120-IL VIAGGIO DI KRONEL TERMINA SUL PIANETA GEO
Dopo che aveva lasciato il pianeta Opirgos ed era uscita dalla galassia di Puniet, Kronel aveva ripreso il suo viaggio per le sconfinate distese cosmiche, inoltrandosi sempre di più nello spazio profondo. Percorrendole l'una dopo l'altra, ella aveva attraversato una grande quantità di galassie, dalle dimensioni immense e dalle forme più bizzarre. Ognuna delle quali si era presentata pullulante di milioni di stelle e di astri spenti, che non avevano la medesima grandezza. Riguardo ai corpi stellari, alcuni erano risultati solitari ed altri si erano mostrati con delle proprie famiglie astrali, le quali orbitavano in continuazione intorno a loro. Dei corpi celesti che si accompagnavano alle stelle di una galassia, facevano parte pochi pianeti, molti satelliti, innumerevoli asteroidi ed alcuni miliardi di suggestive comete. Queste ultime, da parte loro, non smettevano di incantare l'occhio dell'osservatore con la propria luce stupenda, che si presentava a volte vivida altre volte evanescente. Prendendo invece in considerazione i pianeti e i satelliti, non tutti avevano offerto una superficie solida e già formata, siccome alcuni erano apparsi ancora in formazione e ricoperti da magma ribollente. Per il qual motivo, il loro strato superficiale continuava a rivelarsi liquescente e in evaporazione. Invece, di quelli che già avevano ultimato la loro evoluzione planetaria, solo pochi si erano dimostrati compiacenti ed indulgenti verso le forme viventi, da quelle più elementari a quelle più complesse ed evolute.
Anche in quella nuova ripresa del suo interminabile viaggio, Kronel non si era data a solcare le smisurate regioni galattiche senza interruzioni. Com'era ovvio, spesso ella aveva intervallato il suo viaggio senza fine con delle soste più o meno lunghe, non volendo vedersi naufragare nella noia. Le sue fermate erano seguitate ad effettuarsi sopra quei pianeti, i quali sulla loro superficie avevano fatto rilevare la presenza di esseri dotati di una certa forma di intelligenza. La diva vi aveva sostato, anche quando l'elemento intellettivo si era manifestato al suo stadio primordiale. In questo caso, però, il suo atteggiamento, nei confronti di tali forme intelligenti che operavano su taluni pianeti e satelliti, era stato ogni volta benevolo e di aiuto. Esso si era dedicato a dare ai loro abitanti una mano per risolvere determinati problemi. Assumendo le sembianze di una di tali entità, Kronel aveva insegnato loro come procacciarsi il fuoco; in altre circostanze, le aveva guidate alla scoperta della ruota. Di tanto in tanto, i suoi ammaestramenti avevano riguardato perfino la fusione dei metalli e l'utilizzo della terracotta. Le quali scoperte ne avevano implicate molte altre, ossia tutte quelle che erano risultate ad esse connesse, di cui non si era potuto fare a meno. Non di rado, la diva si era occupata anche di problemi umanitari che non riguardavano una intera collettività, bensì singoli individui. Perciò ella aveva profuso a loro favore il suo prezioso aiuto, privandoli delle loro sciagure e risollevandoli dai loro patemi d'animo. Così, dopo essersi dedicata ai tanti esseri umani infelici singolarmente presi ed averli liberati dalle loro sciagure, la giovane dea si era sentita molto soddisfatta. Anzi, aveva avvertito dentro di sé un senso di sereno appagamento mai provato prima di allora.
Erano già cinquecento anni che la divina Kronel girovagava per l'immensurabile profondità dell'universo, naturalmente in compagnia della sua solitudine, allorché si era ritrovata al centro di una galassia lattescente, denominata Lactica, la quale era la nostra Via Lattea. Essa, con il suo centinaio di miliardi di membri che vi caracollavano senza sosta, formava un complesso sistema dall'efficiente dinamismo. Il quale, presentando un moto spiraliforme, pareva che si muovesse molto lentamente nell'immensità spaziale di Kosmos. In un simile spazio galattico, le stelle descrivevano traiettorie circolari intorno al suo perno immaginario, attivando dei moti reali che alla fine si confondevano con quelli apparenti. Viaggiando a gruppi e ruotando le une intorno alle altre, invece parecchie stelle contribuivano ad alimentare la caotica confusione dei loro molteplici movimenti sempre attivi. Dal suo punto di osservazione, Kronel scorgeva la sterminata Lactica. Essa le appariva come un colossale anello luminoso, intorno al cui centro roteava, con il suo movimento riddale, una gran massa di stelle e di materiale interstellare. Mentre nel suo interno, allontanandosi pacatamente dalla parte centrale, spiralavano parecchie miriadi di stelle giganti, le quali scintillavano alcune di luce rossa e altre di luce blu. Inoltre, tutt'intorno alla galassia, si avvistava un alone di forma sferica, che rappresentava la sua parte più estesa e conteneva sia stelle isolate che ammassi stellari. Questi, presentandosi simili a galassie in miniatura, raccoglievano migliaia e migliaia di splendenti stelle, le quali apparivano ammassate le une alle altre. I miliardi di stelle solitarie, invece, non seguivano delle orbite ordinate e con mete prestabilite, per cui si ritrovavano a volteggiare al di là del disco, ma lanciandosi verso tutte le direzioni possibili.
Si può sapere in quale punto dell'universo era pervenuta la figlia del dio del tempo? Ebbene, ella si trovava nelle vicinanze della stella Elios, che era il nostro Sole. La sua blanda luce giallastra splendeva sui pochi pianeti e sui loro satelliti che le orbitavano intorno, i quali si facevano illuminare e riscaldare da essa non tutti alla stessa maniera. Di tali corpi celesti spenti, però, i soli pianeti Marte e Geo davano ospitalità sia alla vita che ad una forma di intelligenza alquanto apprezzabile. Il pianeta, che è stato nominato per secondo, era la nostra Terra. Invece il suo satellite Selenes, ossia la nostra Luna, pur mostrandosi ospitale nei confronti degli esseri animali con la sua vegetazione lussureggiante, non faceva registrare sul proprio suolo alcuna forma di intelligenza.
Kronel si era già decisa a fare una sosta sul rosso pianeta marziano, allorché aveva captato un senso di accorato sfogo che proveniva da Geo, addirittura da parte di un sovrano. Egli stava per essere colto da una grave forma di depressione psichica, a causa di un radicale cambiamento di vita, che era iniziato a serpeggiare tra i suoi sudditi. Esso, a suo parere, li stava influenzando abbastanza negativamente, portandoli alla completa rovina. Si era trattato di Koluor, il retto re dei Logunti, i quali abitavano nel Castello Benedetto. Allora la diva aveva rinunciato alla sua già decisa sosta su Marte ed aveva raggiunto immediatamente la Terra. Dopo, nelle solite vesti di Uldor, senza perdere tempo, aveva cercato di avvicinare il sovrano, allo scopo di essergli utile il più possibile. Quando gli si era presentato, egli si trovava nel bosco vicino al suo castello. Vi si era condotto per divagarsi con la caccia e per dimenticare, per un breve periodo di tempo, i conturbanti pensieri. Essi gli si affollavano e gli si agitavano nella mente, ossessionandolo in modo terribile. Il nobile monarca aveva smesso da poco di darsi alla caccia, per cui avvertiva molta stanchezza dovuta ai lunghi e faticosi inseguimenti. Proprio mentre egli riposava, la diva Kronel era andata a fargli visita. Per la precisione, il re stava seduto ai piedi di un albero e teneva appoggiata la schiena contro il suo tronco. Non appena gli era apparso l'anziano forestiero dall'aspetto venerabile, gli aveva chiesto:
«Chi sei, sconosciuto? Di certo, non sei un Logunto, cioè uno dei miei sudditi! I tuoi caratteri somatici, anche se non in modo accentuato, si differenziano da quelli nostri. Dunque, per favore, vuoi dirmi chi sei e perché mai ti trovi dalle nostre parti, errando nel bosco tutto solo?»
«Come ti sei reso conto, uomo gentile, non sono di queste contrade, nelle quali posso essere ritenuto soltanto un allogeno. Il mio nome è Uldor, l'eterno peregrino errante. La mia vita è tutta un susseguirsi di viaggi, siccome mi affascina la conoscenza di nuovi luoghi e di nuovi popoli. Ma tu chi sei? Se non sbaglio, il tuo animo trabocca di tristezza e di angoscia. Se la mia sensazione non mi ha tratto in inganno, ti prego di concedermi la tua fiducia e di aprirti a me come ad un fratello, rivelandomi le cause dei tuoi mali interiori. Ricòrdati che parlare con qualcuno delle nostre preoccupazioni e delle nostre ambasce non può che risultarci un atto liberatorio. Così facendo, ognuno di noi risolve quasi sempre le proprie segrete tensioni psichiche e fa liberare le proprie latenti energie represse. Ecco perché lo sfogarci con altri può soltanto procurarci molta serenità e un benevolo sollievo! Perciò parlami di te.»
«Io sono Koluor, il re dei Logunti, i quali costituiscono il popolo che abita il Castello Benedetto. A dire il vero, l'attributo "benedetto" dato al nostro castello poteva essere ritenuto appropriato fino a un triennio fa. Esattamente, quando la pace, la serenità, il bene e la giustizia albergavano nell'animo di ognuno dei miei sudditi, rendendoli un popolo fortunato e beato, poiché allora esso fruiva della benedizione degli dèi. Ma da un po' di tempo a questa parte, le cose nel nostro castello sono andate cambiando in senso negativo. Per questo, a mio avviso, oggi come oggi, ad esso starebbe assai meglio l'attributo "maledetto". Ma tu come hai fatto, Uldor, a leggere i miei pensieri e a penetrare il mio animo?! Sono stati forse i tuoi viaggi ad erudirti a tal punto nella conoscenza degli uomini, che ora essa ti permette di entrare in loro e di scoprire come essi sono fatti realmente nell'intimo? Oppure è qualcos'altro a trasmetterti questo prezioso dono, che può essere rinvenuto soltanto in poche persone, che ne sono degne? Su dammi una risposta in merito!»
«Re Koluor, non è poi tanto difficile leggere la tristezza sul volto di un uomo demoralizzato oppure la felicità su quello di un altro intimamente appagato. Riuscirci senza difficoltà, dunque, è alla portata di tutti quelli che hanno un paio di occhi per vedere ed una mente sana che li illumina. Piuttosto mettimi al corrente dei motivi che ti costringono a vivere ore di tremendo travaglio, instillandoti nell'animo malessere e sofferenza, fino a torturartelo in modo orribile! Ti prego di farlo senza reticenza ed avendo la massima fiducia in me! Vedrai che, dopo esserti sfogato con me, ti sentirai molto risollevato!»
«Avveduto Uldor, tu continui a stupirmi per come riesci a mettere a nudo il mio animo e a descriverlo con meticolosa precisione. Per questa ragione, trovo anche giusto che io confidi a te le mie sofferenze e le mie preoccupazioni. Comportandomi in questo modo, sono convinto che mi deriveranno da te unicamente saggi ed utili consigli, che mi aiuteranno a superarle. Perciò eccomi a farti conoscere quei fatti che sono venuti ad intossicarmi l'esistenza in questi ultimi tre anni e mi si sono rivelati maledettamente nauseanti. Anzi, essi mi fanno perfino aver disgusto della mia stessa vita, la quale naviga nella desolazione più assoluta!»
«Mi fa piacere, nobile sovrano, sentirti parlare in questa maniera. Ciò attesta che hai ancora fiducia in qualcuno, anche se non è un tuo suddito. Sono convinto che da essa riuscirai a trarre un immenso giovamento, per cui non ti pentirai di averlo fatto! Tra poco, te ne accerterai personalmente, dopo che ti sarai aperto a me.»
«Devi sapere, Uldor, che era da tempo immemorabile che il mio popolo viveva osservante delle sagge leggi vigenti nel nostro castello. Ma un brutto giorno, precisamente tre anni addietro, spinto da forze maligne, esso ha iniziato a trasgredirle l'una dopo l'altra, concedendosi a gravi mancanze di ogni sorta. Dall'anno scorso, i Logunti hanno deciso di sposare l'anarchia più assurda e destabilizzante. Perciò hanno preteso che revocassi quelle leggi che risultano positive agli occhi dei giusti, comprese quelle naturali e di carattere religioso. Alla fine essi mi hanno chiesto di decretarne altre assolutamente negative e turpi quanto mai!»
«In definitiva, re Koluor, quali cose assurde i tuoi sudditi esigono adesso con forza da te? Ti chiedo troppo, se ti invito a riferirmi specificatamente le loro insulse pretese? Se tu lo facessi, potrei comprendere meglio la tua situazione. Inoltre, sarei anche in grado di darti un equo consiglio, allo scopo di farli rinsavire almeno in parte!»
«Secondo la loro nuova mentalità cancrenata, simpatico Uldor, devono essere rigettate l'amore, la bontà, la compassione, la sincerità ed altre virtù simili. Al contrario, devono essere tenute in grande considerazione la prepotenza, la dissimulazione, la fallacia, l'astuzia e la forza bruta. Insomma, deve essere considerato un eroe solo chi si è distinto più di ogni altro nell'inganno, nel tradimento, nella ferocia, nella disonestà e nel dispotismo. Logicamente, mi sono ogni volta opposto e continuo ad oppormi alle loro empie richieste, respingendole con risolutezza. Non ti nascondo che, se un giorno mi ci costringeranno, sarò disposto a difendere il bene e la giustizia anche a colpi di spada, fino al mio supremo sacrificio! Sono persuaso che è questo che le benefiche divinità pretendono dagli uomini giusti! Non ne sei convinto pure tu?»
«Certo che condivido il tuo pensiero, Koluor! Ma cosa mi dici dei tuoi cari familiari? Non voglio credere che anch'essi la pensino alla stessa maniera degli altri Logunti! Se ciò dovesse risultare veritiero, allora sarebbe davvero inconcepibile un fatto del genere!»
«Invece è proprio così, amico mio Uldor! La mia consorte Tregida e i miei due figli Cuscio e Felso sono i promotori di questa nuova concezione della vita, capeggiando questo nuovo modo di vivere insensato. A mio avviso, esso quanto prima sfocerà in un'aperta rivolta armata contro la mia persona. Tu come consideri il loro atteggiamento? Se lo vuoi sapere, soprattutto a causa loro, mi dispero tantissimo!»
«Mio nobile sovrano, non ci sono dubbi che ti trovi in un bel pasticcio. Al posto tuo, pur di non tradire la giustizia e calpestare il bene, anch'io non esiterei ad oppormi alla totalità dei miei sudditi e ad andare incontro al supremo sacrificio. Anche perché la mia vita non avrebbe più un senso, se venisse relegata in mezzo a tanto marciume morale! Perciò ti esorto a non arretrare di un solo millimetro, di fronte alle loro pressioni sconsiderate. Il bene e la giustizia non devono mai inchinarsi davanti al male e alla iniquità. Al contrario, devono essere tali principi etici a tenere sempre sotto il loro calcagno simili aberrazioni umane. Soltanto così il destino degli uomini non fallirà la sua nobile missione e continuerà a segnare il suo solco mediante gloriosi successi! Re Koluor, tienilo bene a mente, se non vuoi tradire la fiducia che hai in te stesso!»
Dopo che Uldor si era congedato ed aveva ripreso il suo cammino, il re dei Logunti aveva fatto ritorno al suo castello, dov'era atteso dai suoi sudditi, avendo essi stabilito di farlo fuori in quella giornata. Perciò, non appena il loro sovrano aveva messo piede nella ciclopica fortezza, essi, in preda ad una ferocia selvaggia, lo avevano assalito con ogni sorta di armi. La loro intenzione, in verità, era quella di ammazzarlo e di legalizzare subito dopo nel castello ogni loro scellerato comportamento. Allora il loro prode sovrano, impugnata la propria spada, all'istante aveva iniziato ad opporre ai suoi malintenzionati sudditi una eroica difesa, non volendo farsi sopraffare da loro. Egli desiderava continuare a rappresentare un valido paladino di quel bene e di quella giustizia che gli altri, essendo ormai privi della ragione, intendevano sovvertire. Il re Koluor, che si era dimostrato sempre un valoroso uomo d'armi, non si era fatto prendere dal panico di fronte alla compattezza dei suoi sudditi assalitori, che lo avevano circondato all'improvviso da ogni parte. Invece si era scagliato contro di loro con coraggio ed animosità. Nella furiosa lotta, egli riusciva ad ucciderne molti; però quelli non diminuivano mai di numero e lo assalivano sempre più numerosi, come se venissero rigurgitati dalle pestifere viscere della terra. Sbucando da ogni angolo del castello, si vedeva accorrere una marmaglia sempre più ingente e minacciosa, la quale, obbligandolo ad indietreggiare, cercava di accopparlo senza alcuna pietà e in modo frettoloso. Al fianco degli uomini, si battevano anche le loro donne; anzi, esse si mostravano più scatenate che mai, come se la furia le avesse accecate di odio e di profondo malanimo.
Si combatteva già da molte ore e la stanchezza era venuta a sfiancare il monarca, allorché la lama della sua spada si era spezzata a metà. A quella occasione, che essi avevano ritenuta bellissima per loro, i Logunti, dopo aver gioito di quel provvido evento, si erano preparati a freddarlo brutalmente. Allora il re Koluor, subito dopo essere venuto a trovarsi in quella inattesa difficoltà, si era rivolto agli dèi giusti e generosi, formulando la seguente preghiera: "Immortali Spiriti Benigni, che, prima ancora di creare gli esseri umani, spargeste ai quattro venti i semi di ogni forma di bene e di giustizia, vi prego di non abbandonarmi proprio in questo momento arduo per me e di permettermi di sconfiggere il male, che ha contaminato le menti dei miei sudditi. Se muoio io, chi lo estirperà dai loro cuori depravati e lo ricaccerà nel baratro infernale da dove è sbucato? Come sapete, non sto combattendo per la mia salvezza, ma per il trionfo del bene e della giustizia. Perciò vi prego di venirmi in soccorso, guidando il mio braccio verso la vittoria, la quale equivale anche al trionfo del sommo bene e della somma giustizia!"
La dolce figlia del divino Kron, che era presente alla lotta in veste invisibile, deviando pure qualche colpo pericoloso a lui diretto, dopo aver ascoltato la fervida preghiera del pio sovrano, si era commossa moltissimo ed aveva deciso di intervenire in suo aiuto. Perciò, in un attimo, si era trasformata in spada invincibile ed era comparsa ai piedi del re Koluor. Egli allora l'aveva raccattata senza indugio, riprendendo con essa il suo furibondo combattimento. Allora, non appena aveva impugnato la nuova arma, nel sovrano erano riapparse tutte le forze di prima; anzi adesso esse si mostravano attive più che mai e bramose di infliggere cospicue perdite ai suoi avversari. Costoro, invece, incuranti del prodigio a cui avevano assistito, lo stesso avevano continuato a lottare accanitamente. Combattendo, non facevano caso alle centinaia di morti, che la prodigiosa spada andava mietendo in mezzo a loro.
Lo stupore maggiore nel re Koluor c'era stato, quando si era visto assalire anche dai vecchi e dai bambini, i quali si presentavano armati di pugnali e di coltelli. Ma la spada fatata non aveva mostrato compassione per nessuno di loro e si era scagliata contro ognuno con incredibile furore. Spesse volte il granitico braccio del re avrebbe voluto trattenersi, poiché non gli andava di colpire degli avversari simili. La sua arma, però, non glielo aveva consentito per nessun motivo e lo aveva spinto così a non avere pietà di ciascuno di loro. Continuandosi a combattere in quel modo, in seguito si erano visti perfino gli infanti assalire il loro sovrano. Si trattava di bambini che di norma non dovevano ancora essere in grado di camminare e di agire. Invece essi, contro ogni legge naturale e biologica, saltellavano come ranocchietti davanti al re Koluor, cercando di ferirlo con piccoli pugnali acuminati. La qual cosa aveva convinto maggiormente il sovrano del castello che anche in quei piccoli esseri si era annidata una forza maligna. Allora, secondando la sua spada invincibile, non aveva mostrato pietà neppure nei loro confronti, poiché la loro morte, alla fin fine, coincideva con la distruzione del male.
Era il terzo giorno che il re Koluor combatteva con intrepida animosità, quando finalmente aveva visto soccombere sotto i colpi tremendi della sua magica arma anche l'ultimo dei suoi sudditi. A quel punto, egli aveva potuto considerarsi il meritato vincitore di quell'aspra e dura contesa. Ma ben presto quella sua vittoria, anziché rallegrarlo, era venuta a rattristargli l'animo, immergendoglielo in una cupa malinconia. Di fronte a quella infinita moltitudine di cadaveri, che in quella macabra circostanza era costretto a guardare, l'afflitto re Koluor, un poco alla volta, aveva iniziato a provare un pentimento profondo per quel suo gesto punitivo, arrivando perfino a considerarlo un esecrando misfatto. Alla fine, perciò, non essendo più riuscito a tollerare quel terribile rimorso che gli andava rodendo l'animo, l'affranto re aveva stabilito di porre termine anche alla sua travagliata esistenza. Allora, in preda ad un profondo pessimismo, egli aveva rivolto contro il proprio petto la punta della spada, dicendo: "Che la mia morte purifichi la mia anima e la liberi dai tanti travagli che la opprimono. Invece questa Spada dell'Invincibilità, da ora in avanti, serva soltanto a distruggere le ingiustizie, le prepotenze e le nefandezze degli uomini, ma mai più presi nella loro totalità. Quindi, essa si faccia maneggiare esclusivamente dal braccio di colui che deciderà di perseguire gli ideali di bene e di giustizia, dimostrerà di avere un animo nobile e generoso, nonché deciderà di mettere la propria vita al servizio del bene e del retto agire! Infine, questa fortezza, da questo momento in poi, prenda per sempre il nome di Castello Maledetto. Il quale nome è quello che adesso gli si addice maggiormente, a causa delle numerose malefatte dei suoi ex abitatori!"
Alle esclamazioni desiderative dell'afflitto sovrano, la generosa diva Kronel prontamente gli aveva fatto eco: "Avvenga in futuro ciò che oggi hai espresso di desiderare! Per questo ciascun tuo desiderio sarà da me soddisfatto. Ti prometto, re Koluor, che seguiterò a restare Spada dell'Invincibilità, fino a quando il guerriero da te auspicato non verrà a prelevarmi, con l'intenzione di servirsi di me per portare a termine le sue prodigiose imprese. Ma già prevedo che esse avranno come fine la difesa del bene e della giustizia, oltre che mettere in pratica il proprio altruismo. Parola di Kronel!"
Era stato così che la diva, dopo avere eretto al re suicida uno splendido mausoleo di marmo, vi era penetrata fino all'elsa. Dopo aveva iniziato il suo lungo riposo, il quale era durato fino a quando il principe Iveonte non era andato nel Castello Maledetto per impossessarsene. Così facendo, il giovane l'aveva finalmente destata con il suo fervido ardore e l'aveva portata via da quel luogo spento e senza vita. Il quale si presentava come un fomite di iniquità e di crudeltà.
Nel giro di pochi giorni, la notizia della morte di tutti i Logunti era pervenuta alle vicine tribù dei Chironti e degli Scinnes, delle quali i castellani si erano sempre serviti per il loro vettovagliamento. Perciò esse erano subito accorse al castello ed avevano badato per prima cosa a ripulirlo di tutti i cadaveri già putrescenti, i quali erano stati parte bruciati e parte inumati. Ma nei giorni che erano seguiti, c'era stata fra le due tribù una vera controversia, siccome entrambe volevano abitare il castello. Pur di non rinunciare al suo possesso, ciascuna delle due popolazioni si era mostrata intenzionata a conquistarlo con la forza. Invece in seguito, pur di evitare di farsi guerra tra loro, c'era stato fra i capi delle due tribù il seguente accordo: agli Scinnes sarebbe toccata la parte aerea del castello; mentre quella sotterranea sarebbe andata ai Chironti, siccome essi erano albini ed avevano sempre condotta una vita per lo più cavernicola.
Una volta appresa la storia della divina figlia dell'eccelso dio Kron, la quale sarà la nuova protagonista che ci accompagnerà per gran parte della nostra grandiosa epopea, Iveonte chiese al dio Osur come evolveva l'esistenza delle divinità, fossero esse benefiche oppure malefiche. Inoltre, lo pregò di chiarirgli come si erano svolte le cose nel remoto passato sia in Luxan che in Kosmos. In attinenza al primo argomento, infatti, qualche lettore potrebbe stupirsi moltissimo del fatto che viene dato l'appellativo di diva, ossia di giovane dea, alla nostra simpatica e generosa Kronel. La quale, oltre alle tantissime galassie da lei attraversate, aveva visto anche scorrere diversi secoli nell'espansione temporale della sua esistenza sia luxaniana che cosmica. Ebbene, i primi venti anni degli dèi trascorrevano come i nostri; però essi, durante questo tempo, si ritrovavano ad essere nella fase della puerizia. Invece bisognava equiparare i successivi anni ai nostri millenni. I primi diecimila anni corrispondevano alla loro adolescenza; mentre i successivi diecimila equivalevano alla loro giovinezza. Essa, perciò, rappresentava per le divinità l'età compresa tra i diecimila e i ventimila anni. Allora possiamo renderci conto di quanto fosse giovane la nostra divina Kronel, se la sua giovinezza, come previsto dalle leggi divine, aveva una durata di diecimila anni!
Invece, dopo essere state giovani, in riferimento alla loro età, cosa succedeva alle divinità? Ossia, come si protraeva per esse il tempo, mentre venivano investite dall'età matura e dall'età senile? Si poteva avere anche la cognizione circa lo sbocco della loro vecchiaia? Quest'ultima era a termine oppure seguiva ad essa un diverso modo di esplicarsi che, per il momento, non riusciamo a concepire con la logica umana? In verità, a tali domande possiamo rispondere in breve, ma procedendo con ordine. Cominciamo col dire che le divinità, prima di essere definite vecchie, dovevano trascorrere un milione dei nostri anni; mentre la durata della loro vecchiaia non aveva fine, per cui andava avanti per una eternità. Inoltre, va fatto presente che l'anzianità degli dèi era compresa tra gli ottocentomila e il milione di anni. Essa non li rendeva inferiori alle divinità che risultavano giovani oppure adulte. Infatti, le loro forze e i loro poteri soprannaturali continuavano a restare per sempre immutabilmente efficienti e portentosi, senza mai diminuire.
Adesso che abbiamo chiarito anche questo particolare importante, il quale ha riguardato l'età di una divinità, ci preme essere informati dei fatti accaduti in Luxan, in Tenebrun e in Kosmos, come appunto li aveva appresi Iveonte dal divino messaggero del dio del tempo. Ma il loro racconto, a causa della loro enorme vastità, potrà essere esaurito dall'intero terzo volume, che ci apprestiamo a leggere con la medesima passione.