121-IL DIO BUZIUR VIENE CACCIATO DA LUXAN, LA DIMORA DEGLI DÈI

Dai Kloustiani, che rappresentavano la più antica delle popolazioni galattiche, veniva tramandata una suggestiva leggenda, secondo la quale Luxan e Tenebrun già esistevano, quando nessun essere vivente era rinvenibile in qualche parte del nulla infinito. Il primo rappresentava la dimora degli dèi; invece il secondo era la parte esterna di essa, ossia la realtà di tutto ciò che era inesistente. In quest'ultima non potevano trovarsi cose ed essenze di qualsiasi tipo, a causa della sua vuotaggine senza fine. Il popolo in questione viveva sul solitario pianeta Kloust, che orbitava intorno a Tramor, la più centrale delle stelle appartenenti a Priman. Questa doveva essere considerata la galassia numero uno dell'universo, se la si valutava in ordine sia alla grandezza che alla vetustà. Comunque, noi eviteremo di addentrarci nei sentieri della citata leggenda cosmogonica tramandata dai Kloustiani, al fine di percorrerli con un certo interesse; ma andremo avanti con la nostra storia appena iniziata. Per questo baderemo a renderci conto di qual era la reale situazione nel regno del soprasensibile e del sopratemporale, quando ci sarebbe voluto ancora molto tempo perché Kosmos venisse creato da Splendor.

Luxan, che era il Regno della Luce, non si presentava un unico luogo, dove la totalità delle divinità benefiche conducevano vita comunitaria. Esso comprendeva Beatitudo e l'Empireo, i quali erano distinti e separati fra di loro. Il primo era la dimora di Splendor, cioè la divinità increata che aveva dato origine a tutti gli altri esseri divini. Quanto al secondo, esso costituiva la parte abitata dalle divinità da lui provenute. L'Empireo, a sua volta, era suddiviso in due Semiempirei: quello del dio Kron e quello del dio Locus. Tra l'uno e l'altro, inoltre, si estendeva una zona neutrale, la quale veniva chiamata Intersereno. Si trattava di una sorta di oasi della tranquillità, dove le divinità positive si conducevano, ogni volta che diventavano bersaglio di gravi depressioni oppure si sentivano vittime di qualche contrarietà durante la loro esistenza. In quel luogo esse trovavano la serenità da loro ricercata con brama e ritornavano in tal modo ad essere felici e spensierate, come lo erano in precedenza.

In Luxan, quindi, l'onnipotente Splendor dominava sulla moltitudine degli dèi e delle dee, perché gli uni e le altre gli dovevano obbedienza e rispetto. Ma nonostante esercitasse il proprio dominio sulle divinità da lui create, egli non avrebbe potuto annientarle, se avesse voluto esprimersi in tal senso. La quale sua impotenza, limitata unicamente alla loro distruzione, gli derivava dal fatto che le entità spirituali in questione risultavano costituite della sua stessa essenza divina. Il dominio del Sommo Creatore invece era da ritenersi assoluto, quando le divinità venivano considerate in rapporto sia al luogo costituito da Luxan sia alla realtà che esso rappresentava. Perciò non era preclusa a Splendor la facoltà d'infliggere delle punizioni esemplari a quegli esseri divini che si fossero mostrati disubbidienti ed irrispettosi verso di lui. In questo caso, in verità, ci si riferiva soltanto a gravi mancanze, come la ribellione alla sua autorità e la violazione della sua legge cardine, che concerneva il bene e la giustizia.

Le sanzioni, a cui ricorreva Splendor, erano di grado diverso, a seconda della mancanza commessa da una divinità: più essa risultava grave, maggiore era la pena comminata nei suoi confronti. Il massimo castigo era quello che prevedeva la cacciata da Luxan del dio o della dea che veniva a trovarsi in un gravissimo stato di colpa. Esso, da considerarsi definitivo, era previsto per quelle divinità che commettevano atti di ribellione nei suoi confronti oppure trasgredivano la sua legge cardine. Allo scopo di punirle, Splendor le costringeva a vivere nel buio cieco di Tenebrun e vietava loro per sempre di fruire della beatitudine esistente su Luxan. Con un provvedimento del genere, che esprimeva la sua massima severità, egli condannava perpetuamente i divini trasgressori allo squallore e alla cecità che esistevano nel regno tenebrunese. L'uno e l'altra erano le sole cose certe che essi potevano attendersi da un luogo simile. Questo, infatti, si presentava alla divinità che vi perveniva mortificante e seppellitore di una qualunque realtà, fosse essa astratta oppure concreta.

Quando Kosmos stava per essere creato, risultavano già innumerevoli le divinità alle quali era stata inflitta una pena così terribile. Esse, una volta relegate nel Regno delle Tenebre, si erano date a condurvi una vita errabonda, percorrendone in lungo e in largo le cupe contrade. Inoltre, avevano iniziato a trascorrervi un'esistenza svuotata di ogni gioia e di ogni piacere. Le diverse zone di Tenebrun venivano battute solo dalla loro disperazione forsennata e dalla loro vana ricerca, poiché l'una e l'altra giammai sarebbero riuscite a trovare ciò che agognavano. Invano esse speravano di contattarvi un diverso modo di essere, che potesse dare un senso alla loro nuova disagiata esistenza.

Va ancora precisato che in Luxan c'era pure l'Abisso dell'Oblio, il quale vi era sempre esistito. Ma esso cos'era e a cosa serviva? Si trattava di un tunnel di natura ultraterrena, il quale conduceva ad Inesist, che era il regno dove non poteva esistere nulla: né di natura spirituale né di natura materiale. Una particolarità del genere lo faceva differenziare da Tenebrun, il cui niente era riferito alla sola materia. L'essere metafisico, dopo essere pervenuto in Inesist, finiva soltanto per perdere la cognizione di sé e della propria libera espressione. Infatti, se una divinità si buttava di propria volontà nell'Abisso dell'Oblio, veniva sopraffatta dall'assoluta dimenticanza di sé stessa. In pratica, vi moriva con tutti i suoi pensieri e i suoi ricordi, fino a smarrire la capacità di esprimersi sia con azioni sia con il lavorio mentale. Per ovvie ragioni, un essere divino, risultando incapace di sentirsi esistente e di vedersi pensante, privo perfino della facoltà di ricordare, poteva solo essere considerato avulso da un'esistenza effettiva. In pratica, divenendo dimentico del proprio essere ed impotente ad agire in qualche modo, egli restava privo di ogni attributo che era proprio di un essere esistente a tutti gli effetti.

Appreso ciò che l'Abisso dell'Oblio rappresentava, è opportuno comprendere pure perché mai Splendor aveva voluto che esso ci fosse in Luxan. Aveva forse egli previsto che il luogo dove esso conduceva, ossia Inesist, sarebbe potuto risultare utile a qualche divinità? Ma era mai possibile che in seguito qualcuna di loro si sarebbe rivelata così sciocca da desiderare il proprio annientamento, almeno a livello di coscienza? Ebbene, l'esistenza di tale abisso lasciava supporre che in avvenire qualcosa del genere si sarebbe potuto avverare. Quindi, era probabile che qualche divinità del Regno della Luce potesse sentirsi nauseata della propria esistenza, dopo essere sopravvenuti in essa un deterioramento e uno sgretolamento della componente psichica. In quel caso, però, volendo essere un po' logici, bisognava ritenere che già si fosse avuto nella divinità un distacco assai pronunciato dall'avversa realtà, nella quale malvolentieri essa si trovava ad esistere e ad operare.

Con la progressiva frammentazione delle basi costitutive del suo io esistenziale e della sua natura divina, si producevano anche delle discordanze nel comportamento della medesima, nella sua affettività e nel suo relazionarsi con le altre divinità luxaniane. Allora un fatto del genere conduceva la divinità ad una completa sfiducia in sé stessa. Quest'ultima si accompagnava quasi sempre con una forte volontà di non essere più, di annullarsi come entità esistente e pensante, di essere soprattutto libera di non volere più alcuna cosa e di estraniarsi da tutto. In quel modo, essa si sarebbe alleggerita perfino del pensiero di non dover fare nulla. Ma c'era un'unica strada da seguire per ottenere la libertà di non esistere e di sottrarsi a qualsiasi cosa: essa era quella che la induceva a buttarsi spontaneamente nell'Abisso dell'Oblio, il quale, senza perdere tempo, la conduceva ad Inesist. Subito dopo in esso le venivano a mancare tanto l'angosciante idea di esistere quanto l'affannosa preoccupazione di essere costretta a fare qualcosa in maniera passiva ed abulica, fino a diventare un essere totalmente assente e, quindi, insignificante.

Sempre per quanto attiene ad Inesist, va fatta una ulteriore precisazione. Esso accettava esclusivamente le divinità che vi si buttavano con un atto volontario; invece quelle che giungevano nell'Abisso dell'Oblio, dopo esservi state spinte con la forza da una divinità di grado superiore, venivano automaticamente rigettate all'esterno. Comunque, la volontarietà dell'atto era riferita soltanto all'ingresso della divinità nella voragine, indipendentemente da se essa fosse cosciente o meno che per quel luogo si accedeva dritto ad Inesist. Anche il suo ripensamento, quando questo si presentava all'ultimo momento, cioè durante la precipitosa caduta, si dimostrava inefficace e non più accoglibile, da parte di chi era preposto a quell'ingrato compito. Perciò ritrovarsi ad essere vittima di un inganno, mentre vi si lanciava di propria iniziativa, non assolveva la divinità dal suo gesto incosciente. Essa, non avendo la possibilità di ritornare sui suoi passi, doveva essere considerata lo stesso irrimediabilmente sacrificata a quella sorte, perduta ma non distrutta per l'eternità.

All'inizio, in ciascun Semiempireo, c'erano una divinità eccelsa e un'altra somma. Le due divinità eccelse erano Kron, il dio del tempo, e Locus, il dio dello spazio. Invece erano da reputarsi somme Lux, la dea della luce, che si trovava nel Semiempireo del divino Locus, e Buziur, il dio dell'orgoglio, che viveva nel Semiempireo del divino Kron. In seguito, però, il dio Buziur ne era stato cacciato da Splendor. Il motivo? Ebbene, a un richiamo del dio Kron, egli, oltre a rifiutarsi di sottomettersi a lui, gli aveva risposto: "Io, che mi rifiuterei di piegarmi perfino ai voleri di Splendor, figùrati se mi abbasso ad assoggettarmi a te, dio del tempo!" Allora, in quello stesso istante, il capostipite di tutti gli dèi era intervenuto e lo aveva confinato in Tenebrun, che era il Regno delle Tenebre. In tale luogo, un po' per reazione e un po' per dispetto, egli aveva voluto assumere il titolo di Imperatore delle Tenebre, mostrandosene assai fiero. In realtà, se vogliamo dirla tutta, la sua disubbidienza al dio Kron e il suo mancato rispetto all'onnipotente Splendor avevano costituito le due gocce che, a lungo andare, avevano fatto traboccare il vaso.

Ci è permesso conoscere le vere ragioni, che avevano spinto il dio Kron a rampognare il dio dell'orgoglio? Certo che sì! Comunque, perché ciò avvenga, siamo obbligati a soffermarci a parlare più ampiamente del dio Buziur e della sua consorte, la quale era la dea Clostia. Entrambi, dopo esservi stati buttati per punizione, erano da considerarsi le due divinità più importanti di Tenebrun. La loro storia, come vedremo tra poco, era proceduta di pari passo con una comunione di episodi e d'intenti, i quali avevano finito per legare le loro esistenze allo stesso destino. Esso, che gli era stato procurato dalla loro natura orgogliosa e ribelle, non era affatto da ritenersi invidiabile. L'intera esistenza di Buziur si era contraddistinta per fatti e detti poco ortodossi, dei quali egli non aveva mai smesso di rendersi autore. Gli uni e gli altri avevano costretto le altre divinità ad affibbiargli il meritato appellativo di "dio della ribellione", sebbene fosse già dio dell'orgoglio. Comunque, prima che Splendor si occupasse del suo ultimo caso e gl'infliggesse la punizione esemplare che abbiamo appresa, la condotta del dio ribelle non aveva trasceso in maniera così grave da fargliela meritare.

Quindi, era stato il suo palese atteggiamento provocatorio e di sfida adoperato nei confronti del padre degli dèi a costringere costui a punirlo con la massima severità. Può darsi che i suoi iperpoteri secondari gli avessero dato alla testa, se il dio Buziur si era spinto a credere di poter dire e fare in Luxan tutto quanto gli passasse per la mente. Si vede che egli non si era reso conto che il suo comportamento era errato ed inaccettabile. Addirittura le sue uscite a volte avevano mirato a ridicolizzare perfino l'ortodossia vigente in Luxan. Secondo lui, nella loro divina dimora ogni cosa si presentava stereotipata, nonché sottoposta ad una convenzionalità ammuffita e superata; ma soprattutto si dimostrava priva del senso della creatività.

Senza considerare quelle sue saltuarie pecche veniali, che risultavano ora lievi ora perfino azzardate, si poteva asserire con franchezza che il dio dell'orgoglio aveva un carattere per niente male, il quale non lo faceva essere antipatico agli occhi delle altre divinità. Anzi, sotto un certo aspetto, esso lo rendeva nel Regno della Luce una delle divinità più benvolute, siccome era capace di mostrarsi simpatico più di qualsiasi altro dio. Essendo un trascinatore nato, il dio ribelle, con il suo fare estroverso, alla fine era riuscito ad incantare parecchie divinità di Luxan. Bisogna anche ammettere, però, che la maggioranza di loro, non appena il dio ribelle iniziava a sproloquiare, nel senso che si metteva a scherzare e ad ironizzare contro Splendor, all'istante avevano smesso di ascoltarlo e avevano preso il largo. Allora erano rimasti a fargli compagnia soltanto i suoi amici fedeli, prima fra tutti Clostia, la dea che lo amava alla follia. Per lui, ella si sarebbe macchiata del peggiore peccato esistente.

Buziur, come possiamo renderci conto, prima di essere castigato da Splendor, aveva già la sua cerchia di amici, i quali la pensavano ed agivano allo stesso modo suo; però essi non avevano mai esagerato analogamente a lui. Al contrario, temendo di essere puniti dal loro creatore, si erano fatti guidare dalla prudenza, evitando ogni volta di esporsi in maniera vistosa, come non era abituato a fare il loro leader. A proposito delle sue amicizie, che in Luxan allora non risultavano esigue, cerchiamo di conoscerne qualcuna, naturalmente a cominciare dalla fanatica dea da lui tanto amata.

Durante la sua esistenza luxaniana, Clostia era stata la dea della spensieratezza e aveva superato tutte le altre divinità in esuberanza e in comunicativa. Ella si era dimostrata molto loquace, estroversa al massimo, disinvolta e disinibita, sovente anche sfacciata. Perciò, in ogni circostanza, il suo carattere era risultato gaio, solare, gioviale. Talune volte era stato perfino esplosivo e turbolento, ma nel senso buono della parola. La spensierata dea, fin dal primo momento che lo aveva incontrato, all'istante aveva subito il fascino ammaliatore del dio Buziur, fino ad innamorarsene perdutamente. Da quel momento in poi, Clostia non aveva voluto più perderlo di vista e gli era rimasta attaccata, come vite maritata a un olmo. Inoltre, aveva sposato le sue idee e le sue esternazioni, pur non condividendole appieno in qualche caso. Per cui, quando essi si erano trovati insieme ed egli le aveva estrinsecate provocatoriamente e con sottile ironia, ella gli aveva sempre dato manforte e non lo aveva lasciato agire da solo nel loro gruppo divino.

Al tempo a cui ci stiamo riferendo, avevano dichiarato la loro simpatia per il dio Buziur altre dieci dee, tre delle quali erano amiche di vecchia data della dea Clostia. Esse erano: Pennia, dea della rinascita; Cirrena, dea della pazienza; Lerma, dea della passione. Bisogna precisare, però, che tali dee erano entrate a far parte della comitiva di Buziur, unicamente perché una profonda amicizia le legava a Clostia, la quale aveva sempre avuto un forte ascendente su di loro. Le restanti dee si erano schierate dalla parte del fascinoso dio di propria spontanea iniziativa, poiché credevano fermamente in lui e lo ammiravano oltre ogni misura. Si era trattato delle seguenti divinità: Dalpia, dea della serenità; Arisia, dea della misantropia; Eruca, dea della vanità; Ubria, dea della notte; Oleba, dea dell'armonia; Nelva, dea della dolcezza; Volezia, dea della volontà.

Quanto agli dèi che avevano simpatizzato con il dio Buziur, senza darlo a nascondere a nessuno, essi erano stati una ventina. Quattro di loro dovevano essere considerati suoi intimi amici di vecchia data. Essi erano: Lungio, dio della conversazione; Mult, dio del sonno; Oskup, dio della meditazione; Pintor, dio della pittura. Le rimanenti sedici divinità maschili della cerchia del dio della ribellione, le quali lo ammiravano fervidamente, erano risultate: Nied, dio del benessere; Lipio, dio del buonsenso; Zurko, dio del buonumore; Tarol, dio degli affetti; Selik, dio della comprensione; Stunk, dio del senno; Fuorp, dio dell'amicizia; Gert, dio della paura; Dutas, dio della danza; Crub, dio dei sentimenti; Beroc, dio delle feste; Alut, dio dei ricordi; Kreop, dio delle illusioni; Greus, dio dei rimpianti; Randus, dio della gelosia; Irend, dio dell'oblio.

Chiarite le scarse notizie di cui sopra, adesso ci conviene soffermarci sull'episodio che era stato la causa della cacciata di Buziur da Luxan, da parte del sublime Splendor.


Il dio dell'orgoglio aveva litigato con il figlio maggiore della dea Lux, ossia Neop, che era il dio dell'ingegno. In presenza di costui, egli aveva osato fare nei confronti della madre alcune gravi insinuazioni. In parole povere, aveva dato ad intendere alle divinità presenti che la dea Lux aveva cornificato il marito Aptus, avendo avuto una relazione amorosa con il dio Kron. Il suo tradimento giustificava anche gli ottimi rapporti esistenti a quel tempo tra le due illustri famiglie. Le maligne affermazioni del dio Buziur, le quali in verità erano da reputarsi soltanto delle accuse gratuite, avevano suscitato molte risate beffarde tra i suoi numerosi amici che, come al solito, lo stavano ascoltando con molto interesse. Nel primogenito della dea Lux, al contrario, all'istante si era avuta una reazione vibrante. Egli, mostrandosi enormemente risentito, con l'intento di difendere l'onore materno, gli aveva risposto:

«Tu, Buziur, non sai fare altro che spettegolare sui tuoi avversari, comportandoti come una comare perditempo, la quale non ha da fare di meglio! Ma visto che ti piace cantare, anziché riportare ai tuoi amici qui presenti dei fatti immaginari, perché non riferisci loro quelli che sono reali, a cominciare da ciò che è accaduto di recente? Sappi che l'eccelso Kron e mia madre sono divinità ammodo, per impegolarsi in vicende meschine ed insulse, quali solo tu potevi inventare di sana pianta!»

«Come vedo, amici miei cari,» aveva fatto presente il dio Buziur «qualcuno tra gli astanti non sa né stare allo scherzo né apprezzare la fine ironia; però non ci possiamo far niente, se la sua testa ragiona all'inverso di come dovrebbe! Se poi egli intende prendersela per una simile banalità, sono problemi suoi. Quanto a noi, non prendiamo neppure in considerazione il suo atteggiamento permaloso, il quale non gli permette di vivere in società a suo agio e con la dovuta allegria!»

Dopo aver fatto la sua osservazione con sarcasmo, il dio dell'orgoglio aveva cercato di chiudere il discorso da lui stesso aperto. Un attimo dopo, però, manifestando una certa incredulità e mostrandosi totalmente sorpreso, egli si era rivolto al suo interlocutore e gli si era espresso con le seguenti parole:

«A quale fatto ti sei voluto riferire, primogenito di Lux? Ti posso assicurare che non ve n'è stato nessuno di un certo rilievo e che mi abbia coinvolto! Se poi insisti a dire che esso c'è stato, pretendo che tu me ne parli, dal momento che non mi sarà difficile contraddirti. Personalmente, sono dell'opinione che te lo sarai sognato in uno dei tuoi sonni inquieti, siccome non può essere altrimenti!»

«Per la precisione, Buziur, mi riferisco a quello che ti ha visto insidiare l'onorabilità di mia madre con un risultato deludente. Lo scotto subito in quell'occasione ti ha spinto adesso a malignare sul conto di due innocenti divinità di tutto rispetto. Quindi, la tua è stata solo una magra consolazione, se hai creduto di trovare godimento, ricorrendo a tale meschinità! Comunque, sono convinto che, prima o poi, spingerai qualcuno a darti la lezione che ti meriti!»

«Le tue assurde fantasie, Neop, sono delle gratuite menzogne, che non possono essere tollerate da parte mia. Ti faccio presente che, dopo averle ascoltate dalla tua bocca insulsa, riesco a malapena a frenarmi! Perciò ti invito a controllarti, prima che io perda la pazienza e passi a fartela pagare! Con queste mie parole, credo di esserti stato chiaro!»

Poco dopo il dio Buziur, volendo metterci una pietra sopra, aveva cercato di porre termine a quella discussione, alla quale egli stesso aveva dato inizio allo scopo di bisbigliare su divinità assenti. Secondo lui, essa, oltre che precipitare, stava anche degenerando, pur essendo stata aperta da poco. A tale proposito, perciò, aveva soggiunto:

«Adesso, Neop, esigo che l'argomento si chiuda qui definitivamente e che, da parte tua, mi si mostri il rispetto che mi si deve! In relazione alla tua larvata minaccia, ti comunico che non temo ritorsioni da parte di nessuno! Ficcatelo bene in testa, saccente divo! Con queste mie ultime parole, ritengo chiusa la mia discussione con te!»

«Invece, dopo che hai infangato il buon nome della mia famiglia con le tue calunnie infamanti, Buziur, non puoi pretendere da me alcun rispetto. Al contrario, sei tu che mi devi delle scuse, per avere offeso vilmente la mia genitrice. E dovrai presentarmele, prima di smettere di conversare con me!»

«Di sicuro hai perduto la ragione, saccente figlio di Lux, se sei convinto che io mi scuserò con te! Invece ti avverto che, se aggiungi un'altra parola alla nostra discussione, che considero già conclusa, mi farai perdere la pazienza. In quel caso, mi vedrò costretto ad impartirti una lezione coi fiocchi, che ti giungerebbe molto sgradita, oltre che indigesta. Perciò pensaci bene, prima di aprire bocca di nuovo!»

«Le tue minacce, Buziur, non mi fanno né caldo né freddo, poiché mia madre ha gli stessi tuoi iperpoteri secondari. Per cui essi non ci metterebbero niente a neutralizzare ogni tuo intervento punitivo contro la mia essenza divina. Ecco perché, come tutti i presenti possono rendersi conto, sei in gamba soltanto a blaterare per niente!»

«È senz'altro vero, Neop, che le cose stanno come hai affermato, cioè che tua madre, la dea della luce, correrebbe qui in tuo aiuto e ti libererebbe in un attimo. Nel frattempo, però, prima del suo arrivo, comincerei a farti assaggiare delle orribili pene, quelle che tra breve la mia punizione t'infliggerà, senza che tu possa opporti ad esse e liberartene, riacquistando la tua normale esistenza!»

Dopo la minaccia verbale, il dio Buziur era passato subito ai fatti, aggredendo il primogenito della dea Lux con una scarica energetica di straordinaria potenza. Essa, dopo averlo bloccato in ogni sua espansione esistenziale, si era data a fargli pervenire delle sensazioni sommamente sgradevoli. Da parte sua, il dio dell'ingegno non aveva potuto nulla contro la forza energetica del rivale, per cui ne era rimasto letteralmente imprigionato, fino a subire le tristi conseguenze che gli erano derivate da essa. A un tratto, perciò, egli aveva iniziato a sentire la propria esistenza psichica come dilaniata da infinite percezioni disgustose. Le quali, sconquassandogliela, la davano in pasto alle allucinazioni più conturbanti. Non bastando ciò, la immergevano in una profonda angoscia, che riusciva ad esprimere schianti di una inaudita gravità e trambusti coscienziali estremamente scombussolanti.

Tra le divinità che assistevano al terribile episodio, c'era anche Semb, il dio della cautela, il quale era legato a Neop da una sincera amicizia. Egli, non appena aveva visto l'intimo amico in cattive acque, non aveva perso tempo a correre da sua madre. Così aveva invitato la dea Lux a soccorrere prima possibile il suo primogenito, togliendolo dai grossi guai in cui lo stava facendo trovare Buziur. A tale notizia, la dea della luce si era precipitata in aiuto del figlio. Una volta che lo aveva raggiunto, ella si era adoperata per contrastare le potenti energie di Buziur, quelle che attanagliavano il proprio figliolo e lo costringevano a vivere degli attimi tremendi davvero insostenibili. Solo quando la madre le aveva neutralizzate, rendendole totalmente innocue, il divo era stato abbandonato dalla stretta oppressiva del dio dell'orgoglio. A quel punto, egli era ritornato alla sua precedente esistenza, ma apparendo alquanto stordito.

Riportata l'integrità psichica del suo primogenito al suo stato normale, la divina Lux aveva lasciato quel luogo insieme con il figlio e l'amico di lui. Prima di allontanarsi dal dio dell'orgoglio, l'affascinante dea non si era astenuta dal rimproverarlo, usando il seguente linguaggio:

«Dovresti vergognarti, Buziur, per ciò che hai insinuato contro di me e per come hai trattato il mio primogenito! La cosa, comunque, non finisce qui, poiché avrà un seguito. Ti faccio presente che oggi stesso informerò l'eccelso Kron di quanto è accaduto in questo posto. Così egli saprà regolarsi nel modo più conveniente nei tuoi confronti!»

Da parte sua, Buziur aveva evitato di rispondere in una maniera qualsiasi alla dea della luce; perciò l'aveva lasciata andare, senza proferire una sola sillaba. Un attimo più tardi, invece, lo si era visto scurirsi in volto, sciogliere all'istante la combriccola degli amici e allontanarsi stizzosamente insieme con la compagna Clostia. A costei, poco dopo, non senza un comprensibile impaccio, il dio dell'orgoglio aveva dovuto rendere conto delle sue profferte d'amore avanzate alla consorte di Aptus. Nello stesso tempo era stato costretto a sorbirsi le sue infinite lagnanze.


Prima che il giorno avesse termine, la dea Lux, come aveva anticipato al dio Buziur, si era presentata al dio del tempo e lo aveva reso edotto della lite che il figlio aveva avuto con il dio dell'orgoglio. Kron, venuto a conoscenza dell'increscioso episodio che c'era stato in mattinata, si era indignato moltissimo, fino a perdere la calma. Perciò più tardi, senza far trascorrere abbastanza tempo, aveva deciso di convocare presso di sé il dio ribelle. Egli si era servito del dio Osur, che era il suo messaggero, per avvisarlo della propria intenzione di parlargli. Allora il dio dell'orgoglio, senza dare alcun peso a quella convocazione dell'eccelsa divinità, l'aveva raggiunta sul tardi. Quando poi il divino calunniatore si era trovato in sua presenza, mostrandosi muto ed altero, il dio Kron aveva iniziato a redarguirlo acremente, dicendogli:

«Adesso hai oltrepassato ogni limite, Buziur! Hai perfino usato i tuoi iperpoteri secondari contro una divinità maggiore che, per giunta, era dalla parte della ragione. Neop stava difendendo la propria genitrice dalle tue infondate insinuazioni, le quali oltretutto avevano coinvolto pure la mia divinità! La tua è stata una meschinità inqualificabile, per cui meriteresti una punizione esemplare! Ovviamente, non hai nulla da dire a tua discolpa, visto che ci sei abituato a simili grettezze, nonostante il tuo grado di divinità sia sommo! Esse ti fanno dipingere come la pecora nera del mio Semiempireo, poiché riesci soltanto a disonorarlo con il tuo esecrabile atteggiamento. Aggiungo, come ultima cosa, che devi considerarti fortunato, se l'onnisciente Splendor non si sia ancora infastidito per le tue esternazioni, le quali non sono per niente confacenti ad una divinità di Luxan. Sono sicuro che egli non tarderà ad intervenire contro di te, assegnandoti il giusto castigo che ti meriti!»

«Mi dici, Kron, che cosa di brutto Splendor potrebbe arrecarmi, se noi divinità siamo immortali e indistruttibili alla sua stessa stregua? A mio parere, niente di niente! Perciò non temo alcunché anche da parte sua!»

«Come minimo, Buziur, Splendor potrebbe causarti ciò che tu hai fatto a Neop, il figlio della dea Lux. Quanto alla sua massima punizione, soltanto lui sa in quale guaio potrebbe essa farti capitare, dopo avertela inflitta! Sono persuaso che egli saprebbe trovare qualcosa di molto terribile, al fine di aggiustarti bene per le feste. E una volta per sempre! Adesso, perché io ti perdoni e non ti punisca come sarebbe giusto, esigo che tu mi faccia atto di sottomissione. Inoltre, devi garantirmi che non ti darai mai più ad atteggiamenti irriverenti verso il nostro onnipotente Splendor e a maldicenze varie nei confronti delle altre divinità di Luxan! Mi sono spiegato abbastanza, perché tu intenda senza errore?»

«Stai forse delirando, Kron? Nessuno mai mi priverà della libertà di dire e di fare quello che voglio e quando lo desidero! Se sei dell'idea che io possa sottomettermi alla tua divinità, è meglio che te lo scordi! Pur di difendere ogni mia tesi che reputo giusta, non farei una cosa simile, neppure se fosse Splendor ad ordinarmelo!»

A quella risposta altezzosa del dio Buziur, il divino Kron si era adirato parecchio. Perciò aveva deliberato di farlo pentire amaramente, intervenendo contro di lui con i suoi iperpoteri primari. Ma prima che fosse lui a punire il protervo dio dell'orgoglio, era stato il padre delle divinità a farlo. Costui si era voluto esprimere contro il dio ribelle con la massima punizione che era in suo potere. Così lo aveva cacciato da Luxan, confinandolo in modo perpetuo nell'immenso buio di Tenebrun. Il dio Buziur era stato il primo a subire quel severo castigo, che le altre divinità di Luxan non sapevano neppure che esistesse, per non averne mai sentito parlare. Un attimo dopo, l'onnipotente Splendor aveva perfino comunicato al dio Kron la punizione inflitta al dio dell'orgoglio, in qualità di reo recidivo in quella sua aberrante presa di posizione.

Il dio del tempo si era affrettato a rendere consapevoli le altre divinità della nuova dimora coatta, che era stata destinata dal padre degli dèi al dio Buziur. Quanto al motivo, egli aveva precisato a tutte loro che il dio ribelle aveva osato assumere nei suoi confronti un atteggiamento arrogante ed irriguardoso. Alla notizia della punizione subita da Buziur, la prima divinità a reagire era stata Clostia, la dea che amava follemente il dio dell'orgoglio. Non appena aveva appreso la miseranda sorte toccata al suo compagno, ella si era data subito ad atti convulsi ed isterici, che rasentavano la schizofrenia. Percorrendo poi come una forsennata le varie aree dell'Empireo, la dea della spensieratezza era andata vomitando ovunque ingiurie e bestemmie. Principalmente, imprecava contro l'onnipotente Splendor, fino a definirlo un tiranno borioso e tracotante.

L'atteggiamento irrispettoso della dea Clostia era dovuto al fatto che, non riuscendo a vivere senza il suo venerato Buziur, cercava di raggiungerlo a ogni costo, qualunque fosse la località nella quale egli era stato relegato dal punitore dell'amato. Ecco perché l'adirata dea, sfidando Splendor, mirava appunto a subire la stessa sorte che era toccata al compagno. Così lo avrebbe seguito in Tenebrun ed avrebbe condiviso con lui la scomoda esistenza di un'intera eternità. Allora la punizione non si era fatta attendere da parte dell'onnipotente Splendor, il quale aveva condannato anche l'irriverente dea a vivere per sempre in Tenebrun. A dire il vero, quella condanna era risultata alla dea della spensieratezza un autentico premio, siccome essa le aveva permesso di raggiungere il suo amato dio. Ella, infatti, non lo avrebbe cambiato con nessun altro essere divino esistente nel Regno della Luce.

Di lì a poco, anche le altre dee facenti parte della compagnia del dio Buziur avevano seguito l'esempio di Clostia, prevaricando in ogni modo e facendosi punire con la cacciata da Luxan. Degli dèi loro amici, invece, soltanto il cinquanta per cento degli stessi si era fatto coinvolgere nel dissennato gesto del loro leader e della sua compagna. Perciò le dieci divinità di sesso maschile che avevano voluto seguirli erano state le seguenti: il dio Pintor, il dio Mult, il dio Oskup, il dio Gert, il dio Alut, il dio Kreop, il dio Greus, il dio Lungio, il dio Randus e il dio Irend. In seguito, a breve distanza di tempo, altre due entità divine avevano deliberato di raggiungere le divinità ribelli in Tenebrun. Esse erano state Osiep, il dio del dubbio, ed Elcen, la dea della presunzione: l'uno e l'altra erano appena convolati a nozze. Di comune accordo, lo sposo, che era l'unico fratello del dio Buziur, e la sua fresca consorte avevano deciso di fare il loro viaggio nuziale senza ritorno nel Regno delle Tenebre.

Va fatto presente che le divinità, le quali erano risultate colpevoli di ribellione, dopo essere state espulse dal Regno della Luce ed essere finite in Tenebrun, avevano cambiato il loro appellativo originario. Esse avevano voluto adattarlo alla nuova realtà dove si ritrovavano ad esistere. Alla luce dei loro nuovi appellativi, tali divinità erano divenute: Buziur, dio della superbia; Clostia, dea dell'invidia; Pennia, dea della morte; Cirrena, dea della malignità; Lerma, dea della concupiscenza; Dalpia, dea delle tempeste; Arisia, dea dei mostri; Eruca, dea delle calamità; Oleba, dea del caos; Ubria, dea della sofferenza; Nelva, dea degli incubi; Volezia, dea dell'apatia; Elcen, dea delle sventure; Pintor, dio dei ladri; Lungio, dio dell'ignoranza; Mult, dio dell'insonnia; Oskup, dio dell'immoralità; Gert, dio del terrore; Alut, dio dei tormenti; Kreop, dio degli strapazzi; Greus, dio delle maledizioni; Osiep, dio dell'orrore; Randus, dio della scortesia; Irend, dio della barbarie.

Appena raggiunto dagli amici e dai parenti, il dio Buziur innanzitutto aveva preso in moglie la dea Clostia e immediatamente dopo si era autoproclamato Imperatore delle Tenebre. Il suo primo editto imperiale alla divina popolazione del Regno delle Tenebre era stato il seguente: "Divinità malefiche a me fedeli, vi esorto a congiungervi in matrimonio e a procreare a più non posso! Il mio vivo desiderio è che ben presto, grazie ai vostri rapporti sessuali, venga ad esserci in Tenebrun una moltitudine innumerevole di spiriti del male, i quali dovranno poi mettersi a mia completa disposizione! Dunque, le divinità, che non costituiscono ancora una coppia di fatto, si apprestino a formarla, poiché voglio che da parte di ognuna di esse si procrei con ritmo esponenziale, popolando rapidamente il nostro regno attuale!"

Subito dopo la cacciata dal Regno della Luce degli dèi ribelli, fra di loro le uniche coppie esistenti già sposate erano quella formata dal dio Buziur con la sua divina consorte Clostia e l'altra costituita dal fratello Osiep con sua moglie Elcen. Allora anche le altre divinità si erano affrettate a scegliersi i loro o le loro partner, facendosi sposare dal loro imperatore, il quale ne era stato immensamente soddisfatto. Così, in breve tempo, c'erano stati altri dieci matrimoni, i quali si erano avuti tra: il dio Pintor e la dea Pennia, il dio Lungio e la dea Cirrena, il dio Mult e la dea Lerma, il dio Oskup e la dea Dalpia, il dio Gert e la dea Arisia, il dio Alut e la dea Eruca, il dio Kreop e la dea Ubria, il dio Greus e la dea Oleba, il dio Irend e la dea Volezia, il dio Randus e la dea Nelva.

Una volta che erano state congiunte in matrimonio, tali coppie di divinità si erano date a proliferare senza cessazione, seguendo l'esempio del loro imperatore e della sua consorte imperatrice. In un primo momento, dal dio Buziur e dalla dea Clostia, erano nati tre figli, i quali erano stati: Pren, il dio dell'ira; Korz, il dio dell'inganno; Sunk, il dio dell'intemperanza. Anche il fratello Osiep e la propria consorte Elcen avevano fatto la loro parte nell'opera di concepimento e di popolamento di Tenebrun, mettendo alla luce altrettanti rampolli. Essi erano stati: Fuat, il dio della discordia; Brust, il dio della distruzione; Zerf, il dio dell'anarchia.