106-OSUR, IL MESSAGGERO DEL DIO KRON, NEL CAMPO DI LUCEBIO

Nel pomeriggio del giorno seguente, Lucebio e Francide dovettero recarsi a casa di Sosimo, dove erano attesi da due anime fervidamente innamorate di loro due. Perciò soltanto Iveonte ed Astoride rimasero nel campo. Ma il giovane terdibano, un'ora dopo che essi se ne furono andati, avvertì un irresistibile bisogno di andarsene a fare la siesta nel proprio alloggio. Allora Iveonte si ritrovò ad essere l'unico sveglio nel campo, senza avere la compagnia di un'anima viva che potesse scambiare qualche parola con lui. Perciò, non avendo alcuna voglia di andarsene a schiacciare un pisolino all'interno del suo casolare, come poco prima aveva fatto l'amico Astoride, il giovane preferì restarsene all'aperto e darsi così alla meditazione. Se non aveva deciso di recarsi dalla sua Lerinda, era stato per un motivo molto semplice. Egli era già andato in mattinata a trovarla alla reggia, dove l'aveva ancora spronata a mangiare di più e a recuperare le forze al più presto. Infatti, la sua passata denutrizione continuava a farla apparire con una spaventosa magrezza, che lo faceva preoccupare molto. Quindi, dopo aver appoggiato la sua spada al tronco di un albero, Iveonte si sdraiò supino poco distante.

Qualche minuto dopo, tenendo entrambe le mani sotto il capo e le ginocchia flesse, il giovane iniziò a meditare sui fatti che lo avevano coinvolto di recente. Una volta che ebbe smesso di soffermarsi sulla vicenda del semidio Korup, i suoi pensieri cominciarono a volteggiare esclusivamente intorno ai sogni, nei quali venivano ancora implicati allo stesso tempo sia lui che la sua amata. Adesso, sebbene essi non dessero adito ad alcuna spiegazione plausibile, Iveonte ugualmente decise di incentrare la sua riflessione su tale argomento. In verità, egli non cercò di comprendere il misterioso meccanismo con cui si realizzavano i loro sogni. Invece volle provare a prendere in considerazione il sospetto che Lerinda gli aveva ventilato, cioè che potesse essere proprio la sua spada a renderli reali. In effetti, egli non sapeva niente della sua arma fatata. Per un verso, non se la sentiva di dare per certe le ipotesi azzardate su di essa dalla sua ragazza, secondo le quali era la spada a combinare i loro incontri amorosi notturni, comportandosi come una vera mezzana. Per un altro verso, neanche poteva affermare con assoluta sicurezza che l'arma era del tutto estranea al verificarsi dei loro arcani fenomeni onirici. I quali, puntualmente alla stessa ora, continuavano a visitarli durante le ore notturne. A suo avviso, la certezza di una sua estraneità ai loro sogni, che al mattino diventavano come realmente accaduti oppure di una sua complicità negli stessi, gliel'avrebbe potuto dare soltanto la sua spada. Ammesso che essa avesse avuto la facoltà di parlare ed egli fosse stato in grado di interrogarla e di chiederglielo! Per quanto gli constava, la sua arma giammai gli si era espressa con parole, al fine di impartirgli un determinato ordine oppure di esprimergli un proprio parere. Era stato sempre lui a rivolgere alla sua spada prodigiosa formali preghiere, ricevendone sempre come risposte dei validi risultati concreti. Mai, però, c'erano stati assensi verbali, i quali ne dichiarassero l'accoglimento e, in pari tempo, ne palesassero il sesso.

Se rammentava bene, la spada non era intervenuta neanche di sua iniziativa in qualche occasione, allo scopo di trasmettergli dei propri comandi o delle proprie considerazioni con un linguaggio verbale. Ma era certo, a proposito di questa sua seconda affermazione? Oppure si sbagliava, avendo dimenticato qualcosa in merito ad essa? Allora, dandosi a forzare la memoria, alla fine il giovane ricordò che almeno una volta essa aveva fatto sentire la sua voce. Nel Castello Maledetto, infatti, era stata una voce femminile a farsi udire da lui e dai suoi amici, quando era intervenuta per spronarli e per ridare a tutti e tre il vigore, mentre ne venivano privati totalmente dalle forze malefiche del castello. Quindi, di chi era stata tale voce argentina e solenne, se non della sua venerabile spada, per cui essa poteva rappresentare solo una dea? Così Iveonte incominciò a persuadersi che la sua arma era qualche divinità di sesso femminile. La quale non poteva essere che una dea benefica, dal momento che interveniva sempre in difesa del bene e della giustizia, nonché si schierava contro qualsiasi forza del male. A quel punto, si sentì obbligato a domandarsi molto seriamente: Chi poteva essere la sua dea protettrice e qual era il suo nome?

Iveonte si era appena posta una simile domanda, allorquando fu distratto da una voce, la quale proveniva da una distanza non proprio lontana. A un tratto, egli l'aveva sentita gridare forte, mentre diceva: "Kronel! Kronel! Finalmente ti ho trovata, dopo essere trascorso tantissimo tempo!" A quelle grida, Iveonte distese le gambe e sollevò un po' la testa per cercare non solo di scorgere la persona che le aveva emesse, ma anche per rendersi conto a quale destinatario esse erano state rivolte. Così, ad una ventina di metri, intravide un canuto vecchio, che aveva una lunga e folta barba. Munito di una tortile verga, il vegliardo sembrava avanzare dritto nella sua direzione. Vedendolo poi avvicinare a sé con passo risoluto, Iveonte si affrettò a cambiare posizione. Perciò, allontanata la schiena da terra, si mise a sedere sull'erba, ma sempre tenendo le ginocchia piegate. Adesso vi faceva appoggiare entrambe le sue braccia e, sopra di queste, il mento. Stando poi nella nuova posizione, egli approfittò per sbirciare qualche occhiata sui suoi due lati, cioè ora verso quello destro ora verso quello sinistro. Era sua intenzione, infatti, scorgervi la persona a cui si stava rivolgendo il vegliardo forestiero, siccome essa non poteva essere lui. Le sue sbirciate, però, non diedero alcun esito positivo, poiché, oltre a sé stesso, non riuscì a discernere nelle vicinanze nessun altro essere umano. Allora a chi aveva parlato il misterioso vecchio, quando aveva pronunciato ad alta voce quel nome di donna mai udito prima?

Lo sbalordito giovane ebbe appena fatto quelle sue considerazioni, allorché lo sconosciuto gli fu subito a pochi passi, cioè a circa due metri dai suoi piedi. Restando così in piedi, l'uomo, senza degnarlo neppure di uno sguardo e tanto meno di un saluto, si rivolse alla sua spada, la quale restava appoggiata al tronco dell'albero situato alle sue spalle. Subito dopo, l'intruso si ridiede anche a parlare alla sua arma, dicendo:

«Kronel, tu non dovevi prendertela nel modo che sai, anche se la ragione era interamente dalla tua parte! Pensa un poco come hai fatto preoccupare tuo padre Kron e tua madre Ebla, in tutto il tempo che sei rimasta lontana da loro! Non appena è avvenuta la tua scomparsa, il tuo illustre genitore inviò me a cercarti per l'intero universo, con la speranza di rintracciarti e di riportarti a casa. Così, per quasi mezzo millennio, sono andato peregrinando di galassia in galassia, di sistema stellare in sistema stellare, di pianeta in pianeta, di satellite in satellite, senza essere mai riuscito a trovare la benché minima traccia che mi riconducesse a te! Soltanto oggi, dopo un cospicuo tempo, ossia quello che ti ho fatto presente poco fa, la fortuna mi ha finalmente arriso e mi ha permesso in questa maniera di avvistarti, di raggiungerti e di poterti parlare!»

Ma il vecchio forestiero non ottenne nessuna risposta dalla destinataria delle proprie parole. Anzi, come pareva, ella si era perfino imbronciata a causa dell'arrivo inatteso di colui che le si era messo a parlare. Allora egli, impuntandosi e non desistendo dal proprio fermo proposito di colloquiare con la sua muta interlocutrice, le fece presente:

«Kronel, se sei ancora disperata per quanto ti successe allora, ciò non ti deve spingere ad odiare la tua famiglia e quanti ti hanno sempre voluto un gran bene, me compreso! Per questo non considero giusto che tu non mi degni nemmeno di una risposta, chiudendoti in quel tuo mutismo ingiustificato. Eppure lo sai che, se lo volessi, potrei ricondurti da tuo padre, anche senza il tuo consenso! Né tu potresti sfuggirmi in qualche modo, poiché sarei in grado di rincorrerti ovunque, adesso che sei sotto il mio diretto controllo e la tua latenza ha smesso di avere effetto nei miei confronti. Ma tu questo già lo sai, senza che te lo dica io!»

Al tono impositivo delle sue nuove parole, non si comprese poco quale risposta egli avesse ricevuto dalla sua invisibile controparte. Probabilmente, da parte di lei, c'era stato il suo assenso. Ad ogni modo, l'anziano uomo continuò a rivolgersi a lei con queste parole:

«Kronel, non voglio obbligarti a seguirmi contro la tua volontà, anche perché poi potresti di nuovo lasciare il regno di tuo padre, a sua insaputa. Ed io non ci penso nemmeno di rimettermi a peregrinare per l'universo per un altro mezzo millennio o magari ancora di più, sguinzagliato come un segugio sulle tue tracce! Tuo padre mi ha mandato a cercarti, unicamente perché teme che ti possa accadere qualcosa di brutto, senza che lui venga a saperlo e possa intervenire in tua difesa! Perciò, se reputi ancora necessaria la tua presenza su questo pianeta, per fini filantropici e di giustizia, sei libera di restarci e non sarò io a proibirtelo. Devi però darmi la tua parola che, una volta aiutata la giustizia a trionfare in questa regione, te ne ritornerai presso la dimora dei tuoi preoccupati genitori! Allora sei disposta a darmi la tua parola, dolce e bella diva?»

A quel punto, il vecchio dalla chioma nivea ed ondulata, assumendo l'atteggiamento di chi porge la massima attenzione nell'ascoltare la sua interlocutrice, smise di parlare e stette zitto per alcuni minuti. Mentre poi ascoltava, egli non si asteneva dal manifestare con il capo dei cenni ora di assenso ora di dissenso. Quando infine ella ebbe espresso il suo punto di vista in merito, egli si diede ad esternare dello scetticismo verso quanto gli era toccato di sentire da lei. Volendo poi concludere la sua conversazione, intervenne ad affermarle:

«Va bene, combattiva Kronel! Se le cose stanno nel modo che mi hai spiegato e non vuoi ripensarci per niente, lascio a te ogni saggia decisione! Così riferirò al tuo potente genitore ciò che desideri attuare in questa regione del pianeta Geo, prima di far ritorno definitivamente presso la tua dimora di Luxan. Da parte mia, lo trovo anche giusto!»

Proferite quelle sue ultime parole, il vegliardo si pose a sedere proprio dirimpetto ad Iveonte, dandosi a scrutarlo negli occhi. Il giovane, invece, per l'intero tempo che lo sconosciuto aveva colloquiato con l'altra fantomatica dialogante, era rimasto nella sua posizione iniziale. Essa era quella che aveva assunto, prima che arrivasse lo strano visitatore. A dire il vero, intanto che il vecchio si era fatta la lunga chiacchierata con la sua spada, egli era rimasto senza fiatare; ma aveva solo ascoltato, senza capirci un'acca. Anzi, non aveva saputo dire o fare qualcosa di fronte a quella circostanza inusitata, che gli aveva fatto ritenere il canuto forestiero un autentico mentecatto. Ma benché si fossero dimostrati incomprensibili il suo intervento e il suo successivo comportamento, ugualmente il suo volto gli aveva ispirato molta soggezione, fino a bloccargli ogni iniziativa di indebita intromissione. Anzi, a suo modo di vedere, Iveonte l'aveva considerata un'autentica indiscrezione.

A un certo punto, l'uomo, che in quel momento gli stava seduto di fronte silenzioso, cominciò a sorridergli in modo affabile. Invece, un attimo dopo, gli domandò:

«Sei tu Iveonte: è vero? Già, non essendoci altri giovani qui vicino, non puoi essere che tu! A volte, giovanotto, faccio domande sciocche, che non andrebbero per niente fatte, considerata l'evidenza della loro risposta. Perciò mi devi scusare, se ti ho chiesto quanto non dovevo!»

«Certo che sono io Iveonte, vegliardo forestiero! Comunque, sovente capita anche a noi giovani di non badare a ciò che diciamo, per cui facilmente vengono fuori dalle nostre labbra dei veri sproloqui. Tu invece chi sei e come mai ti trovi da queste parti? Se lo vuoi sapere, il tuo aspetto si presenta nobile e mi ispira parecchia fiducia, nonostante ci sia stato il tuo precedente soliloquio, il quale hai voluto fare apparire come una vera conversazione a due, senza che l'altra ci fosse!»

«Iveonte, io sono Osur, il dio della saggezza. Attualmente rappresento il messaggero del dio Kron, una delle due divinità dell'Empireo di massima autorevolezza, del quale sono anche il confidente. Se poco fa mi hai sentito parlare con la tua spada, ciò non deve indurti a stupirti e a considerarmi un demente. Essa non è un'arma come le altre, anche se agli occhi degli uomini appare tale. Sotto le spoglie della tua invincibile spada, in realtà, si cela la divina Kronel, la figlia del dio Kron. Costui è la potentissima divinità che domina sulla parte temporale dell'universo, il quale è costituito dal binomio spazio-tempo. Sulla parte spaziale, invece, domina il potentissimo Locus, il dio dello spazio. L'uno e l'altro rappresentano le due massime divinità che sono state poste ad imperare sull'intero universo dall'imparagonabile Splendor. Costui, che è il padre di tutte le divinità, assegnò a loro due un simile impero, dopo aver creato Kosmos. Quanto all'infinito spazio cosmico, esso era stato voluto dalle sole divinità benefiche, le quali erano provenute da lui e si beavano, fino a quel momento, esclusivamente della sua luce.»

Vedendo poi che il giovane mostrava parecchia incredulità verso quanto egli gli andava dicendo, fino a farlo parlare invano e senza stargli dietro, l'anziano forestiero cercò di convincerlo alla sua maniera, che per lui sarebbe stato molto convincente. Per questo, mostrandosi molto risentito, immediatamente egli volle fargli presente:

«Giovanotto, constato che non credi affatto alla mia divinità! Per giunta, mi ritieni un vecchio bacucco della vostra specie umana, il quale non sa quello che dice, ma sa soltanto vaneggiare! Invece, dopo che ti avrò fatto assistere ad un mirabolante prodigio, sono sicuro al cento per cento che ti farò ricredere e cambiare opinione sia su di me che su quanto ti vado riferendo. Perciò, se non vuoi perderti lo spettacolo, ti prego di seguimi in ciò che tra poco opererò!»

Una volta che gli si fu espresso in quel modo, il vecchio si voltò indietro. Dopo, allungato in avanti il suo braccio destro, additò con l'indice della mano un grande albero, il quale si trovava a cinquanta metri di distanza. Stando poi in quella posizione, all'improvviso egli fece uscire dal suddetto dito un raggio di colore rosso fuoco. Allora il segmento luminoso andò a colpire l'albero preso di mira e lo avvolse in una grossa fiammata, disintegrandolo così in pochissimi attimi. Dopo quella dimostrazione sbalorditiva, che poteva essere considerata unicamente opera di un autentico dio, il vecchio si girò di nuovo verso Iveonte, sicuro di averlo convinto. Perciò gli domandò:

«Dunque, Iveonte, hai ancora dei dubbi su quanto ti ho riferito fino adesso, dopo ciò che hai visto? Spero proprio di no! Altrimenti, mi indurrai a considerarti un essere umano del tutto anormale! Invece so con certezza che non lo sei affatto, per tantissimi motivi!»

«Dopo la tua significativa dimostrazione, divino Osur, non mi mostrerò mai più scettico nei tuoi confronti, poiché il tuo prodigio è stato molto eloquente! Perciò mi scuso con te, a causa di quanto ho pensato prima sul tuo conto, ignorando che eri un dio. Ma mi dici come fai a conoscere il mio nome? Oso credere che te lo abbia riferito la mia spada, con la quale poco fa ti sei fatta una lunga chiacchierata! Vero?»

«Hai ragione, simpatico Iveonte, poiché è stata proprio Kronel a dirmelo, se è questo che vuoi sapere! Comunque, essendo io un dio, non mi sarebbe stato difficile venirne a conoscenza anche da me stesso!»

«Quindi, divino Osur, devo dedurre che sai pure chi sono i miei genitori. In questo caso, potresti anche rivelarmeli senza difficoltà. Oppure non è affatto come ho immaginato, per cui mi sono sbagliato?»

«Certo che li conosco, Iveonte! Ma non ti aspettare, giovanotto, che ti faccia i loro nomi, visto che una cosa del genere mi è assolutamente impossibile, siccome essi fanno parte del tuo destino! Tu solo puoi seguirne i sentieri e conoscerne il contenuto, però dopo avertelo meritato. Per questo, se tentassi di svelarti i nomi dei tuoi genitori, tu non saresti in grado di captare il suono di ogni mia parola.»

«Perché mai, divino Osur, se invece adesso riesco a sentirti e a comprenderti benissimo? Vuoi spiegarmelo, per favore?»

«A tale riguardo, Iveonte, devi sapere che noi esseri divini disponiamo di due linguaggi, uno può essere udito solo dai nostri simili e l'altro è captabile anche dall'orecchio umano. Il primo è quello con cui prima mi ha parlato la diva Kronel, non volendo farsi sentire da te. Esso, oltre al fatto che possiamo adoperarlo quando conversiamo fra noi divinità, può esserci imposto in determinate circostanze dalle rigorose leggi del fato. Perciò, nel caso che volessimo comunicare agli umani determinate cose che ci sono vietate, il nostro linguaggio diverrebbe automaticamente del primo tipo, cioè quello che è percepibile dalle sole divinità e che agli esseri umani risulta indecifrabile. Adesso ti ho reso bene l'idea?»

«Non preoccuparti, dio Osur, poiché sull'argomento da te introdotto sei stato chiarissimo! Ma ora posso essere messo al corrente dell'altro tipo di linguaggio, desiderando io esserne messo al corrente?»

«Il secondo linguaggio, Iveonte, è quello con cui ti sto parlando in questo momento, come se fossi anch'io un essere umano. Esso si lascia percepire, oltre che dalla divina schiatta, anche dal genere umano. Per quanto riguarda i tuoi genitori, mi è possibile soltanto anticiparti che un giorno, ossia quando il destino te lo consentirà, verrai a sapere chi sono. E poiché li troverai ancora vivi, potrai anche riabbracciarli!»

«Adesso, divino Osur, se non ti dispiace, vorrei domandarti perché la divina Kronel non mi ha mai parlato, come stai facendo tu in questo momento. Le è forse vietato? Oppure è lei a non volerlo fare? Ammesso il caso che ella si rifiuti di farlo, ciò vuol dire forse che le sono molto antipatico? E se mi reputa tale, allora perché mi aiuta, ogni volta che mi occorre il suo aiuto ed io gliene faccio richiesta?»

«Invece non le è affatto proibito di parlare con te, valoroso Iveonte! Alle divinità, sia benefiche che malefiche, è permesso parlare con tutti gli uomini. Altrimenti, non lo avrei fatto neppure io. Non ti pare? Ella ha preso a cuore la tua causa con tale interesse, che mi meraviglio anch'io perché mai finora non si sia ancora decisa a manifestarsi a te, facendoti udire la sua voce! Anziché antipatico, tu invece le risulti simpaticissimo! Ma ti assicuro che Kronel assai presto comincerà a rivolgerti la parola. La scorgo assentire compiaciuta, mentre te ne do assicurazione.»

«Potrò anche vederla nell'aspetto, divino Osur, come in questo momento scorgo te? Se un giorno ella deciderà di mostrarsi a me, mi farà un grandissimo piacere! Ti stavo pregando di farglielo presente; ma ora che ci ripenso, non serve invitarti a farlo, dal momento che pure lei, allo stesso modo tuo, mi sta ascoltando. Forse ne sta pure gioendo. Non è forse come ho pensato, divino messaggero del dio Kron?»

«Ti sarà consentito di farlo, Iveonte, soltanto se anch'ella sarà d'accordo! Ma il suo volto in questo momento non si esprime in merito alla tua domanda, cioè non si mostra né consenziente né dissenziente. La qual cosa vuol dire che non ti sarà preclusa per sempre una tale evenienza. Per questo, quando meno te lo aspetti, vedrai che ti si manifesterà con la sua vera immagine. Allora potrai ammirare la sua bellezza e la sua grazia, nonostante in lei predomini, accanto ai suoi nobili sentimenti d'amore, uno spirito preminentemente bellicoso. Sì, anche se il suo animo è molto sensibile alle vicende amorose, la sua indole si manifesta incredibilmente battagliera e si mostra sempre incline alle tenzoni. La sfortuna di Kronel è quella di essere una divinità minore, per cui ella potrà avere facilmente ragione soltanto delle divinità malefiche minori. Mentre non si potrà dire la stessa cosa, quando sarà una divinità negativa maggiore a competere con lei. In questo caso, Iveonte, le cose si metterebbero molto male non solo per lei ma anche per te, essendo tu il suo protetto! Verrebbe a mancarti l'aiuto necessario per affrontare quelle prove che non si lasciano superare da ogni forza, da ogni valore e da ogni ingegno di tipo prettamente umano. Comprendi adesso?»

«Certo, Osur! Ma non hai detto che il padre è una delle due massime divinità dell'universo? Potrebbe sempre intervenire lui a soccorrerla, se la figlia venisse a trovarsi in serie difficoltà! Oppure, essendomi sfuggito qualcosa nel nostro discorso, non ho inteso bene che egli non può farlo? Per favore, dio della saggezza, vuoi chiarirmi quest'altro particolare, che in un certo senso comincia a darmi preoccupazione?»

«A questo proposito, audace giovane, devi sapere che lo sguardo del potentissimo dio Kron abbraccia l'intero universo. In questo momento, quindi, anche noi due siamo collegati con lui. Ma non la stessa cosa si può dire della figlia Kronel. Ella, prima di lasciare il regno del padre, ha attraversato la Nube Nera, la quale fa perdere le tracce di qualsiasi divinità benefica che l'attraversa. Cioè, ne cancella perfino tutti i dati identificativi, a meno che essa non si trovi in un raggio d'azione inferiore ai cento chilometri. Nel qual caso, automaticamente l'effetto della Nube Nera viene meno, appunto come è capitato a me in questa circostanza. Ho potuto identificare Kronel, solo perché mi sono trovato, per pura combinazione, all'interno di tale raggio d'azione. Per questo motivo, per farle evitare di correre un serio rischio, le ho perfino consigliato di ritornare nel regno del padre e di attraversare la Nube Bianca, la quale fa sortire l'effetto esattamente opposto a quello che procura la Nube Nera. Ella, ripristinando ogni suo collegamento troncato in precedenza con le altre divinità, le farebbe recuperare i dati d'identificazione andati perduti. In questo modo, Kronel vivrebbe sotto l'egida paterna e nessun'altra divinità malefica sarebbe in grado di farle del male in Kosmos. La diva, però, si mostra testarda e si oppone alla mia proposta, soltanto perché non vuole fare ritorno nel regno del divino genitore, essendo ella ancora molto adirata contro di lui per motivi familiari.»

«Come può, divino Osur, una divinità fare del male ad un'altra divinità, se entrambe sono spiriti soprannaturali e godono della immortalità? Inoltre, ammettendo che ciò le sia possibile, perché una di loro dovrebbe essere spinta a fare del male ad un'altra? Sono problemi, di cui non riesco a capire e vorrei capacitarmene! Ma forse chiedo troppo, per cui la mia richiesta non potrà essere esaudita.»

«Non preoccuparti, Iveonte, perché tra poco appagherò il tuo desiderio. Innanzitutto devi sapere che ci sono due tipi di divinità: quelle benefiche, le quali sono dette anche positive, e quelle malefiche, che sono dette anche negative. Le divinità benefiche agiscono, mostrandosi osservanti delle leggi dell'altissimo Splendor; mentre quelle malefiche misero al bando tali leggi, prima ancora che venisse creato l'universo. Per questo agiscono sotto l'impeto della cattiveria. In secondo luogo, ti faccio presente che le divinità, indipendentemente dal loro comportamento etico, si differenziano a seconda dei loro poteri, i quali possono essere normali, super e iper. Questi ultimi possono essere, a loro volta, primari e secondari. I poteri normali sono posseduti dalle divinità minori, invece i superpoteri sono prerogativa delle divinità maggiori. Quanto agli iperpoteri, quelli primari sono posseduti dalle due divinità eccelse, che sono Kron e Locus; mentre di quelli secondari fruiscono le divinità somme, le quali sono Lux, dea della luce, e Buziur, l'Imperatore delle Tenebre. Diversamente dalle divinità minori e maggiori, esse se li ritrovano a gestire, fin dal loro primo esistere nell'universo, senza che c'entri il culto da parte dei loro fedeli. Dunque, facilmente può avvenire che una divinità malefica maggiore possa venire in conflitto con una divinità benefica minore ed aver ragione di essa. In questo caso, la può salvare solo l'intervento di un'altra divinità benefica maggiore, la quale così la tira fuori dai guai, che potrebbero derivarle dalla sua cattura coatta.»

«A tale riguardo, dio Osur, mi riferisci pure che cosa di male la divinità di grado superiore potrebbe arrecare a quella di grado inferiore? Anche ciò mi interessa apprendere!»

«Naturalmente, la divinità maggiore non può distruggere quella minore, essendole impossibile; però può creare intorno ad essa un tale campo di forza da immobilizzarla. In questo modo, neutralizza i suoi poteri, costringendola a sottostare a tutte le sue brame vessatorie di qualsiasi natura. Ma i ruoli si possono anche invertire, cioè che può trovarsi una divinità benefica maggiore ad agire contro una divinità malefica minore. Sono cose che Kronel già conosce benissimo. Ciò nonostante, ella si oppone caparbiamente alla mia proposta e non vuol saperne di ritornare nel regno del padre. Perciò, Iveonte, come già previsto dall'eccelso Kron, mi vedo costretto ad affidare a te l'incarico di badare a Kronel, per l'intero periodo che se ne resterà nell'universo, conservando l'anonimato. Così si eviterà che le possa succedere qualcosa di brutto in Kosmos!»

«Come potrei assolvere un tale compito, divino Osur, se sono io ad aver bisogno ogni volta di Kronel, quando mi capita di combattere contro occulte forze di natura soprannaturale? Se lo vuoi sapere, la tua pretesa, a prima vista, mi sembra totalmente assurda! Ma hai forse dimenticato che sono un essere umano e nulla più?»

«Invece non mi riferivo alla persona, che tu rappresenti in questo momento, Iveonte. Se ora qualche divinità maggiore osasse fare del male a Kronel, tu saresti la sua prima vittima. Invece mi riferivo a colui che tu rappresenterai tra poco per lei. Dopo che avrai ricevuto da me l'anello dell'eccelso dio Kron e te lo sarai infilato al dito medio della mano con cui impugni la spada, tu verrai ad avere ampi poteri anche rispetto alle divinità. Inoltre, tutte le volte che maneggerai l'arma, l'anello ti farà diventare il tramite perfetto fra Kronel e suo padre, ristabilendo i collegamenti interrotti fra di loro e permettendo agli iperpoteri paterni di trasferirsi nella figlia. In questo modo entrambi sarete al sicuro da cattive sorprese di qualsiasi divinità malefica maggiore! Anzi, risulterete voi una sorpresa indigesta a tale divinità, siccome che non se l'aspetterà! Adesso, Iveonte, hai appreso in quale modo in futuro potresti difendere la diva Kronel, nel caso che ne avesse bisogno. Allora non sei contento di avere a disposizione un potere così grande?»

Dopo che si fu infilato con molto orgoglio l'anello prodigioso dell'eccelso dio Kron, del quale gli aveva fatto dono il suo messaggero, anche se esso gli parve del tutto normale, Iveonte non stava più nei propri panni per la somma felicità. Ma poco dopo, allo scopo di chiedergli un'altra cosa, si rivolse al dio peregrino, dicendogli:

«Divino Osur, se non mi hai potuto rivelare i nomi dei miei genitori, spero almeno che ti sia consentito di rispondere alla nuova domanda che sto per farti. Siccome è già un mese che io e la mia ragazza Lerinda facciamo dei sogni che si possono reputare del tutto misteriosi, per il fatto che li facciamo insieme e il loro contenuto risulta poi al mattino veramente accaduto, vorrei che tu mi dicessi perché essi avvengono, a dispetto di ogni logica umana. Secondo la mia ragazza, in essi senza meno c'è lo zampino della mia spada, che adesso so quale diva rappresenta. Tu puoi dirmi qualcosa in merito, senza che la verità venga da te sottaciuta? Almeno potresti farmi questo favore, il quale servirà a tranquillizzare sia me che la mia amata Lerinda!»

Il dio della saggezza, lì per lì, non seppe cosa rispondergli. Ma poi si voltò a guardare la spada di lui, che era la diva Kronel, per rendersi conto della nuova richiesta del giovane. Così, dopo aver dato ad essa uno sguardo, subito gli rispose:

«Ho visto Kronel sorridere ed annuire. Ciò vuol dire che è senz'altro lei la responsabile dei vostri sogni, Iveonte, proprio come ha immaginato la tua innamorata. Devi sapere che le donne tirano fuori un sesto senso, al fine di scoprire le loro rivali in amore! Ma considerata la grande passione che Kronel nutre per te, sono sicuro che ella ha pensato di farvi cosa gradita, per cui i vostri sogni vi saranno risultati senz'altro piacevoli. Con molte probabilità, avrà anch'ella preso parte ai vostri amplessi, essendo convinto che essi riguardano proprio il sesso, eccitandosi perciò con la vostra identica intensità. Del resto, questo è l'unico modo che consente ad una divinità di dare sfogo alla propria sessualità, senza né compromettere l'armonia della coppia né fare del torto a uno dei due amanti. Perciò esso è il modo migliore e il meno nocivo, se considerato sotto l'aspetto della serenità della coppia umana! Non pare anche a te?»

«Probabilmente, sì! Ma vuoi palesarmi, divino Osur, quali sono gli altri modi, ai quali sono soliti ricorrere le divinità, quando hanno voglia di accoppiarsi sessualmente con un essere umano? Mi interesserebbe conoscere anche quelli, se non ti dispiace!»

«Un altro modo è quello che vede la divinità umanarsi e prendere le sembianze di uno dei due amanti. Così gli subentra di fatto a sua insaputa e ha rapporti carnali con l'altro partner, il quale non sospetta per niente dell'inganno operato dalla divinità intrusa. In questo secondo modo, però, si ledono, da parte della divinità che si ingerisce, i fondamentali principi su cui si basa il rapporto di coppia, cioè l'unicità del partner e la fedeltà dello stesso verso l'altro. Il terzo e ultimo modo vede la divinità prima umanarsi e poi unirsi in un regolare matrimonio con l'essere umano, verso il quale ha iniziato a nutrire dei veri sentimenti amorosi. Dalla loro coppia non nascono dei normali esseri umani, ma dei semidei. Comunque, sono tanti i casi in cui è stata seguita questa procedura, con la felicità di entrambi gli interessati. Nell'Edelcadia, abbiamo il caso del divino Matarum e dell'umana Actina, i quali non molto tempo fa si amarono svisceratamente nel vincolo matrimoniale con grande sincerità.»

«Divino Osur, però noi vorremmo poter dormire la notte, senza trascorrere ogni volta parte delle sue ore in spossanti amplessi, e vorremmo sempre poter fare l'amore, quando siamo noi due a desiderarlo e non quando ci obbligano gli altri a farlo. È nostro desiderio fare l'amore in questo modo, almeno fino a quando la vicinanza e l'opportunità di vederci ce lo consentiranno senza problemi. Vorrei che la divina Kronel non se l'avesse a male e cercasse di esaudire la nostra preghiera. Anche perché, in fin dei conti, per lei le cose non cambierebbero più di tanto, dio Osur, almeno per come la vedo io! Oppure esse risulterebbero invece molto differenti?»

«Trovo ragionevoli le vostre richieste, Iveonte, come le trova giuste anche Kronel. Lo sai che l'hai fatta arrossire? In questo momento, ella mi sta facendo presente che, dalla prossima nottata, i soliti sogni non vi insidieranno più il sonno. Ma se un domani vi capiterà di stare l'uno lontano dall'altra e non potete amarvi, ella sarà ben lieta di riproporveli, qualora voi ne avvertiste l'esigenza e foste entrambi d'accordo!»

«Ringrazia Kronel per la sua comprensione, divino Osur, sia da parte mia che da parte della mia Lerinda. Sì, ringraziala da parte nostra pure per quanto ha deciso di offrirci per il futuro. Inoltre, dille che terremo presente la sua offerta e non esiteremo ad approfittarne, se il destino un giorno ci terrà separati per lungo tempo e non ci permetterà di dare sfogo al nostro grande ed appagante amore!»

«Kronel ne ha già preso atto, Iveonte, visto che ella può sentirti, quando parli. L'immortale figlia del dio del tempo supinamente si è piegata alla tua volontà, mentre mostra le gote rigate da due calde lacrime. Secondo me, se assume un simile atteggiamento verso la tua persona, ciò significa una sola cosa: la nostra diva è di nuovo innamorata! Devi sapere che mai nessuno è riuscito a domare la fierezza di Kronel, nemmeno il potentissimo suo genitore. Malgrado ciò, egli le ha sempre riservato mille attenzioni, preferendola ai suoi tre figli maschi. Soltanto l'amore riesce ad ammansirla e la fa diventare docile come un agnello, nei confronti della divinità o della persona da lei amata. Devi sapere, Iveonte, che già una volta le è successo un fatto simile, ossia quando la diva si innamorò perdutamente del divo Luciel, la qual cosa avvenne nel Regno della Luce.»

«Chi sarebbe, divino Osur, questo divo Luciel? Ovviamente, un altro dio. Mi dici qualcosa di più che lo riguarda, per favore? Avverto la necessità di sentirne parlare da te!»

«Per l'appunto, Iveonte! Egli, che era il quartogenito della dea Lux, fece impazzire d'amore Kronel; ma anche lui non fu da meno, nel dedicarle il suo con passione. Come stavo dicendo, Kronel si invaghì del divo con un ardore e con una intensità così forti che, quando tutto finì, ella divenne folle per il dolore. Allora, nascostamente, decise di lasciare la dimora delle divinità e di sparire per sempre dalla circolazione.»

«Visto che ci siamo, dio Osur, potresti anche raccontarmi come avvenne che il loro amore alla fine si infranse? Non hai detto che esso era ardente e passionale da parte di entrambi?»

«Non è semplice darti la risposta in poche parole, Iveonte, siccome essa comprende una ricca ed avvincente storia d'amore. Perciò, se proprio ci tieni a conoscerla, posso mettermi a narrarti l'intera vicenda, la quale abbracciò il loro contrastato iter amoroso, segnandolo in modo struggente ed indelebile. Allora ci tieni ad ascoltarla?»

Alla risposta affermativa del giovane, il divino Osur subito si diede a raccontare la toccante ed infelice vicenda d'amore, che aveva interessato le due giovani divinità innamorate. Ad ogni modo, essa sarà integrata in continuazione, ogni volta che il divino narratore, per ovvie ragioni, si rivelerà all'oscuro di qualche suo rilevante particolare.