di Luigi Orabona

 

 

E PENSO...

Penso, intanto che seguo
antiche vestigia,
le quali mi conducono
a ritroso nel tempo
e mi fanno rivisitare
quel mio passato,
che si rivelò tormentato
da clamori d'ingiustizia.

Esso mi vide lottare,
oltremodo disperato
e con la rabbia nel cuore,
a favore d'ideali fantasmi
e contro tanti vizi reali,
i quali sinistramente
mi avevano fatto imboccare
l'interminabile tunnel
che ormai puntava dritto
al punto del non ritorno.

Ero giovane allora,
del tutto privo di artigli
di veterana esperienza
che assai facilmente
mi avrebbero difeso
da tante vacue astrazioni:
esse già si apprestavano
a rodermi senza scampo
quelle poche timide idee
che dentro di me andavo
gelosamente covando,
anche se nel futuro
avrei potuto solo surrogarle
con scheletri assurdi
di disinganni e delusioni.

Inoltre, sovente mi capitava
che, facendo incetta
di strombazzate dottrine,
finivo per diventare vittima
di paurosi capogiri,
siccome mi rendevo conto
della loro incongruenza
che poteva soltanto rivelarsi
assurda quanto mai;
per la qual cosa, alla fine,
mi toccava pure avvertire,
esasperante e trafittivo,
il sapore dell'amarezza.

Quindi, ci mancò poco
che non venissi risucchiato
da un profondo precipizio,
che non faceva affatto
scorgere il suo fondo;
anzi, esso, a modo suo,
tendeva a darmi in pasto
alla sfiducia più completa
sia verso me stesso
che verso le istituzioni.

Così, pur di perseguire in me
l'abietto suo scopo
che mirava a destabilizzare
ogni mia convinzione,
il medesimo collocava il tutto
in un quadro dipinto
a tinte forti e fosche,
il quale aveva come sfondo
l'inconfondibile binomio
sarcasmo e ipocrisia.