1-LA NASCITA DI LUCEBIO
Via via che le ultime luci crepuscolari si dissolvevano nella prima fase notturna, una moltitudine di luccicanti stelle andava pullulando sempre più numerosa sulla calotta celeste dell'emisfero boreale. Alla fine essa era diventata fitta di infiniti astri puntiformi, che apparivano e scomparivano senza mai smettere. Inoltre, siccome si trattava di una notte illune, lo scenario stellare si manifestava più nitido su di essa. Anzi, si andava discoprendo magicamente nel cielo, tra uno scintillio vivo e meraviglioso. Comunque, pure il brillio delle costellazioni nascenti conferiva alla volta celeste una spettacolarità di grande effetto. Le varie figure, che esse disegnavano sul cupo firmamento, non solo si presentavano nella loro plastica bellezza, ma anche caricavano i loro stupefatti osservatori di suggestioni surreali. Nello stesso tempo, li affascinavano e li facevano restare a testa in su, come se ne venissero incantati.
La serata, di cui si è descritto in breve il fantastico cielo, trascorrendo tranquilla sotto diversi aspetti, si preparava a dare l'addio all'estate in partenza. L'indomani, infatti, secondo il calendario astronomico, si sarebbe avuto l'equinozio di autunno, il quale avrebbe dato inizio alla stagione autunnale. Allora due contadini, che formavano una coppia di fatto, approfittando della fresca aria dell'incipiente nottata, se ne stavano all'esterno della loro casa colonica. Essi vi si erano condotti, poiché desideravano gustarsi la riposante calma, che a quell'ora del giorno regnava sovrana tutt'intorno. Stando poi l'uno accanto all'altra, ne approfittavano per scambiarsi anche qualche carezza. In pari tempo, si lasciavano incuriosire dai molti versi e fruscii, i quali non smettevano di giungere alle loro orecchie dai bui campi circostanti, facendosi sentire monotoni e ininterrotti.
A giudicarli dall'espressione dei loro volti estasiati, i due coniugi venivano attratti dallo straordinario cielo di quella notte, che era iniziata da poco. Il suo sipario, dopo essersi alzato al calare della sera, adesso stava mettendo a loro disposizione uno scenario di stupenda meraviglia, come non era mai capitato nelle serate precedenti. La donna, che era in stato di gravidanza avanzata, probabilmente agli sgoccioli, era distesa sopra un'amaca, alla quale ella imprimeva un lieve e continuo dondolio, tramite opportuni movimenti del corpo. Invece l'uomo, avendo trovato posto sopra un ciocco, che gli faceva da sgabello, le sedeva accanto, mostrandosi nei suoi confronti affettuoso e premuroso.
Chi erano i due protagonisti a noi del tutto sconosciuti che abbiamo incontrato per primi in questo secondo libro, sorprendendoli all'aperto subito dopo cena? Nel momento attuale, essi si godevano il refrigerio delle prime ore notturne, permettendo al mistero e al fascino degli astri di calamitare la loro attenzione. In tale circostanza, i due coloni stavano vivendo la loro intimità e la sentivano pervadere il loro animo in modo indicibile. Essa si era data perfino a trasportarli in un mondo fiabesco, permettendo ad entrambi di bandire da loro gli affanni e le angosce. Ma prima di andare oltre con il nostro racconto, siamo costretti a lasciarli da parte per brevissimo tempo, dovendo far presenti alcune cose che riguardavano quei luoghi da loro abitati.
I due consorti non erano i soli contadini ad abitare quella lunga e rigogliosa fascia di territorio, la quale apparteneva al villaggio di Litios e confinava con la vasta Tangalia. Tutti i suoi abitanti, mediante materiali prevalentemente lignei, vi avevano edificato un numero considerevole di fattorie. Esse, disseminate qua e là in quella regione di confine, erano distanti l'una dall'altra non più di due miglia. Ognuna era dotata di strutture idonee a far fronte alle poche indispensabili esigenze, che potevano derivare dalla loro dura vita agreste. Così la più piccola delle case coloniche disponeva di due locali principali, i quali erano adibiti ad abitazione; ma non mancavano alcuni locali secondari, che ne formavano le pertinenze. Dei locali abitativi, il primo faceva da soggiorno e da cucina; mentre il secondo era destinato a camera da letto. Quanto alle pertinenze, esse erano costituite principalmente dalla legnaia, che aveva accanto il forno, e dalla stalla. Quest'ultima presentava un mezzanino, che fungeva da fienile. Ma esso veniva usato pure come luogo di custodia degli attrezzi da lavoro. Inoltre, poco distante dall'aia, vi si scorgeva un capiente capanno, che aveva la forma di un cilindro sormontato da un cono. In tale silo i contadini vi tenevano conservati i loro prodotti cerealicoli e diverse specie di legumi secchi. Gli uni e gli altri alimenti dovevano sfamare le loro famiglie per l'intero anno in corso, in modo particolare durante la rigida stagione invernale.
Tra i nuclei familiari delle case coloniche, specialmente tra quelli che si trovavano ad un tiro di schioppo, di solito intercorrevano rapporti di buon vicinato. Per cui si scambiavano visite con una certa frequenza, in occasione delle quali avveniva anche il reciproco scambio dei loro modesti doni. Essi venivano accettati di buon grado dalle famiglie, che li ricevevano compiaciute. A proposito dei coloni di tali terre sperdute, c'è da far presente che era loro consuetudine festeggiare l'inizio della primavera e la fine dell'estate, vale a dire l'avvento dei due equinozi. Il grande raduno, il quale si aveva semestralmente, si svolgeva in un'ampia piana, che si presentava ricca di molteplici suggestivi panorami. La località in questione, rispetto alla ubicazione delle fattorie che erano sparse sul territorio, era situata in un posto che era da considerarsi pressoché centrale. Durante i due menzionati avvenimenti festosi, coloro che vi intervenivano avevano la possibilità di spassarsela a più non posso. Dal primo mattino fino alla tarda serata, non si faceva altro che consumare pasti, tracannare vino, prendere parte ai più svariati giochi e darsi a danze folcloristiche. In quei giorni di festa e di bagordi, insomma, le preoccupazioni e i pensieri molesti erano messi sistematicamente al bando. Per questo motivo, una grande felicità e una voglia sfrenata di svagarsi diventavano le padrone esclusive della giornata. Così facendo, la spensieratezza e l'allegria venivano a regnare in tutti coloro che presenziavano i due esaltanti ritrovi. Si trattava di sentite effusioni di giubilo che, pur apparendo a volte intemperanti e smodate per alcune persone riservate, infondevano nel loro animo una frenesia di divertirsi. Ma essa, il più delle volte, finiva per rasentare la follia.
A questo punto, possiamo chiudere la nostra breve parentesi, che è stata aperta esclusivamente allo scopo di renderci conto della realtà socio-ambientale in cui si trovavano a vivere i nostri due personaggi, che sono stati introdotti all'inizio del presente capitolo. In tal modo ci sarà possibile ripigliare il discorso sulla nostra giovane coppia di contadini ed apprendere qualcosa di più sul loro conto. Ebbene, essi si chiamavano Gonmo e Raida, per cui la loro età era da considerarsi molto giovane. L'uomo non aveva ancora superato la trentina d'anni; mentre la donna, che era alla sua prima gestazione, stava per compiere venticinque anni. Per fortuna, fino a quel momento, la gestante non aveva avuto nessun problema a portare avanti la gravidanza, la quale era all'ultimo stadio. Il suo stato gravidico, avendo avuto sempre un decorso clinico normale e asintomatico, non le aveva procurato alcun fastidio. Adesso i due giovani, mostrando una gioia che non vi dico, erano ansiosi di vedere venire alla luce la loro prima creaturina. La ragione? Essa, essendo il frutto di un loro atto d'amore, già prima di nascere, rappresentava per l'uno e per l'altra la cosa più importante e il bene più prezioso della loro vita. Per la loro creaturina, anche se fosse stata una femminuccia alla sua nascita, essi sarebbero stati disposti a fare in futuro qualsiasi sacrificio, perfino quello abbastanza spinoso!
Gonmo e Raida erano proprietari di un piccolo podere distante parecchie miglia dal loro villaggio di Litios, il quale a quel tempo contava circa ottantamila abitanti. A ogni modo, erano trascorsi già tre anni, da quando i due sposi si erano stabiliti permanentemente presso il loro fondo. Da allora essi avevano iniziato a condurvi una vita semplice e laboriosa, riscuotendo dalla loro vita molte soddisfazioni. I due giovani poderanti si recavano al loro villaggio una volta all'anno, ossia quando andavano a vendervi i prodotti della loro terra e a farvi provviste di zucchero e di sale, i quali sarebbero dovuti bastare per l'intero anno. Trovandosi poi in quel luogo, essi ne approfittavano per salutare amici e parenti. Quando poi le condizioni economiche si mostravano più generose nei loro confronti, essi coglievano l'occasione per comperarvi del vestiario nuovo o per acquistare altro vasellame di terracotta. Con esso, intendevano rimpiazzare quei pezzi che durante l'anno si erano incrinati oppure si erano addirittura rotti e resi non più utilizzabili.
Avute anche talune informazioni utili sui due giovani protagonisti della nostra storia appena incominciata, che abbiamo dovuto lasciare quando sono stati appena introdotti, ci conviene evitare altre tentazioni digressive inerenti alla loro vicenda. Tanto più che, con la precedente succinta parentesi, abbiamo avuto modo di apprendere alcuni usi e costumi dei contadini della regione, con alcune indicazioni importanti sulle loro abitazioni rurali. Va precisato, però, che la nostra digressione è stata un atto dovuto, essendo servita a chiarirci meglio la situazione dei due consorti, nonché a presentarceli nel contesto socio-geografico in cui essi si trovavano a vivere. Ma una volta che sono stati acclarati alcuni punti essenziali della loro esistenza, possiamo serenamente ritornarcene presso i nostri due giovani coniugi. I quali, come abbiamo visto, erano dediti a trascorrere e a godersi la loro dolce intimità fuori la loro abitazione, quando mancavano appena due ore alla mezzanotte.
Intanto che il canto insistente dei grilli e quello rado dei gufi si facevano sentire tra lo sterpame vicino, Gonmo e Raida si mostravano del tutto incuranti dei loro versi noiosi. Invece preferivano subire il fascino di una volta celeste, che continuava a mostrarsi assai attraente. Perciò quella sera essa si presentava limpida e scintillante come non lo era mai stata prima di allora. La donna, intanto che si gustava con gli occhi sgranati l'ammicco delle miriadi di stelle, a un certo punto, sviando la propria attenzione da quegli astri lucenti, si diede a rivolgere la seguente domanda al beato marito, che gli sedeva accanto:
«Gonmo, sai dirmi da dove provengono le tante stelle luccicanti che scorgiamo nel firmamento durante le ore notturne? Inoltre, quando la sera cala sopra ogni cosa, esse come fanno a ritrovarsi nell'immenso e buio cielo al solito posto, come se si fossero date appuntamento in quello spazio sterminato, la cui fine non si scorge da nessuna parte?»
«Raida, le tue sono domande troppo difficili per un uomo ignorante come me. Ad esse possono rispondere soltanto i grandi sapienti, i quali preferiscono vivere nelle città. Ma molti sono convinti che le stelle nascono da un altopiano, che si trova a un centinaio di miglia da qui. Esso viene chiamato appunto Altopiano delle Stelle. A tale riguardo, però, io sono alquanto scettico, siccome non ho mai visto una stella dirigersi verso il cielo. Infatti, ogni volta che mi è capitato di avvistarne qualcuna in movimento, l'ho sempre scorta che da esso si dirigeva verso terra. Ma solo per spegnersi e sparire poi sopra i campi! Sono sicuro che la stessa cosa è accaduta anche alle altre persone!»
«Hai perfettamente ragione, marito mio,» approvò la moglie «perché anch'io non ho mai visto alcuna stella abbandonare la terra e spostarsi in direzione della volta celeste. Proprio come tu hai asserito un attimo fa, pure a me è capitato di vederle sempre e soltanto mentre precipitavano giù sulla terra. Ma poi si sono dileguate, prima che giungessero al suolo, senza lasciare ogni volta alcuna traccia di sé!»
Sempre restando nello stesso argomento, dopo una breve pausa di riflessione, la giovane donna si rivolse di nuovo al consorte, facendogli la seguente domanda:
«Come mai, Gonmo, alcuni gruppi di stelle formano delle raffigurazioni suggestive, riproducendo il disegno di un animale, di un oggetto comune oppure di altro, che adesso non mi sovviene? C'è forse qualcuno a disporle nel modo in cui esse ci appaiono? Mi piacerebbe saperlo!»
«Neppure su quest'altra tua domanda so darti una risposta, Raida. Ho sentito però dire che tali gruppi stellari vengono chiamati costellazioni e che ciascuna prende il nome dalla figura che le sue stelle disegnano. Così nel cielo, fra le altre, si possono scorgere le costellazioni del Gran Carro e del Piccolo Carro. Comunque, esse non sono le sole ad esistere nel firmamento, poiché ce ne sono tantissime altre, forse più di un centinaio, che noi non riusciamo a vedere ad occhio nudo. Ecco come stanno realmente le cose, se vogliamo parlare di loro!»
A tale notizia, la donna era intenzionata a chiedere al marito in quale parte del cielo si potevano avvistare le due costellazioni da lui citate. Invece qualcosa, che ella avvertì dentro di sé simile ad un movimento sussultorio, glielo impedì. Esso, distraendola dalla domanda che si era preparata a fare al suo uomo, le fece esclamare:
«Mio Gonmo, il nostro bambino si è messo a scalciare nella mia pancia! Si direbbe che egli ce l'abbia con noi, poiché ci stiamo disinteressando di lui, ammesso che sia un maschio! Se appoggi la mano sopra il mio addome, all'altezza dell'ombelico, avvertirai anche tu i bruschi movimenti dei suoi piedini! Quasi voglia richiamare su di sé la nostra intera attenzione, visto che essa adesso è rivolta a ben altro. Anzi, mi vado convincendo che è senz'altro come ti ho riferito!»
«Il nostro frugoletto sul serio si agita forte nel tuo grembo, Raida!» le diede ragione il marito, dopo averle posato la palma della mano sul gonfio pancione «Sembra proprio che egli voglia venir fuori a pretendere da noi la parte di coccole che gli spettano! Non lo avrei mai creduto capace di una pretesa simile, già prima di essere partorito! Come adesso mi sto rendendo conto, egli ce la sta avanzando per davvero!»
Volendo soffermarci per qualche attimo su tale parte anatomica, l'addome della moglie si presentava teso al massimo. In qualche sua zona, esso appariva striato da smagliature, le quali potevano essere imputate esclusivamente alle strie gravidiche.
Dopo aver fatto presente all'amata moglie la propria spontanea osservazione, che denotava giubilo e stupore allo stesso tempo, di lì a poco, il giovane decise di aggiungerle:
«Dal momento che non hai le doglie, mia dolce Raida, possiamo essere certi che non è giunto ancora l'ora della nascita del nostro bambino! Non lo credi pure tu, amore mio? Almeno così ho sempre sentito dire dalla mia esperta madre, che aiutava le altre donne a partorire!»
«Sono pienamente d'accordo con te, Gonmo. In questo istante, però, sto avvertendo delle strane e marcate vibrazioni nel basso ventre. Esse possono essere riferite più a contrazioni uterine che non a semplici fremiti viscerali. Ma ti posso assicurare che nella mia pancia è assente la più piccola sensazione fastidiosa o qualche accenno dolorifico, siccome non avverto né l'una né l'altro in nessuna maniera!»
«Può darsi, Raida, che i disturbi da te avvertiti ti provengano dall'ultimo tratto dell'intestino, poiché a volte basta un semplice colpo d'aria a metterlo in subbuglio. Quando ciò avviene, lo sentiamo sotto pelle simile a qualcosa che, di tanto in tanto, si dà a fremere o a scrollarsi lievemente, con un movimento appena percettibile.»
«Sarà proprio come asserisci tu, Gonmo! Perciò ritorniamo al nostro bambino, il quale continua senza sosta a menare calci nel mio grembo. Forse, se ci mettiamo a parlare di lui, egli finirà per tranquillizzarsi un poco. Chi sarebbe in grado di dimostrare che i bambini sono incapaci di mostrarsi gelosi, prima ancora di venire alla luce, ossia già nei tre mesi che precedono il parto? A mio avviso, nessuno!»
«Allo stesso modo tuo, Raida, anch'io sono del parere che mai alcuna persona potrà confutare questa tua singolare affermazione. Per cui non ci perdiamo niente ad accettarla come realistica e possibile. Allora mettiamoci subito a parlare del nostro bambino ed evitiamo che egli sèguiti ad ingelosirsi, a causa della nostra involontaria sbadataggine! Vedrai che, comportandoci in questo modo, lo faremo molto contento!»
«Ti sei espresso da vero saggio, caro Gonmo, oltre che da padre affettuoso! A questo punto, però, mi preme farti la seguente domanda: Secondo te, sarà un maschietto oppure una femminuccia la nostra creaturina, che sta per nascere?»
«Come faccio a risponderti, mogliettina mia? Se lo vuoi sapere, spero che sia un maschietto, forte e intelligente. Comunque, mi starebbe bene anche una bella femminuccia, a patto che sia giudiziosa come la madre. L'importante è che il nostro futuro bambino, indipendentemente dal suo sesso, nasca sano e forte, senza qualche difetto invalidante!»
«Sono anch'io del tuo stesso parere, Gonmo. Tutte le volte che ho pensato alla sua nascita, non mi sono mai posta il problema del suo sesso; al contrario, esso non mi ha sfiorata neppure minimamente! Invece si è sempre affacciata alla mia mente la sola idea che il mio bambino sarà parte di me e carne della mia carne. Perciò devo prepararmi a riceverlo con tutto l'amore possibile, oltre che come il mio più grande tesoro! Ti prometto che mi comporterò precisamente come ho detto, non appena la nostra creaturina, maschio o femmina che sia, avrà emesso il suo primo vagito. Dedicherò ad essa l'intero mio tempo e le elargirò le mie cure amorevoli e premurose, la riempirò di coccole e di dolci carezze, mi affezionerò ad essa come a nessun altro essere esistente in questo mondo! Ora lo sai anche tu come la penso, marito mio!»
«Raida, cosa mi tocca sentire mai dalle tue labbra! Mi stai forse dicendo che, dopo la nascita del nostro rampollo, non conterò più niente per te? Perciò dovrò prendere armi e bagagli e andarmene via, uscendo per sempre dalla tua vita? Se è ciò che hai voluto affermarmi senza mezzi termini, ti dico che non è per niente giusto. Per cui mi obblighi a protestare vibrantemente. Anzi, a buon diritto mi ribello a questa decisione che già hai presa, prima che la nostra creaturina nasca!»
«Ma a cosa hai pensato, Gonmo! Lo sai benissimo che parlavo del nostro nascituro! Sei forse già geloso di lui? Poco fa mi esprimevo come madre e non come sposa. Tutti lo sanno che, per una madre, i figli occupano il primo posto nella sfera degli affetti. Devi sapere che l'istinto materno è qualcosa di sublime e di sovrumano. Esso spinge una donna a donarsi ai propri figli con spirito di abnegazione e, all'occorrenza, perfino ad immolarsi per loro! Come tua sposa, invece, non ti considero affatto come una persona di secondo piano, siccome rappresenti il mio sposo fedele e il mio compagno insostituibile. Senza meno la mia esistenza diverrebbe vuota e nulla, se tu mi venissi a mancare! Per una donna, un marito responsabile costituisce una seria garanzia che a sé e ai suoi figli non verranno mai meno né una sicura protezione né l'indispensabile sostentamento per vivere! Ti sono stata abbastanza chiara adesso? Oppure ritieni ancora insufficiente la mia precisazione?»
«Non te la prendere così tanto, Raida, perché un momento fa scherzavo per vedere come avresti reagito! Anch'io voglio che i miei figli ricevano dalla loro madre la dedizione assoluta e l'affetto più sentito. In questo modo essi cresceranno sereni e sani sotto ogni punto di vista. In un bambino, tutte le componenti della persona umana beneficiano delle preziose prestazioni materne, soltanto se esse si dimostrano al massimo livello e senza alcuna pecca!»
«Menomale, Gonmo, che ne sei al corrente! Altrimenti avrei dovuto barcamenarmi tra due gelosoni, pur di evitare di fare impermalire uno dei due! Cambiando discorso, lo sai che il nostro bambino ha smesso di scalciare? Si vede che ha accettato di buon grado il fatto che la nostra discussione lo sta riguardando in prima persona. Ora che egli fa il bravo, però, quei movimenti bruschi, che prima erano stati da me notati al basso ventre, ricominciano a farsi sentire più fastidiosi e con una certa insistenza: li vado avvertendo come premiti uterini. Possibile che per me sia giunto già il momento di partorire, amore mio? In verità, come potrei rendermene conto, se mi manca l'esperienza di una puerpera?»
«Anch'io non so come pensarla, mia graziosa Raida, non essendo mai stato un ostetrico. Comunque, tanto può darsi di sì, quanto può darsi di no. Ma essendo il tempo di gestazione trascorso quasi interamente, possiamo benissimo propendere per il sì. Per cautela, ti suggerisco di andare a distenderti sopra il letto, ad evitare di farti sorprendere impreparata dall'evento, il quale qui fuori ti metterebbe in grande disagio!»
«Il tuo è un ottimo consiglio, Gonmo; perciò mi conviene seguirlo immediatamente. Tesoro mio, per favore mi dai una mano a scendere dall'amaca, la quale è piuttosto alta? Vedrai che, dopo avermela data, riuscirò a sbrigarmela da sola, poiché sento di potercela fare!»
«Te la do subito, mogliettina mia! In questo delicato momento, a qualunque costo devi eludere ogni strapazzo fisico, poiché anche il più piccolo sforzo inadeguato potrebbe nuocere al nostro bambino e a te! Penserò io a prenderti di peso e a metterti in piedi. Se lo ritieni necessario, amore mio, posso perfino portarti direttamente sul letto, sorreggendoti con le mie robuste braccia! Allora cosa ne dici? Facciamo come ho ti ho appena suggerito?»
«No no, non voglio, Gonmo. Prima di andare a sdraiarmi sul letto, desidero fare due passi qui vicino. Perciò bada solamente a farmi trovare con i piedi per terra. Quanto al resto, farò tutto da me, senza il tuo aiuto, siccome prevedo che non avrò alcuna difficoltà a muovermi!»
Il consorte, da parte sua, dopo essersi alzato dal ceppo, si chinò sull'oblungo lettino pensile e caricò la moglie sulle sue forti braccia. Intanto che reggeva il pesante corpo della donna, con uno sforzo egli assunse la posizione ritta. Mentre poi la teneva sollevata, stando in piedi, per scherzo l'uomo si diede ad esclamarle:
«Accipicchia quanto pesi, Raida! Non avrei mai immaginato che tu avessi potuto raggiungere un simile peso! Non vorrai mica superare quello di una mucca?»
«Gonmo, amore mio, ti faccio presente che avresti dovuto dire: "Quanto pesate voi due!". Oppure hai dimenticato che in me c'è anche il nostro bambino, il quale ha una gran fretta di uscire fuori dalla traslucida pelle, che ora lo circonda?»
«Hai proprio ragione, Raida, considerato che adesso rappresenti due persone! Mi devi scusare, se non ho considerato anche il nostro nascituro, il quale si trova rinchiuso dentro la tua pancia. Egli è prossimo a venir fuori per renderci entrambi felici!»
In quel preciso istante, l'uno e l'altro coniuge avvistarono allo zenit una massa luminosa rotondeggiante. Essa, solcando con grande celerità il buio spazio celeste, avanzava dritta nella loro direzione. Qualcuno, con un po' di fantasia in più, facilmente avrebbe potuto ritenerla una stella che, dopo essere stata scacciata dalle sue compagne, aveva deciso di cercare un posto tranquillo sulla nostra Terra. Invece, poco più tardi, intanto che la stella cadente si affrettava a precipitare dal cielo, fendendo e illuminando l'aria, la donna, avendone adesso una certezza matematica, si diede ad urlare al premuroso marito, che continuava a sorreggere lei e ad interessarsi al fenomeno celeste:
«Presto, Gonmo, riportami immediatamente a terra e permettimi di sdraiarmi sul prato erboso! Secondo me, ci siamo senza dubbio! Nella parte bassa del mio corpo, sento qualcosa che si muove e si va facendo strada verso l'esterno, attraverso il mio canale vaginale. Anzi, se non mi sbaglio, ho l'impressione che una forza che mi sta dentro tenda ad espellere dal mio corpo un pezzo di me! Sono certa che la nostra creaturina sta per venire alla luce!»
Il contadino, senza perdere tempo, poggiò la partoriente sul lembo di prato verde, il quale cresceva davanti alla loro casa. Ma la ebbe appena adagiata sulla soffice erba, allorché un forte vagito esplose tra le gambe di lei. Esse erano già flesse e divaricate al massimo, cercando di fare quanto più spazio possibile al nascituro. Fu in quell'attimo che il bimbo, scivolando attraverso la vagina, venne fuori dall'utero materno. Così, dopo essersi affacciato all'esistenza, il neonato si diede a viverla con una avidità incredibile. Contemporaneamente alla nascita del bambino, nell'oscurità del cielo esplose la luminosa meteora, che alcuni attimi prima si stava avvicinando all'atmosfera terrestre. Allora l'esplosione inondò il cielo di vivida luce, illuminandolo a giorno per alcuni istanti. Per tutto il tempo che rimase a rischiarare la terra, la luce si impadronì del vagito del pargoletto e lo trasmise nei luoghi che erano cosparsi della sua intensa luminosità. Perciò esso finì per essere udito da tutta la gente della vallata, anche se ciò fu per brevissimo tempo.
Le persone, che si trovavano entro un raggio di cinque miglia, appena lo ebbero udito, non poterono fare a meno di pensare a Gonmo e Raida, essendo noto che i due coniugi erano gli unici coloni vicini ad attendere la nascita del loro bambino. Nello stesso tempo, esse trasecolarono a causa del prodigio e non riuscivano a spiegarsi come avesse fatto il vagito del neonato ad arrivare fino a loro, sebbene la distanza non fosse esigua. Così, il giorno dopo, quelli che risiedevano nelle vicinanze si affrettarono a raggiungere la fattoria dei due giovani consorti, essendo ansiosi di conoscere il loro portentoso bambino e di lasciargli anche i loro doni. Quando poi ebbero abbandonato la casa del fortunato infante, i munifici coloni avvertirono nell'animo un senso di serenità, che non avevano mai provata prima. Essa si diede a pervadere la loro interiorità e ad arricchirla di un benessere spirituale, che andava infondendo in ognuno di loro una immensa letizia, che poteva definirsi quasi soprannaturale. Ma già prima dell'arrivo dei numerosi visitatori, i gaudenti genitori avevano voluto dare un nome appropriato al loro piccolo maschietto. Senza alcuna esitazione, essi lo avevano chiamato Lucebio, il cui significato era appunto "portatore di luce vitale". Da bravi preveggenti, essi avevano presentito che il loro bambino in avvenire, grazie alla sua immensa saggezza e alla sua valida dottrina, avrebbe illuminato le menti della maggior parte dei popoli appartenenti all'Edelcadia, la quale era la regione di cui faceva parte anche il villaggio di Litios.