci tieni a saperlo, nella dea della luce non ho mai scorto il fascino che tutti voi dèi babbei le attribuivate. Per questo me ne sono sempre enormemente stupita!»

«Mia dolcezza, non puoi parlare in questo modo di lei! Lux è stata sempre una dea di classe. Ella aveva dei modi che riuscivano a renderla perfino più seducente di Leris, benché costei fosse considerata la dea della bellezza! Scommetto che non c'è un dio in Luxan che non sia del mio stesso parere, quando esprimo tale giudizio nei suoi confronti!»

«Allora, Buziur,» tutta risentita, la consorte gli aveva fatto presente «visto che io non valgo niente al confronto di Lux, sai cosa ti dico? Pianto baracca e burattini e me ne vado con il mio Furor, togliendo per sempre il disturbo da questa casa! Quanto alle mie coccole, da oggi in avanti, potrai soltanto assaporarle durante il sonno, quando la sogni, siccome per l'avvenire dovrai accontentarti unicamente di quelle immaginarie che ti deriveranno dalla tua adorata dea della luce! Così un'altra volta imparerai a rispettarmi, senza fare più il suo nome in mia presenza! Intesi?»

«Ma che dici mai, mia cara Clostia! Non essere così gelosa e permalosa, senza un valido motivo! Lo sai che sei stata sempre tu la mia dea preferita! Dove mai potrei trovarne una più brava di te nell'appagare certe mie esigenze? Non posso negare che ogni volta ti dimostri una vera maestra nel far diventare bollente la mia lascivia. Sai trascinarmi nel vortice della passione amorosa, come nessun'altra dea negativa o positiva. Perciò, mogliettina mia, ti supplico contrito di non abbandonarmi!»

A quel punto, Fuat, prima ancora di prendersi un bel rimbrotto dall'adirato suo zio paterno, a causa della sua inopportuna ingerenza, aveva ritenuto meglio per lui squagliarsela alla chetichella. Così, lasciando gli zii che litigavano ancora di brutto per colpa sua, si era allontanato dalla loro casa furtivamente, proponendosi di starne alla larga il più possibile.

Anche il secondogenito di Osiep, che era il dio Brust, aveva una fissazione, ossia quella di voler distruggere ogni cosa esistente. La quale sua idea maniacale era più forte di lui, per cui l'avvertiva dentro di sé come un qualcosa a cui gli era impossibile rinunciare. Ad essere più chiari, essa si faceva sentire da lui come un'esigenza vitale ed inemendabile. Anzi, la sua era una mania che non ammetteva le mezze misure, per cui non era disposta a concedere sconti a nessuno. Ciò che contava per lui era appagare appieno la sua insaziabile voglia di distruzione, poiché essa non gli veniva mai a mancare, sia di giorno che di notte. Per sua sfortuna, Tenebrun presentava ben poco di distruttibile, dal momento che il niente vi dominava assoluto ed incontrastato. Per tale ragione, il dio Brust trascorreva la sua esistenza nella speranza di avere almeno nel futuro l'opportunità di dimostrare la sua furia distruttiva. Come? Facendolo trovare dinnanzi a cose concrete, che gli permettessero un qualunque tipo di demolizione.

Nel frattempo, però, egli si sarebbe dovuto accontentare di distruzioni irreali, quelle che gli offriva la sua immaginazione. Perciò era costretto a demolire e a sfasciare prototipi di costruzioni che la sua stessa fantasia gli proponeva secondo schemi perfetti, i quali erano corrispondenti alle sue esigenze interiori. Queste ultime, come possiamo immaginare, poggiavano virtualmente sullo sfascio del reale esistente che gli era negato di reperire nel Regno delle Tenebre, dov'era rinvenibile soltanto ciò che non esisteva. Ma un giorno, in un momento di particolare esagitazione, il dio Brust si era presentato al fratello del padre e si era messo a dirgli:

«Zio, come posso soddisfare la mia sete di distruzione, quella che in me sèguita a giganteggiare in maniera spropositata? Vorrei un mondo concreto a mia completa disposizione per poterlo distruggere come mi detta l'animo, ossia da cima a fondo! Tu non potresti crearmene uno e permettermi in tal modo di distruggerlo come vorrei? Se mi dici che sei in grado di fornirmelo, pur di averlo, sarei disposto a fare qualunque cosa per te! Allora qual è la tua risposta in merito alla mia richiesta?»

«Purtroppo per te, Brust, non mi è consentito creare una cosa simile. Sappi che neppure le due eccelse divinità Kron e Locus possono ottenerlo! Comunque, nipote, assai presto sarà creato qualcosa di simile da parte dell'onnipotente Splendor. Come tutte noi entità divine siamo al corrente, egli è la sola divinità che ha la facoltà di poterlo generare dal niente! Perciò puoi già iniziare a sperare in un domani per te migliore!»

«Tu come fai a saperlo, zio, se è da un tempo incalcolabile che non hai più potuto vivere in Luxan? Magari fosse vero quanto hai affermato! Ammesso che la cosa sia vera e che esso verrà creato, dopo noi divinità malefiche potremo accedervi allo stesso modo delle divinità benefiche? Oppure a noi sarà vietato l'accesso a un luogo del genere?»

«Brust, me lo ha riferito Octus, il dio dell'odio. Anch'egli è stato da poco espulso da Luxan. Quando è venuto a farmi visita per fare le sue presentazioni, mi ha detto che le divinità luxaniane hanno chiesto a Splendor di creare per loro un mondo materiale, a cui potremo accedere pure noi. Pare che la loro richiesta sia stata accolta, senza che egli si sia opposto per qualche motivo. Dunque, ben presto verremo a disporre della nuova realtà concreta, della quale riusciremo ad avvantaggiarci più delle divinità luxaniane. Questa splendida notizia adesso ti ha reso contento, nipote mio?»

«Altro che, zio! Essa mi conforta e mi risolleva, come non puoi immaginare! Mi auguro che il nuovo mondo materiale venga ad esistere al più presto anche per noi divinità di Tenebrun, come per quelle del Regno della Luce! Non vedo l'ora di sconvolgerlo e di straziarlo conformemente alle mie brame distruttive. Ti prometto che ne lascerò una parte anche alle altre divinità per permettergli di trascorrervi la loro esistenza.»

Dopo l'incontro avuto con lo zio Buziur, l'attesa del divino Brust, già alla sua origine, allo stesso tempo si era manifestata esaltante e speranzosa. Era sembrato che essa affogasse in una incredibile ansia, siccome il dio della distruzione era impaziente di trovarsi faccia a faccia con quella realtà che faceva proprio al caso suo. Egli aveva continuato a sentirsi in quello stato sovreccitato per tutto il tempo che non era stato creato Kosmos. Il quale alla fine c'era stato e, fin dal suo primo esistere, era apparso alla totalità delle divinità una stupenda opera d'incanto, superbamente attraente. Ma esso poteva permettere la distruzione solo di una sua parte, se a qualche divinità fosse venuto un capriccio di quel tipo.

Adesso ci resta da parlare soltanto del terzogenito del divino Osiep, il dio Zerf. Egli esecrava ogni tipo di autorità costituita e mostrava una forte idiosincrasia verso qualsiasi comunità basata sul rispetto delle leggi. Non riusciva a farsene una ragione e, se fosse dipeso da lui, avrebbe spazzato via da ogni comunità esistente l'ordine gerarchico che si era costituito al suo interno. Secondo il bizzarro dio, in una collettività l'anarchia doveva essere ritenuta l'unica forma di governo accettabile. Inoltre, se in essa fosse venuta meno l'esistenza di un governo, al posto suo si sarebbe instaurata la vera libertà dei singoli individui. In quella maniera, a suo parere, essi si sarebbero visti affrancati da ogni legge e non più oberati d'imperativi di vario genere, i quali servivano in modo esclusivo a renderli schiavi. A dire il vero, al dio Zerf non importava un fico secco della libertà del singolo, poiché erano ben altre le cose alle quali egli mirava. Al posto della pacifica convivenza, il dio negativo preferiva scorgervi il caos sociale, una baraonda di punti di vista, una ridda di sospetti reciproci, l'abbattimento del potere deliberante, la confusione dei principi morali, l'assenza assoluta delle leggi, il marasma generale delle istituzioni e la lotta senza fine di ognuno contro tutti gli altri.

Si vociferava che lo zio Buziur avesse proibito categoricamente al dio Zerf di frequentare la sua dimora. Il motivo? Ogni volta che egli vi si presentava, vi suscitava un gran subbuglio. Difatti, non appena varcava la soglia di casa, all'istante iniziava a creare forti dissapori tra i cugini. Soprattutto li faceva ribellare alla sua autorità sia di padre che d'imperatore, contestandogli ogni comando da lui impartito. Altre volte non risparmiava neppure lui e la consorte Clostia, poiché in brevissimo tempo li metteva l'uno contro l'altra e li faceva accapigliare nella maniera peggiore, come se essi fossero diventati davvero due divetti litigiosi!

Anche le altre famiglie divine e i capannelli di divinità cercavano di tenerlo lontano, facendo di tutto per evitarlo. Le prime erano intente a salvaguardare la loro tranquillità familiare e i secondi a difendere l'armonia delle loro conversazioni. Purtroppo non sempre riusciva loro di scaricarlo e di farla franca, visto che spesso si trovavano nella situazione di non poterlo fare. Così, messi con le spalle al muro, le une e gli altri erano costretti a sorbirselo, ritrovandosi così in un mare di liti e di contestazioni. Allora il dio Zerf, scorgendoli che si dimenavano nelle loro beghe senza fine, si mostrava estremamente compiaciuto. Ma anche si dava a sbellicarsi dalle risa, mentre li vedeva bisticciare furiosi come tanti matti, dopo essere stati privati del sereno clima che stavano vivendo prima.

Il terzogenito del dio Osiep si comportava alla stessa maniera anche con i propri genitori e con i propri fratelli, gettando ogni giorno il loro focolare domestico in un orrido caos. In quel caso, prima che fossero i suoi familiari a sbatterlo fuori di casa con i dovuti modi, egli, lasciandoseli dietro seriamente impegnati in aspre contese, se ne usciva di sua volontà. Intanto che se ne andava in cerca di altre sue potenziali vittime, dentro di sé faceva festa e gongolava di gioia per l'intima soddisfazione provata in quel beato momento.

Alcune dicerie volevano far credere che il dio Zerf non dormisse mai, per il piacere di andare ad insidiare la vita tranquilla degli altri anche nelle loro esperienze oniriche. Egli, cioè, dopo essere entrato nei sogni di amici o di parenti, riusciva a rovinarglieli senza alcun problema. Ingaggiava con loro dei dibattiti infuocati, durante i quali li punzecchiava fino a renderli infinitamente agitati, facendogli perdere la pazienza e intossicandoli in modo terribile. Solo dopo aver causato parecchi danni a quanti erano intenti a sognare, il dio dell'anarchia usciva dalle loro esperienze oniriche e lasciava i poveretti a vivere dei contenuti irreali privi di ogni pace e in preda al loro malessere intossicatore.

Nel frattempo, al solo pensiero di averli privati di un sonno sereno, il dio Zerf si sentiva pago a non dirsi della sua opera nociva. Inoltre, si preparava a combinare qualche altra sua birbonata per metterla in atto a danno di qualcuna delle divinità che di solito non digeriva nella realtà di Tenebrun. Perciò non vedeva l'ora che ciò accadesse e lo premiasse con un'altra consolazione. A ogni modo, il dio malefico giammai disperava di potercela fare ancora una volta, essendo il tipo che non si sarebbe mai arreso, se prima non avesse raggiunto il suo scopo.