102-KORUP A CASUNNA, PRESSO IL VICERÉ RACO
Il suo girovagare durava da un decennio, allorché Korup era capitato a Casunna. In quella città, egli aveva fatto la sua prima visita al viceré Raco, proprio quando erano andati a trovarlo il fratello re Cotuldo e il suo braccio destro Croscione. Volendo puntualizzare su tale evento, il suo arrivo presso il sontuoso palazzo reale della città aveva preceduto di un giorno quello del sovrano di Dorinda. Ebbene, dopo essersi presentato al corpo di guardia, il quale era annesso alla reggia, lo strano cavaliere aveva domandato a colui che sovrintendeva ad esso di essere ricevuto dal viceré Raco, essendo sua intenzione di fargli delle interessanti proposte. Allora Nesco, il quale era il sovrintendente di turno in quel momento, prima lo aveva squadrato da capo a piedi, quasi volesse ricavarne un dipinto. Dopo aver effettuato il suo scrupoloso esame, con un'aria visibilmente infastidita, gli aveva risposto seccamente:
«L'eccellentissimo Raco non vorrà mica sprecare il proprio tempo a ricevere tipi del tuo stampo! Perciò sgombera all'istante questo luogo dalla tua sgradita presenza, se non desideri che provvedano i miei gendarmi a farlo! In quel caso, però, non so se ti converrebbe affrontare le loro rudi maniere, mentre ti cacciano via a calci nel sedere!»
«Invece, mio caro sovrintendente, non me ne andrò da questo posto, se prima non mi avrà ricevuto il tuo illustre viceré. Perciò accompagnami immediatamente da lui, se non vuoi ricordarti di questo giorno per l'intera tua esistenza: in senso negativo, si intende! Adesso mi sono spiegato abbastanza, burocrate fallito e rubapane?»
«Non dirmi, gaglioffo, che debbo considerare le tue parole come una minaccia! In quel caso, sarò costretto a scoppiare dalle risate!»
«Dipende da te, gendarme da strapazzo, se esse devono oppure non devono diventare minatorie non solo per te, ma anche per tutti i gendarmi che sono qui al tuo comando! Sappi che, se non ti sbrighi a darmi retta senza esitare neppure un poco, di sicuro ti accadrà qualcosa di brutto, compare! Perciò, affréttati ad ubbidirmi, per il tuo bene!»
Allora l'attendente di Nesco, sentendo il forestiero esprimersi in quel modo offensivo e minaccioso nei confronti del suo superiore, senza perdere tempo era intervenuto anche lui nella discussione. La quale adesso era cominciata ad inasprirsi abbastanza, come non si era previsto. Egli, però, aveva cercato di farlo in modo ironico, avendo intenzione di coprire di ridicolo lo strambo forestiero. Perciò, rivolgendosi ad uno dei suoi commilitoni presenti, si era dato a gridargli forte:
«Melco, hai ascoltato il cetriolo? Ritenendosi fresco di giornata, ha osato minacciare il nostro esimio comandante Nesco. Vedessi tu con quanta boria lo ha fatto! Nel sentirlo inveire in quel modo, io ho avuto l'impressione che egli si creda di essere davvero il padrone della città!»
«Possibile, Crezio, che si è comportato proprio così con il nostro comandante?!» gli aveva risposto il compagno d'armi «Lo sai che il tuo appellativo, verdognola com'è la sua pelle, gli calza a pennello? Voglio riconoscertelo, amico mio: a volte ti riveli un fenomeno con le tue esternazioni azzeccate! Ad ogni modo, se io fossi al posto tuo, nel rivolgermi al nostro collerico ortaggio, ci andrei con i piedi di piombo. Non sai che è molto pericoloso inimicarsi un tipo del suo stampo?»
«Perché mai mi parli in questo modo, compagno Melco? Hai forse appreso qualcosa che riguarda il nostro ospite, di cui non mi sono ancora reso conto? Se è come hai affermato, affréttati ad aggiornarmi su di lui, prima che egli mi faccia trovare in guai molto seri!»
«Visto che lo ignori, Crezio, adesso mi do ad informarti di un fatto che lo concerne: egli è un ammazzacampioni! Lo porta perfino scritto sulla parte posteriore della sua casacca! Figuriamoci poi come ridurrebbe noi, che non siamo per niente dei campioni! Sono sicuro che ci sfracellerebbe senza meno, soltanto inviandoci una sola occhiataccia!»
«Melco, mi fai comprendere a che tipo di campioni si riferisce il forestiero? Così dopo saprò guardarmi da lui, se vengo a sapere che ci sono incluso pure io fra quelli che egli considera dei campioni!»
«Ovviamente alla specie, di cui fanno parte anche i fagiolini, mio caro Crezio! Ma come hai fatto a non prenderne subito nota, amico mio? Secondo me, non lo sa neppure lui, se esce dal proprio orto per cercarsi altrove i suoi avversari! Adesso anche tu hai appreso un fatto assai importante sul nostro ammazzacampioni!»
Alla battuta spiritosa del loro commilitone, tutte le guardie presenti nel reparto, le quali potevano essere una ventina, si erano messe a ridere a crepapelle. Ma le loro risate avevano avuto vita breve, siccome all'istante un episodio alquanto raccapricciante era venuto a farli allibire. Anzi, li costrinse a diventare muti come delle perfette statue! Difatti, non appena la guardia ebbe terminato la sua frase pungente, con il chiaro intento di schernirlo e di ridicolizzarlo ulteriormente, Korup le aveva scagliato contro il suo falcone, ordinandogli sottovoce: "Vai, Rus! Cava ed ingoia!" Al comando del suo padrone, il rapace, lanciandosi come un dardo, era piombato sul volto del gendarme. Poi, prima ancora che egli potesse difendersi in qualche modo con le mani, il terribile volatile si era servito dei suoi potenti artigli per cavargli i globi oculari dalle orbite. Una volta che se ne era ritornato sulla spalla del padrone, uno dopo l'altro, li aveva ingoiati con una voracità incredibile.
A tale spettacolo riluttante ed impressionante, tutte le altre guardie presenti in loco erano divenute come impietrite. Invece il loro sovrintendente prima era rimasto basito per l'abominevole incidente; subito dopo, preso dalla stizza, aveva ordinato ai suoi subalterni: "Presto, uccidete immediatamente quella bestiaccia pennuta e il suo bastardo padrone! A qualsiasi costo, voglio che entrambi si pentano di aver messo piede in questo corpo di guardia e di avere aggredito il nostro commilitone Melco!" Ma più che l'ordine categorico del loro comandante, era stata l'orrenda disgrazia toccata al loro compagno d'armi a farli accanire contro l'odioso forestiero e il suo uccellaccio. Ora il poveretto, mostrandosi con il volto completamente insanguinato ed urlando per lo strazio, andava gridando: "Aiutatemi, per favore! Che grande dolore! Non riesco a vedere più niente!" In merito poi ai propositi di vendetta delle guardie, lungi dal rappresentare una reale minaccia per il loro destinatario, al contrario, essi si erano trasformati in un vero boomerang.
Per intenderci meglio, avevano solo scatenato nell'avversario uno sdegno quanto mai terribile e feroce. Infatti, egli, in un battibaleno, aveva brandito pure lui la spada e li aveva assaliti con una brutalità inaudita. Così, in un tempo brevissimo, con stoccate fulminee ed apportatrici di morte, aveva seminato di cadaveri l'intera caserma, tra lo sbigottimento del sovrintendente Nesco. Costui, mentre avveniva quell'immane ecatombe, era stato l'unico ad essere risparmiato, non essendo stato investito dalla tremenda gragnola di colpi del prodigioso forestiero. Essi avevano colpito perfino la guardia che in precedenza era rimasta accecata dal suo falcone. Falcidiati i suoi avversari in una maniera raccapricciante, ossia sgozzandone alcuni e decapitandone altri senza un minimo di pietà, infine il figlio semidivino del dio Araneo, facendo roteare i suoi occhi fiammanti, si era rivolto all'atterrito Nesco e gli si era espresso in modo grave, pronunciando le seguenti parole:
«Adesso, sovrintendente, spero che tu ti sia reso conto con chi hai a che fare e quale castigo ti attenderebbe, nel caso osassi ancora disubbidirmi! Quindi, se non vuoi fare la stessa fine dei tuoi gendarmi subalterni, senza perdere tempo conducimi dal tuo viceré e presentami a lui. Se ti interessa saperlo, il mio nome è Korup e sono l'Ammazzacampioni, come porto scritto anche sulla mia casacca, sul lato posteriore, affinché tutti lo apprendano e se ne convincano!»
«Se è ciò che vuoi che io faccia, Korup, ti accontento con la massima celerità, non avendo più intenzione di mettermi contro di te. Ti avverto, però, che dentro il palazzo potresti anche capitare male! Lì ci sono dei veri campioni d'armi a vigilare sul nostro viceré, i quali potrebbero anche non fartela passare liscia, se essi lo decidessero per qualche motivo!»
«Sappi allora, sovrintendente, che i re, i principi e i nobili sono esclusi dai miei propositi di carneficina. La mia visita al tuo viceré Raco è solo di cortesia. Nel contempo, voglio chiedergli quanti e quali sono i suoi campioni, in maniera che io possa sfidarli ed ammazzarli tutti, come dei cani rognosi. Perciò non ti preoccupare per me, che sono l'Ammazzacampioni, e accompagnami subito da lui, se non vuoi essere ucciso!»
Una volta appreso dal sovrintendente Nesco ciò che era accaduto presso il locale del corpo di guardia, senza travisare i fatti, il viceré Raco, essendosene incuriosito molto, subito aveva voluto conoscere il bizzarro forestiero. Il quale, mostrandosi egregiamente in gamba nelle armi, si faceva chiamare con un appellativo davvero singolare. Quando poi lo strano tipo gli era stato davanti, egli gli aveva chiesto:
«Sei forse tu colui che si fa chiamare l'Ammazzacampioni? Il colore della tua pelle mi fa credere di sì, siccome in giro non se ne vedono di persone con il fisico verdognolo come il tuo!»
«Sono proprio io, in carne ed ossa, viceré Raco! Ma prima di ogni cosa, permettimi di porgerti i miei omaggi, poiché la mia stima va a tutti i regnanti che dimostrino di avere buonsenso. Spero che tu sia tra questi ultimi, se vuoi andare d'accordo con me!»
«Toglimi una curiosità, Korup. Ti presenti sempre ad un sovrano, seminando terrore e morte fra i suoi gendarmi, che sono in servizio presso il corpo di guardia attiguo alla reggia? Oppure qui è stata soltanto un'eccezione, siccome i miei uomini ti hanno provocato duramente, senza averne alcun motivo? Allora vuoi rispondermi?»
«Il più delle volte avviene così, nobile Raco; però mai per colpa mia! Di solito sono loro ad istigarmi gratuitamente, con il solo intento di deridermi, facendomi reagire a modo mio e costringendomi a dargli il benservito. Come appunto è successo oggi nella città di Casunna, presso il tuo palazzo reale! Ma il peggio è stato solo loro, come ti è stato riferito!»
«Lo so che hai subito delle provocazioni da parte dei miei defunti gendarmi, Korup. Perciò non ho dato l'ordine di metterti ai ferri. Ma adesso mi dici perché hai preteso, ad ogni costo, che ti dessi udienza? Che cosa di tanto importante ti ha spinto a parlare con me? Sai, sono proprio curioso di saperlo! Perciò puoi incominciare a darmi la tua risposta in piena libertà!»
«In primo luogo, viceré Raco, ci tengo a precisarti che, se tu avessi dato l'ordine di arrestarmi, l'arresto non sarebbe mai stato effettuato. Non volendo, mi avresti soltanto costretto a fare una grandissima strage delle tue guardie. In secondo luogo, passo a rispondere alla tua domanda. Io vado chiedendo ad ogni sovrano se ha al suo servizio dei veri campioni nelle armi. Se la sua risposta risulta affermativa, li sfido tutti ad un duello all'ultimo sangue. Perciò ti chiedo se anche tu ne hai al tuo servizio, essendo mio fermo proposito cimentarmi con loro ed ammazzarli senza alcuna pietà!»
«Certo che ne ho, Korup! Essi, che costituiscono la mia scorta personale, in totale sono una decina e si dimostrano tutti valorosissimi nelle armi! Ma dopo quanto ho sentito dire su di te, ad esserti sincero, nessuno di loro è capace di reggere al tuo confronto. Dunque, non ne vale la pena farteli affrontare! Non sei d'accordo pure tu che non ti darebbe alcuna soddisfazione sfidare dei combattenti, i quali non sono tuoi pari?»
«Se non reputi i tuoi uomini alla mia altezza, vuol dire che li sfiderò tutti insieme. Non ti sembra abbastanza equa la mia proposta, illustre viceré? Io direi proprio di sì. Perciò, a queste mie condizioni, non puoi rifiutarti di farmeli affrontare! Non ti pare?»
«Se devo esserti sincero, Korup, non posso affermare il contrario! Perciò, visto che sei disposto ad affrontare i miei campioni tutti quanti insieme, vuoi dirmi almeno cosa ti dà la certezza che ne uscirai illeso? Al tuo posto, ci penserei un sacco di volte, prima di insistere nella tua idea, che considero folle! Allora vuoi o non vuoi rifletterci e rimangiarti la sfida, quella che potrebbe rappresentare per te una vera rogna?»
«Questo è un problema che concerne soltanto me, viceré di Casunna. Se fossi in te, invece, mi preoccuperei esclusivamente per i tuoi campioni, essendo essi degli autentici fantocci. Per cui sarò io a risultare una rogna nei loro confronti. Presto te lo dimostrerò, siccome tutti e dieci moriranno ammazzati dalla mia invincibile spada!»
«Posso sapere quanti campioni hai affrontati fino ad oggi, Korup, se non mi reputi indiscreto? Forse dieci? venti? trenta? Oppure al massimo saranno un centinaio? Comunque, sono sicuro che essi non superano tale numero esagerato! Non è vero che ho ragione?»
«Invece ti sbagli, nobile Raco. Ad ogni modo, in merito alla quantità dei campioni da me ammazzati, non ho difficoltà a risponderti, poiché sono costretto a portarne il conto, via via che li faccio fuori.»
«Che cosa mai, Korup, ti obbliga a contare i campioni che vai uccidendo? Personalmente, non lo comprendo! Ma sono sicuro che un motivo ci sarà senz'altro, se sèguiti a farlo!»
«Il motivo è molto semplice, illustre Raco. Le mie sfide termineranno, solo quando avrò procurato la morte a mille campioni! Fino ad oggi, quelli affrontati ed uccisi da me sono stati settecentosessantasei. Altre persone invece sono morte per mano mia, solo perché avevano cercato di prendersi gioco di me, a causa del colore della mia pelle e della scritta che porto dietro. Perciò, aggiungendo le persone comuni ai campioni, da quando ho iniziato a sfidare questi ultimi, sono circa due migliaia gli uomini che hanno ricevuto il colpo di grazia dalla mia spada. Ti assicuro che essa li ha uccisi con somma gioia!»
«Possibile, Korup, che tu non avverta alcun rimorso nell'animo, per aver seminato tante morti sul tuo cammino? Hai forse un cuore di pietra sotto il petto, che non ti detta né pietà né misericordia verso di loro? Al posto tuo, io non riuscirei a vivere serenamente, se avessi tanti morti sulla coscienza e me ne sentissi il responsabile!»
«Hai detto "rimorso", nobile Raco? Essa è una parola che non ho mai conosciuto, dal momento che non esiste nel mio vocabolario. Se proprio ci tieni a saperlo, ciò che provo nel mio animo è soltanto una immensa soddisfazione, la quale mi spinge ad ucciderne altri e altri ancora! Ti è tutto chiaro, adesso, come la penso in merito?»
«Comunque, Korup, soltanto domani potrai affrontare i miei campioni, poiché voglio che assista allo scontro anche mio fratello, il re Cotuldo, il quale dovrà arrivare da Dorinda. Egli, che è il sovrano di quella città, verrà a farmi visita a Casunna. Chissà che non abbia anch'egli dei campioni dorindani da farti sfidare! Nel frattempo, in attesa che giunga il nuovo giorno, puoi considerarti mio ospite graditissimo e puoi soggiornare nel mio palazzo con tutte le comodità che vi troverai senza meno! Sei soddisfatto, di questa mia decisione a te favorevole?»
«Come non potrei esserlo, viceré Raco! Nel frattempo accetto volentieri la tua ospitalità e ti ringrazio, in attesa dello scontro che ci sarà domani. Ma ho la netta sensazione che esso mi regalerà altre dieci grandissime soddisfazioni. Naturalmente, proprio come è stato sempre e ovunque, senza avvertire alcun pentimento nell'animo!»
A mezzodì del giorno successivo, non appena il re Cotuldo era giunto da Dorinda con la sua scorta, il fratello Raco aveva voluto riferirgli dello straordinario Korup. Inoltre, lo aveva informato dello scontro che era da disputarsi nel tardo pomeriggio fra quest'ultimo e i suoi dieci migliori uomini d'armi, i quali formavano la sua validissima scorta personale. Allora il sovrano di Dorinda e di Casunna ne era rimasto molto soddisfatto ed aveva atteso con ansia la disputa dello straordinario scontro pomeridiano. Egli era stato dell'avviso che Korup non ce l'avrebbe fatta contro i dieci campioni del fratello, poiché, avendoli già visti combattere in precedenza, li stimava degli ottimi combattenti. Secondo lui, ognuno di loro era superiore perfino al suo braccio destro Croscione. Anche se quest'ultimo li superava in spregiudicatezza e in ribalderia. Lo stesso Croscione, commentando insieme con il suo sovrano lo scontro che si sarebbe avuto il giorno dopo, era stato del suo medesimo parere, cioè che esso avrebbe avuto una durata abbastanza breve. L'uno e l'altro, però, l'avevano imbroccata giusta, solo per quanto riguardava la durata dello scontro, poiché esso effettivamente si sarebbe protratto al massimo per pochi minuti. Per il resto, invece, essi sarebbero rimasti, oltre che delusi in modo incredibile, soprattutto inimmaginabilmente sbigottiti dall'esito inatteso dello scontro, il quale sarebbe stato assai cruento.
Nel pomeriggio del giorno seguente, quando c'era stato lo scontro, a onta delle previsioni di quanti lo avevano presenziato, al termine di esso si era avuto ben altro risultato. Dopo qualche istante di studio dall'una e dall'altra parte, Korup era passato immediatamente all'offensiva. Inoltre, aveva impersonato la furia e la ferocia. Allora i suoi avversari poveretti non avevano avuto neppure il tempo di rendersi conto di ciò che stava accadendo a tutti loro. All'improvviso, essi si erano visti mutilare selvaggiamente dalla sua spada, la quale si era dimostrata un'arma terribile e micidiale al massimo, che non permetteva alcuna difesa a quanti tentavano di farlo. Accanendosi efferatamente sui loro corpi, essa si era messa a sfregiare, a fendere, a trinciare, ad infilzare, a sgozzare, a squarciare, a troncare, ad amputare e a decapitare. Quasi si fosse trattato di vera carne da macello! Nel contempo, numerosi getti di sangue erano sprizzati dalle profonde ferite e si erano messi ad imbrattare ogni cosa. L'Ammazzacampioni, dimostrando un cinico sadismo, non si era limitato a vincere e ad abbattere i suoi contendenti; ma egli aveva voluto anche fare scempio dei loro corpi, come se avesse inteso annullarne la fama e il prestigio. Era parso che in lui ci fosse stata la brama di prendersela anche con i loro spiriti, facendo rivivere ad essi lo scorno e la vergogna, a cui aveva condannato pure i rispettivi corpi estinti. Infine si era scorta l'arena disseminata di cadaveri monchi, straziati e resi irriconoscibili dalle orribili mutilazioni, le quali erano state loro inferte dal furente e sadico campione Korup.
A quanti avevano assistito al combattimento, ammesso che tale lo si potesse definire, siccome aveva avuto tutte le caratteristiche di un'autentica mattanza, lo scontro era risultato uno spettacolo superlativamente scioccante ed agghiacciante. Esso si era andato svolgendo tra squarci inesprimibilmente cruenti ed orripilanti, si poteva affermare da voltastomaco. Essi, perciò, avevano messo a dura prova l'impressionabilità dei presenti, perfino dei più duri di cuore. Ad un certo momento, a tutti loro era sembrato perfino che l'imbattibile forestiero fosse stato ferito ad un braccio dal valente Crosul, che era uno dei suoi dieci avversari, per cui dal taglio si era messo ad uscire del liquido verdastro. Invece, un istante dopo, ogni cosa era ritornata ad essere come prima, poiché la sua ferita si era richiusa e rimarginata in toto. Tale fenomeno aveva esterrefatto a non dirsi quelli che assistevano allo scontro, facendo azzardare agli stessi l'ipotesi che l'Ammazzacampioni fosse anche invulnerabile, oltre che un invincibile combattente. Essi non si erano sbagliati, poiché egli lo era, come abbiamo appreso in altra circostanza!
Non appena lo scontro aveva avuto termine, Cotuldo e il fratello avevano fatto un sacco di complimenti a Korup. Lo avevano elogiato per la sua indubbia perizia d'armi. La quale, secondo il loro concorde parere, si era dimostrata di provata esperienza ed ineguagliabile. Infine il viceré, essendone convinto, aveva aggiunto al vincitore:
«Sono persuaso, imbattibile Korup, che nel mondo non ce ne possono essere di guerrieri forti quanto te! Chi la pensa altrimenti può essere soltanto un illuso oppure un matto! Perciò sarei pronto a scommettere l'intera mia scuderia su di te, se qualcuno venisse ad asserirmi di avere un campione capace di sconfiggerti ed accettasse nello stesso tempo anche la mia giusta scommessa! Altro che se lo farei!»
Dopo egli si era rivolto al fratello e gli aveva parlato così:
«Non sei anche tu del mio stesso parere, Cotuldo? Oppure a Dorinda, contro ogni mia aspettativa, hai qualche tuo campione che possa cimentarsi con l'invincibile Korup? Ma non ci credo affatto, perché altrimenti te lo saresti portato appresso, a difesa della tua persona! Nel caso poi che mi sia sbagliato, correggimi e dimostramelo con i fatti, fratello!»
Allora il re Cotuldo, dopo un attimo di silenzio che voleva significare che ci stava appunto pensando, pur con una minima incertezza, si era dato a fargli presente:
«In verità, Raco, avrei qualcuno a Dorinda, il quale lo affronterebbe senza nessuna esitazione. Ma permettimi di appartarmi un poco con il mio consigliere, prima di darti una risposta definitiva. Quindi, fratello, se hai la compiacenza di attenere per breve tempo, ne riparleremo tra poco, ossia non appena sarò ritornato da voi due con lui!»
«Fai pure con comodo, Cotuldo! Ma ti anticipo che attenderò con ansia il tuo ritorno, sperando che con esso tu venga a propormi un ottimo affare! A presto allora!»
Dopo aver tratto in disparte il suo braccio destro, conducendolo in un posto da lui considerato lontano da occhi indiscreti, il re Cotuldo si era messo a fargli presente:
«Croscione, avrei intenzione di far combattere Iveonte contro Korup. Hai già in mente qualche tua idea, a tale proposito? Secondo te, potrei fare assegnamento su di lui, se intendessi giocarmi la mia scuderia contro quella di mio fratello? Di preciso, sapresti dirmi quante possibilità di vittoria il ragazzo di mia sorella avrebbe contro lo straordinario Korup? In questa circostanza, il tuo parere mi risulta assai prezioso!»
«Mio re, ti dico subito che correresti un bel rischio, se tu lo facessi, poiché con molte probabilità ti ritroveresti senza più la tua prestigiosa scuderia! Oggi ho conosciuto il valore di questo Korup, il quale mi è parso quasi illimitato. Ma come faccio a stimare quello di Iveonte, se non ho avuto modo di saggiarlo appieno? Senza dubbio, lo stile di scherma del giovane dorindano è qualcosa di eccezionale e di inimitabile, per cui egli facilmente riuscì ad avere ragione di me. Non so, però, con quale impegno egli condusse il combattimento, in cui mi ebbe come antagonista. Unicamente se dessimo credito alla principessa Lerinda, secondo la quale il suo ragazzo riuscì a mettere in fuga il Talpok, in questo caso le quotazioni del giovane salirebbero a dismisura, fino a superare quelle dell'Ammazzacampioni. Come ne sei al corrente, mi sono trovato faccia a faccia con il terribile mostro e posso assicurarti che averlo di fronte non è uno spettacolo piacevole. Il qui presente Korup, al suo confronto, diventa un essere insignificante. Ne sono fermamente convinto, mio sovrano! Del resto, quel giorno tutti ci rendemmo conto come esso aveva ridotto quella parte di bosco dove si era svolto il tremendo scontro tra il mostro ed Iveonte! Dopo averti esposto questi elementi utili in riferimento al ragazzo di tua sorella, ora sta a te decidere cosa fare.»
«Se ho bene inteso le tue parole, Croscione, nel caso che gli facessi affrontare Korup, il fidanzato di mia sorella potrebbe anche rivelarsi all'altezza della situazione, facendomi vincere la scommessa contro mio fratello Raco? È proprio questo che hai cercato di farmi comprendere un attimo fa? Oppure ho frainteso totalmente il tuo parlare?»
«Esatto, mio re! Ma a condizione che Iveonte effettivamente sconfisse il mostro Talpok! Solo che non sappiamo con assoluta certezza se ciò si verificò sul serio in quella circostanza, per cui dobbiamo fidarci delle affermazioni della principessa Lerinda. Ci potrebbe essere il sospetto, però, che la tua sorellina innamorata, in preda alla sua passione, avesse preso lucciole per lanterne in quel giorno di caccia!»
«Comunque, Croscione, sto pensando che alla fin fine mi conviene accettare la scommessa di mio fratello. Se proprio non dovessi vincerla e sacrificassi la mia scuderia, un vantaggio me ne verrebbe in ogni caso! Lo so bene che la mia ultima asserzione ti impedisce di seguirmi nel mio ragionamento. Ma ti assicuro che lo comprenderai, non appena ti avrò chiarito un altro particolare.»
«Sire, sul serio non riesco a seguirti; né comprendo a quale vantaggio ti riferisci! Esso sarebbe forse il particolare che mi sfugge, al quale non sono in grado di pensare?»
«Adesso ti spiego per bene ogni cosa, Croscione, riguardo a questa faccenda. Se Iveonte dovesse perdere, mi libererei definitivamente di un personaggio che comincia a diventarmi scomodo. Infatti, la sua incorruttibilità giammai mi consentirà di comprarlo, al fine di averlo dalla mia parte. Mi hai finalmente compreso adesso?»
«Se la pensavi così già da prima, mio re, potevi fare a meno di consultarmi in privato. Non ti pare? Dovevi accettare all'istante la scommessa di tuo fratello, senza neppure pensarci su due volte! Perciò vai da lui e digli che sei disposto ad accettare la scommessa e a giocarti, come controvalore, la tua scuderia. Quindi, gli proporrai la sfida tra Korup ed Iveonte, quale tuo campione. Così ti metterai l'animo in pace!»
Terminata la sua consultazione con Croscione, il sovrano Cotuldo senza indugio se ne era ritornato da Korup e dal fratello, mettendosi a dichiarare a quest'ultimo:
«Ebbene, Raco, sono disposto ad accettare la tua scommessa! Quanto alla posta in gioco, mi sta bene la mia scuderia contro la tua. Sarà il valoroso Iveonte ad affrontare il tuo Korup. Se vincerà il mio campione, la tua scuderia diventerà mia; invece, se il vincitore risulterà il tuo asso che è qui presente, la mia scuderia sarà tua. Oramai ho deciso così e così sarà, anche se è a rischio la scuderia, a cui tengo tanto! Ma non è detto che sarà Korup ad aver la meglio sul mio campione! Anch'egli se la cava abbastanza egregiamente con la spada e con le arti marziali!»
«Ho udito bene, Cotuldo!? Davvero vuoi giocarti la tua stupenda scuderia con una scommessa, che è da considerarsi persa in partenza? Non avrei mai immaginato che tu ci tenessi così poco ad essa e potessi gettarla via senza batter ciglio! Sei sicuro di non volerci ripensare? Guarda che sei ancora in tempo per tirarti indietro, senza perdere la scuderia!»
«Neanche per sogno, Raco! Ho deciso di scommettere la mia scuderia contro la tua e non torno più sui miei passi! Quanto allo scontro che si terrà tra i due campioni, esso dovrà avvenire dopo il nostro rientro a Dorinda e dopo che ne avremo messo al corrente il mio campione Iveonte. Ci siamo intesi, fratello, in merito allo scontro?»
«Certamente, Cotuldo! Sono contento che tu abbia stabilito di farmi dono della tua scuderia e ti ringrazio anticipatamente! Mi dispiace soltanto per quel poveraccio, che dovrà affrontare l'invincibile Korup. Egli non immagina nemmeno quale inferno lo attende e in quali guai gravissimi lo stai mettendo, a sua insaputa! Ma se sta bene a te, a me lo è ancora di più, essendo io il futuro vincitore di una splendida scuderia come la tua, la quale da domani non ti apparterrà più!»
A quel punto, Croscione aveva fatto osservare alle altre tre persone presenti, che erano le dirette interessate del loro accordo:
«Volete dirmi che cosa accadrà, se per ipotesi Iveonte ricuserà di accogliere la sfida di Korup? Anche se ho valide ragioni di credere che egli immancabilmente l'accetterà, però potrebbe sempre esserci un rifiuto da parte sua, per una qualsiasi ragione. Ebbene, in quel caso, mi dite come vi regolereste, re Cotuldo, viceré Raco e Korup?»
«Se egli si rifiuterà,» l'Ammazzacampioni era intervenuto a rispondergli «sarò io a costringerlo allo scontro, volente o nolente! Così lo ammazzerò ugualmente, poiché non ho mai permesso a nessun campione di rifiutarsi di affrontarmi! Per questo vi assicuro che la scommessa, la quale è stata concordata qui tra voi fratelli, varrà lo stesso!»
Alla fine della conversazione, Cotuldo e il fratello si erano appartati per fatti loro, dovendo discutere su alcuni problemi riguardanti il governo della città di Casunna. Appianate poi le varie divergenze sorte a proposito dei medesimi, i quali all'inizio non li avevano trovato d'accordo, Raco non aveva visto l'ora di trovarsi a Dorinda. Voleva condursi in tale città, oltre che per infliggere al germano re la costosa perdita che gli sarebbe derivata dallo scontro in programma, egli voleva esserci soprattutto per riabbracciare la cara sorella Lerinda, che non vedeva da molto tempo. Infatti, poiché erano alcuni mesi che non aveva avuto più sue notizie, desiderava incontrarsi con lei e parlarle di tante cose. Ma intendeva anche farsene raccontare alcune dalla cara germana.
Esattamente questi fatti erano avvenuti a Casunna, prima che il viceré Raco si incontrasse con la sorella e la trovasse sul punto di suicidarsi. Perciò, una volta che li abbiamo conosciuti dettagliatamente fin dalla loro origine, possiamo ritornare al presente della nostra storia. Così ritorneremo al punto esatto dove per necessità l'avevamo interrotta, al fine di chiarire taluni eventi importanti, i quali ci sono stati resi noti, dopo averli ripercorsi, ricorrendo ad apposite digressioni.