117°-NEL CIRCO DI DORINDA, TIO TRIONFA SUGLI ALTRI CONCORRENTI

Alla corsa delle bighe, era seguita la gara del lancio del giavellotto. I cui concorrenti erano quaranta ed avevano tutti un'ottima dimestichezza con quel tipo di arma. In essa, ognuno di loro doveva cercare di colpire un bersaglio mobile, il quale era rappresentato da una sagoma di persona sistemata sopra un carro in movimento. Egli, inoltre, aveva a disposizione cinque giavellotti, che corrispondevano ai lanci ai quali aveva diritto. I quaranta lanciatori erano stati suddivisi dai competenti arbitri in quattro gruppi, ciascuno dei quali era composto da dieci competitori. Ebbene, si era giunti alla proclamazione del vincitore, al termine delle tre fasi eliminatorie. Con la prima selezione, in ogni gruppo, era stato individuato il migliore dei dieci concorrenti, cioè quello che era andato a segno un numero di volte maggiore, rispetto agli altri. Al termine, quelli che erano risultati primi nelle rispettive squadre, presi a coppie, avevano disputato le due semifinali. Dal confronto diretto dei due vincitori semifinalisti, il quale aveva costituito la finale della gara, si era passato a designare il lanciatore di giavellotto più bravo in assoluto.

Ovviamente, il titolo di campione era stato conquistato dal bravissimo Tio, che aveva stupefatto la platea degli spettatori con la sua infallibile mira. Infatti, nelle tre fasi eliminatorie, egli aveva centrato il bersaglio in maniera impeccabile per ben quindici volte, cinque in ciascuna fase. Perfino il re Kodrun e Lucebio ne erano rimasti oltremodo sbalorditi. Per la quale ragione, il sovrano di Dorinda si era andato convincendo di aver fatto bene a dare ascolto alla giovanissima Luta. Ma anche nella gara del lancio del giavellotto, il secondo posto era stato raggiunto dal rappresentante della cognata del re Kodrun. Si era trattato del concorrente Parsio, il quale, nella finale, era risultato l'antagonista di Tio. Ma va fatto subito presente che i bersagli da lui colpiti non erano risultati neppure una decina, siccome essi erano stati solamente otto.

La terza gara era stata quella del tiro con l'arco. In essa, i concorrenti dovevano mirare ad un bersaglio, il quale era costituito da una targa circolare ferma. Questa riportava un cerchio pieno nel mezzo, che era di colore rosso ed aveva il diametro di quindici centimetri. Adiacenti ad esso, seguivano poi altri quattro cerchi concentrici, i quali delimitavano altrettante fasce circolari, larghe tutte dieci centimetri. I loro colori, a cominciare dal secondo, erano rispettivamente il verde, il blu, il giallo e il bianco. Il centro e le fasce, che riportavano dei numeri equivalenti ai punti guadagnati, dovevano permettere la visualizzazione e la selezione dei tiri migliori. Il centro valeva dieci punti; mentre quelli delle fasce che seguivano in successione erano rispettivamente sette, cinque, tre e uno. I vari punti alla fine dei tre tiri andavano sommati. La targa risultava inserita nella punta di un palo alto un metro e mezzo, fissato saldamente al suolo. Essa era estraibile per un semplice motivo. A ogni tiro, la targa veniva estratta dall'estremità del palo da un uomo, il quale veniva chiamato targhiere. Egli, facendola girare dopo ogni lancio in tutte le direzioni, la rendeva visibile alla totalità degli spettatori. In quel modo, permetteva all'intera folla del circo di seguire l'esito di ciascun tiro effettuato. Ma subito dopo la rimetteva al suo posto per consentire agli altri concorrenti di eseguire i loro tiri.

Nella gara con gli archi, gli arcieri avevano avuto a disposizione cinque frecce ciascuno, il cui numero corrispondeva ai tiri, ai quali essi avevano diritto. Anche in questa nuova competizione, i concorrenti erano stati quaranta. Questa volta, però, le modalità seguite nel suo svolgimento si erano discostate da quelle della gara precedente. Difatti ora, a ogni tiro operato, veniva assegnato un punteggio, il quale era quello riportato dalla fascia colpita. Perciò alla fine si sommavano i vari numeri ottenuti con la mezza decina di tiri e il vincitore risultava colui che aveva conseguito il maggiore punteggio. Anche la competizione con gli archi, come quella che si era svolta prima, aveva avuto il suo campione dopo le tre fasi eliminatorie. In ognuna di esse, Tio si era ancora imposto agli avversari ed aveva trionfato su tutti loro, guadagnandosi la vittoria in maniera stupenda. La sua mira infallibile aveva seguitato a colpire il centro del bersaglio, senza mai mancarlo di un solo millimetro, facendogli totalizzare alla fine centocinquanta punti, cinquanta per ciascuna eliminatoria. Conseguendo tale incredibile punteggio, egli aveva fatto esultare le masse assiepate sugli spalti del circo. Soprattutto aveva permesso, tanto al re Kodrun quanto agli altri che occupavano la tribuna regale, di deliziarsi in modo incredibile.

Va fatto presente che pure nella finale della terza gara, era risultato antagonista di Tio un certo arciere di nome Cupio, il quale era ancora il rappresentante di Clinta, la moglie del fratello del re. Egli, comunque, era stato in grado di imbroccare solo tre centri; mentre, con gli altri dodici tiri, aveva colpito sei volte la fascia verde, quattro volte quella blu e due volte quella gialla. Perciò il suo punteggio complessivo era stato di novantotto punti. Inoltre, a differenza dei campioni di Clinta, che erano risultati differenti in ogni gara, solo il giovane Tio era rimasto, almeno agli occhi della gente, sempre lo stesso rappresentante vittorioso della regina, colmandola di un immenso onore. La qual cosa aveva fatto impazzire dalla gioia la bella Luta, che sedeva accanto alla regina Lurella. Anche la consorte del sovrano aveva seguito lo svolgimento delle gare con molto orgoglio e con un volto splendidamente beato. A ogni modo, non serve riferire lo stupore, da cui erano stati assaliti il re Kodrun e il suo pupillo, essendo esso risultato incommensurabile.

La moglie del fratello Eminto, al contrario, era apparsa piena di gelosia e di invidia, nonché continuava a borbottare frasi sdegnose all'abbacchiato marito, per non aver saputo sceglierle i rappresentanti migliori. Principalmente, lo andava rimproverando per il fatto che egli non era riuscito ad avvicinare per primo quel bravissimo giovane sconosciuto, il quale si stava dimostrando perfino superiore a Tedo. Inoltre, gli faceva osservare che il solo Kodrun poteva essere considerato un vero uomo. Il cognato, infatti, pur essendogli stato messo fuori combattimento il suo campione all'ultimo momento da un loro commando, ugualmente era stato in grado di rimediarne un altro in brevissimo tempo. E anche migliore del primo! Da parte sua, il disgraziato Eminto non aveva potuto fare a meno di sorbirsi il dente avvelenato dell'adirata moglie. La donna, piena di livore, non cessava di riprenderlo e di tormentarlo, affibbiandogli diversi epiteti, alcuni dei quali anche irriferibili, a causa dell'indubbia oscenità del loro significato.

Ritornando al campione Tio, egli, con le sue stupefacenti dimostrazioni, aveva da far sbalordire ulteriormente tutti gli spettatori del circo nelle due successive gare, che stavano per effettuarsi molto presto. In verità, essi già lo avevano seguito attoniti in quelle precedenti, nelle quali il giovane ventenne aveva fatto sfigurare tutti i suoi avversari. Anzi, li aveva umiliati moltissimo, pur essendo essi considerati dei veterani combattenti di tutto rispetto! Comunque, quella della scherma sarebbe stata la gara che indubbiamente gli avrebbe permesso di riscuotere il maggiore successo. Inoltre, essa gli avrebbe procurato un vero trionfo, sia presso le masse acclamanti sia presso l'aristocrazia dorindana, la quale pure assisteva meravigliata. Così le une e l'altra, esaltando l'ineccepibile bravura dello sconosciuto giovane, sarebbero state concordi nel considerarlo il più grande schermitore di ogni tempo. Infatti, si sarebbe ripetuto ciò che già era avvenuto in quelle precedenti.

Anche la nuova gara aveva fatto registrare un numero di concorrenti pari a quello delle due precedenti, come pure si era svolta alla stessa maniera, seguendo le medesime regole per giungere a proclamare il meritato vincitore, al di là di ogni dubbio. Passando poi ad interessarci della gara della scherma, ebbene, il giovanissimo Tio aveva disarmato tutti i suoi avversari con pochi colpi di spada. Essi, essendo stati magistralmente eseguiti, avevano indotto il re Kodrun e gli altri che erano presenti nel circo a convincersi che chi li assestava era uno che nel duello alla spada era impareggiabile e di gran lunga superiore agli altri. Il ragazzo di Luta si era dimostrato l’esecutore di una scherma altamente professionistica. La qual cosa aveva suscitato un entusiasmo grandissimo in quanti avevano avuto la fortuna di fruire di uno spettacolo eclatante e prodigioso, facendoli stupire come non era mai successo. Puntualmente, comunque, pure nella gara di scherma era risultato finalista il rappresentante di Clinta; ma aveva avuto ancora un nuovo volto e un altro nome, ossia Dusko. Egli era andato incontro alla stessa sorte dei suoi predecessori, poiché si era dimostrato molto inferiore al suo straordinario antagonista, che lo aveva battuto facilmente.

L'ultima gara era stata quella della lotta libera. In essa, erano ammessi i vari tipi di colpi e di mosse, come nelle arti marziali, purché non ledessero le parti addominali e quelle ad esse sottostanti. Per evitare delle morti inutili, il re Kodrun aveva dato ordine che anche tale gara sarebbe dovuta svolgersi senza l’uccisione dei lottatori soccombenti. Per cui quello che si fosse dimostrato più forte, si sarebbe dovuto limitare soltanto a costringere l'avversario ad arrendersi. Se invece il più debole si fosse ostinato a proseguire l'incontro, pur di fronte all'incombente pericolo di morte, sarebbero stati gli arbitri a decretarne la fine prima del tempo, affidando al sovrano la proclamazione del vincitore dell'incontro.

La gara in questione aveva avuto un numero esiguo di concorrenti, per due motivi. Il primo era dovuto al fatto che erano pochi coloro che si esercitavano nella lotta in genere. Quanto al secondo, molti si erano rifiutati di prendervi parte, semplicemente perché a quella gara si era iscritto il famoso lottatore Afdo. Costui, oltre ad avere una mole colossale, poteva essere ritenuto un indubbio professionista della lotta libera. Egli si era sempre dimostrato imbattibile nei vari tornei, che si erano disputati nelle varie città dell'Edelcadia. A dire il vero, quei concorrenti che vi avevano partecipato soltanto pro forma, erano stati incoraggiati a farlo dalla norma in vigore voluta dal re Kodrun, che noi conosciamo. Essa vietava tassativamente ai lottatori più forti di mostrarsi spietati nell'incontro verso i più deboli. Se qualcuno l'avesse ignorata di proposito, sarebbe andato incontro ad una punizione proporzionata al danno provocato nel corpo del suo avversario.


Dopo che le tube avevano suonato l'inizio dell'ultima gara, si era visto avanzare nel circo lo sparuto gruppo dei lottatori che vi partecipavano. Ma il poderoso Afdo, la cui gigantesca statura poteva definirsi spaventosa, torreggiava sulla decina di concorrenti partecipanti. Egli, che era alto circa due metri e mezzo, aveva delle spalle larghe un metro e trenta centimetri. Le braccia, invece, che erano molto muscolose, avevano una lunghezza di un metro e mezzo. Nello scorgerlo, la totalità degli spettatori che affollavano il circo avevano commentato concordemente che non potevano esserci rivali per un simile gigante. Inoltre, si erano rassegnati a non attendersi da tale gara incontri piacevoli ed avvincenti, come quelli che aveva offerto l'incredibile vincitore delle precedenti gare. Nello stesso tempo, essi non avevano gradito che, fra i concorrenti della gara della lotta libera, ci fosse anche il campione delle competizioni che si erano svolte in precedenza. Essi non volevano vederlo sfigurare, dopo aver riscosso quattro trionfi memorabili. Su quelle considerazioni, erano stati tutti quanti di parere concorde, compresa la sua ragazza. Per cui gli stessi si erano augurati che almeno al loro concorrente preferito non venisse arrecato parecchio male. La giovane Luta, alla vista di Afdo, aveva provato un grande timore per il suo amato Tio. Solamente adesso ella si rendeva conto che le sue proporzioni fisiche risultavano terribilmente insignificanti, se venivano paragonate a quelle enormi di colui che sarebbe stato uno dei lottatori suoi avversari.

Quando il piccolo gruppo dei concorrenti era giunto davanti alla tribuna regale, allo scopo di ricevere il contrassegno dalle dame che essi avrebbero rappresentato nella gara, Afdo aveva fatto una proposta al re Kodrun. Se egli avesse permesso un combattimento all'ultimo sangue, da parte sua non ci sarebbe stata alcuna difficoltà ad affrontare tutti insieme gli undici lottatori che avevano avuto l'ardire di partecipare alla gara della lotta libera. Ma il re di Dorinda aveva respinto la sua proposta, anche perché aveva temuto per la incolumità del giovanissimo Tio, il quale si era dimostrato un vero talento nel maneggio dei vari tipi di armi. Anzi, lo aveva ammonito che, se avesse provocato in un concorrente la frattura anche di un piccolo osso, egli non avrebbe esitato a punirlo con tre anni di reclusione. Nel caso poi che lo avesse ucciso, per lui ci sarebbe stata la morte immediata sul campo da parte dei suoi soldati, che sarebbero ricorsi ai loro archi per trafiggerlo mortalmente.

Una volta iniziata la gara, i primi cinque avversari di Afdo erano stati messi fuori combattimento da lui, investendo ciascuno di loro con un secco manrovescio. Per la qual cosa, i successivi quattro concorrenti, volendo evitare un simile colpo doloroso sul volto da parte sua, avevano ritenuto cosa saggia non ingaggiare la lotta contro quella montagna di muscoli. Perciò si erano ritirati da essa, prima ancora di intraprenderla, dichiarandosi vinti senza neanche combattere. Alla fine, così, era rimasto l'ultimo lottatore, ossia il rappresentante della regina, a contendersi la palma della vittoria contro quel gigante, che suscitava terrore soltanto a guardarlo. Tio, a parere di tutti i presenti, adesso sarebbe stato obbligato a cedere la palma all'avversario, il quale era il rappresentante di Clinta. Comunque, per lui perdere quell'incontro non sarebbe stato affatto un disonore, tenuto conto della complessione sproporzionata del suo rivale. Nel medesimo tempo, essi avevano sperato che il loro osannato campione non si sarebbe sognato neppure lontanamente di strafare contro quell'inattaccabile colosso dalla forza smisurata. I suoi tifosi non volevano vedere malridotto chi li aveva tanto entusiasmati e fatti divertire al massimo nelle precedenti gare. Si poteva affermare che egli li aveva stupiti enormemente con le sue straordinarie doti di auriga, di giavellottista, di arciere e di schermitore, le quali si erano dimostrate davvero insuperabili.

Non appena Tio ed Afdo si erano trovati l'uno di fronte all'altro, sul circo di Dorinda era piombato il silenzio più pieno. In esso, era sembrato che la vita, in quanto tale, a un tratto avesse abbandonato l'intera massa di gente. Difatti quel carnaio umano non aveva osato più produrre nemmeno il benché minimo rumore su quegli spalti che, un momento prima, erano stati in balia dei loro schiamazzi più scatenati. Tutti quei corpi, che fino allora erano apparsi convulsi e vocianti, all'improvviso era sembrato che si fossero pietrificati, essendo venuto a smorzarsi in loro perfino il respiro. Anche l'aria era apparsa immota e surreale, come se in quel momento essa venisse soggiogata da qualche potente sortilegio di un mago, il quale la faceva apparire in quella maniera strana. Ognuno di loro, siccome adesso venerava Tio, per le gloriose imprese da lui compiute nelle competizioni precedenti, in cuor suo aveva scongiurato quell'incontro. Nessuno voleva vedere crollare miseramente colui che aveva dimostrato di essere invincibile nelle armi. Perciò aveva visto raffreddarsi dentro di sé l'intero brio di eccitazione che il mitico campione, gara dopo gara, aveva saputo suscitarvi con grande perizia. Per di più, egli vi aveva visto piombare l'incertezza e il terrore dell'ignoto. L'una e l'altro gli derivavano dal nuovo cimento, che il suo campione stava per affrontare e che poteva presentarsi unicamente arduo per lui, a causa delle sue ridotte proporzioni fisiche, le quali assolutamente non potevano rivaleggiare con quelle del suo ciclopico avversario.

Mentre si studiavano a vicenda, Afdo palesava dei propositi malvagi; invece Tio sfoggiava molta fierezza. I due lottatori, agli occhi degli spettatori, erano parsi l’uno una terribile tigre e l’altro una docile gazzella. Questa volta, però, Tio si era presentato nel circo con una caratteristica particolare, che tutti gli spettatori avevano notato all’istante. L'intero suo corpo, per la prima volta, appariva lucido, avendolo egli oliato con cura pochi istanti prima di presentarsi nell'arena. A tale riguardo, essi, meravigliandosene, si erano chiesti: Perché mai il loro campione aveva unto il proprio corpo con tale liquido lubrico? Comunque, non erano riusciti a darsi una risposta plausibile, fino al momento dell'incontro. Anche Afdo, vedendo la pelle del giovane tutta lustra, ne era rimasto alquanto sorpreso, allo stesso modo di tutti gli altri; però non se ne era preoccupato più di tanto. Ma poi, preso da una grande curiosità, egli non aveva rinunciato a domandare al suo fiero antagonista:

«Perché il tuo corpo è diventato lucido? Non sarà forse il sudore della paura a farlo apparire tale, visto che già stai sudando freddo? Dimmi che è questa la vera ragione che ti rende come ti scorgo!»

«Invece devo contraddirti, Afdo. Se il mio corpo si mostra luccicante, è perché sono state le precedenti vittorie a lustralo come vedi. Perciò non si tratta affatto né di sudore né di paura!»

«Vorrà dire che provvederò a fartelo diventare bluastro, a causa delle numerose ammaccature che presto gli procurerò. Peccato che io non possa tingertelo pure di rosso, come avrei voluto, poiché me lo vieta una norma fatta inserire nel regolamento dal re Kodrun! Ma adesso perché non ti dimostri anche contro di me così bravo, come hai già fatto contro i tuoi avversari delle precedenti competizioni?»

«È per questo motivo che sono qui, Afdo! Credi che ti facciano onore le tante vittorie che ti ha procurato la tua mole mastodontica? La tua forza bruta non entusiasma la gente, invece l'atterrisce soltanto. Essa tende a violentare e ad esecrare le nobili virtù, quelle che si lasciano perseguire esclusivamente con la forza del cuore e dell'intelletto. Oggi ti dimostrerò che l'intelligenza umana, quando la si usa nel modo giusto, diventa superiore a qualsiasi forza animalesca. Riesce a sconfiggerla senza alcuna difficoltà in qualsiasi evenienza. Così la regina di Dorinda berrà fino in fondo il suo calice di gloria e di onore! È una promessa che ti faccio, mio altezzoso rivale!»

«Invece io sono matematicamente convinto che la tua regina dovrà rassegnarsi a rinunciare a una parte di gloria, ossia a quella che farò gustare alla moglie del cognato Eminto. Quanto a te, devi ringraziare il sovrano Kodrun, se non posso spezzarti in due. Ma stanne certo che lo stesso punirò la tua presunzione di aver voluto misurarti nella lotta libera con il più forte lottatore dell’Edelcadica. Se hai deciso di affrontarmi senza imitare gli altri lottatori, si vede che ignori completamente di essere un vero moscerino a confronto della mia paurosa stazza!»

L'incontro di lotta tra Tio e Afdo non aveva avuto lo svolgimento tradizionale. Il giovane aveva costretto il suo avversario ad accettare, volente o nolente, il suo genere di lotta. Esso era risultato completamente nuovo ed inatteso tanto ad Afdo quanto a coloro che facevano da spettatori nell'affollato circo. Tio, consapevole che sarebbe stato un autentico suicidio il tentare di abbattere quel gigante con la sola forza delle braccia, era ricorso all'agilità delle sue gambe molto mobili per operare un simile miracolo. Perciò, ad evitare il rischio di qualche loro accidentale presa da parte di Afdo, aveva anche cosparso di olio le sue membra. Con tale accorgimento, esse subito gli sarebbero sgusciate di mano, ogni volta che l'avversario casualmente fosse riuscito ad agguantarle.

Dunque, grazie alle sue solide gambe, che presentavano dei tricipiti e dei quadricipiti femorali davvero molto sviluppati, il giovane Tio aveva messo a punto il meglio della sua preparazione nella lotta e nelle arti marziali. Tutto a un tratto, lo si era visto operare delle rapide e scattanti piroette, le quali erano apparse agli occhi di tutti i presenti qualcosa di inafferrabile e di stupefacente. Di quelle mosse, lo stesso Afdo non era riuscito a rendersi conto fino al termine del combattimento. Esse di continuo erano sfuggite ai suoi occhi increduli, a causa della imprendibilità delle loro ripetute azioni fulminee. Tali giravolte, naturalmente, non erano rimaste fine a sé stesse; ma avevano avuto come obiettivo l'atterramento simultaneo del colosso, durante ogni loro esecuzione. Il gigantesco lottatore, infatti, era stato investito reiteratamente da una coppia di calci bene assestati, che il giovane gli aveva sferrato al centro del petto. Giungendogli a ripetizione, i calci erano stati in grado di atterrarlo con molta facilità, come se si fosse trattato di un vero peso morto! In una sola circostanza, Afdo era stato capace di afferrare il giovane per i piedi, esattamente dopo aver subito il terzo atterramento e si era appena rialzato da terra. Ma il suo tentativo di tenersi l'avversario ben stretto, mentre era in quella posizione di scomodo, aveva fatto cilecca. Egli li aveva visti sgusciargli di mano in modo sorprendente, come se fossero state due anguille. Era stato in quella occasione che, sia quanti assistevano all'incontro di lotta sia lo stesso Afdo, si erano resi conto del motivo, per cui Tio aveva unto di olio l'intero suo corpo. Allora gli spettatori avevano gioito sommamente dell'astuto espediente, al quale era ricorso il loro idolo per non farsi abbrancare dall’avversario.

Alla fine, dopo il ventesimo atterramento, il colosso Afdo non aveva avuto più la forza di rizzarsi in piedi e di riprendere ancora il combattimento. Il motivo è presto detto. Il gigante si era ritrovato con la cassa toracica traumatizzata, se non proprio sfondata. Inoltre, l'ultima coppia di calci gli aveva colpito il volto, procurandogli molto male agli occhi, al naso e alla bocca. Allora, preso atto del suo brillante successo riportato anche nella lotta, il sovrano di Dorinda aveva dichiarato Tio il vincitore assoluto delle cinque gare, riscuotendo il plauso generale delle acclamanti folle del circo. Esse avevano voluto tributargli gli onori per lungo tempo, come nessuno mai ne aveva riscosso nelle arene edelcadiche.

Da parte sua, la regina Lurella aveva voluto ringraziare il giovane, per la gloria e l'onore che egli aveva saputo procurarle, specialmente per averle fatto guadagnare il titolo di "Primadonna dell'anno". Ma ella non aveva voluto accettare i cinque ricchi premi che erano in palio in quelle gare, avendo ritenuto giusto che essi fossero assegnati alla ragazza del giovane. Perciò alla graziosa Luta erano andati in premio un meraviglioso monile di perle, un bracciale d'oro stupendo, un prezioso diadema d'argento che era tempestato di rubini, un anello di inestimabile valore con sopra incastonato uno splendido zaffiro e un peplo di seta purissima dai riflessi variamente ondeggianti. Quest'ultimo, che presentava diverse sfumature policrome, recava sul drappeggio della spalla sinistra una fila di incantevoli ametiste, le quali lo rendevano veramente particolare e molto grazioso alla vista.