113°-GLI ANNI TRASCORSI DA TIO NELL’EREMO DEI TAI

Giovanissimo, quando non aveva ancora ventidue anni, Tio era già salito alla ribalta prima nella città di Dorinda e dopo anche nell'intera Edelcadia, dove era stato molto apprezzato e veniva considerato il più grande maestro d'armi di quel tempo. Al giovane, che si dimostrava imbattibile nella scherma, nel tiro con l'arco e nel lancio del giavellotto, nonché nelle arti marziali, in pochi giorni era capitato di entrare nelle grazie del re Kodrun. Costui gli aveva affidato l'apertura nella sua città di numerose scuole d'armi. Il sovrano, infatti, era intenzionato a farvi apprendere il buon uso delle armi a tutti i giovani di Dorinda, oltre che far conseguire agli stessi allievi una discreta conoscenza del nuovo tipo di lotta corpo a corpo. A ogni modo, almeno sotto il regno del re Kodrun, l’una e l’altra gli avevano procurato la gloria ed una ingente fortuna, la quale faceva vivere lui e i suoi familiari in grande agiatezza.

In precedenza la vita di Tio aveva avuto uno svolgimento interessante, che poteva definirsi quasi fiabesco. Grazie ad esso era riuscito a raggiungere una preparazione culturale e una perizia d'armi eccezionali. Egli aveva rappresentato l'unico figlioletto di una giovane coppia di sposi che, per poter sostentarsi, erano costretti a girare da un estremo all'altro della vasta regione edelcadica. Il padre faceva l'arrotino ambulante, un mestiere che gli consentiva a malapena di sbarcare il lunario; però assicurava alla sua famigliola una vita alquanto decorosa. Invece la madre, da brava moglie, seguiva il marito nei suoi vari spostamenti da un luogo all'altro, i quali avvenivano sempre per questioni di lavoro. Seguendolo e standogli accanto, la donna gli era utile in quelle faccende che di regola erano di competenza prettamente del gentil sesso. Ella lo accompagnava anche per tenergli un'ottima compagnia e per addolcirgli le notti con il suo fervido amore. Perciò, elargendoglielo in abbondanza, lo rendeva assai felice. Dunque, Tio aveva trascorso parte della sua fanciullezza, girovagando con i suoi genitori, i quali, sempre per buscarsi da vivere, erano costretti a spostarsi di continuo da una città all'altra dell'Edelcadia. Essi percorrevano infinite contrade e piccoli centri rurali che stavano fuori mano, unicamente per necessità e non perché erano dei perditempo girovaghi. Per sopravvivere, i poveretti erano di continuo alla ricerca di gente che aveva bisogno di fare affilare le proprie armi, oltre che fare arrotare arnesi agricoli ed utensili casalinghi.

Va fatto presente che lo sparuto nucleo familiare operava i suoi spostamenti diurni, servendosi di un carretto trainato da un asinello; però ogni tanto era costretto ad effettuare delle soste. Le quali servivano per fare recuperare ai componenti della famiglia, ma in special modo alla bestia, le energie che erano state consumate durante i loro estenuanti tragitti. Quando sostavano in qualche posto, essi vi montavano la loro tenda da campo, che aveva una capienza capace di ospitare tre persone. In quei brevi lassi di tempo, allora il piccolo Tio ne approfittava per scorrazzare giocondo per i campi circostanti, dove si divertiva un mondo. Il bambino alcune volte si dava ad inseguire farfalle; invece altre volte si dedicava all'osservazione di quei minuscoli insetti atteri, che erano di transito per quelle parti dove i genitori avevano montato la loro tenda.

Un giorno la famigliola, dopo aver lasciato la città di Terdiba, era diretta al villaggio di Litios, il quale era a tre giorni di cammino dal luogo in cui essa si trovava. Ma essendo di passaggio dalle parti dell'Altopiano delle Stelle, era stata intenzione del capofamiglia fare in quella zona una sosta di un paio di ore. Approfittando poi dell'assenza del loro bambino, il quale si era dato alle sue solite passeggiate esplorative, allontanandosene di qualche miglio, i due consorti si erano ritirati nella loro tenda di pelle conciata per un semplice motivo. Essendo venuto a manifestarsi in entrambi il bisogno di trascorrere alcuni momenti di dolce intimità, al quale non avevano saputo rinunciare, non avevano perso tempo ad appartarsi per soddisfarlo nel miglior modo possibile. Quando poi erano terminate le loro effusioni amorose, le quali li avevano fatti godere a sufficienza, la donna aveva domandato al marito:

«Zuoco, sai dirmi perché questa vicina altura viene chiamata Altopiano delle Stelle? Oppure non ne sei per niente al corrente? Ma se proprio lo ignori, per me fa lo stesso, poiché rinuncerò a conoscerlo!»

«Invece, Cicta, essendone a conoscenza, rispondo subito alla tua domanda. La chiamano così perché essa dà origine alle stelle, le quali poi vanno a fissarsi sulla volta celeste. Perciò chi capita in questi paraggi durante le ore notturne ha la fortuna di assistere alla loro nascita. Ho sentito dire che di notte, dalla sommità di questa altura, che è ripida a tal punto da non poter essere scalata da nessuno, si levano gli splendenti astri e vanno a collocarsi sulla buia volta celeste. Secondo alcuni, un fatto del genere avviene, solo perché questo altopiano è sacro al dio Matarum! Ma non posso garantirti, moglie mia, che durante la notte tale fenomeno avviene sul serio, come appunto viene riferito dalla gente!»

«Allora, mio caro Zuoco, se mi vuoi bene, devi permettermi di assistere alla nascita delle stelle. Quando vengono generati, penso che i luccicanti occhi del cielo debbano offrire uno spettacolo eccezionale! Perciò, dal momento che oggi ci troviamo proprio in questa località, non ci costa niente protrarvi la nostra permanenza e pernottarvi. Sono sicura che sei d’accordo con me! Se davvero assisteremo alla nascita delle stelle, la quale indubbiamente ci si rivelerà molto attraente e suggestiva, ti dico io cosa avverrà, quando rientreremo in Actina, prima che cominci la stagione delle intemperie!»

«Cosa potrebbe mai avvenire, amore mio? Me lo vuoi far sapere?»

«Racconterò alle mie amiche e alle altre donne di mia conoscenza quale immensa delizia ho provato nell'assistere al prodigioso evento. Vedrai come esse mi staranno ad ascoltare a bocca aperta! Inoltre, sono sicura che si divoreranno per l’invidia, a causa della grande fortuna che mi hai permesso di avere!»

«Allora ascolta quello che ti dico, mia dolce mogliettina. Dopo gli impagabili attimi di felicità che mi hai appena finito di donarmi con dovizia, potrei mai negarti quanto mi hai chiesto? Certamente, no! Perciò questa notte, facendo una eccezione alla regola, dormiremo lontano da un centro abitato, sfidando i pericoli che ci potrebbero provenire da qualche malintenzionato di passaggio. Vorrà dire che proseguiremo domattina il nostro cammino verso il remoto villaggio di Kodrun. Sei contenta?»

«Grazie, amore mio, per avere accolto la mia richiesta! Sono certa che stanotte riceverò da te un dono meraviglioso, che non dimenticherò mai più in tutta la mia vita!»

«Mia cara, come sai, la nostra miseria non mi ha mai permesso di comprarti tante belle cose che avrei voluto regalarti. Allora approfitto adesso della bella occasione per soddisfare il tuo desiderio, anche perché la mia decisione non è condizionata dalla povertà! Per questo, a onta di quella miseria che mi frena nei tanti miei propositi che vorrebbero renderti la vita più spensierata ed interessante, questa notte prepàrati ad assistere estasiata allo stupendo spettacolo celeste. Vedrai che le nascenti stelle del dio Matarum ce l'offriranno senza spendere un soldo di tasca nostra e in maniera superbamente splendida!»

Invece poco dopo, raggiunti ed aggrediti da cinque malfattori senza scrupoli, i due poveretti erano stati barbaramente uccisi e derubati di quelle poche cose che possedevano. Invece la donna, prima di venire martoriata dagli stessi, aveva dovuto subire da loro sevizie di tutt'altro genere! Essi si erano dati ad abusare sessualmente di lei più volte, costringendola anche a rapporti sodomitici e di altro tipo innominabile. Per fortuna, in quella funesta circostanza, il piccolo Tio non stava con loro, per cui si era miracolosamente sottratto alla barbara sorte che aveva accoppato i suoi sventurati genitori, portandoglieli via per sempre.

Un'ora più tardi, quando era ritornato presso il padre e la madre, avendo fatto la macabra scoperta, il fanciullo non aveva potuto risparmiarsi la raccapricciante scena, che i loro corpi trucidati gli offrivano. Ovviamente, la disgrazia toccata all’infelice genitrice, siccome sarebbe risultata da voltastomaco perfino ad un adulto, era apparsa al bambino di una mostruosità incredibilmente assurda! Allora l'immenso dolore, che si era prodotto in lui, gli aveva sconvolto la candida anima e gli aveva infranto il piccolo cuore. All'inizio, Tio, credendoli vivi, si era dato a scuotere ripetutamente i suoi genitori; anzi, si era messo anche a chiamarli con i loro nomi familiari per cercare di svegliarli. Dimostrando poi una commovente ingenuità, si era messo a pregarli di non lasciarlo solo in quel luogo sperduto ed abbandonato dalle persone. Ma poco dopo, alla vista del sangue, del quale si era accorto in un secondo momento, egli prima era arretrato inorridito di alcuni passi, poi gli era venuto un groppo alla gola, infine aveva avvertito una insopprimibile voglia di piangere. Così, facendosi rigare le gote da tiepidi lacrimoni, il poveretto si era dato a dei profondi singhiozzi di pianto, i quali sembravano non voler più smettere.

Il settenne Tio era in quello stato pietoso, quando per sua fortuna era sopraggiunto sul posto un uomo, che era alto due metri ed aveva un paio di spalle possenti. Una lunghissima barba incolta gli faceva dare molti più anni di quanti realmente ne avesse. Di fronte a quella scena terribile, la quale si mostrava vomitevole e raggelante allo stesso tempo, egli si era turbato a non dirsi. In vita sua, non gli era mai capitato di trovarsi davanti ad una efferatezza uguale a quella che era stata perpetrata ai danni delle due ignote persone ammazzate. Ma poi, lasciata da parte la sua tremenda stizza, egli aveva deciso di prendersi cura del ragazzo. Così, rivòltosi a lui con compassione, gli aveva chiesto:

«Piccolo, cosa rappresentavano per te questi due disgraziati assassinati e conciati così male da gente senza scrupoli? Per suscitare nel tuo animo tantissima pena, essi potevano essere soltanto tuoi parenti stretti! Non è forse vero che è proprio come ho pensato e ti ho anche dichiarato? Comunque, pace all'anima loro!»

«Erano i miei genitori. Adesso, per colpa di alcuni uomini cattivi che me li hanno uccisi, essi hanno smesso di esserlo. Perciò, essendo rimasto solo, non so né dove andare né cosa fare in questo posto deserto. Da oggi in poi, chi si prenderà cura di me, che non so neppure in quale modo procurarmi da mangiare in questo luogo privo di gente?»

«Comprendo la tua sofferenza, piccolo uomo. Ma ho bisogno di sapere se nelle vicinanze hai altri parenti, i quali potrebbero accoglierti nella loro casa e badare alle tue cure. Secondo me, ce ne sarà senz'altro qualcuno che possa farlo! Tuo padre e tua madre dovevano pure avere dei genitori e dei fratelli in qualche parte di questo mondo, non potendo essere figli di nessuno! Tu ricordi niente in merito a loro?»

«Dovrei avere i nonni e alcuni zii ad Actina. Ma non so riferirti chi sono, poiché erano tre anni che i miei genitori non mi conducevano a trovarli. Quindi, non essendo al corrente in quale strada essi abitano in tale città, non saprei neppure dove farli cercare da lui, nel caso che qualcuno generosamente volesse darmi una mano!»

«Vedo che la tua situazione è molto triste ed imbarazzante, ragazzo mio!» aveva proseguito a dire il forestiero «Per questo, prima che cali la notte, un rimedio dovrò pur trovarlo per levarti dai guai in cui sei stato lasciato adesso! Tu mi fai tanta pena e hai bisogno di distrarti, di ristorarti e di riposarti. Stando così le cose, non mi resta che condurti via con me, anche se non dovrei, poiché mi viene proibito di farlo. Innanzitutto, però, lasciami seppellire i corpi straziati dei tuoi sventurati genitori, che non rivedrai mai più. Devi sapere che è dovere di ogni anima pia dare sepoltura ai propri simili, in qualunque modo essi siano andati incontro alla morte. Perciò lo faccio immediatamente e volentieri, prima che gli avvoltoi intervengano a divorarseli con famelicità!»

Dopo aver scavato una fossa comune, talmente profonda da contenere entrambe le salme, il gigantesco forestiero si era avvicinato prima a quella dell'uomo, essendo sua intenzione portarla presso la buca e poi lasciarla cadere nella sua cavità. Ma nell’atto di prendere il braccio destro dell'uomo, per cominciare a trascinarlo sul prato e condurlo così alla fossa di sepoltura, egli si era dato ad esclamare con una certa amarezza:

«Per la miseria, egli è Zuoco, il mio amico di infanzia! Poveretto, come lo hanno conciato male quei senzadio! L'ultima volta che l'ho visto è stato tre anni fa, quando l'ho incontrato a Casunna con la moglie Cicta e il loro bambinello. I due poveracci, da persone oneste quali erano, stavano sempre dietro al loro umile mestiere, pur di guadagnarsi lo stretto necessario per vivere. Chi lo avrebbe mai immaginato che il destino avesse riservato ai disgraziati tuoi genitori una fine così orrenda! Peccato che essi siano morti in questa maniera spaventosa!»

Assai compunto, subito dopo l’uomo aveva aggiunto:

«Allora tu saresti il piccolo Tio, quel bimbo paffutello, del quale i miei due amici andavano tanto fieri! Non è forse vero? Non ci voleva proprio questa terribile sventura toccata ai tuoi bravissimi ed onesti genitori, poiché essa adesso ti ha lasciato senza nessuno che badi a te in modo amorevole! Vorrei proprio avere tra le mani i loro assassini per ridurli come so io! Purtroppo essi hanno già tagliato la corda e preso il largo, per evitare l’arresto e la condanna a morte!»

Dopo, atteso che il fanciullo annuisse e gli confermasse quanto aveva asserito, l'uomo, fremente di rabbia a causa dei fatti che erano accaduti in quel posto, aveva continuato a dirgli:

«Anche tuo padre, da piccolo, era rimasto orfano unigenito di padre e di madre! Quanto alla tua mamma, non avendoglielo mai chiesto in nessuna delle circostanze che ci siamo incontrati, non saprei dire a quale casato ella appartenesse. Per cui non mi è possibile tentare di rintracciare i tuoi zii materni. Per te, quindi, le cose si complicano ancora di più. Comunque, puoi considerarti già fortunato, per il fatto che sono stato io ad incontrarti in questi paraggi disabitati e in questa circostanza molto drammatica per te!»

Alla fine, data una degna sepoltura agli sfortunati coniugi, la strana persona si era presa il bambino per mano e si era allontanata da quel luogo, dove erano stati consumati i due mostruosi crimini ai danni dei genitori del piccolo Tio. Poco dopo, l’uomo, insieme con lui, si era dato a percorrere un viottolo che si snodava attraverso enormi massi spigolosi, i quali si trovavano ai piedi dell'altopiano. Superato un miglio del nuovo tragitto, egli, tenendo sempre per mano il ragazzo, si era ritrovato a un passo dalla ripida parete rocciosa della modesta altura. Questa si presentava così ben levigata, da non consentire alcun inerpicamento da parte di nessuno lungo la sua superficie: fosse egli anche il più esperto alpinista! Per tale motivo, essa rendeva impossibile la scalata dell'altopiano da qualunque suo lato la si prendesse in considerazione.

Il barbuto, ad un certo momento, si era introdotto in una fenditura che consentiva il passaggio di una sola persona. Essa si apriva lateralmente ad un ammasso detritico, che la nascondeva in parte con il suo abbondante materiale morenico. Si trattava di un taglio netto scavato nella roccia, largo più o meno un metro, che procedeva parallelamente alla parete per una decina di metri. Dopo, quasi a formare un angolo retto con essa, la crepa si allungava verso l'interno, seguendo un percorso che, a occhio e croce, pareva dirigersi verso il centro dell'altopiano. Allora quella specie di gigante, il quale era sempre seguito dal piccolo Tio, si era dato a transitare per l'intero passaggio nascosto, che restava praticamente segreto agli occhi di tutti. Quando lo aveva attraversato con difficoltà, a causa della sua mole smisurata, egli aveva raggiunto una caverna poco ampia, dove aveva origine un canale artificiale profondo due metri e largo tre. Esso, penetrando nella roccia in direzione del centro dell'altopiano, seguiva una sorta di galleria, la cui parte superiore, che era invasa da ragnatele abitate da grossi ragni, distava un metro e mezzo dal pelo dell'acqua.

Una volta all'interno di quella grotta, l'uomo si era curvato sopra il canale ed aveva affondato il suo nerboruto braccio interamente nell'acqua stagnante. Una volta che lo aveva ritirato dal torbido liquido, la sua mano reggeva una fune, la quale non lasciava intravedere nessuna delle sue due estremità. Essa, però, faceva supporre che un suo capo fosse legato ad un chiodo ad occhiello, il quale doveva trovarsi senz'altro conficcato nel muro, logicamente poco al di sotto della superficie dell'acqua. Ma l'uomo, dopo essersi impossessato del canapo, si era dato a tirare lestamente in superficie l'altro capo nascosto, ossia quello che era legato non al chiodo anulare ma a qualcos'altro. Infatti, egli aveva appunto intenzione di disporre della cosa che era attaccata ad esso. Quando l'altra estremità della corda era affiorata dall'acqua limacciosa, si era constatato che quella cosa era una piccola barca. L'omone, allora, innanzitutto l'aveva capovolta, svuotandola del suo contenuto liquido; in seguito si era affrettato a sganciarla dalla fune e a rimetterla nel canale. Ma prima di calarsi in barca insieme con il neo orfanello, il gigante buono aveva lasciato ricadere la fune sott'acqua, dimodoché essa restasse celata a quegli occhi indiscreti, che per puro caso fossero capitati in quel posto. Poi, servendosi della sua pertica, che egli usava pure come ottima arma da difesa, il misterioso personaggio si era messo a remigare pacatamente, dirigendosi verso la parte più interna della buia galleria. Da parte sua, il ragazzo lo seguiva accondiscendente e senza stupirsene.

Superati da loro i cento metri del canale, essi si erano trovati all'imboccatura di un enorme antro, dove avevano sgombrata la barca, per cui l’uomo aveva potuto trarla fuori dell’acqua. Ma, al termine di tali due operazioni, l’adulto si era recato presso una nicchia scavata nella roccia e vi aveva prelevato una lanterna ad olio. Poi, in un attimo, ne aveva acceso lo stoppino mediante alcune scintille che aveva ottenuto, percuotendo una pietra focaia con un acciarino. In seguito a tale accensione, egli si era messo il ragazzo sulle spalle e si era avviato per un'angusta scala a chiocciola. Essa conduceva sulla sommità dell'altopiano, esattamente dopo tremilatrecentotrentatré gradini, i quali si presentavano abbastanza agevoli. Comunque, in tutta la lunghezza della scala, essi avevano un’altezza e una profondità di venti centimetri.


Una volta raggiunta la cima del modesto rilievo, l'accompagnatore del ragazzo era stato circondato da una dozzina di uomini aventi età diverse; ma avevano tutti una barba lunga come la sua. Dopo essersi assembrati intorno a lui con estrinsecazioni gioiose, essendo intenzionati a fargli una gran festa, essi si erano messi a gridargli:

«Allora, tà Katù, come è andata la tua discesa al luogo del peccato? Gli uomini della terra si sono ancora ravveduti oppure continuano a peccare tremendamente, alla vecchia maniera? Siamo lieti che tu abbia superato anche questa volta la tua prova! Ma vorremmo sapere dove hai trovato questo ragazzo dagli occhi tristi, che sanno rivelare solo sofferenza e angoscia! Allora ci riferisci ogni cosa sul tuo viaggio e su di lui?»

«Tai miei carissimi,» egli aveva iniziato a rispondere ai suoi interlocutori «il mondo non è mutato neppure un poco, almeno per quanto concerne la condotta degli uomini, poiché essa, restando sempre sull'onda del male, seguita a peggiorare. Ci sono poi alcune persone incoscienti e malvagie, le quali offendono il nostro divino Matarum con orrendi peccati. Perciò ci tocca moltiplicare le nostre preghiere e rendere ancora più rigorose le nostre penitenze. Altrimenti, verrà a scatenarsi l'ira dell'eccelso Matarum sugli uomini della terra, la quale li annienterà tutti, come già fece con il maligno Strocton. Io credo che siamo molto vicini al giorno in cui è stato vaticinato l'avvento delle temute divinità malefiche fra i popoli dell'Edelcadia. Esse, come è stato scritto, soggiogheranno le popolazioni edelcadiche e terranno in scacco perfino il nostro divino Matarum, fino a neutralizzarlo e ad oscurarne la potenza e la gloria! Preghiamo, dunque, perché tutto questo venga evitato!»

Allora i presenti, mostrandosi spaventati, gli avevano chiesto in coro:

«Tà Katù, davvero dici che il male sta allignando tra gli uomini così tanto, che presto neppure la nostra eccelsa divinità saprà porvi riparo? Possibile che essi siano tanto testardi e malaccorti, da farsi piovere addosso una sventura così tremenda? Allora sarà la fine per tutti noi e per l'umanità! Cambiando discorso, del bambino cosa puoi dirci, visto che hai omesso di rispondere alla parte di domanda che lo riguardava?»

«Sappiate, tai miei, che anche questo fanciullo è rimasto vittima del morbo del male. Il quale va dilagando ovunque a macchia d'olio e si va radicando, giorno dopo giorno, in un numero di anime sempre crescente. Dovete sapere che alcuni predoni gli hanno ucciso entrambi i genitori, facendolo diventare un orfano infelice. Avreste dovuto vedere con quali orribili crudeltà quei delinquenti li hanno seviziati! Quando sono stati consumati i due tremendi misfatti, di sicuro essi avrebbero ucciso anche il ragazzo, se egli si fosse trovato insieme con loro. Ma il misericordioso Matarum, per disegni soltanto a lui noti, ha voluto che il ragazzo scampasse a tale pericolo e venisse poi trovato da me, quando ne aveva un gran bisogno! Perciò, fratelli miei, ridiamoci a pregare senza mai smettere, poiché l'umanità oggigiorno ne ha tanto bisogno!»

A quel punto, il tà, che aveva raccolto il bambino, si era dato a raccontare ai suoi confratelli presenti le svariate peripezie, alle quali era andato incontro nella sua vita tra gli uomini. Esse, essendogli capitate durante le sue peregrinazioni nel luogo del peccato, lo avevano messo a dura prova. Ma egli le aveva affrontate e superate con animo forte. Al termine della sua narrazione, tutti i tai lo avevano ascoltato, rallegrandosi per la sua nuova vittoria sulle avversità incontrate. Anzi, vi avevano preso parte e si erano immedesimati con esse spiritualmente. Invece uno solo di loro, senza peli sulla lingua, era intervenuto a rimproverarlo, con l'intenzione di morderlo con le seguenti parole:

«Tà Katù, hai però commesso una grave mancanza nel condurre quassù il bambino. Lo sapevi che la regola vieta in modo tassativo la presenza di minorenni fra di noi. Qui sono ammesse soltanto le persone maggiorenni, dopo aver fatto un approfondito e solido esame della propria coscienza. Inoltre, deliberatamente esse devono aver deciso di non volere più sapere niente della vita mondana e di essere fermamente intenzionate a dedicarsi con fervore all'eterno Matarum. Dunque, prima di fare ritorno presso la nostra comunità monastica, avresti dovuto lasciare il fanciullo in consegna a delle persone dabbene, pregandole di ospitarlo nella loro casa e di allevarlo, secondo i sacri insegnamenti della nostra religione! Ecco ciò che avresti dovuto fare, se non volevi metterti contro le regole, che vigono nella nostra comunità!»

«Non ragionare in questo modo, tà Bibò! Lo sai benissimo che quanto hai affermato era impossibile metterlo in pratica. Ammesso che avessi voluto fare come hai detto, non avrei trovato alcun centro abitato nel raggio di molte miglia! Oltre a ciò, avevo scoperto che il piccolo sventurato era il figlio di un mio carissimo amico di infanzia. Devi sapere che un tempo io e suo padre Zuoco ci siamo divisi le amarezze della vita, oltre che spartirci le speranze più belle e i sogni più fantastici! A proposito, fratello mio spirituale, non sei anche tu convinto che qui in mezzo a noi, più che altrove, egli crescerà sano sia nel fisico che nello spirito? Vuoi dirmi quale famiglia mi avrebbe potuto dare una garanzia del genere? Secondo me, proprio nessuna! Quindi, se vuoi farmi un favore, fai tacere quella tua lingua pungente, la quale si mostra sempre pronta ad ammonire e a redarguire chicchessia! Bada invece anche tu a fare del tuo meglio, affinché in avvenire il ragazzo abbia nella nostra sana comunità la migliore educazione possibile!»

«Ben detto, tà Katù! Sono anch’io d’accordo con te!» lo aveva approvato con tono imperioso una voce, la quale era provenuta dalla bocca di un antro situato lì vicino «Io ti dico che hai fatto bene a condurre il ragazzo quassù, per cui hai la mia completa approvazione! Inoltre, ti garantisco che la tua decisione ti è stata dettata dall'onnisciente Matarum, il quale sa sempre quello che fa in ogni suo provvedimento!»

Dalla bocca dell'antro, infatti, stava venendo fuori un altro uomo, che aveva una barba più lunga degli altri. Si vedeva benissimo che egli era abbastanza avanzato in età e di sicuro anche il più vecchio di quella piccola comunità. Il nuovo tà non si era soltanto limitato a pronunciare quelle poche parole di manifesto assenso. Nello stesso tempo, lo si era visto altresì avvicinarsi claudicante al gruppo dei tai che stavano discutendo insieme all'aperto. Dopo averli raggiunti, aveva asserito loro:

«Tai miei, saremo noi ad allevare questo fanciullo, poiché questa è la volontà della somma divinità dell'Edelcadia. Perciò gli faremo apprendere tutto quanto un giorno egli dovrà insegnare a chi ne necessiterà per salvare la regione edelcadica dalla Forza del Male. Sono convinto che il presente ragazzo è quello di cui parlano i testi sacri del nostro archivio. I tomi in esso conservati, come ben sapete, ci sono stati tramandati dai nostri confratelli, che ci hanno preceduti negli ultimi mille anni, mettendo a nostra disposizione uno scibile davvero straordinario. Secondo quanto si apprende da uno di tali testi, egli insegnerà ciò che avrà appreso da noi a quel principe, il quale è predestinato a sconfiggere il morbo del male. Esso, tra non molto, verrà ad attecchire nelle anime della maggioranza degli Edelcadi. Il libro di tà Bortù, che fu il fondatore della nostra confraternita, vaticina appunto che un giorno un tà avrebbe condotto in mezzo a noi un fanciullo, il quale si sarebbe corroborato alla fonte del grande sapere in nostro possesso. In seguito egli avrebbe preparato, nel suo alto compito di difendere il bene e di sconfiggere il male, quel principe che è predestinato a salvare l'Edelcadia dalle insidie delle preponderanti forze malefiche.»

«Tà Ziolì,» gli aveva chiesto tà Bibò «chi ci assicura che il nostro trovatello è davvero il ragazzo, di cui parlano i nostri testi sacri? Potresti anche sbagliarti, a tale riguardo! Lo hai messo in conto?»

«Invece è proprio lui, tà Bibò, perché il libro di tà Bortù fornisce anche una caratteristica del tà, che ci avrebbe condotto il ragazzo sull'altopiano. Riferendosi a lui, esso parla di un tà gigantesco, qual è appunto il nostro tà Katù. Per cui noi, quali strumenti dei disegni del divino Matarum, mettiamoci subito all'opera ed insegniamogli tutte quelle materie di studio che abbiamo appreso dai testi sacri del nostro millenario archivio. Grazie ad essi, che le illustrano e le approfondiscono in modo encomiabile, tutti noi siamo diventati dotti nelle varie discipline. È anche scritto che il nostro ospite temporaneo dovrà lasciarci al compimento del suo ventesimo anno di età. Perciò ogni disciplina ed ogni arte dovranno essergli trasmesse, prima che il ragazzo compia i venti anni. Dopo egli dovrà lasciare questo nostro romitaggio, essendo obbligato a fare ciò, pur contro la sua volontà. Da parte mia, mi adopererò per insegnargli l'arte dello scrivere e del parlare bene, nonché lo preparerò nella cultura in genere.»

«Invece io gli insegnerò i vari tipi di lotta corpo a corpo e le arti marziali. Così egli diventerà imbattibile nelle une e nelle altre, oltre che nel pugilato! Vi garantisco che, alla fine della sua ottima preparazione, Tio non avrà rivali in tutta l'Edelcadia, a parte il suo allievo.» tà Katù aveva imitato il suo superiore a favore del ragazzo.

«Da me il fanciullo apprenderà sia l'astronomia che ogni materia scientifica, come la matematica e la logica. Così egli imparerà a ragionare, nonché avrà sempre una mente sveglia e recettiva al massimo.» aveva aggiunto tà Bibò. Il quale, dopo essersi ricreduto, non era più contrario al fatto che il piccolo Tio restasse in mezzo a loro.

«Anch'io non me ne resterò senza far niente nei suoi confronti, per cui sarò lieto di fare anche la mia parte nell'essergli utile al pari di voi. Gli insegnerò le cinque discipline che sono in grado di rendere un uomo saggio. Esse sono precisamente la filosofia, la teologia, la pedagogia, l'etica e la politica.» si era proposto anche tà Sinù.

«Invece io farò di lui un campione insuperabile nell’uso delle armi, specialmente nella scherma, nel tiro con l’arco e nel lancio del giavellotto, oltre che un grande maestro nel loro insegnamento ai suoi futuri allievi. Così egli diventerà bravo in tali cose, come nessun altro uomo al mondo!» si era offerto generosamente tà Milù.

«Io lo aiuterò a diventare un eccellente artista, facendogli apprendere, con le tecniche più appropriate e più all'avanguardia del nostro tempo, le quattro arti sorelle. Le quali non possono essere che la poesia, la musica, la pittura e la scultura.» era intervenuto anche tà Luanì ad offrirgli la sua opera formativa e anche nobilitante.

«Il figlio dell'amico di infanzia di tà Katù apprenderà da me i vari mestieri, in modo che egli possa dimostrarsi autosufficiente nell'ambito della famiglia.» si era fatto avanti tà Filù, abbracciando il ragazzo ed accarezzandogli paternamente una guancia.

«Da parte mia, gli trasmetterò tutti quei vari trucchi che gli consentiranno di diventare un esperto ed abile cacciatore. Così egli non si lascerà mai sfuggire la selvaggina, dopo che l'avrà scovata ed inseguita durante la caccia.» si era espresso tà Lukò, mostrandosi assai lieto di farlo, trovando il ragazzo molto vispo e simpatico.

«A me cosa toccherà insegnargli, se non l'arte dei...» aveva cominciato ad esprimersi per ultimo tà Fucò, convinto che gli sarebbe stato permesso dal suo superiore.

Egli, infatti, era sicuro di non stare a dire niente di male, poiché riteneva il suo mestiere uguale a tutti gli altri. Secondo lui, anch'esso aveva il suo lato positivo per taluni aspetti. Ma prima che terminasse di esprimere la sua disponibilità a favore del ragazzo e chiarisse quindi ciò che intendeva insegnargli, come avevano fatto tutti gli altri suoi confratelli in precedenza, il tà più anziano lo aveva subito interrotto bruscamente. Costui, contestandolo all'istante, gli aveva fatto presente:

«Tà Fucò, tu non gli insegnerai un bel niente della tua arte pirotecnica! Se vorrai fare una cosa buona per lui, dovrai tenere il ragazzo quanto più lontano possibile dalla tua fucina. Convinciti che l'arte dei fuochi artificiali non gli sarà per niente utile! Invece, ti sarà solamente permesso di divertirlo di sera con essi. Del resto, già lo fai per tutti i tuoi confratelli. Perciò egli si unirà a noi nel goderseli con sommo piacere!»

«Perché mai, tà Ziolì, solo io dovrò esimermi dall'insegnargli la mia arte? Posso avere un chiarimento in merito, considerato che non condivido in nessun modo la tua opinione?»

«Tà Fucò, poiché un giorno Tio dovrà lasciarci, gli è vietato di imparare la tua arte. Infatti, è scritto che nessuno deve venire a conoscenza di essa, se non è un abitatore a vita di questo altopiano. Ma ti posso anche chiarire il motivo di tale imposizione. L'uomo, non pago del diversivo che gli deriverebbe dalla prodigiosa polvere, non perderebbe tempo a ricavarne altra più potente, al fine di impiegarla per conseguire soprattutto dei fini malvagi. Ossia, si procaccerebbe da essa delle armi terribilmente letali. Allora chissà quali ecatombi orribili si avrebbero nel genere umano! Dopo questo mio chiarimento, avrai senz’altro capito!»

«Tà Ziolì, dopo che ne ho conosciuto le ragioni, farò come mi hai ordinato!» allora gli aveva risposto il tà ripreso, ubbidendo rispettosamente al suo ordine.

Con quell'atto di obbedienza da parte di tà Fucò, l'assemblea dei tai si era infine sciolta. Così ognuno di loro era tornato all'espletamento delle proprie mansioni. Il ragazzo, però, per il resto della giornata, era rimasto sempre con l'amico del padre, che era tà Katù, il quale aveva badato esclusivamente a distrarlo e a rasserenarlo.


Insomma, in quale luogo era capitato il piccolo Tio? Esattamente, in una specie di cenobio, dove i membri della comunità monastica, i quali anteponevano ai loro nomi il monosillabo "tà", si dividevano in: girovini, che erano quindici, e fermini, di numero imprecisato. Il loro appellativo tà corrispondeva al nostro "frà o frate" ed aveva il suo stesso significato, ossia "fratello spirituale". Al plurale, tale termine diventava "tai". Gli appartenenti alla comunità religiosa in questione, che si davano il nome di Fedeli Servi di Matarum, prima di accedere all'eremo dell'altopiano, davanti a tutti gli altri, dovevano rinnegare ogni rapporto con la vita mondana. Inoltre, dovevano fare giuramento che i loro pensieri e le loro azioni sarebbero stati in funzione dell'esaltazione della loro potente e gloriosa divinità protettrice.

Quel romitaggio era stato fondato da tà Bortù, un profondo studioso dei problemi teologici. Egli aveva anche suggerito di raccogliere in un archivio tutti i volumi che avrebbero contenuto le loro ricerche e i loro studi, dopo aver conseguito le une e gli altri via via nel tempo. Era anche prescritto che ogni anno i tai girovini dovevano trascorrere venticinque giorni fra la gente mondana, alternandosi così nell'arco dell'anno. Con quel loro viaggio, il quale era da ritenersi una specie di esclaustrazione dei giorni nostri, essi dovevano misurare la loro forza di rinuncia e di abnegazione verso l'abbandonato mondo delle tentazioni peccaminose. Il ritorno del tà all'altopiano della purificazione significava che egli era ben temprato nella viva forza spirituale, quella che l'austera esistenza da eremita gli aveva fatta acquisire. Tà Katù ritornava appunto da una delle sue prove periodiche, quando era capitato davanti a quella scena straziante dei suoi due amici ed aveva recuperato il piccolo Tio. Il quale era diventato orfano da appena qualche ora.

Ogni volta, al fine di festeggiare i due tà, ossia quello di ritorno e quello di partenza, si indiceva un giorno di festa. Al termine di una intera rotazione dei tai che si alternavano nelle loro uscite, siccome mancava un giorno al completamento di un anno, esso veniva consacrato interamente al divino Matarum. In quella circostanza, si commemorava la sua vittoria su Strocton con cerimonie religiose fino a mezzogiorno e con divertenti giochi durante il pomeriggio. Quando l'anno era bisestile, si avevano due giornate da consacrare al loro dio. A tale riguardo, bisogna far presente che i tai girovini erano quelli che uscivano dal romitaggio e giravano per il mondo per misurare la loro fede. Invece i tai fermini erano quelli che, per la loro età avanzata, non se la sentivano più di affrontare un viaggio simile. Per cui essi se ne restavano sull'altopiano per il resto dei loro giorni, dedicandosi soltanto alla fervida preghiera.

Così, per il secolare ospite Tio, gli anni erano trascorsi in studi fecondi, in esercitazioni ginniche, in lezioni d'armi, in approfondimento dello spirito umano e nell'apprendimento dei mestieri. Si trattava di discipline, che i testi dell'archivio presentavano con una trattazione approfondita. La quale ne agevolava una loro esauriente strutturazione, tanto sul piano teorico quanto su quello pratico.

Tio aveva compiuto il suo ventesimo anno di età, quando tà Ziolì, che era il decano dei cenobiti, lo aveva fatto chiamare presso di sé. Egli intendeva comunicargli delle cose molto importanti, le quali probabilmente gli sarebbero risultate assai spiacevoli. Perciò, dopo che il giovane gli si era presentato davanti desideroso di conoscere ciò che egli aveva da dirgli, il più vecchio dei tai gli aveva fatto il seguente discorso:

"Figliolo caro, è giunto il momento della tua separazione da tutti i tai, i quali hanno rappresentato la tua famiglia fino ad oggi, dopo che i tuoi genitori furono barbaramente uccisi. Purtroppo, non puoi più restare presso di noi, anche se ti vogliamo un bene da morire e, da parte tua, ce ne vuoi altrettanto. Ti metto a conoscenza che ti attende una vita diversa dalla nostra, la quale ti si presenterà con due volti differenti: quello del bene e quello del male. Ovviamente, troverai più accattivante il sentiero che conduce al peccato; ma tu saprai scegliere quello giusto, infervorato come sei dei nostri sacri principi religiosi e morali, i quali oramai si sono radicati in te. Partirai senza denaro, senza un cavallo, senz'armi, solo con una bisaccia contenente cibo ed acqua bastevoli per soli tre giorni; ma ti accompagneranno la nostra benedizione e la tua indiscussa bravura. Oramai possiedi tutti quei mezzi necessari, che ti permetteranno di conquistare onori, ricchezze e gloria. Non hai da temere alcuna cosa da niente e da nessuno. Noi siamo convinti che te la caverai sempre magnificamente, poiché ti abbiamo allevato ed educato che meglio non si poteva, sotto tutti gli aspetti della vita terrena.

Dunque, incammìnati con serenità per i sentieri di quell'esistenza, per la quale ti abbiamo incessantemente preparato. Prima di lasciarci, però, devi farci una solenne promessa. In riconoscenza di quanto abbiamo fatto per te, non dovrai mai svelare a nessuno la presenza del nostro romitaggio sopra questo altopiano. Inoltre, ti consegno quest’armilla di bronzo, che dovrai portare sempre al braccio sinistro. Un giorno incontrerai l’eroe della profezia, al quale trasmetterai tutto il nostro sapere. Solo a lui rivelerai l’esistenza del nostro romitaggio, dal momento che dovrai incaricarlo di riportarmi indietro questo cerchio serpentiforme. Così comprenderò che la nostra opera, grazie a te, è andata a buon fine. Inoltre, come è previsto, il suo arrivo tra di noi segnerà anche la mia morte, poiché porrà fine alla mia inusitata longevità. Solamente dopo che ci avrai giurato che farai entrambe le cose per noi tuoi benefattori, come segno di gratitudine per tutto quanto abbiamo fatto per te, potrai congedarti dai tuoi valenti maestri! Oltre a ciò, non ho più niente da riferirti e da chiederti, mio bravissimo Tio."

Era stato così che il ventenne giovane, dopo aver giurato che avrebbe sempre rispettato i loro voleri, aveva abbracciato e salutato calorosamente i tai del romitaggio uno alla volta, prendendo commiato da tutti loro con le lacrime agli occhi e commosso come non mai. Essi lo avevano cresciuto tra affetti incredibili e gli avevano trasmesso il loro intero sapere, attraverso una disciplina ferrea. Si erano dimostrati perfino intransigenti, quando si era trattato di foggiare il loro allievo nelle varie aree formative. Nello stesso tempo, gli si erano mostrati affettuosi e comprensivi, divenendo i suoi cari amici che giammai avrebbe dimenticato.

Siccome non gli era stato indicato alcun luogo come meta da raggiungere, il giovane aveva camminato a zonzo per otto lunghi giorni. Si era fatto trasportare alla cieca dalle sue forti e solide gambe, senza aver mai incontrato anima viva sul suo percorso. Soltanto allora i morsi della fame e della sete, nonché la stanchezza, lo avevano assalito con irresistibili attacchi, incrudelendo contro di lui a tal punto, da portargli via le ultime esili forze. Infine, stremato fino all'inverosimile, lo sfortunato giovane Tio era crollato al suolo privo di sensi.