10-KODRUN VIENE INCORONATO RE NEL TEMPIO DI ACTINA
Era ben noto a tutti che la strada, la quale gli avrebbe consentito di arrivare più celermente alla Città Santa, era quella che gli faceva incontrare sul suo percorso prima le città di Bisna e di Cirza e poi quella del re Nortano. Quest'ultima si trovava all'estremo confine orientale della fiorente Edelcadia. Comunque, già si prevedeva che il cammino fino ad Actina non sarebbe risultato una passeggiata. Al contrario, esso si sarebbe rivelato assai faticoso e logorante alle persone e alle bestie da soma, le quali erano costituite da cavalli, da muli e da asini. Dal momento che non tutti i soldati avevano a disposizione un cavallo, il re Kodrun aveva impartito l'ordine che, durante l'intera loro avanzata verso la meta, i cavalieri dovevano avvicendarsi con i fanti nel disporre dei quadrupedi equini. Così, una volta che fossero giunti in prossimità di Actina, nel suo esercito non ci sarebbero stati alcuni uomini stremati e altri ben riposati, per aver goduto delle groppe dei cavalli. A tale riguardo, anch'egli, per dare buon esempio, volle risultare fra quelli soggetti all'avvicendamento, alla stessa stregua dei soldati al suo comando. Per cui affrontava le miglia di strada due giorni marciando a piedi e un altro andando a cavallo. Ma la sua volontà di agire in quel modo non era stata imitata dagli altri sovrani, i quali procedevano insieme con i loro soldati, però stando sempre in sella ai loro cavalli. Inoltre, il re di Dorinda aveva anche ordinato che, quando si cavalcava, l'andatura delle bestie non doveva essere più celere del passo sostenuto dei fanti.
I quattro eserciti, che in quella circostanza avanzavano come se fossero uno solo, visto che erano tutti comandati del re Kodrun, furono messi davvero a dura prova. Marciando in quella maniera, si voleva farli pervenire in prossimità di Actina, prima che la città cadesse sotto la pressante e martellante azione degli sconosciuti assedianti, i quali erano arrivati all'improvviso dall'est. A ogni modo, ci volle circa un mese, prima che i quattro eserciti giungessero in vista delle mura della Città Santa e si preparassero per l'attacco. Al loro arrivo in quei paraggi, il tramonto si preparava a cedere il posto all'incalzante sera, intanto che faceva mostra delle sue ultime luci diurne, le quali apparivano in parte rossastre e in parte arancioni. Allora il re Kodrun, considerata l'inadatta ora del giorno, ritenne meglio far ristorare e riposare i suoi soldati, anziché lanciarli senza indugio in una battaglia che si sarebbe svolta alla cieca. Alle prime luci dell'alba, però, li avrebbe condotti all'assalto contro coloro che assediavano Actina. Egli si ripromise di sbaragliare le orde nemiche con un piano che avrebbe studiato nella stessa nottata con una strategia appropriata, facendo di tutto per non farsi prendere dal sonno.
Così, intanto che gli altri sovrani e la maggior parte dei soldati se la dormivano e si riposavano, il re Kodrun non faceva altrettanto, poiché era intento ad escogitare un piano che gli permettesse una facile vittoria sui nemici invasori. Ma prima aveva messo in moto una fitta rete spionistica sul territorio actinese che era invaso dagli ignoti allogeni, i quali avevano messo sotto assedio la Città Santa. Perciò, quando non si era ancora presentata l'alba ad oriente, egli si attendeva dai suoi perlustratori maggiori ragguagli sulla reale situazione del momento. Gli premeva di venire a sapere chi fossero gli assedianti di Actina, l'attuale loro consistenza numerica e il dispiegamento notturno dei loro contingenti intorno alla città del re Nortano. Tali utili informazioni non gli vennero meno già prima di quell'ora, da parte delle sue efficienti spie. Esse, tranne una coppia di loro, rientrarono alla base prima che il cielo iniziasse ad albeggiare. Quelle che non avevano fatto ritorno nel loro accampamento di sicuro erano state scoperte e giustiziate da quei nemici che facevano il loro turno di guardia durante la notte. Ebbene, grazie ai loro rapporti, il comandante supremo dell'esercito alleato venne a conoscenza di tutto quanto intendeva apprendere sui loro nemici.
Prima di ogni cosa, i suoi perlustratori gli riferirono che erano i Berieski quelli che avevano messo sotto assedio la Città Santa e che il loro numero non superava le cinquantamila unità. Essi se ne restavano dislocati in un unico accampamento, anziché formare un cordone di forze accerchianti intorno ad Actina. La terza informazione risultò particolarmente gradita al re Kodrun, per cui essa gli stimolò la concezione di un piano tattico. Il quale si sarebbe dovuto rivelare nei confronti dei nemici sconvolgente, falcidiante e vincente. Infatti, prevedeva che ne avrebbe fatto un gran massacro, con scarsissime perdite dei suoi soldati. Analizzando nelle sue singole parti il piano che egli aveva dovuto elaborare e predisporre in un tempo assai limitato, ci rendiamo conto di come esso si sarebbe dovuto svolgere in campo pratico. Innanzitutto la sua attuazione sarebbe dovuta esserci, quando le luci dell'alba non si erano ancora affacciate ad oriente e le tenebre seguitavano ad imperare sull'accampamento nemico. Così, intanto che in quest'ultimo i soldati nemici facevano la loro scorpacciata di sonno, dopo l'estenuante assedio della giornata precedente, le milizie edelcadiche avrebbero posto fine al proprio riposo notturno per impegnarsi in operazioni guerresche offensive.
Per l'esattezza, in un primo momento, ossia dopo che le schiere dell'esercito edelcadico si fossero trasferite con il massimo silenzio in prossimità dell'accampamento nemico, si sarebbe dovuta attivare la prima fase del piano. Essa sarebbe stata quella rivolta a terrorizzare e a deprimere psicologicamente i nemici, attraverso un insieme miscellaneo fragoroso, composto precipuamente da clangori di corni e di tube. In un secondo momento, invece, passando alla seconda fase del piano, gli Edelcadi sarebbero ricorsi ai trabocchi, alle baliste e alle catapulte con uno scopo ben preciso. Con tali macchine belliche di lancio, gli stessi avrebbero scagliato e fatto piovere sull'accampamento beriesko grossi macigni e proiettili di fuoco di forma rotondeggiante. Questi, cadendo dal tetro cielo numerosi e senza interruzioni, avrebbero causato danni ingenti tanto alle cose quanto alle persone. In riferimento alla terza fase dello stesso piano strategico, era in previsione un attacco diretto all'esercito beriesko, poiché in quella circostanza esso poteva trovarsi soltanto in una situazione precaria. Infatti, la baraonda, il disorientamento e il timore avrebbero spadroneggiato fra i soldati nemici, facendoli svegliare di soprassalto e in preda ad una grandissima confusione mentale.
In seguito, avendo messo a punto le varie fasi del suo valido piano, il re Kodrun, dopo averlo fatto svegliare in piena notte, radunò l'intero stato maggiore nella sua tenda, dove lo espose agli otto generali che ne facevano parte. Così, dopo che le varie operazioni del piano furono pianificate nei minimi particolari, si passò immediatamente alla sua attuazione. Esso risultò pronto per essere portato alla sua fase attuativa, mezzora prima che le morenti stelle smettessero di emettere i loro tenui baluginii nel cielo, il quale stava divenendo sempre meno buio.
Proprio a quell'ora della notte, cominciò a scatenarsi l'inferno sull'accampamento dei Berieski. Esso fu cagionato prima dagli infiniti rumori assordanti, poi dall'incessante caduta dei sassi e delle palle di fuoco, infine dalla pioggia continua di frecce. Fu all'interno di quel quadro, il quale dipingeva la loro sconvolgente situazione, che i soldati berieski dovettero affrontare i nemici. Costoro si erano dati ad assalirli baldanzosi, con forze straripanti e con una terribile voglia di ammazzarli, come se fossero delle bestie affette dalla rabbia. A quel punto, essi compresero che sarebbero stati sbaragliati dal primo all'ultimo, se il loro capo, a causa della loro pessima situazione, non avesse impartito l'ordine di abbandonare il campo, essendo quello il solo modo di salvarsi e di sopravvivere. In verità, non tutti i soldati berieski fuggitivi riuscirono a trovare scampo con la fuga, poiché la quinta parte di loro fu massacrata o fatta prigioniera dagli Edelcadi vittoriosi. Quando i vincitori ne rasero al suolo l'accampamento, esso si presentava già in rovina, a causa dei macigni e dei proiettili infuocati che vi erano piovuti in grande quantità.
Va fatto presente che, quando gli Edelcadi avevano dato fiato ai corni e alle tube, diffondendo ovunque nella notte tanti strepiti rumorosi, questi non solo avevano atterrito i soldati berieski, bensì avevano anche svegliato dal sonno la popolazione actinese. Ma soprattutto avevano allertato i soldati che vigilavano sulle mura di Actina e quelli che se la dormivano. Questi ultimi, perciò, si erano precipitati sui cammini di ronda delle mura e si erano dati a guardare attraverso i merli, essendo intenzionati a rendersi conto di ciò che stava accadendo sulla piana antistante alla loro città. Allora, avendo preso consapevolezza di quanto era in svolgimento nell'accampamento beriesko, si erano rallegrati infinitamente ed avevano continuato a seguire le disgrazie dei loro ex assedianti. I quali, in quel momento, venivano assaliti e sconfitti dall'esercito alleato comandato dal re Kodrun, il cui piano stava ottenendo il successo che si era augurato. Anche il re Nortano, dopo essere stato avvisato dei nuovi fatti che si stavano svolgendo davanti alla propria città, era corso sulle mura per rendersene conto di persona e gustarseli nello stesso tempo con sommo gradimento, come stava appunto facendo. Comunque, egli era convinto che quel miracolo poteva essere opera soltanto del grande stratega dorindano, che era Kodrun.
Dopo la brillante vittoria conseguita contro i Berieski assedianti, quando oramai l'alba era sorta ed anche svanita nello splendore del giorno, il sovrano di Dorinda, sotto il fulgore di un sole ritornato ad essere radioso e vivificante ovunque, fece il suo ingresso nella Città Santa. Le cui porte, per ordine del re Nortano, erano state spalancate per fare ricevere dagli Actinesi festanti il salvatore della loro città con tutti gli onori possibili ed immaginabili. Con lui, presero parte al trionfante ingresso in Actina anche i due sovrani presenti della coalizione e l'intero stato maggiore dell'esercito alleato. Prima di riceverlo degnamente nella sua reggia, innanzitutto il re Nortano volle incontrare il re di Dorinda nel momento stesso che questi poneva piede nella sua città. Perciò, quando ciò avvenne, egli, accogliendolo con un caloroso abbraccio, non esitò ad esclamargli: "Lunga vita a te, Kodrun, che sei il glorioso vincitore e il più degno, nell'Edelcadia, di essere un sovrano!" Con quelle sue parole, egli aveva inteso inviare un manifesto messaggio agli altri due re presenti, palesandogli il proprio pensiero sull'illustre stratega dorindano.
Più tardi, dopo aver ricevuto nella sala del trono il re Kodrun di Dorinda, il re Amereto di Casunna e il re Listro di Bisna, oltre ai generali dei quattro eserciti, compreso quello di Cirza, il sovrano Nortano volle fare ai monarchi presenti il seguente discorso:
"Miei cari colleghi, in questa memorabile circostanza, avrei voluto che ci fossero stati anche i restanti re edelcadici, siccome quanto ho da riferirvi riveste un carattere di solennità. Ebbene, innanzitutto ci tengo a farvi sapere che la vostra presenza nella mia reggia mi allieta moltissimo, per cui a voi tre va il mio vivo ringraziamento per l'onore che mi state concedendo. Inoltre, desidero dirvi che sarete miei ospiti graditi per l'intera durata del conflitto che ci vedrà in armi contro gli invasori berieski. Infatti, la nostra immane guerra con loro dovrà ancora esserci, poiché essa ci sarà senza meno, dopo l'arrivo sul territorio actinese del grosso del loro sterminato esercito.
Passando poi al motivo principale, per cui vi ho voluti qui riuniti, a mio avviso, specialmente per noi che abbiamo ereditato il titolo di sovrano, esso dovrà avere una rilevanza non di poco conto. Perciò dovrà essere tramandato ai nostri posteri come una circostanza memorabile di eccezionale valore, per il suo contenuto responsabile e filantropico. A ogni modo, per quanti di voi non hanno ancora compreso il mio messaggio, puntualizzo meglio il mio pensiero. Prima che l'imminente guerra esploda in modo catastrofico e drammatico sui nostri territori edelcadici, oggi su quello di Actina e domani forse su quelli delle vostre città, dobbiamo chiarire e risolvere una questione di estrema importanza. Si tratta del riconoscimento ufficiale, da parte nostra, dell'eccezionale stratega Kodrun quale sovrano a pieno titolo della città di Dorinda, che egli stesso ha fondato. Aggiungo a tale riguardo che, anche se voi due re presenti e gli altri cinque assenti non foste d'accordo, lo stesso avvierei i preparativi per l'incoronazione di Kodrun nel tempio della nostra somma divinità. Così il dio Matarum non farà mancare ad essa la sua benedizione.
Mi auguro che anche gli altri miei colleghi condividano questo mio proposito e insieme con me giurino nel tempio indicato che, finché vivranno, giammai smetteranno di riconoscere il fondatore dell'Invitta Città suo legittimo re a tutti gli effetti. In riferimento ancora alla sua incoronazione, la cerimonia avverrà, dopo che saranno giunti ad Actina gli altri sovrani assenti. Essa sarà celebrata dal Sommo dei Sacerdoti del tempio. Inoltre, se qualcuno di voi starà pensando che Kodrun non potrà essere incoronato a causa della mancanza di una corona, tenga egli presente che anch'essa ci sarà. Io gliel'avevo già fatta approntare dal migliore orafo della mia città, completamente a mie spese. A questo punto, termino il mio discorso, avendovi riferito ogni cosa che dovevo."
Terminato che fu il discorso del re Nortano, seguirono poi il ringraziamento di Kodrun al sovrano della Città Santa e la presa di posizione da parte degli altri re edelcadici presenti circa il suo contenuto. Comunque, anche loro si dichiararono favorevoli a quanto espresso dal regale collega di Actina e manifestarono l'intenzione di compartecipare con il re Nortano alla spesa che aveva comportata la corona da regalare a Kodrun. Ma il sovrano actinese non volle sentir parlare nel modo più assoluto della loro compartecipazione ad essa, nonostante essa avesse avuto un costo elevatissimo.
Il giorno seguente, il re dorindano già si preparò a ricevere i Berieski, come appunto si chiamavano quelle bellicose popolazioni invaditrici, al cui comando stava il loro capo Nurdok. Il quale era uno stratega che, in fatti di battaglie, si dimostrava non meno capace di lui. Per questo egli cercava di sistemare come meglio poteva i suoi centocinquantamila soldati, i quali comprendevano anche i quarantamila di Actina e i sessantamila di Casunna, di Cirza e di Bisna.
Nurdok, come si era appreso da poco, era un comandante pugnace e, al pari del re Kodrun, era avvezzo anch'egli a condurre le guerre, ricorrendo alla tattica e alla strategia militari, nelle quali si presentava particolarmente versato. Dal suo punto di vista, il suo esercito di trecentomila uomini sarebbe stato più che sufficiente a conquistargli l'intera Edelcadia. Specialmente in quella circostanza a lui favorevole, visto che essa si presentava dilaniata da forti contrasti interni! A parere di Kodrun, invece, se gli aiuti provenienti da Terdiba avessero preceduto l'arrivo di Nurdok, sempre che costui non si fosse trovato nella condizione di poterli intercettare, attaccare ed annientare, l'Edelcadia sarebbe stata salva senza fare neppure uso delle armi. Ciò gli sarebbe riuscito non a causa di una sua diavoleria strategica, poiché il suo degno antagonista non gliel'avrebbe consentita, com'egli non l'avrebbe permessa a lui. Invece un fatto del genere sarebbe successo, contando esclusivamente sul buonsenso di Nurdok e sulla insuperabile bravura nelle armi del suo imbattibile Tio. Difatti egli aveva prescelto il giovane come figura dominante nel suo grandioso progetto, quello che avrebbe proposto al suo degno avversario; però ce ne accerteremo con la dovuta attenzione a tempo debito.
Per fortuna gli aiuti, nei quali egli sperava, arrivarono un giorno prima dell'esercito nemico. Essi comprendevano sessantamila Dorindani, trentamila Terdibani e quarantamila fra i superstiti dei tre eserciti dispersi, essendosi essi aggiunti ai primi lungo il loro cammino verso la Città Santa. Soltanto così il re Kodrun, forte anch'egli di un poderoso esercito, poté sperare di trattare alla pari con il leggendario Nurdok. Se vogliamo essere obiettivi, non sarebbe stata la forza numerica altrettanto consistente dell'esercito edelcadico ad impressionare il capo dei Berieski e a costringerlo a patteggiare con il suo comandante in capo. Invece lo avrebbe fatto cedere la sua bravura di condottiero di eserciti, la quale si dimostrava non meno straordinaria di quella da lui posseduta.
Il re di Dorinda gliel'avrebbe dimostrata senza ombra di dubbio nella dislocazione del suo esercito nell'immensa piana antistante ad Actina. Lì l'avrebbe opportunamente cambiata di continuo, in base alle variazioni che via via si fossero avute nella disposizione strategica dell'esercito beriesko. Con le sue contromosse geniali, il re dorindano avrebbe frustrato ogni piano tattico del capo beriesko, dal momento che costui avrebbe mirato a procurare alle proprie agguerrite schiere un indubbio vantaggio logistico. Attraverso i vari cambiamenti tattici che avrebbe fatto assumere al proprio esercito, conseguenti a quelli dell'avversario, egli gli avrebbe fatto avere un'alta considerazione di sé, facendosi stimare uno stratega di tutto rispetto e per niente inferiore a lui.
L'arrivo di Nurdok con il grosso del suo esercito, il quale raggiungeva quasi le trecentomila unità, era impossibile a non essere notato, considerata l'ingente moltitudine di soldati che lo formava. Contrariamente a quanto gli Edelcadi avversari avevano immaginato, l'esercito del barbaro guerriero non procedeva ammassato, disordinato e producendo un baccano assordante. Invece avanzava ordinato, essendo esso distribuito in nove legioni, ciascuna delle quali era comandata da un primus.
L'eroico Beriesko, quando si era incamminato alla volta dell'Edelcadia con l'intento di invaderla, aveva posto il cugino Ircos al comando della nona legione, la quale era quella di avanguardia. Ma egli, contravvenendo alle norme previste dal regolamento, di propria iniziativa aveva assediato, occupato e saccheggiato la città di Stiaca. In seguito aveva cercato di bissare con la città di Actina, nonostante si presentasse meglio fortificata e, in un certo senso, quasi inespugnabile. Invece, mentre assediava la Città Santa, senza affatto prevederlo, gli era piombato addosso Kodrun con il suo esercito. Il re dorindano allora non aveva avuto difficoltà a sbaragliare e a mettere in fuga l'arrogante legione berieska, costringendola a lasciare sul campo circa ventimila uomini.
Dopo l'arrivo ad Actina dei restanti re edelcadici, il re Nortano volle accelerare l'incoronazione di Kodrun. Allora la cerimonia avvenne nel tempio del dio Matarum, dove tutti i re dell'Edelcadia giurarono davanti al simulacro del dio che riconoscevano Kodrun come sovrano di Dorinda e che avrebbero continuato a farlo fino alla consumazione dei loro giorni. Allora l'insuperabile stratega fu unto in fronte e consacrato re della Città Invitta dal Sommo dei Sacerdoti, il quale così ufficializzò la sua regalità. L'avevano presenziata, oltre al re di Actina, i rimanenti sette sovrani che in precedenza si erano coalizzati contro Kodrun. Così, tra la gioia infinita del giovane Lucebio, pure gli altri sette monarchi dell'Edelcadia oppositori finalmente lo avevano riconosciuto come autentico re, degno del loro rispetto e della loro massima stima.