108°-IVEONTE E I SUOI AMICI SULLE TRACCE DEI FIGLI DI TIO

Alcuni lettori sono curiosi di sapere chi erano i tre giovani pastori, i quali all'improvviso erano sbucati da quella parte del bosco, dove esso diventava una intricata foresta e tendeva agguati mortali a chi vi si avventurava incautamente. Addirittura i nuovi tre pecorai, alla guida di un così cospicuo numero di pecore, sopraggiungevano alle spalle di Zelio e di Ucleo! Secondo l'opinione dei due figli di Tio, quel fatto era da reputarsi inconcepibile, poiché nessun proprietario di pecore, che non fosse affetto da pura demenza, avrebbe condotto il suo gregge in un luogo simile. Sarebbe stata, inoltre, pura follia, se ve lo avesse trattenuto l’intera giornata, sfidando gli infiniti pericoli che vi erano sempre in agguato. Per la coppia di fratelli, ancora più strano risultava il fatto che nel mattino essi, durante il loro percorso, non avevano scorto sul terreno neppure una impronta di un così numeroso gregge; né lo avevano visto arrivare dopo, in nessuna parte del giorno.

Dunque, si trattava forse di un gregge fantasma, il quale veniva condotto al pascolo da autentici spettri amanti della pastorizia? Oppure l'uomo di Kuercos era stato ingannato da una fata morgana, senza che se ne fosse avveduto? Nel qual caso, però, non bisognava prendere in considerazione neppure la terna di pastori, siccome anch'essi nella realtà non potevano esistere. In verità, non si era trattato di nessun miraggio; né tantomeno c’era stato un fantomatico gregge guidato da pastori spettrali, visto che le persone, le quali lo tenevano in custodia, erano dei giovani altrettanto reali quanto loro due. I loro nomi ci sono abbastanza noti e familiari, essendo quelli di Iveonte, di Francide e di Astoride. Avendo intenzione di andare a vivere in quel mondo civile che Babbomeo gli aveva consigliato, i due amici fraterni, una volta abbandonata la foresta, insieme con Astoride cercavano di raggiungerlo senza perdere tempo con la benedizione del loro venerabile maestro.

Visto crollare per sempre il Castello Maledetto, insieme con il quale erano periti tutti i suoi antipatici abitatori, i due allievi del defunto Babbomeo e l'amico da loro liberato da poco se ne erano ritornati là dove stavano i resti della loro abitazione, che dopo era risultata interamente distrutta dalle fiamme. Raccolti poi i pochi cimeli appartenuti al loro Babbomeo, tra i quali l’armilla, essi, alla guida del gregge, erano ripartiti da quel luogo, cercando di seguire la direzione suggerita dal loro amato vegliardo. In seguito, essendo venuta meno la visibilità del cielo a causa dei giganteschi alberi secolari, i tre giovani avevano perduto l'orientamento e non avevano più seguito la giusta direzione. Per tale motivo, essi avevano allungato di alcuni giorni il loro tragitto, poiché si era svolto in sequenza prima attraverso l'habitat forestale e poi attraverso quello boschivo. Quando infine erano venuti fuori dai due ambienti vegetali, i tre amici si erano ritrovati ad attraversare un luogo diverso, il quale si trovava alla parte opposta dei primi due. Essi, quindi, non avevano raggiunto più gli estremi territori meridionali di Dorinda; invece erano pervenuti a quelli remoti nord-occidentali della città di Terdiba.

Nei loro spostamenti, si era messo anche il gregge ad arrecargli un sacco di problemi e di fastidi. Esso, come era da prevedersi, non soltanto si era fatto condurre con difficoltà nella foresta, ma sovente si era attirato addosso anche l'occhio avido di qualche bestia feroce. Comunque, quelle fiere, che si erano dimostrate più pertinaci delle altre nella loro brama di cibarsi dei mansueti ovini, avevano tutte ricevuto un adeguato benvenuto dai loro intraprendenti guardiani. Per prevenire senza difficoltà gli assalti dei temibili felini e quelli dei famelici lupi, Iveonte e i suoi due compagni avevano scelto per il riposo quelle zone dove la vegetazione era risultata più rada. Di notte, invece, essi avevano affidato la custodia delle pecore ad ingenti fuochi accesi, dopo averli piazzati intorno al circoscritto stazzo, distanziandoli tra loro secondo il metraggio che conosceremo tra poco. Per intenderci meglio, ogni volta il recinto in questione era stato formato da un lungo canapo, il quale era stato legato ad alcuni alberi situati intorno al gregge, all'altezza di quaranta centimetri da terra. Quanto alla distanza dei fuochi che accendevano per proteggere il branco ovino, essi erano stati posti ad una distanza di cinque metri l'uno dall'altro. A tale riguardo, occorre far presente che Iveonte e Francide avevano appreso dal loro Babbomeo che le belve temevano i fuochi in maniera fobica. Perciò esse non osavano avvicinarsi a quei luoghi, dove le fiamme si agitavano rossastre, simili a volubili lingue di fuoco e pronte a scottare chiunque le avvicinasse troppo.

Durante le brevi soste, Iveonte e Francide avevano impegnato il loro tempo a dare alcune lezioni all'amico Astoride. Infatti, essi desideravano trasmettergli parte dello scibile da loro metabolizzato, durante la loro esistenza nella foresta. Ma intendevano anche fargli apprendere il perfetto uso delle armi da loro conseguito. Come sappiamo, i due giovani avevano appreso entrambe le cose dal loro eclettico Babbomeo, il quale un tempo era stato per tutti l'illustre maestro Tio. Perciò essi, con spirito altruistico, si erano proposti di portare il nuovo amico al loro stesso livello di preparazione culturale e di perizia d'armi, che avevano conseguito, grazie a colui che li aveva allevati. In merito al citato insegnamento, che era da considerarsi molto utile, i due giovani si erano perfino divisi i compiti fin dal principio. Iveonte si era assunto l'onere di far raggiungere ad Astoride una ottima preparazione nell'uso delle armi e nelle arti marziali. Francide, a sua volta, si era impegnato ad insegnargli a leggere, a scrivere e ad operare con i numeri. Ma sarebbe stato di sua competenza anche il compito di impartire al loro neo compagno tutte quelle nozioni teoriche e pratiche, le quali, come obiettivo, avevano l'acquisizione delle buone maniere che si mettevano in pratica, vivendo in una società civile. Al termine di ogni lezione, ciascun giovane docente avrebbe dovuto anche esaminare il suo discepolo su quanto aveva appreso dal suo collaboratore, al fine di fargli rimediare a qualche lacuna ancora presente in lui. Per tale ragione, Astoride era stato molto sacrificato da loro due, poiché si era dovuto sobbarcare una immane mole di lavoro. Il poveretto era stato tenuto a lezione alternativamente da entrambi gli amici, senza che gli fosse avanzato neppure un minuto di riposo, per potersi concedere almeno una preziosa boccata d’aria.

Quando finalmente i tre giovani avevano superato l'immensa foresta ed era venuta meno perfino la zona boschiva, il sole si trovava alla sua massima altezza. Iveonte, a quel punto, aveva proposto ai suoi compagni di concedersi una nuova sosta di un paio d'ore. Allora essi, senza farselo ripetere due volte dall’amico, all'istante l'avevano accolta con favore, siccome avvertivano la necessità di darsi ad un meritato riposo. Invece, di lì a poco, Francide ed Astoride si erano dovuti disilludere, dal momento che Iveonte ci aveva tenuto a specificare a entrambi:

«In questa sosta, naturalmente, intanto che cerco di schiacciare un dolce pisolo, voi due vi adopererete per portare avanti il vostro programma intellettuale. Ma non dimenticate che, durante la lezione, va anche tenuto sotto controllo il nostro gregge. Nei dintorni potrebbe esserci ancora qualche lupo affamato con intenzioni ingorde e malvagie nei confronti delle nostre miti pecore, visto che esso aspirerebbe unicamente a sbranarle e a divorarsele!»

Detto ciò con il sorriso sulle labbra, il giovane, con il chiaro obiettivo di schiacciarvi un sonnellino, era andato a sdraiarsi sotto un albero, il quale offriva un'abbondante frescura. Egli, però, si era appena appisolato, allorché gli era accaduto di fare uno strano sogno. Esso aveva avuto come contenuto dei fatti quasi reali perché, mentre lo faceva, la realtà e l'irrealtà si erano tenute a braccetto, mescolandosi fra di loro. Dopo che Iveonte era stato colto da un improvviso sonno, gli era apparso davanti il loro Babbomeo. Costui, come gli si leggeva in volto, si mostrava tremendamente mortificato. L'uomo lo fissava, come se desiderasse trasmettergli un suo importante messaggio. Allora il giovane, volendo scoprire di cosa si trattasse, gli aveva chiesto:

«Mi dici, Babbomeo, cos'è che ti turba così tanto? Sei forse adirato contro di noi, per il fatto che non siamo riusciti a seguire la direzione che ci avevi indicata? Io me ne ero già accorto, a causa del maggior tempo che abbiamo impiegato a superare la foresta prima e il bosco dopo. Per questo io e Francide ti chiediamo venia per il contrattempo che avremmo dovuto evitare, ad evitare di trovarci fuori strada!»

«Iveonte, non è questo il motivo, per cui sono in pena!» gli aveva risposto l'anziano uomo «A tale proposito, tengo a farti presente che voi, intelligenti quali siete, non avreste mai sbagliato la direzione che vi avevo indicata. Invece sono stato io a farvi intraprendere il nuovo percorso, per un buon motivo. Ma prima di chiarirti ogni cosa, voglio congratularmi con te e con il tuo amico fraterno, per la gloriosa opera portata a termine nel Castello Maledetto. Adesso, però, se non volete darmi un enorme dispiacere, rimandate la vostra sosta a notte inoltrata e rimettetevi immediatamente in cammino. Altrimenti, l'essermi adoperato da parte mia per farvi incamminare per l'attuale strada, sarà stato un lavoro sprecato! Su, svégliati, Iveonte, perché i miei due poveri figlioli hanno bisogno del vostro aiuto! Se non arriverete in tempo a salvarli, essi verranno brutalmente uccisi da uomini senza scrupoli!»

Iveonte allora si era destato all'istante ed aveva pregato gli amici di rimettersi in cammino senza perdere tempo, promettendogli che avrebbe chiarito lungh'esso il motivo del proprio rapido ripensamento. Quando poi Francide ed Astoride erano venuti a conoscenza del sogno fatto dal loro compagno, non avevano avuto nulla da ridire su quel suo subitaneo contrordine. Anzi, si erano mostrati assai lieti di fare qualcosa di utile per il meritevole defunto, essendosi egli prodigato per Iveonte e per Francide in modo che meglio non si poteva. Così, verso il tramonto, essi avevano raggiunto un luogo, dove avevano potuto notare i segni di un altro ovile, il quale era stato appena rimosso. Perciò avevano deciso di seguire le orme dei pastori, che avevano sloggiato da quel posto da non molto, al massimo da un quarto d'ora. Per cui essi contavano di raggiungerli prima di notte.

I tre amici, dopo appena mezz'ora di cammino, quando il tramonto spadroneggiava ancora sulla natura, arricchendola di una fantasmagoria di colori mai ammirati in passato, avevano scorto un uomo a cavallo, ad appena mezzo miglio da loro. L'ignoto cavaliere, dopo averli spiati per appena cinque minuti dalla sommità di un piccolo poggio, cercando di farlo con una certa circospezione, si era poi sottratto di corsa alla loro vista. Infatti, si era dileguato dietro l'altro versante di quel terreno che si presentava lievemente sopraelevato. In seguito a quello strano episodio, che aveva dato loro molto da pensare, Iveonte e i suoi due amici non avevano potuto dispensarsi dal fare varie considerazioni sull'accaduto. Siccome la celere cavalcata dello sconosciuto era sembrata molto breve, si poteva sospettare che altri suoi amici stessero appostati nelle immediate vicinanze. A loro parere, essi erano pronti ad assalire e a rapinare chiunque si fosse trovato a percorrere quelle contrade deserte! I tre giovani avevano anche azzardato l'ipotesi che i pastori, che li avevano preceduti e che non potevano essere più di due, fossero già stati sorpresi da quei malandrini. Perciò adesso, con ogni probabilità, le stesse persone perverse si erano messe in testa di impadronirsi anche del loro gregge, senza immaginare neppure lontanamente con quali intrepidi guerrieri avrebbero avuto a che fare. Di fronte a tale circostanza, Iveonte, Francide ed Astoride, ad evitare di prendere delle decisioni avventate, avevano ritenuto giusto far precedere una loro breve consultazione sul caso. A tale riguardo, il protagonista del sogno non si era astenuto dal parlare ai suoi due interlocutori in questa maniera:

«Amici, a mio avviso, per il momento non mi sembra opportuno cimentarci con quei predoni, dei quali ci è ignota la reale consistenza. Se il loro numero fosse maggiore di quello che possiamo ipotizzare, con il cielo che già si va imbrunendo, il combattimento verrebbe a protrarsi fino a notte inoltrata. In quel caso, esso si svolgerebbe interamente a nostro svantaggio. Inoltre, se ammettiamo che quelli hanno davvero fatto prigionieri i due pastori che ci hanno preceduti ed ora li tengono ancora vivi presso di loro, sarà nostro dovere liberare prima quei poveretti dai loro artigli e dalla loro furia.»

«Allora, Iveonte,» gli domandò Francide «quale sarebbe il tuo suggerimento ad hoc? Astoride ed io vorremmo conoscerlo.»

«Suggerisco il piano che sto per sottoporre al vostro vaglio. Adesso ci accampiamo in questo posto, accendendo dei fuochi intorno allo stabbio, esattamente come facevamo nella foresta per guardarci e difenderci dalle belve feroci. Dopo aver cenato, ci apposteremo sopra degli alberi, scegliendo quelli che ci possano permettere la migliore sorveglianza dell'ovile. Ma soprattutto essi dovranno garantirci il pieno controllo della situazione, nel caso che degli intrusi questa notte appositamente dovessero venire a farci visita con intenti ladreschi. La nostra scelta, perciò, dovrà cadere su quegli alberi che sono disposti in modo tale, da rappresentare i vertici di un triangolo equilatero. Così, da qualunque parte si tenterà da parte loro qualche azione di sorpresa nel nostro campo, verremo ad essere in due a tenere sotto tiro i malintenzionati. Se lo volete sapere, sono certo che già dopo la mezzanotte un loro commando verrà a farci visita e cercherà di sorprenderci nel sonno e di ammazzarci. Per cui noi lo attenderemo vigili e, quando giungerà il momento, lo riceveremo come si merita. Il mio piano, comunque, non si esaurisce qui, poiché prevede ancora quanto tra poco vi farò presente.»

«Allora parlaci anche della sua parte restante, Iveonte, poiché noi due seguiremo con molta attenzione quant'altro vorrai riferirci ancora su di esso. Solo dopo che ce lo avrai riferito, lo giudicheremo.»

«Ebbene, quello che di noi tre non avrà visita sul lato da lui controllato, non appena ciò avverrà sul terzo fronte, dovrà abbandonare celermente il proprio albero di controllo per attendere ad una diversa mansione. Ossia, egli dovrà aggirare immediatamente i nemici che sono già entrati in azione per impedire che qualcuno di loro lasci vivo il nostro campo. Inoltre, poiché ci occorre fare prigioniero almeno un componente del commando, il quale dopo dovrà darci delle notizie precise sulla loro consistenza e sulla loro dislocazione, sarà necessario che egli venga catturato vivo. Per questo, da parte nostra, non si dovrà cercare di colpire a morte colui che già è rimasto ferito non mortalmente da qualcuno di noi. Una volta che vi ho illustrato in dettaglio quanto restava del mio piano, se lo condividete e non avete da avanzare proposte alternative, oppure non intendete apportare qualche ritocco ad esso, suggerisco di metterci all'opera senza altro indugio.»

Francide ed Astoride erano rimasti molto soddisfatti del piano che aveva ideato il loro amico e lo avevano approvato all'istante. Così, prima che la notte calasse del tutto su esseri e cose, i tre amici si erano adoperati con una certa vigoria, perché ogni cosa fosse messa in atto nei minimi particolari. Quando poi i vari dettagli erano stati curati alla perfezione, i tre giovani audaci, dopo aver consumato una frugale cena, si erano messi ad aspettare con impazienza i loro visitatori notturni. A loro giudizio, essi di sicuro si sarebbero fatti vivi durante la nottata in arrivo.

Da parte sua, Kuercos, proprio com'erano state le previsioni di Iveonte, vedendo che i tre giovani pastori non avevano proseguito il cammino e si erano sottratti temporaneamente al loro agguato, si era proposto di risolvere in modo diverso la questione. Egli aveva stabilito di inviare nel cuore della notte alcuni suoi uomini nel loro campo, con il compito di sorprenderli nel sonno, di legarli e di condurli al suo cospetto. Ma soltanto l'indomani li avrebbe fatti uccidere insieme con i figli di Tio. Ovviamente, il capo dei predoni, prima di ogni cosa, avrebbe chiesto ai nuovi prigionieri se per caso, lungo il loro percorso, si fossero imbattuti in movimenti di truppe che erano comandate da principi. Nel caso poi che neppure essi avessero saputo raccontargli qualcosa in merito, egli avrebbe smesso di pensare a loro e di temerne una repentina sortita da un momento all'altro.