112°-TRA I FAMILIARI DEL DEFUNTO BABBOMEO

Mentre Zelio ed Ucleo si mostravano impazienti di recare alla madre la bella notizia che la banda di Kuercos era stata sterminata ad opera di coloro che erano stati anche i loro salvatori, la misera donna si trovava in una situazione che faceva molta compassione. A partire dalla sera precedente, la sventurata era stata presa da un'apprensione terribile, la quale era più che giustificabile. Essa l'aveva torturata per l'intera nottata, fino a rendergliela interminabile e tormentata come non mai. Dopo aver perso ogni speranza di rivedere i suoi figli, a causa del loro mancato ritorno serale a casa, ella si era ritrovata con uno stato d'animo indicibilmente agitato e penoso. Se lo si approfondiva di più, esso riusciva a suscitare un senso di sentita pietà perfino nelle cose inanimate circostanti, a cominciare dalle pietre. La madre dei due giovani, infatti, non appena aveva visto calare le tenebre senza scorgere in lontananza alcuna ombra dei suoi figlioli, come era avvenuto ogni volta all’imbrunire, aveva iniziato a preoccuparsi seriamente per loro. Innanzitutto si era tuffata in un mare di brutti pensieri, il più orribile dei quali era stato quello di considerare i suoi due ragazzi vittime dell’inesorabile Kuercos e, di conseguenza, perduti per sempre. Un fatto del genere aveva potuto solo agitare maggiormente le già mosse acque del suo animo scosso. A tale proposito, la donna si era pure immaginato l'atroce martirio, a cui lo spietato predone li aveva sottoposti. Per la quale ragione, ne aveva tremato in modo ossessivo e ne aveva provato un terrore agghiacciante.

In verità, la speranza di riabbracciarli non si era spenta totalmente in lei. Anzi, in continuazione e con fervore, la poveretta aveva implorato il misericordioso Matarum di permettere ai suoi due gioielli di fare rientro alla loro dimora e di rasserenarla, come le altre volte. Essi oramai, dopo la perdita del suo indimenticabile consorte, rappresentavano l’unico scopo, perché ella continuasse ad esistere in quel mondo in cui già era stata provata in modo esorbitante. Quando poi le ore notturne si erano date a presentarsi con la loro snervante lentezza, in quella notte di ossessione e di sconcerto, alla madre di Zelio e di Ucleo era sembrato che il tempo si fosse arrestato per sempre. Perciò la buona Luta aveva trascorso la notte tra brevi ed estenuanti dormiveglia, nonché spezzoni di sogni tinti di macabro orrore, i quali erano quelli che la stessa sua ansia terribile le aveva procurato. Senza dubbio, il suo amore materno era risultato qualcosa di sovrumano e di indescrivibile, in quelle ore notturne dipinte di buio e di lugubre! Durante le quali, la donna aveva vissuto una delle esperienze più tragiche e più allucinanti della sua vita. Difatti la sventurata donna aveva sofferto fino all'inverosimile, mentre si tormentava e si torturava l'animo, come non le era mai capitato prima.

La consorte di Tio si era data perfino ad ossessioni che le avevano fatto rasentare il delirio, se non proprio la follia vera e propria. Nei momenti di relativa calma, invece, ella aveva seguitato ad implorare la benigna divinità edelcadica, perché all'istante le facesse comparire davanti i suoi due giovani figli, pur essendosi nel cuore della tenebrosa notte. Soltanto quando l'alba aveva accennato a rifare la sua apparizione nel cielo, la poveretta era stata sorpresa da un profondo sonno, il quale, per sua fortuna, le aveva recato anche un sogno magnifico. A un tratto, le era apparso davanti agli occhi l'amato marito. Egli, mostrandole un viso sereno, continuava a sorriderle con un'aria pacata e soddisfatta. A quell'apparizione repentina, la donna non aveva esitato a riprenderlo con un tono di voce, il quale riusciva ad esprimere soltanto la propria collera verso di lui. Perciò si era data a rimproverarlo:

«Dove ti eri cacciato, Tio, in tutto questo lunghissimo tempo, se è lecito saperlo? Lo sai che sei mancato terribilmente a me e ai tuoi ragazzi, come neppure immagini? Ti sembra ragionevole che, senza avvisarci, tu sia sparito dalla circolazione, non facendoci più avere alcuna notizia di te? Possibile che, durante la tua assenza da casa, non ti sia mai dato il minimo pensiero di aver lasciato tua moglie e i tuoi figli in gravi difficoltà sia affettive che economiche? Io mi sono chiesta senza mai smettere perché ti eri comportato in quel modo; però non ho mai saputo darmi una risposta logica e comprensibile. Lo vuoi sapere perché? Ogni volta non ho potuto fare a meno di considerare il tuo allontanamento ingiustificato ed inconcepibile! Ebbene, marito mio, visto che adesso sei qui, mi permetto di rivolgerti le medesime domande, perché ho il diritto di avere una risposta per ciascuna di loro! A tale riguardo, spero che esse giustifichino il tuo atto inqualificabile che, fino a prova contraria, reputo assurdo sotto ogni punto di vista!»

«Mi dispiace, mia cara e dolce Luta, per l'immensa sofferenza che, mio malgrado, vi ho arrecato. Ma non sono stato io a volerlo: credimi! Tu lo sai quanto adorassi sia te che le nostre creature. Perciò mai mi sarei allontanato da voi, neanche per tutto l'oro del mondo! Devi sapere invece che la mia lontananza da casa era già stata decretata dalle eccelse divinità, naturalmente non per punirci, bensì per altri seri scopi. La mia presenza era indispensabile altrove, cioè lì dove avevo da condurre in porto una missione di vitale importanza, della quale un giorno beneficeranno tutti i popoli edelcadici. Mia cara, sappi, che, avendo salvato il suo futuro salvatore e avendogli trasmesso la totale mia cultura, oltre che la mia impareggiabile perizia d'armi, posso affermare di aver contribuito a salvare di nuovo la futura Edelcadia e il mondo intero. Questa volta, però, da un pericolo ben più grave di quello rappresentato dai Berieski! Adesso mi comprendi, soave consorte mia, dopo questo chiarimento che ti ho fatto, il quale ti era dovuto?»

«Invece, Tio, le tue parole mi hanno fatto capire soltanto un bel niente; però voglio sperare che tu sappia quello che dici e che non mi stia ingannando! Adesso mi preme metterti al corrente che i nostri figli ieri sera non sono rincasati dal pascolo con il gregge e ho le mie buone ragioni di credere che essi si trovino in serio pericolo. Tu devi andare a cercarli immediatamente, devi condurli qui da me sani e salvi, prima ancora che il cuore mi si schianti sotto il petto o che il cervello mi diventi folle dal dolore! Ecco quanto è necessario che tu sappia, mio amore adorabile, perché tu corra a salvarli all'istante!»

«Non temere per loro due, mia affettuosa Luta, dal momento che i nostri ragazzi sono già sulla via del ritorno e molto presto li vedrai anche rincasare. Essi, grazie al mio tempestivo e provvido intervento, non corrono più alcun pericolo e tra poco li riavrai tra le tue braccia. A questo punto, debbo lasciarti e non posso fermarmi un minuto di più a discorrere con te. Non me lo consente la nuova realtà, della quale sono entrato a far parte di recente. Addio, moglie mia carissima, ed abbracciami i nostri due cari ragazzi, quando tra poco rincaseranno con le pecore!»

Mentre il marito si allontanava e svaniva nel nulla, l'afflitta donna si era messa a gridargli forte alle sue spalle:

«Tio, te ne prego: non lasciarmi da sola e resta con me per sempre! Lo sai anche tu che sento la tua mancanza in modo tremendo e non posso vivere senza la tua preziosa compagnia! Se non lo vuoi fare per me, almeno fallo per i tuoi figli Zelio ed Ucleo, ai quali manchi ancora più di me! Essi continuano a chiedermi di te ogni giorno!»

Gridando in quel modo, l'agitata Luta si era svegliata di soprassalto e si era anche resa conto che il sole era già sorto. Anzi, fuori la sua abitazione esso si era dato ad irradiare ogni cosa con il suo fulgore solenne, fino a far trapelare i suoi raggi dorati attraverso alcuni spiragli della sua porta sprangata. In verità, lo splendente astro a lei era venuto ad illuminare soltanto la martellante ossessione che aveva riposto nel dimenticatoio, ma per il solo breve tempo che si era addormentata ed aveva sognato. Essa, in quel momento, senza alcuna pietà, aveva ripigliato ad avvolgerla nella sua rete intessuta di cupe ed opprimenti preoccupazioni. Per questo motivo, ogni afflizione e ogni ambascia avevano ripreso a martoriare l'infelice donna alla stessa maniera di prima. Infatti, crudamente la stavano ricacciando nel parossismo dell'angoscia più esacerbante. La quale adesso si dimostrava demolitrice ed annientatrice di quella serenità, che era sempre appartenuta al proprio animo.

Nelle prime ore del mattino, l’esulcerata Luta versava in tali pessime condizioni, mentre i suoi due figli erano prossimi a raggiungerla insieme con i loro salvatori. Ella, però, non poteva immaginare che, da un istante all'altro, la sua vita avrebbe avuto una svolta positiva. La quale finalmente l'avrebbe tirata fuori dall'inferno in cui era finita in breve tempo la sera precedente. Inoltre, essa le avrebbe trasformato in modo radicale l’esistenza, facendola smettere di essere fosca e consentendole di diventare rosea come una volta. Poco tempo dopo, infatti, l'abbattuta donna seguitava ad avere davanti agli occhi la triste visione del marito che l'abbandonava, facendola soffrire perciò in maniera inesprimibile, quando le parve di percepire delle voci, le quali, se non si ingannava, provenivano da molto lontano. A rifletterci bene, esse somigliavano proprio a quelle dei suoi due amorevoli figlioli. In un primo momento, Luta, non credendo possibile una evenienza del genere, rimase convinta di stare ancora a vivere il sogno che aveva appena fatto ed era anche svanito. Per cui si credette suggestionata dalle parole che aveva udite in sogno dal marito, il quale le aveva assicurato che i suoi figli erano sulla via del ritorno e presto sarebbero stati a casa.

Continuando poi a provenire dall'esterno le medesime voci, le quali sembravano avvicinarsi sempre di più e farsi udire con maggiore forza, le venne spontaneo tendere bene le orecchie e porre attenzione ad esse. Ella, voleva essere certa che non si fosse trattato di un mero inganno imputabile alla sua facile suggestionabilità del momento. Fu così che la disperata vedova, con somma contentezza, udì gridare fuori nitidamente: "Mamma! Mamma!" In quelle grida gioiose, la sconsolata donna subito riconobbe i suoi due amabili figli. Perciò, senza alcun freno, ella si buttò ansiosa dal letto. Dopo, indossato un abito preso a caso ed aperta la porta, si riversò senza indugio fuori di casa. Dall'uscio allora scorse in lontananza Zelio ed Ucleo, i quali correvano festosi e giubilanti verso di lei. La felice Luta, da parte sua, mostrando un volto sfolgorante, li imitò con altrettanto slancio. Nel farlo, ella parve essere più veloce di una lepre. Quando infine si furono raggiunti, fra lei e i suoi due figli, traboccarono caldi abbracci e commoventi lacrime di gioia.

Alcuni attimi dopo, i tre gioiosi familiari furono raggiunti anche da Iveonte, Francide, Astoride e Murzo. Essi allora provarono una grande tenerezza, nello scorgere una felicità così immensa e vibrante sui loro volti; anzi, tutti e quattro apparivano come se fossero risuscitati in preda ad una intensa ed indicibile commozione! Venuti poi meno nella madre e nei figli quei momenti fortemente emotivi, Zelio, non volendo attardarsi oltre a farlo, poiché lo riteneva importantissimo e necessario, si sbrigò a presentare alla madre le persone che avevano appena fatto la loro presenza in quel luogo. Perciò gioiosamente le disse:

«Quelli che vedi, dolce mamma, sono i nostri magnanimi salvatori! Se non fosse stato per loro, Kuercos a quest'ora ci avrebbe già trucidati senza misericordia ed avrebbe anche fatto scempio dei nostri corpi, come già aveva fatto con gli altri pastori incontrati il giorno precedente, dei quali ti avevamo già parlato ieri! Te lo rammenti? Sono sicuro di sì!»

Il figlio Ucleo, pure lui colmo di felicità, indicandole Murzo, aggiunse:

«Vedi, mamma, l'uomo ferito? Ebbene, egli era uno dei predoni di Kuercos, il quale adesso ha deciso di cambiare la sua vita e di dedicarsi ad opere di bene. Il suo ravvedimento e il suo pentimento lo hanno salvato all'ultimo istante, prima di perire come tutti gli altri che appartenevano alla sua banda. Ma ora, come puoi renderti conto, egli ha bisogno delle tue cure preziose, che sapranno guarirlo in breve tempo!»

Luta restò abbastanza stupita, dopo quanto aveva udito dalla bocca di Zelio. Ella non riusciva a rendersi conto come la numerosa e feroce banda di Kuercos fosse stata sgominata da quei soli tre giovani, che mostravano meno anni dei suoi figli. A suo parere, probabilmente il suo primogenito non si era saputo spiegare bene in merito; oppure era stata lei ad intendere male le parole da lui. Allora, per avere conferma di ciò che era convinta di avere udito male dalle labbra del figlio referente, la donna si affrettò a domandare ai suoi ragazzi:

«Mi dite, figli miei, chi ha distrutto la banda del predone Kuercos? Forse questi tre nobili giovani hanno altri numerosi amici distanti da qui, i quali li hanno aiutati nell'aspra lotta contro la terribile banda? Per favore, ragazzi, chiaritemi ogni cosa sulla bella vicenda che vi ha salvati, dal momento che sono molto ansiosa di apprenderlo al più presto!»

«Invece, madre, non li ha aiutati proprio nessuno.» all'istante le rispose Zelio «Essi sono esattamente quanti ne vedi, cioè soltanto tre: nemmeno uno di più! Pur essendo di numero così esiguo, i nostri salvatori hanno fatto fuori quella che sembrava una banda invincibile, oltre che essere feroce e spietata! Avresti dovuto vederli in azione! Quando combattono, si dimostrano delle vere tigri! Ecco perché hanno avuto facilmente la meglio sul branco di lupi rappresentati dagli uomini di Kuercos, sbranandoli senza alcuna difficoltà. A tale riguardo, io ed Ucleo ti confessiamo che la loro magnifica scherma ci ha fatto perfino chiedere se il nostro valoroso genitore sarebbe stato altrettanto bravo quanto lo sono stati loro tre nell'arduo cimento. Pensa che i nostri generosi benefattori, di loro spontanea volontà, hanno affrontato la banda di Kuercos, al fine di liberarci da essa. Così facendo, hanno anche riscattato questi territori dal flagello dei numerosi predoni. Come puoi constatare di persona, essi hanno portato a termine la loro lotta con brillante successo!»

«Senza dubbio, figli miei, i vostri salvatori si sono dimostrati degli ottimi combattenti; ma siate certi che sull'insuperabile valore del vostro genitore non si discute! Sappiate che schermitori uguali a lui non ce ne sono mai stati nell'intera Edelcadia. Oso anche pensare che mai ce ne saranno in avvenire! Perfino alcuni sovrani chiesero a vostro padre di dargli delle lezioni di scherma. D'altro canto, è innegabile che l'impresa compiuta dai vostri giovani amici è meritevole della mia massima stima. Comunque, anche se essi hanno dimostrato un eroismo eccezionale, giammai potrò stimare il mio invincibile Tio inferiore a loro tre, sia nel maneggio delle armi che nelle arti marziali, nelle quali egli era espertissimo. Invece oggigiorno, in tutta la regione edelcadica, pochissimi si possono considerare provetti nelle arti che vi ho menzionato!»

Poi la donna volle giustificarsi con i tre giovani, chiarendosi con loro:

«Vi assicuro, giovanotti, che, con la mia esagerata fiducia nel valore di mio marito, non ho inteso neanche lontanamente sminuire il vostro. Se per caso io vi abbia dato questa impressione contro la mia volontà, vogliate allora scusare e perdonare questa malaccorta donna. Invece sappiate che non mi basterà neanche una vita di cento anni per riuscire a ringraziarvi di quanto avete fatto per i miei figli! Qualunque madre farebbe per voi chissà che cosa, per averle salvato i due unici figli da morte certa e per averglieli riportati a casa sani e salvi! Dunque, non voglio comportarmi da meno. Perciò vi ringrazio di cuore oggi e vi esprimerò la mia gratitudine per il resto della mia vita, fino a quando la mia mente sarà in grado di farlo, anche perché questo sarà il mio dovere!»

«Non devi ringraziarci di nulla, brava donna.» gli rispose Iveonte «Per noi è stato un grande piacere adoperarci per il bene e punire tutti coloro che se lo meritavano!»

«Si vede che siete delle persone generose e caritatevoli, voi tre. Ma adesso, anche se siamo una famigliola povera, giammai la nostra povertà ci impedirà di offrirvi una calda accoglienza e una ospitalità cordiale. Perciò, da questo momento, la nostra umile casa è e sarà sempre a vostra disposizione. La vostra presenza in essa giammai potrebbe risultarci imbarazzante; ma sarebbe sempre accolta come una fiamma, che emana intorno a sé calore e letizia. Quindi, se non avete altri impegni altrove, vi prego di sistemarvi per sempre presso di noi; così fareste una impagabile compagnia ai miei due figli. Essi sono cresciuti lontano dai loro coetanei e sono stati educati da me nella semplicità, nella bontà e nell'onestà. Vi garantisco che sono molto fiera della nobiltà e della generosità del loro animo, le quali virtù possono soltanto onorarli per l'intera loro esistenza, come avviene in pochi giovani della loro età!»

All'invito della madre dei due ragazzi da loro salvati dal predone Kuercos, Iveonte, essendo propenso ad accettarlo, le rispose pure a nome degli amici e di Murzo:

«Grazie, virtuosa donna, per l'ospitalità che ci offri a lunga scadenza. Invece noi approfitteremo della vostra generosità solo per pochi giorni, poiché i nostri intenti sono ben altri. In noi c'è molta premura di cercare quanto prima delle persone care, delle quali non conosciamo neppure i nomi. Ad esse intendiamo recare ogni bene, che ci sarà consentito dalle nostre possibilità. Per quanto riguarda la somma fiducia che hai manifestato di riporre in tuo marito, lungi dall'irritarci e dall'offenderci, essa è venuta a suscitare in noi esclusivamente dei sentimenti di stima nei suoi confronti. Per questo l'abbiamo ammirata e, nello stesso tempo, abbiamo invidiato l'uomo che ebbe la fortuna di unirsi in matrimonio con la tua persona. Potessimo anche noi incontrare e sposare una donna che andasse fiera del proprio consorte, allo stesso modo che tu hai fatto con il tuo! Ti giuro che ne saremmo assai lieti!»


Dopo averli accolti nella sua modesta abitazione, la virtuosa Luta si diede a preparare per gli ospiti un pranzo coi fiocchi, incurante della loro esigua scorta di provviste alimentari, per la qual cosa il giorno dopo la dispensa sarebbe ritornata ad essere ancora magrissima. Secondo lei, quello era un giorno speciale, anzi eccezionale, per cui bisognava festeggiarlo nel migliore dei modi. Ella inviò perfino il figlio Ucleo alla posteria di Irlone per farvi acquistare dell'ottimo vino e dei datteri molto squisiti. Il piccolo emporio era distante meno di quattro miglia dalla loro casa. Naturalmente, il figlio di Luta avrebbe barattato il tutto con un agnello ancora lattante. Per fortuna adesso c'erano anche i molti cavalli che erano appartenuti ai predoni di Kuercos, i quali erano stati radunati e portati via con loro dopo l'uccisione dei predoni. Il secondogenito di Luta si servì appunto di una di tali bestie per andare a sbrigare la piccola commissione ricevuta dalla madre presso il loro amico Irlone.

Intanto che si industriava nell'arte culinaria, non volendo sfigurare di fronte ai sei adulti maschi molto affamati, l'attiva donna trovò anche il tempo di dare una occhiata alla ferita di Murzo. Era sua intenzione disinfettarla e medicarla, come solo lei sapeva fare. Invece rimase sbalordita nel trovare la ferita dell'ex predone già medicata, come anche lei avrebbe fatto. Erano state impiegate pure le stesse erbe officinali, alle quali era solita ricorrere nelle sue medicazioni! In verità, Luta non diede a divedere per niente il suo stupore a quanti la seguivano nelle sue manovre. In lei, c'era il vago sospetto che fosse stato il suo primogenito ad eseguire quella medicazione, anche se non lo aveva mai considerato capace di fare un intervento simile. Ma per averne la conferma ed accertarsene di persona, ella, non appena le capitò l'occasione giusta, con una scusa qualsiasi, chiamò in disparte il figlio maggiore e gli chiese:

«Non è vero, Zelio, che sei stato tu a medicare la ferita dell’ex predone di Kuercos? Certo che è stato così, non potendo essere altrimenti! Per questo mi compiaccio con te per la bella medicazione eseguita!»

«Mamma, come avrei potuto medicare la ferita dell'ex predone? Lo sai anche tu che il sangue mi fa molta impressione e, alla sua vista, potrei anche svenire, se non prendo le opportune precauzioni! Inoltre, dovresti saperlo che non capisco un'acca di medicine e di medicazioni, dal momento che non ho mai voluto interessarmi ad esse!»

«Allora, Zelio, mi dici chi è stato a farlo, se non è stata opera tua?!»

«È stato Iveonte, il giovane dalla fulva chioma. Ma perché hai voluto saperlo, madre mia? La sua medicatura forse non ti ha soddisfatta? Se è così, il poveretto che colpa ne ha? Egli non è mica un medico! Lo sai che è soltanto un pastore, come i tuoi figli! Per nostra fortuna, ha altre qualità il nostro ospite, quelle che gli hanno permesso, insieme con i suoi amici, di avere ragione della banda di Kuercos e di salvarci!»

«Se te l'ho chiesto, Zelio, c'è un motivo. Egli ha eseguito la medicazione con la stessa tecnica che sono abituata a praticare io. Come tu sai benissimo, fu tuo padre ad insegnarmela! Adesso hai compreso dove intendo arrivare con il mio discorso, anche se ciò per me risulta incomprensibile? Comunque, per il momento ci conviene soprassedere!»

«Solo adesso ho capito, madre! A Iveonte, però, non potrà essere stato di sicuro il babbo ad insegnarla! Se fosse stato così, egli saprebbe anche chi siamo noi. Invece, come hai sentito, sono altre persone che essi dovranno cercare altrove. Perciò ne deduco che egli l'avrà imparata da qualcun altro, il quale conosceva la materia con la stessa bravura del nostro carissimo congiunto. Trovi forse errato il mio ragionamento?»

«Probabilmente sarà come dici tu, figlio mio, per la semplice ragione che non può essere altrimenti. Quindi, per la nostra tranquillità, ci conviene lasciar perdere, mangiandoci e bevendoci sopra, senza cercare di approfondire almeno in questo istante il mistero. Perciò ora torniamo dai nostri preziosi ospiti, prima che essi si annoino da morire!»

Alla fine del pranzo, tutti i commensali si sentirono abbastanza sazi, poiché il cibo era stato abbondante ed eccellente. Soprattutto gli invitati furono soddisfatti dell'ottima cucina della bravissima Luta, per cui, l'uno dopo l'altro, si complimentarono con lei ed apprezzarono i pregi che ella aveva dimostrato di avere nell'arte culinaria. Subito dopo seguirono a tavola una serie di reciproche domande e di altrettante risposte relative ad esse. La quale conversazione scaturiva dal fatto che ciascuno di loro cercava di apprendere dagli altri una infinità di cose. Principalmente, essi desideravano avere dei chiarimenti su taluni lati oscuri della loro vita. Questi si andavano affacciando alla loro mente, intanto che spaziavano nei più disparati argomenti e si andavano moltiplicando i quesiti nella loro calda conversazione. La quale era stata da loro aperta a causa della grande curiosità che era venuta ad aversi in ciascuno.

Il primo ad aprire il dialogo fu Zelio. Egli, indirizzando la sua domanda ad uno dei suoi tre salvatori, gli domandò:

«Si può sapere, Iveonte, ieri da dove siete sbucati fuori voi tre con il vostro gregge? Eppure, se siete dei normali pastori come noi e non degli esseri divini, sono costretto a pensare l'impossibile. Cioè, che voi siate venuti fuori proprio dalla foresta, considerato che non vi si è mai visti da queste parti! Inoltre, nel mattino, non sono state riscontrate tracce del vostro gregge nei luoghi da noi frequentati. Perciò vorrei conoscere la vostra risposta, in merito a tale particolare, il quale mi è poco chiaro!»

Iveonte, mostrandoglisi con il sorriso sulle labbra, gli rispose:

«Invece, Zelio, pur non essendo noi delle divinità, siamo venuti fuori proprio dalla foresta, dove Francide ed io siamo vissuti fin da bambini, insieme con il nostro Babbomeo. Il quale è l'uomo che ci ha cresciuti fino alla nostra età matura. Dopo egli è rimasto vittima dei selvaggi della foresta e noi, essendo stati consigliati da lui stesso, abbiamo deciso di abbandonare quei luoghi e di trasferirci così in una città. Per Francide e per me, il nostro Babbomeo è stato un eccellente maestro d'armi e un grande educatore. Perciò, se in vita lo abbiamo onorato con il cuore, adesso che è morto, lo venereremo per tutta la vita con la mente. Quanto al nostro amico Astoride, egli non è vissuto sempre con noi, poiché sono pochi giorni che lo abbiamo conosciuto. Di preciso, si è unito a noi, dopo che lo abbiamo liberato dalle tribù dei Chironti e degli Scinnes, che abitavano il Castello Maledetto. In esso, egli sarebbe stato ucciso il giorno dopo, se il nostro intervento non fosse stato tempestivo!»

«In verità» intervenne a dire Luta «non si direbbe per niente che voi siate vissuti sempre in una foresta. Il vostro parlare e il vostro fare, sotto ogni aspetto, sono quelli di persone di grande levatura morale ed intellettuale. Perciò nessuno vi prenderebbe per rozzi pastori, come tanti altri. In riferimento alla cultura dei miei figli, che anche sono guardiani di ovini, se non uguaglia la vostra, almeno si presenta discreta!»

«Non poteva essere diversamente, Luta, siccome il nostro Babbomeo era un uomo di cultura, oltre che essere un provetto maestro d'armi, come già vi ho detto prima.» acconsentì Iveonte, manifestando in pari tempo una infinita venerazione per il loro esimio educatore che era scomparso da poco, in seguito ad una morte tragica.»

«Ora avete qualche idea precisa sulla città dove intendete condurvi? Oppure non sapete nemmeno questo?» gli domandò ancora la donna.

Ma prima di attendere la sua risposta, ella gli aggiunse:

«Le città più vicine, Iveonte, naturalmente tenendo come punto di riferimento la nostra casa, sono Terdiba, Casunna e Dorinda. Ma quest'ultima è la più lontana delle tre. Per raggiungerla in minor tempo, bisogna risalire verso nord, sempre fiancheggiando la foresta. Comunque, sono portata a credere che abbiate già una meta da raggiungere, se intendete recarvici: non è forse vero, valorosi e nobili giovani?»

«A dire il vero, Luta, non ne abbiamo nessuna!» le rispose il giovane «Il nostro Babbomeo ce ne stava indicando una, poco prima di morire, ma senza riuscire a pronunciare il suo nome. Da lui avevamo avuto la sola indicazione che dovevamo dirigerci verso nord per raggiungerla. Invece è successo che nell'intricata foresta abbiamo perduto l'orientamento. Così, quando ne siamo usciti, ci siamo ritrovati in un posto differente, esattamente sul cammino dei tuoi figli. Per cui quest'oggi ignoriamo la città che il nostro amato Babbomeo aveva tentato di indicarci, prima di morire.»

«È stato meglio così, Iveonte!» intervenne a dire Ucleo «Altrimenti chi avrebbe salvato mio fratello Zelio e me dal maledetto Kuercos? Per noi è stata un vero miracolo la vostra apparizione, direi quasi un dono della provvidenza del divino Matarum. Egli, a quanto pare, ha voluto vegliare su di noi e sulla nostra carissima madre!»

«Ritornando alla città che non siete riusciti a raggiungere,» la brava donna si introdusse ancora nella conversazione «per me non ci sono dubbi che si tratti proprio di Dorinda, la quale è pure la città natale dei miei figli. È possibile pervenire ad essa dopo almeno sei giornate di lunghe galoppate. Quindi, è in quel luogo che dovrete recarvi, se volete cercarvi i cari parenti del vostro Babbomeo!»

«Sì, penso anch'io che possa essere soltanto Dorinda la città, alla quale il nostro Babbomeo ha voluto riferirsi ed indirizzarci.» accondiscese il giovane «Perciò è lì che ci dirigeremo, dopo che ci saremo congedati da voi. Speriamo di trovarci a nostro agio in quella città, dal momento che ignoriamo del tutto come si possa vivere in una qualsiasi città della vasta regione edelcadica! Ci contiamo!»

«Per quanto riguarda il gregge, Iveonte, mi dici come intendete regolarvi, dal momento che avete deciso di condurre un differente stile di vita in una città, nel vostro caso in Dorinda? Di sicuro non potete condurla insieme con voi!» fu la nuova domanda della donna, la quale aveva fatta poi seguire dalla sua giusta considerazione.

«Dato che abbiamo stabilito di andare a vivere a Dorinda e non c'è un'altra alternativa, gentile Luta, ci toccherà proprio venderla. Sennò non sapremmo che cosa farcene; anzi, essa ci creerebbe soltanto una montagna di problemi. Con il ricavato della loro vendita, avremmo pensato di acquistare le armi che ci mancano e tre armature di ottima fattura. Inoltre, ci sono anche i familiari del nostro Babbomeo, con i quali è nostra ferma intenzione disobbligarci sia pecuniariamente che in qualsiasi altro modo essi avessero bisogno. Nei limiti delle nostre possibilità, come è giusto ammettere!»

«Se voi non conoscete nemmeno i nomi dei suoi familiari, Iveonte,» intervenne questa volta Ucleo ad esprimere la sua opinione «mi dici come farete a chiedere di loro per rintracciarli? Perciò, ammesso che essi vivano in Dorinda, come farete a riconoscerli? Se posso esprimervi il mio modesto parere, l'obiettivo, che intendete raggiungere, è cosa molto ardua, per non dire impossibile. Ma penso che questo vostro Babbomeo, almeno in qualche circostanza, vi abbia pur dato qualche indizio sulla sua famiglia. Se faceste uno sforzo di memoria e ve lo ricordaste, esso vi aiuterebbe a rintracciarla con minore difficoltà. Magari egli vi avesse fatto il nome almeno di un componente della sua famiglia! In questo modo, vi avrebbe facilitato il compito di trovarla!»

«Da lui, Ucleo, non ci sono mai stati forniti degli indizi o fatti dei nomi, per motivi a noi sconosciuti! Da come parlava, Francide ed io riuscimmo ad intuire che egli, oltre alla moglie, doveva avere pure due figli. Solamente in fin di vita, dietro mia forte pressione, il poveretto si decise a fare il nome della consorte. Ma la morte, che ormai lo incalzava, glielo troncò tra le labbra, prima ancora che egli riuscisse a scandirlo per intero. Perciò sappiamo soltanto che il nome della sua indimenticabile compagna inizia con le lettere L e U, ossia con "Lu". Ecco cosa conosciamo dell'intero suo nome!»

Allora Ucleo, mostrandosi molto interessato alla vicenda dei tre giovani che riguardava l'ipotetica famiglia di Babbomeo, non perse tempo a chiedere a sua madre:

«Mamma, vuoi dirci quali sono i nomi di donna, i quali iniziano con Lu? Tu dovresti conoscerli quasi tutti, sia perché sei una donna sia perché sei vissuta a lungo nella città di Dorinda! Allora, se non ti dispiace, perché non provi ad elencarceli tutti?»

«Figlio mio, ci sono parecchi nomi che iniziano con "Lu". Abbiamo Lurella, Lucella, Ludania, Lusia, Luria, Lurchina e qualche altro nome, che in questo momento non mi sovviene. Inoltre, c'è anche il mio, che è Luta. Ma anche se si conoscesse il vero nome della donna che i nostri meravigliosi ospiti cercano, non so come essi farebbero poi a trovarla. Infatti, bisogna tener conto che in Dorinda ciascuno dei nomi da me citati poco fa è stato dato per lo meno ad un centinaio di donne. E forse anche di più, se non mi sbaglio! Come vedi, figlio mio, il problema resta veramente difficile da risolvere!»

«È vero.» approvò Iveonte, rivolgendosi ad Ucleo «Tua madre ha proprio ragione. Per noi, quindi, voler trovare la famiglia del nostro benefattore sarà come cercare un ago in un pagliaio. Ma ugualmente non disperiamo di trovarla, essendo convinti che sarà lui stesso a metterci sulla pista giusta. Alla fine, così, saremo in grado di trovare sia sua moglie che i suoi due figli maschi. Ne sono certissimo! Perciò non è il caso di preoccuparci tanto per tale vicenda, poiché essa, prima o poi, avrà uno sbocco sicuramente positivo!»

«Insomma, Iveonte,» fu la constatazione di Ucleo «se non sbaglio, tu e i tuoi amici dovrete mettervi alla ricerca di una famigliola che ha le stesse caratteristiche della nostra, cioè composta da una madre vedova e da due figli orfani! Magari fossimo noi tre le persone che dovrete cercare! Per noi sarebbe una grandissima fortuna!»

«Hai perfettamente ragione, Ucleo! Le nostre ricerche dovranno riguardare una famiglia identica alla vostra!» gli confermò Iveonte.

Allora Francide, intervenendo nella conversazione, aggiunse:

«Ucleo, se fosse proprio la tua famiglia quella che sarà nostra intenzione cercare, non esiterei a farti dono della mia spada. Essa un giorno è appartenuta al carissimo Babbomeo, il quale, in questo caso, verrebbe ad essere tuo padre. Anzi, farei di più per te, se lo vuoi sapere. Ti insegnerei pure il suo perfetto uso, come egli lo ha insegnato ad Iveonte e a me, nei lunghi anni che siamo vissuti insieme con lui! Contento?»

Così dicendo, il giovane allungò la mano al suo fianco, come per impugnare l'arma che portava sempre con sé. Ma non avendo trovato la spada al suo posto, dovette ritrarre il braccio, senza che la sua mano reggesse qualcosa. Con quel suo gesto, che era andato completamente a vuoto, egli fece ridere e divertire i suoi amici Iveonte ed Astoride. Ma prima che il giovane si fosse potuto scusare con gli astanti, Ucleo era volato fuori di casa e stava già rientrando con la spada di Babbomeo. Egli, avendo seguito il gesto di Francide ed avendone previsto un esito nullo, si era ricordato di aver intravisto l'arma appesa alla sella del suo cavallo. Perciò era corso fuori rapidamente con l'intento di recuperarla e di portarla al suo legittimo proprietario. Una volta giunto sull'uscio di casa, Ucleo ne varcò la soglia come un fulmine. Comunque, egli vi rientrò, tenendo bene in vista l'arma e tenendola in pugno, in modo che tutti potessero scorgerla senza la minima difficoltà. Raggiunto infine il suo possessore, si diede a ricordargli:

«Francide, se poco fa ho inteso bene le tue parole, questa è la spada che mi regaleresti: non è vero? Da parte mia, se ci tieni a saperlo, ne sarei contentissimo. Soprattutto mi mostrerei orgoglioso di venire in possesso della spada di mio padre!»

Nello scorgere la sua elsa, Luta sgranò tanto di occhi, come se stesse assistendo a qualche prodigio. L'arma la fece trasalire e anche la scombussolò emotivamente; anzi, le mandò perfino in dissesto la calma e la serenità, quelle che prima stavano trionfando in lei. Restando poi nel suo squilibrio psichico, ella si teneva fuori dalla realtà, per cui in quel suo stato di trance non poté captare l'assenso di Francide dato al figlio, poiché la realtà le era sfuggita di mano. Quando infine si fu liberata da quel suo stato carico di emotività, cosa che avvenne nel volgere di pochi attimi, la donna si riallacciò alla realtà. Così, in preda alla grande emozione e sbalordendo tutti quanti i presenti, esclamò al figlio:

«Ucleo, il condizionale non è più d'obbligo. Adesso la spada ti appartiene, considerato che poco fa Francide te l'ha regalata! Essa apparteneva a tuo padre ed ora ne sei diventato il legittimo proprietario! Finalmente mi è chiaro quanto ho sognato alle prime luci dell'alba, figli miei. Sì, il vostro genitore mi è venuto in sogno e, alle mie preoccupazioni per voi, mi ha rassicurata che voi sareste ritornati presto, dichiarandomi che egli aveva già provveduto a trarvi dal pericolo che incombeva su di voi. Senza dubbio, è stato lui ad inviare in vostro soccorso questi tre giovani salvatori. Vostro padre Tio era il più grande schermitore dell'Edelcadia e maestro d'armi valentissimo. Io gliela regalai il giorno delle nostre nozze. Sulla sua impugnatura ci sono le lettere T, L, Z e U, che sono le iniziali di Tio, Luta, Zelio ed Ucleo. La Z e la U furono aggiunte successivamente, nei giorni della vostra nascita. Se date un'occhiata alla sua elsa, potete accertarvi che quanto ho asserito è conforme al vero!»

Alle parole di Luta, Francide pregò subito Ucleo di porgergli la spada. Dopo che l'arma si trovò nelle sue mani, egli si mise subito ad esaminarne l'impugnatura. Allora su di essa poté davvero scorgere, in caratteri molto piccoli, i quattro segni grafici ai quali aveva fatto riferimento l'emozionata donna. La vista di tali lettere, che mai prima di allora erano state notate né da lui né dal suo amico Iveonte, infuse molta gioia nel giovane. Perciò egli, gioendo a non dirsi, incominciò a dichiarare:

«Luta, ci sono davvero le quattro lettere, alle quali ti sei riferita un attimo fa. Ciò vuol dire che i miei amici ed io non dovremo neppure dare inizio alla ricerca dei familiari del nostro Babbomeo, risparmiandoci parecchia fatica e i molti affanni, che sarebbero dovuti derivarci da essa. Ormai sappiamo con sicurezza che essi e voi siete le medesime persone. Quindi, potendo considerarci membri della stessa famiglia, ora ci siete immensamente cari e faremo per voi tutto ciò che ci sarà possibile!»

«È vero, Francide,» commentò anche Iveonte «non ci sono dubbi a tale riguardo! Costoro, che ci sono davanti, sono i veri familiari del nostro Babbomeo, i quali perciò diventano nostri parenti acquisiti! Anche nel sogno fatto da me ieri pomeriggio, Babbomeo mi si è voluto esprimere chiaramente. Mi ha detto che era stato lui ad avviarci per il nuovo percorso e mi ha anche esortato a riprendere subito il nostro cammino, poiché altrimenti i suoi figlioli non si sarebbero salvati. In seguito, al momento giusto, il nostro maestro si è premurato pure di avvertire in sogno la moglie, rassicurandola di avere aggiustato per bene le cose e che i suoi figli non correvano più alcun pericolo da parte di nessuno. Così, pur vivendo nell’altra esistenza, il nostro Babbomeo ha voluto darsi da fare per salvare i suoi figli dal crudele Kuercos.»

Finito di parlare all’amico, Iveonte si rivolse alla donna e le disse:

«Gentile consorte del nostro indimenticabile Babbomeo, noi ti saremmo infinitamente grati, se tu volessi raccontarci della vita del tuo carissimo marito. Desideriamo sapere ogni cosa su di lui, cioè tutto quanto egli fece per sé e per gli altri, prima di votarsi all'eremitaggio e di sparire per sempre dalla circolazione. Cambiando radicalmente la propria vita, da una parte, arrecò parecchio male a voi; dall'altra, invece, procurò molto bene a Francide e a me, facendoci diventare quello che oggi siamo, ossia delle persone preparate in ogni campo dello scibile umano ed esperti nelle varie armi.»

«Sono a vostra disposizione, arditi giovani. Per voi, che conservate il cuore, l'anima e l'intelletto di mio marito, nonché siete i salvatori dei miei due figlioli, non c'è cosa al mondo che non farei! Da quest’oggi voi rappresentate per me altri due figli, non meno cari del mio Ucleo e del mio Zelio. Perciò cercherò di accontentarvi come meglio posso, narrandovi ogni cosa del mio Tio e del vostro Babbomeo, che sono la medesima persona. Naturalmente, il racconto, che voi mi chiedete, potrà farmi rivivere con rammarico tante pungenti memorie; ma non mancheranno neppure alcuni bellissimi ricordi!»

Così la graziosa Luta diede inizio alla narrazione delle varie vicende, che avevano riguardato il suo scomparso consorte, non omettendovi nessun fatto e nessun particolare a lei noti. Ma poiché ce ne stavano alcuni a lei ignoti, ovviamente per vie traverse, senz'altro si baderà ad integrare con essi la storia dell’illustre personaggio a noi noto. Tale racconto è bene che venga appreso pure da noi, sebbene indirettamente, perché esso ci farà avere un chiaro quadro della vita del magnifico Tio, l’uomo che era stato il saggio maestro in ogni campo dei due amici fraterni Iveonte e Francide.