di Luigi Orabona

 

 

AL CALAR DELLE TENEBRE

Era al calar delle tenebre
che il mio spirito irrequieto,
abbandonato dal torpore del giorno,
riprendeva a fruire soddisfatto
del suo gagliardo dinamismo,
quello che gli permetteva di elevarsi
alle vette più eccelse
dell'ansia speculativa e creativa.

Allora ero alquanto giovane
e, a causa della mia indole
irrefrenabilmente ribelle,
non poteva esserci freno alcuno
che riuscisse a trattenermi,
al fine di limitare la foga espansiva
sia del mio slancio indagativo
che della mia brama creativa,
per cui mi scorgevo libero
di darmi alle mie scorribande
nell'astratto mondo dell'irreale.

Così, man mano che m'immergevo
nel fitto delle tenebre,
mi pareva che una magica atmosfera
mi avvolgesse interamente,
facendomi fare la conoscenza
di nuove irrealtà evanescenti
e trascinandomi in un rapido vortice
di mirabolanti astrazioni,
che risultavano ai miei occhi stupiti
indescrivibilmente inebrianti.

A quel punto, non mi riconoscevo più,
mi sentivo totalmente estraneo
alla vecchia mia realtà neghittosa,
mentre andavo perseguendo
nel mio intelletto avido di conoscenza
quei nobili fini che tendevano
ad una rigorosa supremazia
dell'astratto sul concreto,
in una straordinaria girandola
in cui venivano a caracollare fascinosi
gnostici desideri e atti creativi.

Alla fine sopraggiungeva l'alba,
la quale, con i suoi incipienti chiarori
sempre più carichi di luce illuminante,
immediatamente iniziava
ad azzannare e a disperdere
l'intero buio della notte morente;
ma, con l'arretrare delle tenebre,
anche il mio spirito
si ritraeva dal mondo surreale,
che gli aveva messo a disposizione
la mia fervida fantasia,
la quale durante le ore notturne
era solita sbizzarrirsi fremebonda
oltre ogni umana immaginazione.